giovedì, settembre 30, 2010

Ma dov'è finita l'inflazione?





Il calo dell'inflazione in Italia: da valori a due cifre al tempo della grande crisi del petrolio, siamo gradualmente scesi a valori molto bassi, quasi impercettibili nella pratica (sorgente). Nella figura, TUS sta per tasso ufficiale di sconto.



Di tante cose che - come ASPO - abbiamo detto che sarebbero successe con il picco del petrolio, le abbiamo azzeccate quasi tutte: aumento dei prezzi, crisi economica, crollo della produzione, guerre per le risorse. Insomma, credo che ASPO abbia una capacità predittiva di tutto rispetto.

Però, mi rimane una cosa che pensavo sarebbe successa e che, invece, non è successa: l'inflazione a due cifre. Non credo di aver scritto in nessun posto che mi aspettavo una cosa del genere, ma l'avevo in testa. Non perché i nostri modelli ci dicessero che doveva venire l'inflazione, ma semplicemente perché mi ricordavo della prima grande crisi del petrolio, quella che cominciò nel 1973. E quella ci portò almeno dieci anni di inflazione a due cifre: era oltre il 10% all'anno, fino a oltre il 20% per un breve periodo al top della crisi, nel 1981. In Italia la situazione era peggiore che negli altri paesi industrializzati, ma ovunque l'inflazione a due cifre era un fatto della vita.

Del mondo inflazionato, mi ricordo bene; erano i tempi dei miei primi stipendi di borsista universitario. Della perdita di valore dei soldi te ne accorgevi bene - bastava semplicemente guardare come aumentava regolarmente il costo del caffé, dell'espresso che bevevi al bar. A intervalli di pochi mesi, cominciava uno dei bar della zona ad aumentare la tazzina di 50 lire. Allora, cambiavamo bar, cercandone uno che non avesse aumentato ancora. Ma, come una piccola epidemia, l'aumento dei prezzi si spandeva rapidamente e alla fine non ti rimaneva che tornare al bar di prima; tanto il caffè costava uguale dappertutto.

A quell'epoca, l'inflazione era un fatto della vita: le banche ti pagavano un interesse che era sempre leggermente superiore dell'inflazione "ufficiale"; prendere il 15% di interesse su un conto non sembrava una cosa fuori dal normale. Per gli stipendi, c'era una cosa che si chiamava la "scala mobile" che ti aumentava gradualmente il salario in funzione degli aumenti dei prezzi. Insomma, le cose andavano così.

Ora, l'interpretazione generale dell'inflazione che era cominciata nei primi anni '70 è che era dovuta all'aumento repentino dei prezzi del petrolio, che si era portato dietro l'aumento dei prezzi delle materie prime e - alla fine - di tutto il resto. Infatti, con il crollo dei prezzi del petrolio, a partire dalla seconda metà degli anni 80, anche l'inflazione è andata giù, fin quasi a sparire. Con la seconda grande crisi del petrolio, con i prezzi che hanno raggiunto valori (corretti per l'inflazione) superiori a quelli della prima, uno si sarebbe aspettato una simile fiammata di inflazione.

E invece, niente. L'inflazione non c'è, a parte un breve episodio al tempo del passaggio da lira a euro. Come mai il sistema economico ha reagito oggi in un modo così diverso da come aveva reagito negli anni '70? Ci sono diverse spiegazioni possibili; una è che l'inflazione in effetti ci sia, ma venga mascherata dai metodi usati per misurarli. In effetti, il famoso "paniere" usato dall'ISTAT per il calcolo dell'inflazione in Italia è scelto apposta per minimizzarla - per esempio non contiene i prezzi della benzina e dell'energia in generale. Vero, però è anche chiaro che se ci fosse l'inflazione degli anni '70 e '80 ce ne accorgeremmo. E invece i prezzi dell'espresso rimangono saldamente ancorati agli 80-90 centesimi - non hanno quegli aumenti epidemici che erano così comuni al tempo della prima crisi. I ristoranti, anche quelli, fanno sempre più o meno gli stessi prezzi. Chi fa commercio ha capito chiaramente che, in questo momento, aumentare i prezzi di vendita equivale al suicidio commerciale. E per quanto riguarda le case, beh, lì siamo in piena deflazione: i prezzi stanno crollando, non salendo.

E allora? Beh, sulla cosa ci ho rimuginato sopra parecchio, cercando una spiegazione, una differenza fra la situazione odierna e quella degli anni '70 e '80 che spieghi perchè allora c'era l'inflazione e oggi no. Non l'ho trovata - niente di semplice, perlomeno. Credo che in effetti non ce ne sia una.

Consideriam la caratteristica fondamentale del sistema economico, ovvero quella di regolare l'allocazione delle risorse. I prezzi sono delle etichette che noi mettiamo sui beni materiali e queste etichette ci dicono quante risorse dobbiamo allocare per produrre quei beni. Se l'etichetta che sta sul barile del petrolio diventa più grande - ovvero il prezzo aumenta - questo ci dice che dobbiamo allocare più risorse per produrlo, oppure accettare di produrne di meno. Il sistema ci sta dando, in effetti, un segnale molto chiaro di quella che è la situazione con le risorse petrolifere e energetiche in generale: ovvero che produrle sta diventando sempre più difficile e che se vogliamo continuare a produrle dobbiamo rinunciare a qualche altra cosa.

L'inflazione, di per se, non ci dice niente sulla questione dell'allocazione delle risorse. Se tutti i prezzi e tutti gli stipendi aumentano allo stesso modo - come succede di solito con l'inflazione - non cambia nulla. Questo non vuol dire che l'inflazione sia totalmente neutrale nel sistema economico. Uno dei suoi effetti è quello di distruggere i risparmi - soprattutto quelli dei piccoli risparmiatori. Ma, anche quelli, sono soltanto dei numeri che sono scritti nei computer di qualche banca; non hanno valore reale. Oggi, il crollo del mercato immobiliare sta distruggendo altrettanto bene dell'inflazione i risparmi; in questo caso quelli investiti nel "mattone". Non che le case non abbiano valore reale, ma il loro valore come investimento è molto superiore ed è questo che sta venendo distrutto. E' possibile che questi effetti siano a lungo andare benefici per l'economia in generale, anche se non certamente per chi li subisce.

