giovedì, marzo 31, 2011

Umberto "Candide" Veronesi

Il Candide di Voltaire credeva di vivere nel migliore dei mondi possibili. Tra i suoi eredi contemporanei possiamo sicuramente annoverare Umberto Veronesi, esponente esimio del progressismo italiano, assolutamente convinto che la tecnologia nucleare ci aiuterà a risolvere tutti i problemi di futura scarsità energetica.

Di recente su “Repubblica” ha affermato che l’incidente di Fukushima richiede una pausa di riflessione, ma non deve farci rinunciare alla scelta nucleare, in quanto “se è vero – ed è scientificamente vero – che senza l’energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma in avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi paesi …”.

Trascuriamo la prima e un po’ criptica affermazione sull’evidenza scientifica della sopravvivenza del pianeta grazie al nucleare, per soffermarci sulle ultime parole. E’ indubbiamente vero che i combustibili fossili hanno i decenni contati, la nostra associazione lo sta denunciando nella generale incredulità da anni, ma perché caro professore, l’uranio dovrebbe sottrarsi alla stessa sorte? Forse per la scoperta di una moderna pietra filosofale che lo renderebbe inesauribile? Non credo che Lei possa pensare una cosa talmente antiscientifica.

In realtà, come abbiamo scritto più volte e, di recente qui, in analogia con i combustibili fossili, la disponibilità di risorse uranifere è molto limitata e probabilmente molto inferiore alle previsioni più ottimistiche. Con il risultato che le nuove centrali italiane, qualora fossero costruite, rischierebbero all’incirca a metà del proprio ciclo di vita, di rimanere senza combustibile nucleare. E non sarebbe un bell’affare.

Quanto ai principali paesi produttori di uranio, essi sono numericamente inferiori a quelli dei combustibili fossili e, soprattutto i principali, si contano sulle dita di una mano. Come si può vedere nel grafico allegato, i primi cinque produttori detengono circa l’80% del mercato e i primi tre quasi il 65%. Esclusi Canada e Australia, si tratta poi di paesi per niente stabili politicamente e socialmente.

Caro Professore, non siamo contro la scienza, Aspoitalia è un'associazione scientifica, ma riteniamo che un corretto atteggiamento scientifico dovrebbe portare ad approfondire seriamente tutti gli aspetti di una tecnologia, prima di considerarla praticabile. Non ci pare che Lei abbia seguito in questo caso questo principio fondamentale.

lunedì, marzo 28, 2011

Combustibile nucleare MOX, ovvero perché il reattore Fukushima 3 fa più paura

Scritto da

Domenico Coiante


Osserviamo il grafico qui a lato. Esso riporta il prezzo dell’uranio-naturale (U3O8) in funzione del tempo. Teniamo presente che l’indice 100 corrisponde al prezzo di circa 10 $/lb del 2002. A parte la questione del collegamento o meno con il costo del petrolio suggerito nella figura, il prezzo si è risvegliato dalla stasi ultradecennale, iniziando decisamente a salire nei primi anni 2000 in corrispondenza della ripresa d’interesse per l’energia nucleare da parte di alcuni paesi, soprattutto della Cina e degli USA.


I provvedimenti incentivanti emanati dall’Amministrazione Bush hanno prodotto un tentativo di nuovi ordinativi di centrali nucleari ed il mercato del combustibile ha subito risposto con un aumento progressivo del prezzo dell’uranio, aumento che si è fatto esponenziale fino a raggiungere un picco di 137 $/lb nel 2007. La spiegazione di questa grande crescita è stata indicata nella carenza sul mercato di uranio a pronta consegna e nella rarefazione del minerale estraibile a basso costo. Poi, come sempre avviene, il sistema produttivo ha risposto con un aumento dell’offerta, che ha determinato l’abbassamento del prezzo fino a circa 45 $/lb a metà 2010. Da allora il prezzo ha ripreso a salire portandosi oggi ad oltre 70 $/lb. Questa risalita è interpretata dagli analisti come una conferma del progressivo esaurimento del minerale estraibile a basso costo e, quindi, il passaggio all’estrazione di uranio a costi più alti. Ad abbassare il prezzo, ha contribuito la recente immissione sul mercato del combustibile riciclato, detto MOX, acronimo di Mixed Oxide.


