lunedì, febbraio 28, 2011

Caro Nucleare

Due gustose notizie riguardanti l'energia nucleare: la prima, leggibile qui, riguarda la decisione del Giurì per l'autodisciplina pubblicitaria, che ha dichiarato ingannevole lo spot del Forum Nucleare Italiano, bloccandone entro sette giorni la diffusione. Era evidente che i giocatori di scacchi erano due, ma il vincitore uno solo, il ricchissimo gruppo d'interesse che finanza l'iniziativa. E' anche una piccola soddisfazione personale perchè, come ho raccontato qualche giorno fa, avevano censurato il mio intervento sulla reale consistenza delle risorse di uranio.

La seconda notizia, molto più seria, riguarda il sostanziale fallimento del progetto EPR, con cui alcuni paesi, compreso l'Italia, vorrebbero rilanciare l'uso dell'energia nucleare. Le uniche due centrali in avanzato stato di costruzione, in Finlandia e Francia, non solo stanno accumulando notevoli ritardi rispetto ai tempi previsti per l'ultimazione, ma soprattutto stanno vedendo i costi preventivati crescere a dismisura. Attualmente, sono più del doppio del previsto e alla fine dei lavori potrebbero persino quadruplicare. E' quanto leggiamo in questo interessantissimo e dettagliato rapporto del Prof. Steve Thomas dell'Universita di Greenwich - Londra, tradotto in italiano sul sito di Aspoitalia da Domenico Coiante e Claudio Della Volpe.

E' una ulteriore conferma di quanto andiamo dicendo da tempo (ad esempio qui e qui), cioè che il programma nucleare italiano potrebbe essere realizzato solo con il contributo dello Stato o mettendo direttamente le mani nelle tasche degli italiani, attraverso un adeguamento delle tariffe elettriche.

venerdì, febbraio 25, 2011

I numeri della dipendenza energetica italiana dall'estero


Ad integrazione del precedente, interessante articolo di Massimo Nicolazzi, vorrei aggiungere alcune considerazioni numeriche sulla vulnerabilità energetica italiana che forse possono aiutare a meglio comprendere anche il rapporto con l’attuale situazione di tensione nel nord dell’Africa.

Innanzitutto, ricordiamo che i consumi lordi di energia primaria del nostro paese nel 2009 dipendevano per il 40,64% dal petrolio, per il 35,43% dal gas naturale, totale più del 76%. Se si considera anche il carbone, la nostra dipendenza dai combustibili fossili si avvicina all’85%.

I trasporti dipendono dal petrolio per il 94% e assorbono il 64,1% dei consumi finali di petrolio.

Nella produzione elettrica italiana, che rappresenta circa il 35% del Consumo Interno Lordo di energia primaria, il petrolio ormai incide per meno del 5%, mentre il gas naturale per circa il 45%.

Le vendite finali di gas naturale riguardano per il 31,5% il settore della generazione elettrica, per il 28,6% l’industria, il 31,2% il settore domestico, l’8,7% il commercio e i servizi.

Nel primo grafico in alto, ho messo in ordine i paesi esportatori di petrolio all’Italia e le rispettive percentuali. Nel secondo grafico ho fatto la stessa operazione relativamente al gas naturale.

Infine, concludo con una istruttiva curiosità nel terzo grafico, che rappresenta la produzione nazionale di gas naturale (attualmente circa il 10% dei consumi totali). Anche noi abbiamo avuto il nostro picco, nel 1994.

Come al solito, tutti i grafici si possono ingrandire cliccandoci sopra.

mercoledì, febbraio 23, 2011

L’equilibrio dei bisogni

Scritto da Massimo Nicolazzi
(da "Limesonline")

Sono anni che ve la meno con l’equilibrio dei bisogni. Tranquilli che loro hanno bisogno di soldi per le pensioni quanto noi di gas e petrolio per scaldarci e muoverci. L’”arma del petrolio” e l’incubo della sicurezza energetica sono invenzione, e quasi complotto, di diplomazie e giornali. L’organo (ne) crea la funzione.

A occhio, ve la dovrei rimenare uguale per il caso Libia. Chiude il Green Stream, e si blocca un flusso di oltre 20 milioni di mc di gas/giorno.

Problemi?

In realta’ il volume che viene meno rappresenta un pezzo dell’eccesso di offerta che si e’ abbattuto sul mercato per la meravigliosa concomitanza di una crisi che ha contratto i consumi italiani di gas naturale e del varo di nuove infrastrutture (rigassificatore di Rovigo, aumento della capacita’ dei gasdotti per l’importazione da Algeria, Russia e Libia) che ne hanno in simultanea aumentato la disponibilita’. Era diventato un classico mercato della domanda E adesso spariscono di colpo oltre 20 milioni di gas importato in regime di take or pay. Tra operatori si brinda.

Dice vabbe’, ma quando poi ci riaumentano i consumi? Con lo spettacolo che abbiamo dato con il leader che c’e’ (ancora), c’e’ il rischio che chi viene dopo ci cancelli dalla lista dei clienti. E secondo voi chi viene dopo che fa? Gira il tubo? I gasdotti sono un’infrastruttura rigida. Con il Green Stream l’alternativa e’ tra portare gas in Italia o tenerlo vuoto (appunto). E ti pare che quello che viene dopo, chiunque sia, lo tiene vuoto? A piena capacita’ e a valori di oggi quel che passa in un anno per il tubo vale commercialmente un 2/3 miliardi di Euro. Richiamate quando trovate quello che ne fa a meno.

Si’ ma col petrolio e’ diverso. L’infrastruttura e’ flessibile, che basta che ci sia acqua di sotto e la nave te lo sposta dove vuoi. E grosso modo un quarto del petrolio nostro arriva da li’. Che si fa se invece che da noi lo mandano in Turchia?

Semplice. Lo compriamo dai turchi. Nel 1973 i ragazzi dell’OPEC embargarono americani e olandesi. E loro si misero a comprarlo da quelli non embargati. “The world market, like the world ocean, is one great pool”(Adelman). Se il mondo produce meno, si contrae l’offerta; e puo’ essere un guaio. Se si continua a produrre, che ognuno se lo venda poi a chi vuole, che la vita non cambia. Alla fine (magari con qualche inutile turbolenza di percorso ed un qualche aggravio di costi) finira’ sempre per (ri)distribuirsi tra chi ne ha domanda. Per la tua sicurezza energetica rivolgiti al tuo PIL, e non alla tua diplomazia.

Dice si’, ma non dimentichiamoci che un pezzo del nostro sistema di raffinazione col libico da’ il meglio di se’. Che non esiste “il” greggio. Esistono infinita’ di “greggi” diversi per gradi API, acidita’, contenuto paraffinico e quant’altro. Ogni raffineria (semplifico) e’ “tarata” su certe specifiche. E alcune nostre raffinerie con le caratteristiche del greggio libico (ed in particolare con la produzione di Bu Attifel) ci vanno a nozze. E allora? Questo non significa che se non arriva il libico si chiude; ma solo che toccherebbe nel caso cercare sul mercato greggi con caratteristiche che ci vadano vicino. Qualche difficolta’e qualche tensione magari sulla raffinazione; pero’ se vi piacciono gli incubi rivolgetevi altrove.