Alla fine dei conti, l'inflazione è una specie di malattia del sistema economico che si infila in un ciclo di feedback positivo dovuto alla nostra percezione del valore intrinseco della moneta - che però, come dicevo, è soltanto un etichetta; non ha un valore fisico. Dato che non abbiamo a che fare con cambiamenti fisici, ma soltanto percezioni degli operatori, ne consegue che l'inflazione si controlla a livello di politica economica delle banche centrali e - in effetti - sembra che il controllo stia funzionando abbastanza bene; almeno per ora.

E per il futuro? Beh, l'inflazione è direttamente legata alla nostra percezione del valore intrinseco di quelle etichette che appiccichiamo sui beni reali. Se la crisi si intensifica, oppure se - come è probabile - l'Euro scompare, allora potremmo vedere benissimo una nuova fiammata inflazionaria. Si racconta che, al tempo della repubblica di Weimar, la carta moneta aveva raggiunto un valore così basso che la si bruciava nelle stufe. Perchè no?

lunedì, settembre 27, 2010

La criminalità organizzata in Italia

Gli assidui lettori di questo blog avranno sicuramente compreso gli enormi problemi che gli Stati nazionali si troveranno ad affrontare in seguito alla graduale riduzione di risorse naturali ed economiche conseguenti al picco petrolifero e degli altri combustibili fossili. Per tale motivo, la presenza estesa in Italia di una criminalità organizzata con i caratteri di un vero e proprio contro - Stato, fa assumere al fenomeno il carattere di assoluta emergenza nazionale.
La storia del nostro paese si può anche leggere come un continuo processo di liberazione da forze che ne frenano lo sviluppo civile. Così è stato con l’Unità d’Italia che ci ha liberato da una secolare dominazione straniera, successivamente con la faticosa e traumatica liberazione dal nazi – fascismo e, in tempi più recenti, con la sconfitta del terrorismo e l’uscita dal sistema della guerra fredda che ha pesantemente condizionato nel dopoguerra la libera evoluzione del sistema politico italiano.
In questo articolo cercherò di spiegare sinteticamente perché secondo me la liberazione dalle mafie che attanagliano il nostro paese sia molto più difficile ed ardua delle precedenti, a causa dei profondi intrecci del grave fenomeno con il processo storico ed antropologico di formazione del carattere nazionale.
E’ fuori di dubbio che il comportamento mafioso sia l’espressione patologica di un atteggiamento diffuso nella società italiana di mancato rispetto delle leggi e delle regole, di rifiuto dell’autorità statale, di una scarsa coscienza civile, caratteristiche che ci differenziano dalle società europee più evolute.
Il motivo principale di questa differenza è spesso individuata nella repressione in Italia della riforma protestante che ha profondamente modificato nel ‘500 non solo la storia delle religioni, ma ha anche provocato una radicale evoluzione culturale, politica ed antropologica dell’uomo moderno. Infatti, a differenza del Dio cattolico, quello luterano o calvinista è un Dio inflessibile e intransigente che non ammette intermediazioni con il fedele, il quale a sua volta ha un rapporto individuale con la divinità attraverso la lettura e l’interpretazione personali della Bibbia. Questo fatto apparentemente banale ha delle conseguenze rivoluzionarie. La prima è che il credente delle religioni protestanti deve imparare a leggere, quindi grandi masse di persone escono dall’analfabetismo e cominciano a costituire quella che oggi viene definita un’“opinione pubblica” di persone istruite e consapevoli. La seconda conseguenza di questo confronto diretto con la divinità è la formazione di una coscienza individuale e democratica che gradualmente porta al superamento dei regimi autoritari del passato e all’emergere delle moderne società democratiche di massa. La terza conseguenza dell’avvento delle dottrine protestanti è un forte senso di responsabilità individuale che induce il fedele ad avere un comportamento di vita rigoroso verso se stesso e gli altri.
Gli italiani invece, dopo la controriforma continuano a vivere in una società retriva e conservatrice dominata dalla Chiesa Cattolica che ha il dominio assoluto sulle loro anime. I preti sono gli unici depositari del sapere religioso, che dogmaticamente trasferiscono a un “gregge” di fedeli indistinto da mantenere nell’ignoranza più crassa. L’analfabetismo è stato una delle piaghe del nostro paese e tuttora il livello di istruzione dei nostri connazionali rimane molto distante da quello delle altre nazioni europee. Per lo stesso motivo, l’italiano tende a rimanere un suddito che, a causa delle continue dominazioni e vessazioni straniere storicamente subite, manifesta contemporaneamente un totale rifiuto dell’autorità statale e delle sue leggi. Per questi motivi, paradossalmente, l’italiano medio si potrebbe definire con un efficace ossimoro un “suddito anarcoide”. Infine, il meccanismo ipocrita della confessione e del pentimento contenuti nella disciplina cattolica, determina nell’italiano un blando rigore etico e morale nei confronti dei comportamenti di vita quotidiani.
A questo punto, qualcuno potrebbe obiettare con ragione, che altre società di stampo cattolico, ad esempio quella spagnola, non hanno manifestato analoghi atteggiamenti di intolleranza alle regole e ai comportamenti civili diffusi del nostro paese. E soprattutto, nessuna ha sviluppato il cancro della criminalità organizzata. Quindi, la riflessione storica delineata in precedenza deve essere integrata con altri strumenti di analisi più adatti a interpretare la natura profonda dei processi di formazione di devianze sociali così radicate.
A proposito della criminalità organizzata italiana, segnalo questo articolo molto interessante che propone un’interpretazione del fenomeno a partire da un’analisi etnico - linguistica delle popolazioni che si sono avvicendate sul suolo italico. L’analisi addirittura fa risalire all’età del bronzo l’inizio della genesi del fenomeno mafioso, come reazione delle società pastorali centro-meridionali dell’epoca alla concorrenza sul piano del potere delle nuove elites agricole che appaiono sul territorio italiano.
L’insieme di queste considerazioni ci fa comprendere che solo un processo lento e graduale di emancipazione culturale ci consentirà di vincere la terribile battaglia contro la delinquenza organizzata. Sono convinto però che nel corpo profondo della società italiana, come un fiume carsico, si propaghi da anni la cultura della legalità e un percorso di maturazione civile. L’esempio eroico del Sindaco di Pollica barbaramente ucciso dalla Camorra è solo uno dei segnali più recenti di questa reazione civile.
Occorre però che lo Stato contribuisca con politiche efficaci a sostenere ed accelerare questo processo. A mio parere, le indispensabili azioni di contrasto sul piano repressivo alla malavita organizzata non saranno sufficienti se non si scalfirà l’enorme ricchezza economica accumulata attraverso le attività illecite, che rappresenta la natura moderna del potere mafioso. Secondo Eurispes il fatturato della criminalità organizzata in Italia è di circa 170 miliardi di euro !! e, di questi, il Sole 24 Ore ha calcolato di recente che i proventi provenienti dal commercio della droga siano i principali e corrispondano a circa 60 miliardi di euro !!!!
Di fronte a questi numeri occorre a mio parere seriamente riaprire una riflessione sull’opportunità di sottrarre alle mafie questo enorme flusso di risorse sporche, letteralmente alla base del loro potere, attraverso forme di liberalizzazione del commercio di stupefacenti. Bisogna cioè prendere atto che l’uso delle droghe è in continuo aumento nel nostro paese e che le politiche repressive non hanno ottenuto alcun risultato. Quindi sarebbe molto meglio far emergere dall’illegalità il fenomeno e contemporaneamente infliggere un colpo letale all'economia criminale.