Vediamo che cosa significa. Gli elementi di combustibile UO2 bruciato contengono ancora uranio-235 per una quota pari a circa 6 – 7 grammi per kg. Come si dice, l’uranio arricchito a circa il 4% è divenuto dopo la combustione uranio “depleto”, cioè impoverito allo 0,7%. Questo materiale può essere sottoposto ad un nuovo processo di arricchimento per poterlo parzialmente recuperare come combustibile per i reattori. Tuttavia, le analisi economiche hanno dimostrato che questa operazione non è conveniente fino a che il costo del minerale si mantiene nei limiti attuali, aumenti attuali di prezzo compresi. Dall’altra parte abbiamo che gli elementi di combustibile bruciato contengono anche una piccola quantità di plutonio, in ragione di circa 6 g per kg di UO2, plutonio che si è formato per trasmutazione dell’uranio. Questo elemento è a sua volta fissile e quindi potrebbe alimentare la reazione nucleare. Naturalmente il tenore dello 0,6% contenuto nel combustibile bruciato non è in grado di mantenere la reazione a catena e quindi, per poterlo utilizzare, occorre sottoporre il materiale a un nuovo processo di arricchimento fino a portare il tenore di plutonio almeno al 5-6%. Anche in questo caso, l’analisi economica dimostra che il gioco non vale la candela.


Però……… Si dà il caso che gli USA, il Regno Unito, la Russia e la Francia possiedano uno stock notevole di plutonio sotto forma chimica di biossido (PuO2). Bisogna ricordare che il plutonio è l’elemento ideale per realizzare le bombe atomiche, cosiddette tattiche, cioè quelle montate sui proiettili d’artiglieria e sulle testate dei missili. Durante il periodo della guerra fredda, c’è stata una corsa ad estrarre il plutonio (che non esiste in natura) dagli elementi di combustibile bruciato nei reattori nucleari. I vari governi, oltre a produrre direttamente il plutonio in appositi reattori militari detti plutonigeni, hanno comprato dai gestori dei reattori nucleari “pacifici” tutto il plutonio che essi producevano alla bella cifra di circa 30 $/g ($ 1960). Per inciso, questa circostanza ha fatto diventare in quegli anni il kWh elettrico quasi come fosse un byproduct dei reattori ed ha creato la leggenda dell’energia nucleare a “così basso costo da non poterlo misurare” (Lewis Strauss, Discorso all’Associazione Nazionale USA degli Scrittori Scientifici, New York 16/9/1954).


Questo quadro idilliaco è mutato radicalmente nel 1977 con gli accordi USA-URSS per il controllo degli armamenti nucleari e la conseguente proibizione di estrarre il plutonio dagli elementi di combustibile. Il plutonio non era più acquistato dai governi ed il nucleare entrò in crisi, sia per la mancata entrata economica, sia perché contemporaneamente il governo USA privatizzò il settore riducendo fortemente le altre incentivazioni (ad esempio la garanzia federale sui finanziamenti). Da quell’anno il plutonio immagazzinato nei depositi militari dei vari paesi è divenuto un preoccupante costo, per altro, in costante crescita a causa dell’aggiungersi del materiale proveniente dallo smantellamento delle testate nucleari in eccesso rispetto agli accordi internazionali.


Ho usato l’aggettivo preoccupante per definire eufemisticamente il costo di mantenimento in sicurezza dell’ossido di plutonio per due sostanziali motivi. Il primo riguarda la necessità di mantenere ben separate le quantità al di sotto della massa critica, pena l’esplosione atomica, ed il secondo attiene alla possibilità di furto da parte di terroristi di quantità relativamente piccole di materiale per costruire ordigni atomici e/o per avvelenare la popolazione.


A questo punto devo introdurre un altro elemento di preoccupazione con il dire che l’ossido di plutonio è fortemente tossico. Basta respirare un solo milligrammo di polvere per contrarre il cancro ai polmoni entro poco tempo. La sua ingestione, anche in piccole dosi, produce un accumulo nel fegato e nelle ossa, dove le radiazioni alfa emesse causano nel tempo l’insorgenza di tumori. Tutto ciò considerato, torno al combustibile MOX per i reattori nucleari. Esso è costituito da una miscela di ossido d’uranio, recuperato dagli elementi di combustibile, e ossido di plutonio, proveniente dallo smantellamento delle testate nucleari. Generalmente una miscela con il 93% di UO2 depleto e 7% di PuO2 equivale in energia al combustibile nucleare di uranio arricchito e può essere usata in sua vece nei reattori.