Insomma se anche la nuova Libia ci si rivoltasse contro (ma perche’ dovrebbe?) ce la riusciremmo a sfangare. Il danno italico non sarebbe ipoteticamente la crisi dei nostri approvvigionamenti; ma giusto quella dell’Eni, che non puo’ lasciare sul campo magari con un sorriso il proprio patrimonio libico. Ma anche questo, ipotizzando che la nuova Libia (che non c’e’) gradisca qualche investimento estero, pare scenario piu’ che remoto.

Sin qui la rimenata. Pero’ stavolta non mi riesce di sbadigliare per la preoccupazione. Stavolta c’e’ (anche) altro. Tutto il Nord Africa in ebollizione. E un pezzo di Arabia Felix a seguire.

Negli anni dei regimi che adesso vanno qua e la’ cadendo gli e’ cambiata la vita; e anche la sua qualita’. Ho cominciato a viaggiare per petrolio che dal Cairo si “andava” alla piramidi. E adesso le piramidi sono “dentro” il Cairo. Algeri si e’ estesa ovunque. Le altre hanno seguito il modello.

Crescita demografica. E ancor piu’ crescita urbana. E fine o quasi dell’agricoltura. E nessun inizio di altro lavoro. E non precisamente grandi modelli di attenzione sociale; che per qualcuno ed anzi tanti la madrassa diventa l’unico luogo di assistenza e solidarieta’, oltre che di istruzione.

Al satrapo e’ riuscito per decenni di tenere il coperchio sulla pentola, magari se ne aveva usando della rendita petrolifera come pannicello caldo servito in guisa di welfare. A noi, per decenni, e’ riuscito e benissimo di nemmanco vedere la pentola, che sarebbe bastato usare gli occhi;e adesso vaghiamo tra sorpresa e preoccupazione (per noi stessi).

L’equilibrio dei bisogni col satrapo ha funzionato benissimo. Il satrapo ha qualcosa da perdere. Puo’ usare il petrolio per regalare il pane; che senza il suo potere e la sua stessa persona fisica vanno a rischio. La rendita petrolifera compra consenso o quantomeno sopisce il tumulto; e (di regola) contribuisceanche e rilevantemente alle fortune del satrapo e del suo clan. Figurati se mai smette di vendere.

Chi verra’ dopo non sappiamo. Ma sappiamo che dovra’ dare rappresentanza politica alla disperazione araba nata dalle e nelle conurbazioni. Potrebbe, almeno transitoriamente, sentire di non avere niente da perdere. Che l’orgoglio e l’identita’ della nazione sono piu’ importanti delle pensioni, che tanto e comunque la rendita da sola non ce la fa a pagarle.

E’ con questa disperazione, insieme colta e lucida, che ci tocchera’ di fare i conti. E, sperabilmente, di cooperare. Possibilmente senza spocchia e buttando nel cestino lo scontro di civilta’. Siamo gia’ stati abbastanza imbecilli da scavare fossetti e fossati per prevenire l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. E adesso, per ironia della storia, siamo quasi a pregare un esito “turco” del sommovimento del Nord Africa; che (molto) meglio l’ottomano dell’imam.

Attenti, adesso, a tendere l’orecchio a quello che si muove. E a non costruire valli in Mediterraneo. Se ci illudiamo di riuscire a chiudere la disperazione nel recinto del proprio Paese, alimentiamo il disequilibrio. Dei bisogni.

lunedì, febbraio 21, 2011

Gli scenari dell'Agenzia Internazionale per l'Energia

Di recente è stato presentato l’ultimo World Energy Outlook (WEO 2010), il documento elaborato annualmente dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), contenente le previsioni energetiche dell’autorevole organismo internazionale. A questo indirizzo è possibile consultare una sintesi del documento.

Il WEO 2010 contiene tre scenari energetici proiettati al 2035: lo Scenario Politiche Attuali, in cui si assume l’assenza di modifiche rispetto alle politiche in vigore nel 2010, lo Scenario Nuove Politiche, che considera un’implementazione moderata degli impegni assunti a vario titolo dai diversi paesi per il contenimento delle emissioni di gas serra, lo Scenario 450, coerente con l’obiettivo non vincolante assunto al vertice di Copenaghen di limitare l’innalzamento della temperatura atmosferica mondiale entro i due gradi Celsius grazie al contenimento della concentrazione di gas serra a circa 450 parti per milione.

Nello Scenario Nuove Politiche, la domanda mondiale di energia primaria aumenta del 36% al 2035, da 12300 Mtep a 16700 Mtep. Ciò corrisponde a un tasso di crescita medio annuo dell’1,2%, mentre nello Scenario Politiche attuali tale tasso è dell’1,4% e nello Scenario 450 scende allo 0,7%.

Analizziamo alcuni elementi del rapporto che ritengo più significativi.
Innanzitutto, guardiamo nel primo grafico allegato la previsione della produzione petrolifera nello Scenario Nuove Politiche (quello considerato più probabile). Scopriamo diverse cose interessanti: il petrolio convenzionale prodotto dai giacimenti esistenti ha piccato nel 2008 ed è in declino irreversibile, quello ancora sviluppabile dai giacimenti esistenti o in nuovi giacimenti da trovare consentirebbe di mantenere un plateau di picco fino al 2035. La domanda mondiale in espansione, sarebbe assicurata solo grazie alla crescita produttiva di gas naturale liquefatto e di petrolio non convenzionale (sabbie bituminose, greggio extra pesante, ecc.).

Cosa dire? Finalmente AIE ammette apertamente l’esistenza e l’ineluttabilità del picco petrolifero, dando indirettamente ragione ad ASPO, fa assegnamento sulla scoperta molto improbabile di grandi giacimenti di nuovo petrolio nei prossimi anni e sull’incremento produttivo del non convenzionale, (per loro stessa ammissione ostacolato dai costi di estrazione molto elevati), per fare fronte alla sete energetica crescente del pianeta.

Il paragrafo condivisibile del WEO 2010 è però quello intitolato: “Peak oil, scelta o destino?, in cui si prospetta una gestione attiva del picco produttivo attraverso politiche di riduzione delle emissioni di gas serra contenute nello Scenario 450 incentrate sullo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica (vedi secondo grafico allegato). In questo modo, si potrebbe pianificare una riduzione controllata della produzione petrolifera mondiale, evitando gli shock economici e sociali inevitabilmente connessi allo Scenario Politiche Attuali (Business AS Usual).