venerdì, settembre 24, 2010

Il suolo minacciato

Tra le risorse limitate del pianeta c'è anche il suolo. Spesso ce ne dimentichiamo, preferendo concentrare la nostra attenzione sulle risorse energetiche, ma il piccolo strato fertile superficiale esistente sulla Terra, consente l'alimentazione, quindi la sopravvivenza, dell'uomo e di molte specie animali.
Allora, fa bene Nicola Dall'Olio a ricordarcelo con il bel film "Il suolo minacciato", che partecipa a questo festival virtuale http://www.viaemiliadocfest.tv/index.php in cui è possibile visionare tutti i lavori in concorso e votare entro il prossimo 29 Settembre, se vi dovesse piacere, quello che vi ho ora brevemente presentato. Buona visione.

mercoledì, settembre 22, 2010

Una vittoria contro gli ecomostri


La demolizione in corso di un gruppetto di villette completamente abusive nel comune di Fiesole, iniziata i primi di Settembre.


La lotta contro l'abusivismo edilizio sembra una delle cose più difficili - e forse impossibili - di questo paese. Anche per le mostruosità edilizie più brutte e più abusive della storia, la demolizione richiede sforzi inani e fatiche spaventose.

Ma una piccola vittoria contro l'abusivismo c'è stata nel comune di Fiesole, proprio questo settembre. Va detto che non si trattava proprio di "ecomostri". Un imprenditore locale, aveva costruito un gruppo di villette con l'intenzione di farci un villaggio turistico. Le villette erano anche carine e bene inserite nel verde. Il tutto, però, era totalmente e completamente abusivo; zero permessi. Evidentemente sperava in un condono edilizio - abitudine italica inveterata.

Bene, stavolta agli abusivisti gli è andata male. C'è voluta una battaglia legale durata sei anni, ma alla fine il Comune di Fiesole è riuscito a ottenere l'ordine di demolizione dal tribunale e a procedere con le ruspe. Come al solito, c'è stato anche chi ha mugugnato (ma erano belline.....) Ma una vittoria della legalità, come si suol dire, non ha prezzo.

domenica, settembre 19, 2010

Un'amenità tira l'altra

Ormai non si riesce più a stare dietro alle amenità che il Ministro Tremonti spara a raffica da qualche giorno a proposito del nucleare in Italia, in qualsiasi sede si trovi a parlare. Dopo quella che abbiamo commentato nel post di ieri, ha successivamente affermato:

"Un punto che ci penalizza è quello del nucleare: noi importiamo energia. Mentre tutti gli altri paesi stanno investendo sul nucleare noi facciamo come quelli che si nutrono mangiando caviale, non è possibile. Non dobbiamo credere a quelli che raccontano le balle dei mulini a vento, le balle dell'eolico, vi siete mai chiesti perchè in Italia non ci sono i mulini a vento? Quello dell'eolico è un business ideato da organizzazioni corrotte che vogliono speculare e di cui noi non abbiamo certo la quota di maggioranza".

Innanzitutto, l'arguto Ministro finge di non sapere che il nucleare non risolve il problema della dipendenza energetica del nostro paese, ma semplicemente la trasferisce dai combustibili fossili all'uranio, di cui sfortunatamente non esistono miniere in Italia. Inoltre, come ho argomentato in questo articolo, l'ipotesi della durata centennale delle risorse di uranio nel mondo è una vera e propria bufala. Una prima conferma delle mie analisi e preoccupazioni è giunta di recente dal gruppo finanziario Rbc Capital Markets, operante proprio nel settore minerario che, secondo il Sole 24 Ore, teme una carenza di uranio per le centrali già dal 2020. Perciò, se il governo davvero portasse avanti il suo piano, le nuove centrali potrebbero avere durante il ciclo di vita problemi seri di approvvigionamento del combustibile nucleare.