Come abbiamo visto nel grafico, l’aumento vertiginoso del prezzo dell’uranio ha reso economicamente conveniente l’offerta di combustibile MOX e la disponibilità sul mercato di questa alternativa ha indubbiamente contribuito a riportare il prezzo entro limiti accettabili. Non in tutti i tipi di reattore è possibile bruciare il MOX, ma in alcuni ciò è possibile, come ad esempio nel reattore n.3 di Fukushima, che appunto lo usava. Abbiamo adesso tutti gli elementi per chiudere il cerchio del nostro ragionamento. A distanza di 15 giorni dall’incidente, Fukushima 3 continua a vanificare gli sforzi per domarlo. Esso ha emesso e continua ad emettere iodio-131, cesio-137 ed altri pericolosi radioisotopi puntualmente rintracciati negli alimenti prodotti nella zona. L’allarme è alto e presumo che si stiano prendendo tutte le misure del caso.


Tuttavia qualcosa non torna. Stranamente nessun comunicato, almeno dei media televisivi, cita la presenza del plutonio-239 tra le sostanze radioattive emesse. Eppure il reattore andava a combustibile MOX, cioè a plutonio, e sicuramente nelle varie e ripetute fumate emesse dal reattore questo elemento doveva essere presente. Forse è per questo motivo che l’Agenzia Internazionale Energia Atomica e quella degli USA continuano a dirsi molto più preoccupati dello stesso governo giapponese. Fukushima 3 fa sicuramente più paura di tutti gli altri reattori danneggiati! E a ragione!


Tutto ciò ha un inevitabile corollario. E’ un dato ormai, purtroppo, dimostrato dai fatti che l’uso del combustibile MOX aggiunge una ulteriore pericolosità a quella già grande del combustibile tradizionale a causa della tossicità del plutonio-239. L’uso di questa soluzione per calmierare il prezzo dell’uranio si sta dimostrando nei fatti impraticabile per la sua intrinseca maggiore nocività. Ho qualche dubbio che tutto possa procedere come prima dell’incidente di Fukushima e sicuramente la strada intrapresa per bruciare lo stock di plutonio dovrà essere modificata. Seguirà, pertanto, che il prezzo dell’uranio, già in risalita dal 2010, riprenderà a salire con un tasso di crescita maggiore.

domenica, marzo 27, 2011

Proposta di mozione per rilanciare le fonti energetiche rinnovabili





Pubblichiamo la proposta di mozione inviata da Aspoitalia ai Comuni italiani per sostenere la mobilitazione a favore della modifica del recente decreto governativo sulle fonti rinnovabili, che ha sostanzialmente bloccato gli investimenti e provocato una grave cirisi economica ed occupazionale in un settore in piena espansione.

MOZIONE

“RIPRENDIAMOCI IL SOLE”

IL CONSIGLIO ___________________ DI _____________________

PREMESSO CHE:

• Il Decreto Legislativo approvato il 3 marzo 2011 (schema di decreto legislativo recante attuazione della Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), a firma del Ministro Romani e di fatto redatto dai settori più arretrati dell’industria energetica monopolistica nazionale del petrolio, del gas, del carbone e, più recentemente, del nucleare, persegue di fatto l’unico obiettivo di azzerare ex lege il settore nazionale delle energie rinnovabili e in particolare della fonte fotovoltaica;

• Il settore industriale, economico e finanziario connesso alle energie rinnovabili, prima tra tutte il fotovoltaico è ormai cresciuto, anche nella consapevolezza, come hanno dimostrato all’incontro pubblico del 10 marzo u.s. le migliaia di persone, tra imprenditori, lavoratori, rappresentanti di istituti di credito e fondi d'investimento, associazioni di categoria e ambientaliste e semplici cittadini che hanno affollato il Teatro Quirino di Roma e le strade circostanti, nonché le decine di migliaia di persone che hanno seguito in diretta per via telematica l'intero evento, trasmettendo video, messaggi, segnalazioni di ogni tipo;

• Le conseguenze immediate del decreto sono spaventose: esso mette infatti letteralmente subito sulla strada decine di migliaia di lavoratori di età media straordinariamente bassa e in gran parte localizzati al sud e al centro Italia, fa chiudere migliaia di aziende, espone le banche e gli investitori italiani ed esteri per decine di miliardi di euro, provoca un danno economico immediato e diretto quantificabile al minimo nel 1% del PIL e un danno diretto all'erario, quindi alle casse dello Stato, per quasi 20 miliardi di euro, oltre ai costi della cassa integrazione e dei sussidi di disoccupazione, impedisce ai Comuni di ricevere centinaia di milioni di euro all'anno in "compensazioni ambientali", tanto attese nella corrente penuria di trasferimenti statali, preclude al nostro Paese anche solo di avvicinare i pur modesti obiettivi europei previsti al 2020;