Ma siccome la maggior parte degli usi petroliferi riguarda il settore dei trasporti, lo Scenario 450 individua nella parziale riconversione del parco autoveicolare mondiale al motore elettrico, totale e ibrido plug-in, il principale strumento di attuazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni (obiettivo sintetizzato nell’ultimo grafico allegato).
Beati loro che ci credono. Come ho avuto modo di evidenziare più volte su questo blog, anche se il mercato mondiale dell’auto si orientasse decisamente verso i modelli elettrici, ed è tutto da dimostrare, il modello di mobilità individuale di massa a cui siamo abituati è incompatibile con l’uso razionale delle risorse e con le esigenze di una società ecologicamente sostenibile fondata su un’economia stazionaria.

venerdì, febbraio 18, 2011

Leggera ripresa dei consumi elettrici nel 2010

I dati provvisori Terna per il 2010 registrano una lieve ripresa della richiesta di energia elettrica (consumi finali + perdite di rete) italiana rispetto al 2009, anno che aveva registrato un crollo storico dei consumi, descritto in questo mio precedente articolo. Questa crescita relativa ha consentito di recuperare meno di un terzo del calo registrato nel 2009 ed è sicuramente connessa alla timida ripresa economica che ha caratterizzato il nostro paese nel 2010, perchè, come è noto, i consumi di energia elettrica sono molto sensibili alle dinamiche economiche. Il grafico allegato ci permette di visualizzare efficacemente l'andamento storico di questo indicatore. Per dovere di cronaca, bisogna segnalare che nel mese di gennaio 2011, il valore della richiesta di energia elettrica è diminuito dello 0,6% rispetto allo stesso mese del 2010, confermando quindi l'instabilità e la debolezza della ripresa economica italiana. Le cause sono state più volte individuate nella spietata competizione internazionale dei paesi emergenti, nella carenza di innovazione e ricerca delle imprese italiane, nell'inefficienza della pubblica amministrazione ecc. Nessuna analisi però, considera il fattore energia, finora assunto come variabile indipendente del sistema economico. I prezzi del petrolio hanno influenzato la recente crisi economica e, come è noto ai lettori di questo blog, condizioneranno pesantemente il futuro andamento dell'economia, essendo strettamente correlati alla dinamica della domanda e dell'offerta in una situazione di picco della risorsa.
Infine segnalo, sempre dai dati Terna del 2010, l'ottimo andamento delle rinnovabili. L'eolico ha raggiunto una produzione di 8374 GWh e il fotovoltaico 1600 GWh, compensando ampiamente il leggero calo della produzione idroelettrica nazionale.

mercoledì, febbraio 16, 2011

Un fantasma si aggira per l’Italia, il filobus a guida vincolata

Da qualche anno, alcune città italiane hanno realizzato (Padova nella foto, Venezia) o progettano di realizzare, linee di trasporto pubblico che utilizzano un nuovo mezzo di trasporto, denominato impropriamente “tram su gomma”. Come tutti gli specialisti sanno, il vero tram non utilizza i pneumatici come l’autobus, o il filobus, ma possiede ruote in acciaio che si muovono su due binari anch’essi in acciaio, grazie a un'alimentazione elettrica da rete aerea. Questa differenza non è affatto nominale, ma sostanziale e strutturale, perché determina sensibili differenze di prestazioni in termini energetici, economici e gestionali a favore del tram (i motivi li ho scritti qui , qui e qui).

Il cosiddetto “tram su gomma” è invece , più propriamente, un “filobus a guida vincolata” (FGV), perché come il filobus, ha delle ruote in gomma e si alimenta elettricamente da una rete aerea, ma si differenzia dal filobus (che si muove liberamente sulla strada) per un unico binario stradale che non serve a far muovere il mezzo, ma ha solo una funzione di stabilizzazione, al fine di ridurre l’ingombro e aumentare la lunghezza dei veicoli.
Si tratta di una tecnologia sperimentale, con rarissime realizzazioni in Europa e nel Mondo, che stanno evidenziando molti problemi tecnici e gestionali. Ma alcune città italiane, con l’entusiasmo tipico dei neofiti, si stanno buttando superficialmente in un’avventura dagli esiti incerti, allettati dalla promessa illusoria di costi di realizzazione più bassi rispetto ai tram tradizionali.

In questa interessante rassegna internazionale di Andrea Spinosa sul sito di Cityrailways riguardante i Sistemi di Trasporto su Gomma a via Guidata è possibile rendersi conto dello stato dell’arte di questa nuova tecnologia. In Francia che, voglio ricordare, ha già realizzato 37 sistemi di tram moderno a pianale ribassato e ne ha programmato per i prossimi anni altri 29, abbiamo solo 3 (tre) linee di FGV. In tutte e tre i costi di costruzione sono notevolmente cresciuti rispetto a quelli preventivati. I progetti FGV di Caen e Nancy, dopo innumerevoli peripezie e problemi di vario tipo, sono stati in parte abbandonati o soggetti a ripensamenti. La linea di Clermont Ferrant attualmente in esercizio (nella versione Translhor), ha visto i costi lievitare (21 milioni di euro a chilometro) fino a superare quelli di un tram convenzionale (15-20 milioni di euro a chilometro), per poter risolvere o attenuare problemi strutturali quali i rischi di deragliamento, l’usura continua della pavimentazione stradale e dei pneumatici, l’incertezza nell’alimentazione, ecc.


Le città di Parigi e Le Mans anni fa avevano inizialmente preso in considerazione questa tecnologia, ma dopo un’attenta analisi l’avevano abbandonata a favore del tram convenzionale per i seguenti motivi che, a mio parere, rimangono i principali per escludere anche oggi questa scelta:

• Il FGV è sembrato un veicolo rumoroso e meno confortevole rispetto al tram;
• la sede del FGV occupa 7 metri mentre il tram può occuparne 6;
• con il tram si può risparmiare sui costi mettendo a gara la costruzione mentre i FGV sono di fatto monopolio dei rispettivi costruttori;
• il tram su ferro è un sistema ampiamente sperimentato, altamente performante e affidabile;
• il tram su ferro sta evolvendo dappertutto verso l’ancora più efficiente sistema tram-treno, impossibile per i FGV (su gomma).

A questi punti, bisognerebbe poi aggiungere la maggiore capienza dei tram (anche in considerazione della modularità ottenibile con l'aggiunta di altre carrozze nelle ore di punta) e il fatto che a differenza di quelle tranviarie, il tipo di rotaia del FGV impedisce di fatto la circolazione contemporanea delle biciclette e deve essere posto un divieto di transito per le biciclette lungo la linea del FGV (è quello che sta succedendo a Padova). Inoltre, sono in corso avanzato di sperimentazione in tutto il mondo nuove innovazioni tecnologiche sui tram moderni che consentono di eliminare l’alimentazione energetica dalla rete aerea, quindi di ridurne ulteriormente i costi e migliorare le prestazioni.
Se si esclude un paio di FGV che sono stati introdotti in Cina, nessun altro paese al mondo (compresi paesi leader nel trasporto pubblico come Germania, Olanda, Austria, Svizzera) si è sognato di prendere in considerazione questa tecnologia.

lunedì, febbraio 14, 2011

La censura del Forum Nucleare

Mi avevano avvisato di non fidarmi dell'iniziativa che ha dato vita al sito "Forum Nucleare", avviata con grande dispiegamento di mezzi e di annunci per, a detta degli organizzatori, mettere a confronto posizioni diverse in merito all'ipotesi di costruzione di nuove centrali nucleari in Italia.
Ma io parto sempre da una presunzione di buona fede nei miei interlocutori, così, leggendo sul sito in questione un commento molto poco condivisibile di Chicco Testa sull'abbondanza delle risorse uranifere mondiali, ho inviato come rappresentante del Comitato Scientifico Aspoitalia, un parere contrario.