Infine, non ho bisogno di spiegare e non mi dilungo su quelli che sono a mio parere i veri motivi delle posizioni anti eoliche del Ministro e sul perchè chi vuole oggi costruire centrali nucleari nel nostro paese deve necessariamente osteggiare le rinnovabili e soprattutto l'eolico. Ne ho già scritto poco tempo fa in un altro articolo su questo blog, che invito a leggere con attenzione.


sabato, settembre 18, 2010

Amenità nucleari

Ieri il Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha dichiarato in maniera perentoria ma criptica: “Noi non abbiamo il nucleare, le altre economie con cui competiamo lo hanno. Se avessimo il nucleare, avremmo un pil diverso, sarebbe più facile crescere come gli altri paesi”. Questa sentenza non è minimamente motivata, ma sembrerebbe che l’arguto Ministro deduca l’assioma dal fatto che i paesi come la Germania che hanno ancora alcune centrali nucleari sul proprio territorio, crescano economicamente più dell’Italia. Se il sillogismo fosse valido, ne potremmo persino dedurre che per crescere, l’Italia dovrebbe cambiare la propria dieta mediterranea, alimentandosi con crauti e wurstel.
In realtà, solo Tremonti e qualche altro ideologo filo-nucleare fingono di non sapere che l’investimento nel nucleare è conveniente per i costruttori solo con il sostegno economico dello Stato o degli utenti elettrici, quindi aumentando i costi per le imprese e le famiglie. Persino l’Associazione Italiana Nucleare ha di recente ammesso che il costo di produzione del kWh nucleare si colloca in un intervallo tra gli 8 cent. euro e i 12 cent euro (senza considerare i costi di smaltimento delle scorie, N.d.A.), almeno quanto il termoelettrico convenzionale, smentendo clamorosamente il mitico valore di 3 cent. euro che veniva fino a poco tempo fa spacciato per definire il nucleare la fonte energetica più economica. Ma la verità è ancora più nera per i sogni nucleari, perché uno dei fattori che influisce maggiormente sul costo di produzione dell’energia nucleare è ovviamente il costo di costruzione dell'impianto e, sfortunatamente per gli amanti del nucleare, le poche centrali in costruzione, tra cui la tanto osannata centrale finlandese, stanno vedendo più che raddoppiare i costi preventivati. Per cui, il costo del kWh nucleare probabilmente supererà di qualche cent. di euro anche il limite superiore della forchetta indicata dall’AIN.
Per chi volesse studiare un metodo rigoroso di calcolo del costo di produzione del nucleare (ma di qualsiasi fonte energetica) consiglio la lettura di questo articolo.

giovedì, settembre 16, 2010

Picco del petrolio e trasporti


Ospitiamo volentieri questo articolo che ci ha inviato Giorgio Nebbia, prestigioso decano dell'ambientalismo italiano. Ci ricorda che le principali conseguenze del picco petrolifero riguarderanno il settore dei trasporti e che sarà necessario un radicale cambiamento nei sistemi urbani e della mobilità di cose e persone. Siamo completamente d'accordo con lui e in questo blog non perdiamo occasione per ricordare l'obiettivo prioritario di investire risorse verso i moderni sistemi di trasporto collettivo su ferro.

Scritto da Giorgio Nebbia


Dove troveremo tutto il petrolio per far camminare mille milioni di autoveicoli, che aumentano in ragione di circa 50 milioni all’anno? Finora il pericolo di un impoverimento delle riserve mondiali di petrolio è stato oggetto di analisi da alcuni “pessimisti”; altri, ancora più pessimisti, hanno ricordato le previsioni fatte nel 1956 da un certo Hubbert secondo cui si sta avvicinando, o si è già verificato, un “picco” nella quantità di petrolio estratto dalle riserve, al di là del quale non sarà facile, forse neanche possibile, far aumentare la quantità di petrolio prodotta ogni anno, oggi circa 4300 milioni di tonnellate. “Il picco” non dice che il petrolio mancherà, ma che ce ne sarà sempre di meno disponibile nelle viscere della Terra.
Da tempo alcuni governi e le imprese fanno fare degli studi di previsioni sull’entità delle riserve di petrolio nel mondo. Nei giorni scorsi un articolo del settimanale tedesco “Der Spiegel”, generalmente bene informato, riferisce che una speciale sezione di studi sul futuro del Zentrum für Transformation (il centro per l’analisi delle trasformazioni) dell’esercito tedesco avrebbe redatto un rapporto, ancora riservato, destinato al governo tedesco, in cui sono indicati alcuni scenari di mutamenti della politica sia diplomatica sia militare necessari nel caso in cui si verifichi davvero una diminuzione della disponibilità del petrolio nel mondo. Il fatto che se ne occupino i militari fa pensare che la cosa sia seria.
Il petrolio è indispensabile e per ora non sostituibile: con l’elettricità si possono far funzionare le industrie, scaldare le abitazioni, assicurare alcuni trasporti, e l’elettricità può essere ottenuta anche senza petrolio, utilizzando il carbone, il gas naturale, con il moto delle acque e con le forze del Sole, del vento, eccetera, ricorrendo, se si vogliono accettarne i rischi ambientali, i costi e i pericoli, all’energia nucleare. Ma il settore dei trasporti stradali di persone e merci, basato sui motori a combustione interna, quelli degli attuali camion e automobili, richiede un carburante liquido che può essere ottenuto soltanto dal petrolio (i carburanti derivati dall’agricoltura hanno per ora soltanto un uso e prospettive marginali), e che rappresenta circa un terzo di tutta l’energia prodotta e consumata nel mondo.
Qui non si tratta di discutere sui mutamenti climatici, sull’inquinamento dell’atmosfera, sulla salute, sui costi monetari dell’energia, dei trasporti, delle merci; si tratta di discutere di dove e di come andare a prendere il petrolio. Chi possiede il petrolio è padrone del mondo; possono essere musulmani o cristiani, dittatori o buoni governanti. Esclusa, come hanno dimostrato le guerre perdute in Irak, Afghanistan Asia centrale, Somalia, la conquista militare dei pozzi petroliferi o degli oleodotti altrui, chi ha bisogno di petrolio dovrà trattare con i padroni del petrolio e baciargli le mani. Il gesto del presidente del consiglio dell’Italia (che dipende quasi totalmente dalle importazioni del petrolio) nei confronti di Gheddafi, può aver anticipato quello che tanti altri governanti dovranno fare adottando un nuovo stile di diplomazia.
Bisognerà diventare amici dei padroni del petrolio e nemici dei loro nemici; si profilano nuovi rapporti con Israele e gli stati arabi, fra paesi cristiani e quelli musulmani. Chi possiede il petrolio diventerà ricchissimo, il che porterà ad una nuova stratificazione di classe; oggi i nuovi ricchissimi sono arabi, musulmani, asiatici, russi e li ammireremo e adoreremo, al loro arrivo, con le loro favolose barche e ville, magari dimenticando che fanno i generosi spreconi con i soldi portati via a noi assetati di petrolio, destinati a diventare più poveri. Bisognerà andare a cercare petrolio da qualsiasi parte: nei mari profondi, negli scisti bituminosi, nelle distese ghiacciate dell’Artico, nelle paludi dei fiumi africani, in mezzo alle foreste tropicali. Altro che salvaguardia delle pantere e conservazione della natura.
Quanto meno accessibili saranno le riserve, tanto maggiore sarà la devastazione ambientale; lo si è visto nel Golfo del Messico, perché i giornali ne hanno parlato, ma i giornali non parlano delle diecine di sversamenti e inquinamenti del petrolio che ogni anno si verificano in qualche parte nel mondo, negli oceani e nei porti dalle petroliere. Pochi numeri indicano quanto sia grande la dipendenza dai padroni del petrolio ormai non solo dell’Europa e Nord America, ma anche dei nuovi giganti industriali asiatici. Ogni autoveicolo nel mondo consuma ogni anno, in media, duemila litri di benzina o gasolio e per produrre 1000 litri di carburante occorrono circa due tonnellate di petrolio. In Italia i circa 40 milioni di autoveicoli circolanti richiedono ogni anno circa 40 miliardi di litri di carburanti.
Solo una piccola frazione di questi carburanti potrebbe essere sostituita da alcol etilico o biodiesel di origine agricola, necessari, certamente, ma non risolutivi. I veicoli elettrici o quelli con minori consumi di carburanti, fanno diminuire solo di poco la richiesta di petrolio. Se i governi, soprattutto nei paesi industriali, non avranno il doloroso coraggio di proporre di comprare meno automobili, di avviare una nuova pianificazione energetica e radicali cambiamenti nella mobilità delle persone e delle merci, nella struttura delle città, nella localizzazione delle abitazioni e dei posti di lavoro, nei processi produttivi, in modo da rallentare la crescente richiesta di petrolio, dovranno essere preparati non solo a maggiori costi monetari pubblici e privati, ma a gravi forme di dipendenza politica e di instabilità e insicurezza.
Dovranno essere preparati a devoti rapporti con capi politici e religiosi oggi considerati impresentabili, solo per sfuggire al ricatto della chiusura degli oleodotti che portano nelle nostre strade il petrolio indispensabile per muoverci e vivere. E chi volesse fare lo schizzinoso, come Pinocchio quando si è rifiutato di spingere il carretto di carbone, può sentirsi dire: “Mangiati due belle fette della tua superbia e bada di non prendere un’indigestione”.