• Lo stesso decreto legislativo espone il sistema Italia a essere considerato dall'estero come un sistema inaffidabile e privo anche della minima certezza del diritto necessaria per intraprendere iniziative imprenditoriali e industriali di qualche rilievo, come è stato sottolineato per esempio dall’Associazione delle Banche Estere. CONSIDERATO CHE:

• Se sono grandi lo sconforto e la delusione, non meno salda è la volontà del settore fotovoltaico di controbattere e rilanciare immediatamente, forte di un consenso straordinario e crescente nel Paese;

• L’energia fotovoltaica non pesa sulle bollette elettriche degli utenti italiani le cifre iperboliche addotte dal Ministro Romani e dai settori più retrogradi di Confindustria, ma soltanto un modestissimo 1,5%, molto meno di quanto ancora oggi pesano le illegittime incentivazioni all’energia derivata dagli scarti di raffineria e dai rifiuti non biodegradabili (Delibera CIP n. 6/1992);

• Entro il mese di giugno del corrente anno, le installazioni fotovoltaiche italiane erogheranno tanta energia quanto una centrale nucleare; anche soltanto alla metà del trend delle installazioni tenuto finora, l’energia erogata per mezzo del sole, in Italia nell’anno 2020, sarebbe stata pari o probabilmente superiore a quella che le quattro ipotetiche centrali nucleari previste dal Governo potranno fornire non prima di quell’anno, se non oltre;

• E’ quindi un fatto che l’energia solare in meno di quattro anni ha dimostrato di poter rimpiazzare e spiazzare l’energia nucleare, che a questo punto non trova più alcuna giustificazione se non quella di distribuire in pochissime tasche i soldi prelevati dalle incentivazioni al fotovoltaico, oltre ad aver dimostrato di iniziare a rendere meno dipendente l’approvvigionamento elettrico nazionale dalle stesse centrali termoelettriche convenzionali;

• Anche in seguito ai drammatici eventi in Giappone, è evidente che, quale misura minima di salvaguardia delle popolazioni rispetto alle installazioni elettronucleari, nessuno potrà risiedere entro 20 km da alcuna centrale, ed entro la medesima distanza dovrà essere abbandonata qualsiasi attività agricola e zootecnica, questo comportando un aumento vertiginoso dei costi, a questo punto stimabili – inclusa la costosissima dismissione delle centrali – in quasi 100 miliardi di Euro per quattro centrali, somma stratosferica, molto superiore a quella necessaria a sostenere il fotovoltaico e, come si verifica in tutto il mondo, a carico della collettività nazionale in forma di sovvenzioni, incentivazioni e garanzie assicurative e fideiussiorie;

• L’instabilità politica, le rivolte e infine le guerre in numerosi Paesi produttori di petrolio e di gas naturale si sommano al declino strutturale delle medesime risorse, in un combinato di eventi che rende gravemente incerto e sicuramente sempre più costoso l’approvvigionamento delle materie prime energetiche convenzionali ai Paesi, come il nostro, che ne sono sostanzialmente sprovvisti;

• Un programma di incentivazioni al fotovoltaico, decrescenti nel tempo, come quello approvato nell’agosto 2010 ed entrato in vigore appena all’inizio del 2011, dallo stesso Governo che ora tenta di cancellare le energie rinnovabili, avrebbe consentito, grazie allo straordinario miglioramento dell’efficienza e alla rapidissima diminuzione dei prezzi, di disporre tra pochi anni di energia solare, così come di energia eolica, allo stesso costo di quella convenzionale, garantendo all’Italia un futuro di energia tutta rinnovabile e a costi contenuti e stabili nel tempo.

PRESO ATTO CHE:

• Sono state avviate presso i Ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole sessioni di incontri con le organizzazioni di categoria, le banche e le associazioni, auspicabilmente finalizzate alla definizione di misure atte ad attenuare le conseguenze disastrose del decreto legislativo, nonché a delineare un quadro certo e affidabile di incentivazioni e semplificazioni normative a vantaggio dello sviluppo sostenibile delle fonti rinnovabili.