Ebbene, i nostri amici nuclearisti censurano eccome, quando le argomentazioni contro il nucleare sono solide e non sanno cosa replicare. Così non hanno pubblicato il mio commento e ho avuto un'ulteriore conferma della natura di parte dell'iniziativa.
Comunque, il nostro blog è realmente aperto alla discussione anche sulla tematica del nucleare, quindi pubblichiamo di seguito sia le argomentazioni di Chicco Testa che le mie, così potrete metterle a confronto.

CHICCO TESTA:

Diversi commenti contrari al nucleare sono motivati dalla scarsità di uranio, dalle sue eventuali oscillazioni di prezzo e dalla dipendenza dell’Italia, priva di tali giacimenti minerali, da produttori esteri. La perplessità è legittima ma infondata per diverse ragioni.

1. Il costo dell’uranio incide appena per circa il 3% sul prezzo finale dell’energia elettrica. Quindi le oscillazioni di prezzo dell’uranio hanno un’influenza marginale sul prezzo del chilowattora (a differenza di quanto accade con il gas).

2. I giacimenti economicamente interessanti di uranio sono piuttosto comuni, equamente distribuiti nel globo. L’offerta è frammentata tra numerosi produttori la maggior parte dei quali si trova in paesi con basso rischio geopolitico. I principali produttori sono: Australia (che detiene circa un terzo delle riserve mondiali), Kazakistan, Canada e Russia (che si suddividono quasi equamente l altro terzo). Il resto è distribuito tra Sudafrica, Namibia, Brasile, Niger, Usa,Cina, Giordania e Uzbekistan.

3. Le riserve di uranio sono in continuo aumento e sono arrivate a 6,3 milioni di tonnellate secondo l ultima versione (2009) del Red Book, il rapporto OCSE considerato la bibbia del combustibile nucleare. Solo con le quantità accertate e commercializzabili a prezzi di mercato, tenuto conto dei consumi attuali (68mila tonnellate anno) si coprono i prossimi 80 anni: una sicurezza di approvvigionamento superiore a quella normalmente garantita per qualsiasi altro minerale. Tuttavia le risorse mondiali di uranio sono assai maggiori. I giacimenti conosciuti ma non sfruttati perché oggi non abbastanza remunerativi aumenterebbero le scorte di ulteriori 5,5 milioni di tonnellate. Questo porterebbe la sicurezza di approvvigionamento a 160 anni, ampiamente sufficiente anche nello scenario OCSE di massimo sviluppo del nucleare civile (che prevede un abbondante raddoppio dei reattori attivientro il 2035). Oltre a ci bisogna considerare i giacimenti non convenzionali (per esempio i depositi di fosfati e fosforite) i quali – secondo il Red Book aggiungerebbero altri 22 milioni di tonnellate disponibili per lo sfruttamento, triplicando così le riserve accertate.

4. Lo scenario futuro del fabbisogno mondiale di combustibile nucleare potrebbe modificarsi in modo sostanziale nei prossimi decenni. Nel 2009 la domanda era coperta per il 76% da risorse minerarie, per il resto da uranio di riciclo (combustibile MOX da riprocessamento) o dalla dismissione degli ordigni nucleari degli arsenali sovietici e americani. In prospettiva, la diffusione di reattori autofertilizzanti e l’avanzamento delle tecnologie di riprocessamento, potrebbe portare a un minor sfruttamento delle risorse minerarie.

TERENZIO LONGOBARDI:


Al FORUM NUCLEARE

Gentile redazione,

apprezziamo il vostro tentativo di mettere a confronto varie posizioni in merito al rilancio sul territorio nazionale dell’uso dell’energia nucleare. A parere della nostra associazione si tratta di una scelta molto rischiosa sul piano industriale per vari motivi, ma il principale appare la disponibilità di uranio minerale.

A tale proposito, sul vostro Forum, in poche righe rassicuranti rispondete alla domanda: “Le scorte di uranio si esauriranno rapidamente? Inoltre, Chicco Testa ha scritto un articolo dal titolo “L’uranio ha davvero i giorni contati?” abbastanza generico e superficiale sull’argomento, per questo ritengo di dovervi inviare le seguenti sintetiche considerazioni.

Anche prendendo a riferimento i dati sulle risorse globali di uranio certificati dal NEA (Agenzia per l’Energia Nucleare), molto discutibili per le modalità di rendicontazione e verifica piuttosto approssimative (vedi articoli di Michael Dittmar in bibliografia), le prospettive di durata del combustibile fissile destinato ad alimentare le centrali attualmente attive nonchè quelle di terza generazione in costruzione e, eventualmente, in futuro quelle di quarta generazione, appaiono molto limitate.

Come dimostra il seguente grafico prodotto da EWG (Energy Watch Group), elaborato a partire proprio dai dati NEA, che prevede un “picco” della produzione seguito da un declino graduale dell’uranio, è possibile giungere alle seguenti conclusioni:

1) Attualmente, la domanda mondiale di uranio di 67.000 tonnellate all’anno, viene soddisfatta solo per 42.000 tonnellate (circa il 63%) da nuova produzione mineraria, le altre 25.000 tonnellate (circa il 37%), sono ricavate dagli stoccaggi accumulati prima del 1980 resisi disponibili in parte con il processo di disarmo nucleare. Questi stoccaggi, secondo EWG, dureranno ancora appena dieci anni. Periodo che potrà allungarsi solo di qualche anno per merito delle nuove disponibilità derivanti dallo smantellamento di ulteriori 7.500 testate nucleari previsto dal recente accordo Salt 2, firmato tra USA e Russia. Tuttavia se nel frattempo la produzione mineraria non verrà sensibilmente incrementata, ci saranno seri problemi ad alimentare per poco più di un decennio le centrali nucleari esistenti. Figurarsi quelle non ancora costruite.