lunedì, settembre 13, 2010

Esperienze solari in Aspoitalia


In Aspoitalia la riflessione teorica sulle prospettive energetiche planetarie conseguenti alla incombente carenza di combustibili fossili, si affianca alla ricerca di applicazioni concrete delle possibili soluzioni alla crisi energetica su scala individuale. Così, alcuni di noi hanno dato conto sul blog delle proprie esperienze personali. Ricordo ad esempio quella del sottoscritto, di Ugo Bardi, di Franco Galvagno. Continuiamo perciò questa originale e seguita linea editoriale con l'intervento di Luca Mercalli, che ci illustra con la consueta efficacia divulgativa, la sua esperienza domestica di uso delle fonti rinnovabili. L'articolo è molto interessante, non solo per l'illustrazione replicabile di una buona pratica, ma anche per l'approfondimento di alcuni aspetti applicativi del sistema incentivante italiano dell'energia solare.
Scritto da Luca Mercalli


Il mio primo pannello solare lo realizzai nel 1981, a 14 anni. Avevo a disposizione un’officina meccanica di famiglia per divertirmi nei week-end (non mi interessavano le partite di calcio seguite dai miei coetanei), e un giorno tra i materiali da rottamare c’era un bel vetro doppio di circa 2 m2. L’eco della crisi petrolifera del 1973 era ancora vivo e quindi la sfida di raccogliere energia dal sole m’incuriosiva. Aiutato da mio padre, costruii un telaio di acciao inox, applicai al vetro una lastra di rame verniciata di nero sulla quale saldai a stagno una lunga serpentina sempre di rame, poi un materasso di lana di roccia e un laminato sul retro. Ecco fatto: dopo pochi minuti, applicato il tubo dell’acqua a un’estremità, dall’altra usciva l’acqua calda per fare la doccia in giardino. Per molti anni il pannello rimase appoggiato a un muro assolato e lavorò più che altro come una curiosità estiva. Eppure non era molto diverso da quelli attuali. Mancava però tutta l’ingegnerizzazione dei dettagli, la raccorderia, l’accumulo dell’acqua calda, l’isolamento termico delle tubazioni, gli ancoraggi da tetto, tutte cose che si potevano anche realizzare con il fai da te, ma trasformavano il pannello in un catafalco sempre precario e difficile da adattare a una casa: gli orribili trespoli che qua e là altri pionieri dell’energia solare collocavano in quegli anni sui tetti, mi scoraggiarono dall’andar oltre.