CHIEDE ALLA GIUNTA ___________

DI IMPEGNARSI TEMPESTIVAMENTE E IN TUTTE LE SEDI PER:

• Chiedere ai Ministri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole, nonché a tutti gli altri soggetti istituzionali interessati e al Parlamento stesso, di predisporre urgentemente un nuovo Decreto Legislativo che recepisca le istanze delle organizzazioni di categoria e delle associazioni con specifico riferimento al settore delle energie rinnovabili, delle banche, delle associazioni e delle parti sociali, così da assicurare la fattibilità e la stabilità finanziaria dei progetti autorizzati e in corso e di salvaguardare l’occupazione;

• Chiedere ai Ministri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole, nonché a tutti gli altri soggetti istituzionali interessati e al Parlamento stesso di finalizzare i tavoli di confronto attivati con i rappresentanti del settore delle energie rinnovabili, delle banche, delle associazioni e delle parti sociali alla definizione di un quadro di incentivazioni stabile e di lungo termine, evitando qualsiasi misura retroattiva e inutilmente punitiva, nonché in grado di assicurare lo sviluppo armonioso e coerente di fonti, come il fotovoltaico e l’eolico, che hanno dimostrato la maggiore efficienza e capacità di diffusione ed espansione;

• Chiedere al Governo e al Parlamento di esprimersi chiaramente e definitivamente, anche per mezzo di una opportuna attività legislativa d’urgenza, in merito alla strategia energetica del nostro Paese nel senso dello sviluppo sostenuto di medio e lungo periodo delle fonti rinnovabili fino alla copertura, per mezzo di queste, della maggior parte del fabbisogno energetico nazionale, nonché nel senso dell’abbandono definitivo dell’opzione nucleare.

venerdì, marzo 25, 2011

Centrali nucleari e maremoti


Gli ingenti danni alle centrali nucleari giapponesi e i conseguenti rischi di inquinamento radioattivo sono stati causati da un sisma di enorme magnitudo, ma soprattutto dalle conseguenze del successivo, devastante tsunami, che ha disattivato i sistemi di raffreddamento delle barre di combustibile. I minimizzatori di professione italiani hanno però rassicurato che i fenomeni tellurici di tipo giapponese hanno scarsa probabilità di manifestarsi nel nostro paese.

A parte il fatto che anche l’Italia è attraversata da alcune linee di congiunzione di placche tettoniche e conseguentemente da fenomeni sismici anche intensi, sarebbe interessante conoscere il rischio da maremoti che potenzialmente potrebbe interessare le coste nazionali.

Ho fatto una ricerca e su questo sito ho trovato alcune notizie e uno studio (I maremoti delle coste italiane – Stefano Tinti) abbastanza approfondito sulla storia dei maremoti in Italia e nel Mediterraneo, da cui ho tratto una interessante mappa storica che ho affiancato nell’allegato in alto (che si può ingrandire cliccando sopra) ad una previsione dei probabili siti nucleari italiani allo studio del governo. I maremoti sono classificati per intensità e per grado di certezza dell’evento.

Ebbene, le due mappe sono abbastanza sovrapponibili e porterebbero ad escludere per precauzione la maggior parte dei siti individuati, tranne quelli della Pianura Padana in Veneto, Lombardia e Piemonte. I Presidenti Zaia, Formigoni e Cota che non hanno mai nascosto la loro propensione per l’energia nucleare saranno contenti.

Infine, è opportuno segnalare che, a differenza dei terremoti, nessuna misura di prevenzione è stata ancora individuata per i maremoti e non esiste una rete di allerta. La cosa mi appare particolarmente grave, soprattutto in considerazione del fatto che nel Mediterraneo la propagazione molto più veloce di questi fenomeni richiederebbe tempi di intervento altrettanto rapidi.

Al momento è stato costituito un gruppo di coordinamento intergovernativo presso l'IOC-UNESCO che ha nome ICG/NEAMTWS (Intergovernmental Coordination Group for the establishment of the North East Atlantic, the Mediterranean and connected seas Tsunami Warning System), ma non mi risulta che siano state ancora attuate misure di prevenzione.

martedì, marzo 22, 2011

Costi di chiusura del ciclo di vita degli impianti nucleari

Continuiamo la pubblicazione delle analisi di Domenico Coiante dei singoli fattori che determinano il costo di produzione dell'energia nucleare. Dopo quella relativa alla durata della vita operativa delle centrali nucleari, pubblicata qualche giorno fa qui, oggi è la volta dei costi di chiusura del ciclo di vita delle centrali, in inglese "decommissioning" (smantellamento). Per leggere meglio le tabelle occorre cliccare sopra.