2) Mettendo a confronto poi gli scenari estrattivi del NEA e quelli energetici dell’ Agenzia Energetica Internazionale, si individua un picco della produzione intorno al 2015 per le Risorse ragionevolmente accertate con costi di estrazione sotto i 40 $/kg, intorno al 2025 per quelle sotto i 130 $/kg, intorno al 2035 per l’ipotesi ultra ottimistica di Risorse ragionevolmente accertate più le Risorse stimate con basso grado di attendibilità (con costi di estrazione sotto i 130 $/kg). In questo quadro, lo scenario di espansione produttiva di energia nucleare “minimo” prospettato dall’IEA nel suo WEO 2006 interseca la curva della produzione di uranio quasi in corrispondenza del picco dell’ipotesi estrattiva più ottimistica, mai nello scenario “massimo” che corrisponde alle prospettive di crescita ipotizzate nei programmi nucleari dei vari governi. In altre parole, lo sviluppo massimo previsto della fonte nucleare sarebbe in ogni caso incompatibile con la disponibilità di uranio, la crescita minima verrebbe irrimediabilmente bloccata in prossimità del picco della risorsa e lo stesso funzionamento dei soli impianti oggi esistenti sarebbe messo in crisi ben prima della metà del secolo.

Quindi, le ipotesi di durata centennale delle risorse minerarie uranifere prospettate da NEA e riprese in Italia da ENEA, sono da ritenersi illusorie e prive di fondamento per i seguenti motivi:

1) Il metodo di calcolo semplificato adottato per definire tale ipotesi, cioè dividendo la quantità di uranio ancora complessivamente disponibile per il consumo annuo non è assolutamente affidabile perché avulso dalla reale dinamica di esaurimento delle risorse minerarie e fossili descritta dal modello di Hubbert (picco e successivo declino), oggi considerato a livello scientifico internazionale il più accreditato a descrivere tali dinamiche.
2) Anche adoperando lo stesso metodo semplificato di NEA per calcolare la durata delle risorse minerarie, si ricavano circa 80 anni. Cioè, NEA ha approssimato di ben 20 anni la durata delle risorse da essa stesse definite.
3) Il calcolo di NEA ipotizza per i prossimi anni una produzione energetica da nucleare costante pari all'attuale, senza considerare quindi le ipotesi di espansione produttiva da essa auspicate.
4) Nel calcolo eseguito da NEA per determinare la durata delle risorse di uranio vengono inserite non solo quelle ragionevolmente provate, ma anche interamente quelle che essa stessa definisce scarsamente attendibili.
5) In conclusione, anche adottando il loro modello errato di esaurimento della risorsa e correggendo i banali errori precedentemente descritti, in realtà si ottiene una durata probabile delle risorse di circa 30 - 40 anni, come si può evincere dalla seguente tabella di sintesi (in rosso l’ipotesi più probabile, in verde le ipotesi NEA).

Le conclusioni relative alla durata delle risorse di uranio mondiali precedentemente sintetizzate, non verrebbero sostanzialmente modificate qualora si assumesse interamente la potenzialità produttiva di uranio arricchito ricavabile con la tecnologia in uso di recupero spinto di uranio fissile, estraibile tramite una difficile e costosa operazione dall’uranio “impoverito” disponibile.

In ogni caso, sia che si assuma il modello di esaurimento della risorsa uranio dello studio Energy Watch Group, sia il metodo molto impreciso di calcolo NEA, e considerando il tempo di realizzazione non certo breve di un programma di costruzione di centrali nucleari, con ogni probabilità i nuovi impianti comincerebbero ad avere seri problemi di approvvigionamento dell’uranio a circa metà del loro ciclo di vita.

Ci sono infine altri due motivi che rendono sconsigliabile sul piano industriale la scelta nucleare nel nostro paese.

Gli elevati costi di produzione di questa fonte energetica hanno negli ultimi decenni scoraggiato gli investimenti industriali privati, mentre le poche centrali in corso di realizzazione vedono lievitare notevolmente i costi di costruzione rispetto ai valori preventivati. Di fatto, sul piano della convenienza economica, gli investimenti sul nucleare starebbero oggi in piedi solo grazie a generose sovvenzioni pubbliche che inevitabilmente finirebbero per pesare su finanze pubbliche sempre più esangui o sulle bollette dei consumatori, generando una pesante distorsione della libera concorrenza rispetto alle altre fonti energetiche.

La potenza delle centrali elettriche italiane esistenti, e di quelle in costruzione o già autorizzate in Italia, è abbondantemente in grado di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica italiana per i prossimi decenni, considerando che è molto improbabile che si determini in prospettiva una decisa inversione di tendenza rispetto al forte calo dei consumi elettrici causato dalla crisi economica (- 6,8% nel 2009). Infatti, la minore disponibilità di petrolio che si verificherà nei prossimi anni a seguito del superamento del picco di produzione (di recente ammesso anche dal Pentagono e dall’Agenzia Energetica americana), determinerà di nuovo tensioni sui prezzi del barile che avranno sicuramente effetti recessivi sull’economia e conseguenze depressive sui consumi energetici. Un forte impulso all’uso delle fonti rinnovabili, accoppiato alla scelta strategica del metano come fonte di transizione, in un quadro di diversificazione degli approvvigionamenti, consentirà invece di dare risposte più adeguate a uno scenario di consumi stazionari o moderatamente in crescita.

Auspichiamo pertanto che si rifletta attentamente sui limiti oggettivi di carattere industriale che ostacolano il programma di costruzione di nuove centrali nucleari nel nostro paese, destinando invece investimenti e risorse nello sviluppo e nella ricerca sulle fonti rinnovabili, le uniche in grado di garantire un approvvigionamento energetico sicuro e per tempi indefiniti.

Approfondimenti:

The Oil Drum - The Future of Nuclear Energy: Facts and Fiction - Part III: How (un)reliable are the Red Book Uranium Resource Data? http://europe.theoildrum.com/node/5744

Marco Pagani – La curiosa storia delle riserve di uranio francesi http://ecoalfabeta.blogosfere.it/2008/06/la-curiosa-storia-delle-riserve-di-uranio-francese.html

IEA – World Energy Outlook 2006 http://www.worldenergyoutlook.org/2006.asp

Energy Watch Group – Uranium Report
http://www.energywatchgroup.org/Reports.24+M5d637b1e38d.0.html

Terenzio Longobardi – Le risorse di uranio. Cronaca di una notte di mezza estate. http://www.aspoitalia.it/archivio-articoli/259-le-risorse-di-uranio-cronaca-di-una-notte-di-mezza-estate

Michael Dittmar - The Future of Nuclear Energy: Facts and Fiction Chapter I: Nuclear Fission Energy Today
http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/0908/0908.0627v1.pdf

Michael Dittmar - The Future of Nuclear Energy: Facts and Fiction Chapter III: How (un)reliable are the Red Book Uranium Resource Data?
http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/0909/0909.1421v1.pdf

sabato, febbraio 12, 2011

Il Club di Roma sul picco del petrolio


Snapshot dal recente film sul picco del petrolio da parte del Club di Roma



Il Club di Roma ce lo ricordiamo per essere stato lo sponsor dello studio noto in Italia come "I Limiti dello Sviluppo," nel 1972. Lo studio fu un tremendo scossone nelle certezze di allora. Fu un tale impatto che qualche lobby decise di demonizzarlo verso la fine degli anni 1980, applicando i classici trattamenti propagandistici che già all'epoca erano stati messi a punto per l'industria del tabacco.