Dovevo attendere più di vent’anni per veder comparire sul mercato tutto quello che già allora avrebbe potuto svilupparsi ma invece, per vari motivi certo non tecnici, non sbocciò.
Così nel 2004, dopo che già da un anno avevo contribuito ad animare con Ugo Bardi la lista Aspo (e ciò ebbe un ruolo importante nelle mie scelte successive), installai nella casa dove ora abito, all’imbocco della Valle di Susa, il mio primo impianto di solare termico a servizio della produzione di acqua calda sanitaria e integrazione riscaldamento con caldaia a metano a condensazione.
Fu facile, avevo la fortuna di disporre di un tetto esposto a sud e di un piccolo vano tecnico dove tenevo gli attrezzi da giardino: lì collocai il bollitore da 500 litri, mentre per collegare i pannelli, sei metri più in alto, il problema del passaggio dei tubi in facciata, esteticamente poco gradevole, lo risolsi con una seconda discesa in rame parallela al pluviale esistente, metodo pratico e poco costoso, oggi adottato da molti. Appoggiati complanari al tetto di coppi piemontesi, ecco dunque comparire tre magnifici collettori piani per un totale di circa 7 m2, collegati a un pratico impianto a svuotamento ad acqua, che mi evita i problemi di additivazione antigelo invernale. Si era di dicembre, ma nelle giornate soleggiate l’acqua raggiungeva comunque i 45 °C e la prima doccia solare fu una vera gioia. D’estate il bollitore accumula invece a 80 °C una riserva sufficiente per circa 2-3 giorni in caso di cielo nuvoloso. Ormai da aprile a novembre chiudiamo il rubinetto del gas del bruciatore e ci dimentichiamo da dove arrivi l’acqua calda: ce n’è sempre a volontà, non costa ed è a emissioni zero (salvo la quota di ammortamento dell’energia grigia di costruzione, valutata in circa un paio d’anni). Non era ancora attivo lo sgravio fiscale del 55% sulla riqualificazione energetica, ma ottenni un piccolo contributo da un programma di promozione delle energie rinnovabili della Provincia di Torino. Quando d’estate ho ospiti a casa devo ricordare loro di stare attenti alle ustioni: dai miei rubinetti sgorga acqua calda veramente calda!

Grazie ai fecondi dibattiti su Aspo, quando Leonardo Libero annuncia nel 2005 l’apertura anche in Italia del conto energia, mi precipito a progettare un impianto fotovoltaico sulla restante area di tetto esposto a 15°SE, poco più di una quindicina di m2. Ci staranno così 1,86 kWp di policristallino che verranno collegati in scambio sul posto il 3 maggio 2006. I costi di investimento sono attorno ai 7000 euro/kWp. A oltre 4 anni dal primo parallelo, l’impianto presenta una produzione media annua di 2233 kWh, circa 6,1 kWh al giorno, pari a 1200 kWh/kWp. Una produzione perfino un po’ superiore ai miei consumi domestici annui che sono attorno ai 1900 kWh. Anche qui dopo circa 1-2 anni i costi energetici di fabbricazione sono ammortati, quindi ormai l’energia prodotta è a emissioni zero, e la mancata emissione annuale di CO2 è di circa 1,1 tonnellate. Una parte rilevante del consumo energetico di casa – elettricità e acqua calda sanitaria - è dunque abbattuto.

Nel 2007 è la volta dell’impianto fotovoltaico in ufficio, 5 kWp di silicio amorfo, che continua a mantenere ottime prestazioni a ormai 3 anni dall’installazione, con una produzione media annua di 5781 kWh, pari a 15,8 kWh/giorno e 1156 kWh/anno per kWp, una buona prestazione considerando che la zona – sul versante destro della Val di Susa – è soggetta a ombre orografiche invernali. Anche in questo caso la produzione compensa ampiamente i consumi interni degli uffici della Società Meteorologica Italiana e permette di evitare l’emissione annua di circa 3,35 t di CO2. Decidiamo, ad uso didattico e dimostrativo, di mettere in rete i dati di produzione in tempo reale dell’impianto, qui, sempre un bel passatempo dare un’occhiata:
http://www.nimbus.it/fotovoltaico/FotovoltaicoCastelloBorello.asp

Infine, nel novembre 2009 mi lancio in un nuovo impianto, su un tetto adiacente alla mia abitazione: 3,8 kWp di moduli Kyocera KD210GH-2PU (www.kyocerasolar.eu/) in silicio policristallino, i costi intanto sono scesi a poco più di 4500 euro kWp. Sono destinati ad alimentare soprattutto il riscaldamento/raffrescamento a pompa di calore aria/acqua, integrato da altri tre collettori termici piani a svuotamento e bollitore da 500 litri. Ora il tetto è una vera centrale termoelettrica, ferma e silenziosa, non si muove, non mangia, non beve, non fuma. Che piacere dormirci sotto!

Bilancio solare? Interamente positivo.
Tecnologicamente parlando nessun problema, né con i pannelli termici né con i fotovoltaici. Temo solo le grandinate epocali, per adesso un bombardamento di chicchi del diametro di circa una noce non ha fatto danni.
Gestionalmente parlando, il tetto solare fa cambiare qualche abitudine se si vuole ottimizzare l’uso dell’energia autoprodotta: l’attingimento dell’acqua sanitaria si programma, soprattutto d’inverno, nelle ore di massima disponibilità dell’acqua calda, quindi nel pomeriggio, in modo da evitare l’accensione del bruciatore a gas; tutti gli usi elettrici programmabili (lavatrice, lavastoviglie, aspirapolvere, ferro da stiro, forno) vengono invece preferibilmente concentrati nelle ore di sole, in modo da assorbire dalla rete la minor quantità possibile di energia, privilegiando il consumo di quella proveniente dal proprio impianto. Qualora le previsioni meteo annuncino giornate nuvolose, l’utenza viene se possibile anticipata o ritardata. Ma sia chiaro, nessun sacrificio! Non mi sono mai privato di una doccia o di un bucato quando non era possibile ottimizzare l’uso. Diventa semmai una piacevole abitudine che richiede l’accensione del cervello prima di azionare l’interruttore elettrico…
Ed economicamente? Sono certo che sia un successo, ma non chiedetemelo ora. So che è solo questione di tempo, tra conto energia del FV e detrazione 55% del termico, al massimo tra dieci anni sarò rientrato della spesa e il resto sarà guadagno. Ma c’è qualcosa di più che passare le proprie giornate dal ragioniere a fare i calcoli con il bilancino come spesso mi capita di sentire: “Rientro in 8 o in nove anni? Certo sono un po’ cari. Ma se poi inventano qualcosa di meglio e i prezzi scenderanno? E l’investimento, sarà garantito? Ma…, se…, però…, devo ancora pensarci, non sono convinto.”
Tutti conticini, dubbi e remore che stranamente non si sentono mai quando è in gioco l’acquisto di una nuova auto, magari un energivoro Suv, o un nuovo televisore, una nuova lavatrice o un nuovo forno in cucina. Queste cose tra l’altro non sono investimenti. Si spende e basta, non rientra nulla. L’unica soddisfazione è intrinseca al loro utilizzo.