Scritto da Domenico Coiante

Introduzione
La produzione d’elettricità mediante reattori nucleari ha una peculiarità: le spese da sostenere per la gestione degli impianti non terminano alla fine della vita operativa, o poco dopo, come per le centrali tradizionali. La chiusura del ciclo si considera completata quando il sito è stato bonificato e restituito alla praticabilità in sicurezza. L’esperienza, finora maturata, ha dimostrato che questo risultato può essere ottenuto mediante un impegnativo e lungo percorso. La serie di operazioni da effettuare, a partire dalla data di chiusura dell’attività produttiva, si estende per oltre un secolo (Thomas, 2008). Inoltre, la responsabilità nei confronti dell’ambiente non si conclude con la bonifica del sito, ma si protrae per lungo tempo in altro luogo, cioè nella discarica dove si vanno a collocare i prodotti radioattivi risultanti dalla fase precedente, da mantenere in sicurezza per secoli. Queste operazioni sono indicate sinteticamente con i termini anglosassoni di decommissioning & waste disposal (smantellamento e messa in discarica dei rifiuti).

Vista la lunghezza del periodo temporale in gioco, una parte di queste operazioni non è ancora stata provata, ma soltanto delineata mediante simulazioni. Ne segue che la stima preventiva dei costi possiede una grande incertezza. Prevedere a distanza di un secolo quanto costerà completare la bonifica di un sito nucleare è una faccenda molto difficile, sia perché non esiste un’esperienza consolidata sull’argomento del costo, sia perché non si riesce ad assegnare un valore affidabile al tasso di sconto per un periodo così lungo, in modo da attualizzare la spesa da mettere nel presente bilancio economico dell’impresa nucleare.

Queste indubbie difficoltà hanno fatto sì che le spese per il decommissioning, in passato, fossero trascurate nel conteggio economico preventivo, lasciandone il carico sulle generazioni future come se si trattasse di costi sociali esterni. L’attuale presa di coscienza ambientale e l’approccio liberistico vigente sulla produzione d’elettricità impongono di valutare e prendere in considerazione nel bilancio d’impresa anche questi costi differiti nel tempo. A riprova del nuovo corso, basti citare la recente disposizione governativa statunitense, che obbliga i gestori delle centrali nucleari a mettere da parte 1 $ per ogni MWh prodotto, accumulando la somma per l’intera vita operativa in un fondo fruttifero vincolato per tali spese. Si tratta di 0,001 $/kWh, una cifra considerata dagli esperti come largamente insufficiente (Severance, 2009), pur tuttavia essa rappresenta l’ammissione ufficiale dell’errore per difetto di cui soffrono le vecchie stime di costo del kWh nucleare. Le valutazioni più aggiornate prendono in considerazione questa voce nella misura indicata dal governo USA, ma ne ammettono l’insufficienza. Ad esempio, il Prof. De Paoli dell’Istituto per l’Economia delle Fonti d’Energia (De Paoli et al, 2008) assume una maggiorazione della cifra USA ipotizzando un intervallo di costo tra 1 e 3 €/MWh. Il cambio di valuta nel momento dello studio era a 1 € = 1,5 $. Ciò significa ammettere che il costo del decommissioning possa avere un valore, nel caso migliore, il 50% più alto di quanto previsto dal governo USA e ben 450% nel caso peggiore, cioè (0,0015 – 0,0045) $/kWh.

Nel rapporto sopra nominato, Severance, invece, cita una stima di Moody’s che indica un contributo di circa 0,02 $/kWh (0,014 per il decommissioning e 0,006 per il waste disposal), valore 20 volte superiore a quello governativo USA. Se questa cifra fosse confermata in qualche modo, essa assumerebbe un peso notevole nello stabilire il costo del kWh.
Come si vede, esiste una grande incertezza. E’ tuttavia già chiaro che la spesa complessiva da sostenere per il decommissioning & waste disposal potrebbe essere rilevante ai fini del costo di produzione del kWh nucleare e che, pertanto, un’analisi accurata dei costi deve cercare d’individuare con la massima precisione possibile le spese da sostenere dopo lo spegnimento finale del reattore e la chiusura del ciclo di vita.
Proviamo qui di seguito a fare tale analisi.