La fase di demonizzazione de "I Limiti dello Sviluppo" sembra essersi esaurita. Dopo una fase in cui il Club di Roma aveva tenuto un profilo assai basso, ora sta ritornando a propugnare le idee che lo avevano reso famoso in passato.

Così, vediamo apparire sul sito del Club di Roma un filmato dedicato al picco del petrolio. Lo potete vedere cliccando qui.

Il risultato è... beh, insomma. Diciamo che racconta le cose come stanno, però è di una lagnosità debilitante (*). E' raccontato da una vocina che sembra quella delle segreterie telefoniche. Il testo è legnoso e pesante sembra una lezione dell'università per adulti. E le animazioni sono scarsamente informative. Insomma, contentiamoci, però si poteva fare di meglio.

Per fortuna, il Club di Roma non si limita a questi filmati - un'altra cosa che sta venendo fuori è una revisione completa dello studio "I Limiti dello Sviluppo" dove si racconta tutta la storia dello studio, dei suoi critici, dei suoi sostenitori e della sua rilevanza per il giorno d'oggi. L'editore è Springer, l'autore un certo Ugo Bardi; boh.... chissà cosa ci avrà scritto?


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(*) Mi ha fatto venire in mente una cosa che si leggeva tanti anni fa su "Urania", quando si raccoglievano racconti dei lettori. Questi venivano selezionati dagli "Ipnotrapezi" creature che avevano un "indice di lagnoresistenza" bassissimo e cadevano addormentati quasi immediatamente per la maggior parte dei racconti inviati.

giovedì, febbraio 10, 2011

Attila e i survivalisti americani


Prisco (quello con la barba bianca), diplomatico bizantino che visitò la corte di Attila nel V secolo. Dipinto di Mór Than (da Wikipedia)


Prisco, diplomatico bizantino, ci ha lasciato una relazione interessantissima della corte di Attila nel V secolo. Uno dei dettagli del suo resoconto è quando gli succede di incontrare un greco - come lui - che aveva lasciato il territorio imperiale per stabilirsi fra gli Unni.

Ne segue un breve dibattito in cui il greco fuggiasco espone i vantaggi della libertà fra i barbari, lontano dall'ingiustizia dell'impero e dalla rapacità dei suoi governanti. Prisco gli risponde elencando invece i vantaggi della vita ordinata e sicura dell'impero Romano di oriente, e i benefici della legge che governa la vita di tutti.

Alla fine, Prisco ci dice che il suo interlocutore si è messo a piangere al ricordo della sua vita nell'impero. Forse ha un po' stiracchiato questa conclusione ma - nel complesso - abbiamo l'impressione che la storia sia vera. Ovvero, che Prisco abbia messo in luce le due facce della questione e i loro relativi meriti anche se, ovviamente, lui stava dalla parte dell'impero.

Noi che viviamo "dalla parte dell'Impero" possiamo capire la posizione di Prisco. Il puro orrore di contemplare un mondo senza leggi; un mondo dove non hai protezione sicura, non hai un ruolo ben definito, non hai norme da rispettare, non hai un futuro che non dipenda dalle circostanze o dal volere di chi è più potente di te.

Questa stessa sensazione di puro orrore la troviamo leggendo "Emergency" di Neil Strauss. E' un libro che ci descrive l'esperienza dell'autore con i vari gruppi di "survivalisti" (non saprei come meglio tradurre "survivalist," se non come sopravvivenzisti, che è troppo brutto)

Strauss stesso, giornalista americano nato a Chicago, è attratto da questi gruppi, si sente insicuro in un paese, gli Stati Uniti, che diventano sempre più oppressivi e dittatoriali. Così, si compra un passaporto di un'isola remota, si unisce a gruppi di strampalati dove impara a sparare, a vivere nella foresta, a ammazzare una capra, scuoiarla e macellarla, e altre cosette del genere.

Degno di nota, nel libro, è l'esperienza di Strauss con i "B-people" dove "B" sta per "Billionaire", ovvero miliardari. Questi hanno gli stessi problemi di tutti, ma metodi di soluzione più variegati. Per esempio, ci riporta Strauss che molti di loro hanno preso il brevetto di volo e tengono un aereo pronto a partire per lasciare un paese che potrebbe cadere in preda al caos in qualsiasi momento.

Il libro di Strauss è interessante e ben scritto, anche se alla fine entra in eccessivi dettagli e viene un po' a noia. Anche le "istruzioni per i casi di emergenza" che appaiono in forma di fumetti intercalati al testo, francamente, non è che siano il massimo. Sapere, per esempio, come si trasforma una carta di credito in una lama per tagliare la gola del tuo prossimo non mi sembra cosa particolarmente utile.

A parte questo, l'impressione generale che ti lascia il libro è di una discesa nella barbarie. Questa gente che si addestra a sparare, a squartare animali, e a vivere nei boschi ci mette un impegno che deriva da un "modello del mondo" che - francamente - è difficile da condividere.

Può darsi che sia quello il nostro destino, ma, su questo, mi sento molto più vicino a Prisco il bizantino che al suo interlocutore che aveva scelto la vita nel regno di Attila.

lunedì, febbraio 07, 2011

ASPO 9 / 27-29 April / invitation



La nona conferenza internazionale di ASPO si terrà il 27/29 Aprile in Brussels, in Belgio. Per informazioni complete, consultate il sito www.aspo9.be. Nel seguito, il testo dell'annuncio in Inglese. 

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Dear Sir/Madam,

ASPO Belgium and Peakoil Nederland have the pleasure to invite you to the 9th International Conference of the Association for the Study of Peak Oil and Gas, which will take place 27-29 April 2011 in Brussels, Belgium

with extensions at the European Parliament (early May)

Walloon Parliament (26 April)



Join experts and speakers from around the world to discuss the future of fossil fuels, effects of high oil prices on the economy and agriculture, renewable energy support policies, and many more topics related to ‘European Energy Policy in an era of expensive energy’.

· Philippe Henry - Belgian Minister of Environment, Spatial Planning and Mobility for Wallonia



· Dr. Ir. Jean-Marie Masset - former Total Senior VP Geoscience

· Prof. Dr. Jean-Pascal van Ypersele - Professor at Catholic University of Leuven and Vice-Chair IPCC



· Prof. Dr. Paul Stevens - Chatham House, London



· Dr. Wes Jackson - President of the Land Institute, Kansas, USA



Click here for the Full List of Experts and Speakers

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Register before 15 march to benefit from a 100 euro Early Bird Discount

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I look forward to meeting you in Brussels, Belgium on April 27-29, 2011.

Patrick Brocorens, President ASPO Belgium

Université de Mons - UMONS
Tel. : +32-(0)65.37.38.67; e-mail: patrick.brocorens@umons.ac.be

www.aspo.be




The 9th ASPO Conference is realized with support from:

· Brussels-Capital Region

· The University of Mons

· Wallonia

· Walloon Parliament

sabato, febbraio 05, 2011

Chi paga l'auto elettrica?