Ecco, la soddisfazione intrinseca, è questo secondo me l’approccio psicologico che deve ancora emergere anche e soprattutto con le energie rinnovabili autoprodotte. I pannelli solari convengono? Sì certo, convengono e fanno perfino guadagnare a lungo termine, e ciò mi basta. Ma quello che conta fin da subito è l’intima soddisfazione di far la doccia con l’acqua calda del sole, e di usare energia elettrica prodotta sul proprio tetto. Quando il tiepido fiotto mi scorre addosso penso alla bellezza di partecipare a un grande disegno umano e universale: grazie all’intelligenza collettiva e alla scienza ho intercettato un po’ di energia del sole altrimenti dispersa, non ho bruciato combustibili fossili, non ho prodotto gas climalteranti, non ho pagato bollette rendendomi schiavo della borsa energetica e degli equilibri geopolitici. Un senso di rettitudine, di giustizia, di autonomia, di indipendenza, mi pervade positivamente, e visto che molto probabilmente ci avviamo verso tempi di minor abbondanza, tutto ciò avrà anche un significativo valore strategico per il mantenimento di livelli dignitosi di benessere. Che prezzo ha tutto ciò? Rientra forse nella tabella del Valore attuale netto?

Non tornerei mai indietro a un antiquato e inefficiente boiler elettrico, tantomeno a gas.
Quando mi capita, fuori casa, la doccia è più triste e mesta.
Tra chi invece ha un pannello solare sul tetto, si stringe subito una sorta di comunanza di vedute, di complicità costruttiva, talora di amicizia. E qui in val Susa, dove il sole alpino non manca, il gruppo di amici solari è in aumento!

sabato, settembre 11, 2010

Shuttle: i costi irrecuperabili dei grandi programmi


Lo Space Shuttle. Un programma che è durato quaranta anni con costi spaventosi, risultati molto modesti e che ha causato la morte di 14 astronauti. Rivisto oggi, semra incredibile che si siano spesi tanti soldi per un simile accrocchio. Un'illustrazione di come si possa continuare per decenni a seguire un'idea sbagliata - un effetto perverso di quelli che si chiamano i "costi irrecuperabili"

Ultime battute per il programma Shuttle. La NASA ha annunciato che ci saranno ancora due lanci, forse tre, e gli ottimisti sono contenti perché lo shuttle durerà fino al 2011. Magra consolazione. Per quelli di noi che hanno vissuto lo sbarco sulla Luna nel 1969, è veramente triste vedere tante speranze e tante ambizioni finire così - in silenzio.

Finisce un programma che era iniziato 30 anni fa, ma che era già stato concepito negli anni '70 e che, rivisto oggi, pare sbagliato fin dall'inizio. Lo shuttle non è mai stato quello che avrebbe dovuto essere: un "traghetto" per lo spazio, come il suo nome ("shuttle") voleva significare. E' stato un veicolo costoso, complesso, difficile da gestire, e limitato nei suoi scopi . Lo testimonia il fatto che non ha lasciato eredi: non esiste e non esisterà mai uno space shuttle 2. Inoltre con due shuttle distrutti in azione, su cinque che hanno volato nello spazio, è stato anche un fallimento in termini di sicurezza. Insomma un costoso disastro che ha succhiato grandi quantità di risorse che avrebbero potuto essere usate meglio.

In parte, il fallimento dello Shuttle è dovuto alla tendenza umana a non voler pensare che le cose nuove non devono necessariamente somigliare alle vecchie. E' stato ideato e progettato da persone che pensavano che il paradigma di "aereo con ali e pilota" - che aveva funzionato egregiamente per voli nell'atmosfera - poteva applicarsi altrettanto bene nello spazio. Non era così: i veicoli del programma Apollo, che avevano funzionato così bene, non somigliavano affatto a degli aerei. Invece, appiccicare in quel modo un aereo a tre cilindri esplosivi non era una buona idea e lo si è visto. Bisognava continuare con le idee innovative, non tornare indietro a vecchi paradigmi.

In parte, il programma spaziale americano ha seguito il destino del petrolio degli Stati Uniti. Forse non è un caso che il picco del petrolio negli USA e il massimo splendore del programma spaziale USA siano andati di pari passo. Con il declino del petrolio, c'è stato in parallelo quello del programma spaziale.

Comunque si vogliano vedere le cose, il programma Shuttle ci insegna che è perfettamente possibile impegnarsi in programmi decennali di portata gigantesca e che poi si rivelano uno spreco totale. Credo che ci siano pochi esempi più evidenti del concetto di "sunk cost", costo irrecuperabile, o costo affondato. Un effetto perverso del modo di pensare umano che fa si che il fatto di averci investito sopra ci si intestardisca a continuare in un progetto, anche dopo essersi resi conto che è del tutto inutile.

L'esempio che viene in mente è quello delle centrali nucleari in italia: anche quello un programma almeno quarantennale che si potrebbe rivelare totalmente sbagliato ma che, per via dei costi irrecuperabili, potremmo trovarci a voler continuare ben dopo essersi resi conto della sua inutilità. E fosse solo quello!

giovedì, settembre 09, 2010

Malthus neonazista e i ghiacciai da corsa




In un commento su "comedonchisciotte" leggiamo l'opinione di "Pellegrino" a proposito di ASPO, ovvero che:


l’ASPO si rifà alle tesi ultra ambientaliste del Club di Roma (associazione ambientalista famosa negli anni ’70 e ’80) e al libro che questa fece pubblicare nel 1973, all’indomani dello shock petrolifero, intitolato “I limiti dello sviluppo” ove, oltre a prevedere una glaciazione intorno ai primi anni 2000, si affermava che oro, argento e rame si sarebbero esauriti entro la metà degli anni ’80 mentre le scorte di petrolio non sarebbero andate oltre il 1999. Uno de loro riferimenti base è la disumana dottrina neonazista di Thomas Malthus.


Questo mi è parso il caso di passarvelo, se non altro per farci una risata sopra. Definire Malthus "neonazista" è notevole, considerando che è morto nel 1834, ma forse non così notevole come pensare che negli anni '70 qualcuno potesse prevedere una glaciazione per "intorno ai primi anni 2000."