Di recente l’Autorità per l’energia ha preso posizione in merito all’incentivazione dell’auto elettrica, in un documento sulle prospettive del settore inviata alle commissioni Trasporti e Attività produttive della Camera. Una sintesi di questa posizione la potete leggere qui.

Nella memoria l'Authority ricorda le facilitazioni già introdotte: eliminazione di alcuni vincoli normativi per consentire le ricariche in luoghi privati; introduzione di tariffe ad hoc; promozione di progetti sperimentali per la ricarica in luoghi pubblici. Ma occorre che lo sviluppo del settore avvenga «nel pieno rispetto delle regole di mercato e della concorrenza, senza distorsioni nei prezzi dell'elettricità, evitando che il finanziamento delle azioni di promozione dei veicoli elettrici gravi sulla spesa della globalità dei consumatori finali».

Io condivido questa impostazione, ma per motivi in parte diversi da quelli dell’Autorità. La crisi economica strutturale che stiamo vivendo richiede infatti una forte selezione delle politiche di finanziamento pubblico, individuando attentamente i settori strategici da sostenere. In altre parole non è più possibile utilizzare la leva fiscale o tariffaria indiscriminatamente come in passato, ma solo definendo precise priorità.

Sulla bolletta dei cittadini già gravano i costi di incentivazione delle fonti rinnovabili che rappresentano a mio modo di vedere la priorità assoluta nel settore energetico. Nel campo della mobilità, come ho avuto modo di spiegare più volte su questo blog (ad esempio qui o qui), i mezzi di trasporto che garantiscono i minori consumi energetici specifici e i minori costi specifici sono i moderni sistemi ferro-tranviari e su di essi andrebbero concentrate le politiche di sostegno pubbliche.

Inoltre, i problemi dell’auto elettrica derivano da condizioni di mercato e non da una mancata incentivazione. I costi d’investimento ancora troppo alti, il non agevole rifornimento di energia e soprattutto il problema non ancora risolto e di difficile soluzione della ridotta autonomia, ne limitano quasi totalmente la commercializzazione. Di fatto i consumatori continuano ad orientarsi sui modelli tradizionali e non è certo l’installazione di qualche colonnina di ricarica che potrà risolvere questi vincoli strutturali.

E nella prospettiva di una crescita più accentuata dei prezzi petroliferi, i modelli di auto maggiormente competitivi mi appaiono oggi quelli che utilizzano carburanti alternativi al petrolio. Il prezzo di acquisto di un auto a metano è nettamente inferiore a quello dell’auto elettrica, il prezzo dell’energia (circa la metà di un auto a benzina o diesel) è paragonabile (circa 4 euro ogni cento chilometri) con quello necessario a percorrere gli stessi chilometri con l’elettricità (vedi questo articolo). Ma soprattutto, è il valore dell’investimento in un auto a metano che appare molto più elevato in relazione alla possibilità di utilizzare un sistema di rifornimento, quello dei distributori, che rappresenta il vero fattore vincente dell’auto convenzionale rispetto a quella elettrica.

Ma anche se in futuro emergessero soluzioni tecnologiche in grado di far superare all’auto elettrica l’attuale gap competitivo rispetto ai modelli convenzionali, rimane come per l’auto a motore endotermico, l’insuperabile problema della disponibilità di risorse, fattore limitante per un’espansione a livello globale della mobilità privata. Guardate quest’ultimo grafico che ho estratto dal World Energy Outlook 2010 dell’Agenzia Energetica Internazionale.
Nel 2035 si prevede un raddoppio della mobilità privata nel mondo. Anche se per quella data, ragionando per assurdo, si riuscisse a riconvertire l’intero parco veicolare mondiale alla trazione elettrica (che garantirebbe un dimezzamento teorico dei consumi di energia primaria), l’intero risparmio di energia conseguito verrebbe completamente vanificato dalla crescita esponenziale delle automobili circolanti.

giovedì, febbraio 03, 2011

Brent stacca in salita WTI

Chi segue l’andamento dei prezzi petroliferi si sarà accorto che da qualche mese i futures trattati sul mercato di Londra (Brent) hanno superato i cento dollari al barile e superato in salita quelli trattati sul mercato di New York (WTI), oggi di poco superiori ai 90 dollari al barile.

In questo articolo sul Sole 24 Ore, Andrea Franceschi si esercita in un’analisi del fenomeno che tira in ballo vari fattori, tra cui l’immancabile speculazione. Ma i giornalisti economici italiani assomigliano molto a degli struzzi australiani e preferiscono spesso nascondere la testa nella sabbia, trascurando l’aspetto fisico del problema e cioè il rapido esaurimento del petrolio di riferimento per il Brent, cioè quello prodotto dai giacimenti del Mare del Nord.

Il picco di questo petrolio c’è stato intorno al 2000 e negli ultimi anni il calo ha assunto proporzioni impressionanti. Nel grafico allegato, estratto da The Oil Drum, è possibile osservare il crollo della produzione negli ultimi due anni: Il Mare del Nord, che comprende “United Kingdom Offshore, Norway, Denmark, Netherlands Offshore, and Germany Offshore” ha perso il 20% della sua produzione in 24 mesi. La produzione è diminuita di 600.000 barili al giorno in questo periodo.”

Da rozzo conoscitore della teoria economica, quale io sono, mi viene da pensare che forse un calo dell’offerta così consistente, qualche influenza sui prezzi dovrebbe averla.
E infatti, leggiamo su Wall Street Italia, “c'e' chi, come Chris Cook, ex International Petroleum Exchange, presta attenzione all'andamento della produzione nel Mare del Nord, calata a doppia cifra in 4 anni. Nuove licenze di esplorazione verranno continuamente avanzate nel Mare del Nord cosi' come nuove scoperte verranno fatte ma in generale, ha concluso Cook, niente puo' cambiare rotta al calo della produzione.”

Morale della favola economica: la dinamica della domanda e dell’offerta è “fondamentale” nella definizione dei prezzi e non posso concludere il commento senza rammentare un articolo su questo blog che pone bene in evidenza la stretta correlazione tra andamento delle quotazioni petrolifere e della produzione economica (PIL). Ciò ci fa ulteriormente riflettere sul fatto che l’avanzare dell’attuale ripresa economica globale sarà accompagnata inevitabilmente da una continua crescita dei prezzi del barile che, oltre un certo livello, innescherà una nuova spirale recessiva.

martedì, febbraio 01, 2011

Ahimé, ancora la bufala del petrolio abiotico

Arriva da "ClimateMonitor" un commento di Roberto Vacca alle presentazioni di Ugo Bardi e di Kjell Aleklett al Festival della Scienza di Roma sul Petrolio.

Purtroppo, Vacca non sembra avere altri argomenti che una serie di banalità e di errori puri e semplici. Per prima cosa, riparte con l'idea del "petrolio abiotico" che esisterebbe in quantità enormi a grandi profondità. Quest'idea, una bufala totale, l'aveva già tirata fuori nel 2007 con un vergognoso articolo sul "Sole 24 Ore."

Il bello è che Vacca stesso ci dice che questa idea viene "largamente ignorata da esperti e decisori". Eh, beh, certo che viene ignorata; e ci sono delle ottime ragioni per questo. Le potete trovare, per esempio, in questo post di Ugo Bardi.

Vacca ritira fuori anche la storia del "Club di Roma," riferendosi evidentemente alla leggenda degli "errori" associati con il rapporto intitolato "I Limiti dello Sviluppo" del 1972. Pretesu errori, dato che a un'analisi della pubblicazione non si trova nessun errore significativo. Questa cosa l'ho raccontata più volte, per esempio qui (già nel 2003) e più di recente qui. Ma se non volete dar retta a Ugo Bardi su questo punto, leggetevi per esempio Charles Hall e John day sul The New Scientist. Uno dei tanti che demoliscono la leggenda.

Questo per citare soltanto alcuni degli errori elementari del testo di Vacca. Il resto, poi, non merita è semplicemente una serie di banalità. Vacca demolisce un "modello di Hubbert" che si è inventato lui e che ha poca o nessuna relazione con il lavoro serio di persone competenti come Kjell Aleklett che ha presentato i suoi risultati al Festival della Scienza di Roma. Per una discussione recente sui limiti e sull'utilità del modello di Hubbert, potete dare un'occhiata a questo articolo di Ugo Bardi su "The Oil Drum".

Insomma, nel dibattito scientifico tutti sono liberi di dire la loro; ma bisogna sapere di cosa si parla e per saperlo bisogna studiarci sopra. A improvvisarsi esperti si rischia sempre di fare una brutta figura. Questo succede a Roberto Vacca che si è improvvisato geologo petrolifero. Succede anche, in campo climatico, al sito "climatemonitor," che pubblica l'articolo di Vacca e i cui gestori si sono improvvisati climatologi. (In proposito, vedi per esempio i siti "climalteranti" e "effetto cassandra").

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La fine del petrolio o la fine dell’allarme?

Scritto da Roberto Vacca il 28 - gennaio - 2011

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Sulle gratuite e irrilevanti idee di Aspo et al. relative al picco del petrolio e al suo esaurimento, riporto 2 pagg dal mio libro SALVARE IL PROSSIMO DECENNIO, appena pubblicato da Garzanti. No other comment is in order.

Nel Capitolo 12 del mio PATATRAC già citato, illustro le esperienze, le ragioni e gli studi che inducono a ritenere che a grande profondità esistano sulla Terra riserve di idrocarburi minerali di molte volte maggiori di quelle attualmente stimate in meno di 200 miliardi di tonnellate di petrolio. I risultati ottenuti in questo campo vengono largamente ignorati da esperti e decisori.

Al contrario: continua a vociferare una scuola di pensiero secondo la quale sarebbe dimostrato che le riserve petrolifere del mondo sono inferiori alle stime correnti e sono destinate a essere esaurite in breve tempo. La proiezione è analoga a quella presentata nel citato primo rapporto al Club di Roma sui Limiti dello Sviluppo, ma viene ammantata di giustificazioni teoriche elaborate e poco sussistenti.

La storia cominciò negli anni Cinquanta con gli studi di M. King Hubbert, geofisico, consulente principale della Shell Development Company. Lo scenario sviluppato implicava che, una volta raggiunto il massimo nella produzione di petrolio, sarebbe iniziata una diminuzione ininterrotta fino all'esaurimento. Hubbert dedusse un’altra regola da osservazioni fatte sui diagrammi di produzione, dall’inizio dello sfruttamento fino all’esaurimento, di singoli pozzi petroliferi e di interi campi contenenti vari pozzi. La quantità totale estratta dall’inizio fino al massimo di produzione sarebbe uguale alla riserva residua al momento di detto massimo.

La regola è risultata valida in parecchi casi, ma Hubbert ne dedusse una sua validità universale per ogni regione petrolifera e anche per la produzione mondiale di greggio.

Taluno ha chiamato “postulato di Hubbert” l’uguaglianza citata a causa del fatto che è il risultato di considerazioni empiriche e non dell’individuazione di meccanismi fisici deterministici e ben noti. Sono molti i fattori che influenzano la velocità di estrazione del greggio da un pozzo o da un’intera regione e anche l’entità delle risorse investite nella prospezione e in nuove trivellazioni. Fra questi:
  • la tecnologia disponibile, la maggiore o minore facilità di estrazione, la profondità dei giacimenti
  • il prezzo del barile di greggio e le previsioni dei prezzi futuri
  • le situazioni finanziarie delle compagnie petrolifere
  • la situazione politica internazionale (il timore di conflitti induce i governi ad aumentare le riserve)
  • la situazione economica dei Paesi in cui si trovano i giacimenti
  • l’opposizione di gruppi ambientalisti a nuove trivellazioni o alla stessa continuata estrazione – specie off shore, dopo il disastro della piattaforma della British Petroleum nel Golfo del Messico. Nel Capitolo 13 analizzo in dettaglio quell’incidente.
Vanno, poi, tenuti in conto quattro fattori decisivi.

Il primo è che non sono disponibili dati su riserve ancora non provate: potrebbero anche essere enormi e costituite da greggio di ottima qualità e di facile accessibilità.

Il secondo è che non ci sono procedure per determinare il tempo totale di estrazione (e quindi l’esaurimento) di un giacimento. Se i giacimenti di greggio fossero contenitori con una data dimensione verticale h dal fondo dei quali il petrolio fuoriesce per gravità, sapremmo bene che la velocità iniziale di fuoruscita sarebbe
sqrt{2} gh

e che decrescerebbe linearmente in funzione del tempo fino ad annullarsi. Non ci sarebbe alcun picco di produzione. Il greggio, invece, coesiste spesso con arenarie e trafila fra gli interstizi di quel materiale, per cui è necessario pomparlo incontrando una impedenza anche forte, oppure distaccarlo con getti di vapore ad alta temperatura. La situazione in ogni giacimento può modificarsi per varie ragioni: fare previsioni è arduo.

Il terzo fattore è la citata presumibile esistenza di grandi giacimenti primari molto profondi.

Il quarto è la nota esistenza di enormi giacimenti di greggio denso in scisti bituminosi (oil shale). L’estrazione è costosa e la sua fattibilità dipende dal livello di prezzo raggiunto dal greggio sui mercati. Da vari anni, però, negli Stati Uniti vengono estratte dagli scisti bituminosi grandi quantità di gas naturale. In conclusione non è giustificato il timore di un veloce e inaspettato esaurimento della produzione di greggio. I problemi energetici, industriali, socio economici che determinano la domanda e quelli ambientali sono strettamente addentellati fra loro. Possono essere affrontati solo in modo integrato nei modi, nelle tecniche e nella cooperazione fra tutti gli organismi e le persone coinvolte.

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NB: qui i pdf di due interventi del prof. Vacca su questo argomento.