Quando parlo di questo tipo di cose, molta gente mi dice "ma perché perdi tempo con queste sciocchezze?" A mio parere, non sono affatto sciocchezze; sono un sintomo di qualcosa di molto complesso e preoccupante. E anche in crescita.

Ho già discusso un po' di complottismo su un post che ho fatto su Gianluca Freda (fra le altre cose, il commento di cui sopra, viene dalla discussione che si è generata in proposito). La questione è complessa e articolata e lo stesso Freda lo ha detto con grande chiarezza quando ha parlato di "rottura dell'auctoritas condivisa." Detto in un altro modo, molta della discussione in questo momento vede l'intervento di persone che non rispettano le regole condivise.

Le regole del dibattito che ha a che fare con argomenti scientifici vogliono che prima di intervenire, uno si informi perlomeno vagamente di quello di cui sta parlando, che accetti i dati disponibili se non ci sono elementi probanti per negarne la validità, che non trasformi il dibattito scientifico in un'occasione per insultare l'avversario.

Nella pratica, ti trovi come se cercassi di giocare a scacchi con qualcuno che, invece, applica le regole del baseball e prende la scacchiera a mazzate. I risultati sono spesso una crescita dell'aggressività a livelli inaspettati, fino ad arrivare alle minacce personali che io stesso ho ricevuto. Il cosiddetto "Climategate" è uno degli esempi più recenti dell'imbarbarimento del dibattito ma, nel suo piccolo, anche tacciare i membri di ASPO di neonazisti segue la stessa logica.

Per tutto quello che succede, c'è una ragione. Ci deve essere una ragione anche per la rottura dell'auctoritas e il degrado del dibattito. Non è difficile trovarla nello sgomento generalizzato in cui ci troviamo. E' comprensibile che molta gente trovi inaccettabile che gli scienziati vengano a dire che certe cose che abbiamo fatto fino ad ora con il loro beneplacito sono proprio quelle che ci stanno portando alla rovina: per esempio, estrarre il petrolio e bruciarlo. La reazione è la sfiducia totale, il rivoltarsi contro qualsiasi cosa che sia anche vagamente connesso con la visione condivisa.

Questo include anche la scienza di per se; come pure gli scienziati. Succede allora che i climatologi e i "picchisti", visti come sovversivi in certi ambienti, si trovino a essere invece visti come servi del potere in una certa visione che rozzamente divide tutto in buoni e cattivi, bene e male, e classifica come "male" tutto quanto si possa definire anche vagamente come complotto dei poteri forti.

La situazione si fa sempre più difficile con il tempo che passa e con l'inazione che continua. La sola cosa che ci resta, come ho detto altrove, è il metodo scientifico; che non è un'ideologia ma una tecnologia. Se riusciamo a mantenere il sangue freddo e ragionare su basi scientifiche, possiamo cavarcela. Altrimenti, il complottismo ci sommergerà.

martedì, settembre 07, 2010

L'entusiasmante caduta delle emissioni di gas serra. Continua

In un articolo precedente avevo evidenziato con soddisfazione una vistosa tendenza al ribasso delle emissioni di gas serra in Europa e in Italia nel periodo 2004 - 2007. La soddisfazione quasi si trasforma in gaudio analizzando gli ultimi dati disponibili, relativi all’anno 2008, che evidenziano un ulteriore sensibile declino delle emissioni. Come possiamo facilmente osservare nel mio primo grafico, in Italia la caduta delle emissioni continua inesorabile, con una riduzione di altri 11 milioni di tonnellate (dal 2004 al 2008 siamo passati da 574,116 Mton. a 541,485 Mton.). Nel secondo grafico relativo all'evoluzione delle emissioni per abitante, la tendenza alla riduzione è ancora più accentuata. Come evidenziato anche in un altro articolo, questa diminuzione è dovuta solo in minima parte a politiche di risparmio energetico ma, prevalentemente, da dinamiche economiche che si sono accentuate nel 2008 con l’esplodere della crisi economica globale. Considerando che nel 2009 si sono verificati gli effetti più negativi sul sistema economico in conseguenza della crisi e che anche nell’anno in corso i segnali di ripresa economica sono molto flebili e controbilanciati da frequenti fenomeni di instabilità economica sul piano internazionale, non è azzardato prevedere che il nostro paese riesca nel 2012 ad avvicinarsi al raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto, soprattutto grazie alla decrescita economica.
Anche nell’Unione Europea, in particolare nell’Europa dei 15, si rileva un’analoga tendenza, ancora più accentuata perché, a differenza dell’Italia, sono state adottate negli ultimi anni efficaci politiche attive volte a ridurre le emissioni di gas serra. Nel grafico allegato all’ultimo Rapporto della Commissione UE, possiamo notare che la rincorsa all’obiettivo di Kyoto si è già sostanzialmente conclusa con quattro anni di anticipo rispetto alla data prevista.
Pur non essendo l’oracolo di Delfi, mi avventuro concludendo in una previsione sugli scenari futuri, ipotizzando che gli effetti negativi sulle emissioni legati alla stentata ripresa economica in corso possano essere mitigati del tutto dai residui margini di miglioramento dell’efficienza energetica nei processi industriali e nei trasporti. Dopo il 2012 entreremo decisamente nel territorio irto di insidie del dopo picco petrolifero, ma tra i rischi sicuramente non ci sarà quello di una ripresa delle emissioni di CO2.

sabato, settembre 04, 2010

Hubbert in tutte le salse


Dal blog "abstrusegoose" - commenti rivisti da Ugo Bardi


A. Hubbert
B. Hubbert Italia
C. Hubbert su scala geologica
D. Hubbert per l'olio di balena
E. Hubbert più varie guerre del golfo
F. Hubbert nel futuro remoto
G. Hubbert con importazioni dall'estero



I commenti originali erano


A. normale
B. Contratto
C. Delta di Dirac
D. Non voglio parlarne
E. Skew multimodale positivo
F. Ero ubriaco
G. Il rimorso dell'acquirente