Verifica
Iniziamo con l’approfondire il significato del contributo c = 0,001 $/kWh indicato dagli USA.
Ricordiamo che questo contributo presente emerge dall’attualizzazione delle spese da sostenere nelle fasi future in cui si articola il decommissioning, applicando ad esse il rispettivo tasso di sconto.
Per chi non avesse dimestichezza con questa materia, diamo qui alcuni cenni sommari.
Facciamo partire la scala dei tempi dall’oggi indicando con zero l’anno presente. Supponiamo di sapere che dovremo sostenere una spesa, ad esempio per un lavoro, che si renderà necessario tra t anni. Sappiamo anche che il costo di questa operazione oggi è S0 unità monetarie. A causa dell’inflazione e dell’aumento dei prezzi, il costo nell’anno t sarà diventato:

St = S0 (1+h)t (1+e)t (1)

Dove h è il tasso annuale medio dell’inflazione ed e è quello analogo per l’aumento dei prezzi oltre l’inflazione.
Poiché siamo previdenti, stanziamo nell’anno zero una somma Sx, che investiremo in banca in operazioni fruttifere ad un tasso nominale d’interesse pari a k, in modo che nell’anno t la nostra somma sarà cresciuta al valore:

Sxt = Sx (1+k)t (2)

A sua volta il tasso d’interesse nominale k è legato al tasso d’inflazione h e a quello d’interesse reale r (quello cioè al netto di h) dalla relazione:

(1+k) = (1+h) (1+r) (3)

La (2) diviene quindi:

Sxt = Sx (1+h)t (1+r)t (4)

Per poter far fronte nell’anno t al costo espresso dalla (1), dovrà avvenire che Sxt sia uguale a St e quindi:

Sx (1+h)t (1+r)t = S0 (1+h)t (1+e)t (5)

Da cui si ricava:

Sx = S0 [(1+e)t/(1+r)t] (6)

Il fattore F = [(1+e)t/(1+r)t] è detto fattore di sconto. La somma Sx che si deve investire oggi per poter pagare la spesa St da affrontare nell’anno t è determinata dal costo nell’anno zero S0 moltiplicata per il fattore di sconto, cioè scontata al presente. Detto in altro modo, il valore presente di una spesa da fare in un anno t differito nel tempo, si ottiene dal valore monetario odierno di questa spesa applicando ad essa il fattore di sconto.

Occorre notare che l’adozione del tasso d’interesse reale produce la semplificazione che fa scomparire nel fattore F la dipendenza dal tasso d’inflazione. Rimane, però, la dipendenza dal tasso specifico di crescita dei prezzi, che, soprattutto per tempi lunghi, può avere una significativa influenza. Poiché nel nostro caso la parte di gran lunga maggiore delle spese riguarderà il costo del lavoro e questo varia nel tempo essenzialmente a causa dell’inflazione, considereremo nel seguito il tasso della crescita dei prezzi e = 0 e quindi il nostro fattore di sconto per l’anno t sarà semplificato in:

F = 1/(1+r)t (7)

Torniamo ora alla nostra verifica.
Riferendo tutto al kW come unità di potenza, indichiamo con S0 (in moneta a valore odierno) la somma delle spese stimate per il decommissioning come se l’operazione si effettuasse tutta oggi (costo detto overnight). Consideriamo poi che la spesa dovrà essere affrontata alla fine della vita operativa della nostra centrale, cioè dopo N anni. Per quanto detto sopra il valore presente all’anno zero di questa spesa sarà:

Sp = S0 F = S0/(1+r)N (8)

Come di consueto, supponiamo di aver preso in prestito Sp e di restituirla in N rate costanti durante l’intera vita operativa della centrale. Allora, se QN il fattore d’annualità, il valore della rata c sarà determinato dalla:

c = QN Sp/(AEP) (9)

Dove:
• QN = r/[1-(1+r)-N] è il fattore di annualità per la restituzione di Sp in N rate costanti;
• r = è il tasso annuale dell’interesse reale (al netto dell’inflazione) applicato alla restituzione del prestito;
• N è la vita operativa della centrale espressa in anni;
• AEP è la produttività energetica annuale della centrale.

Considerato che per il governo USA è c = 0,001 $/kWh, risolviamo rispetto a Sp per i quattro casi esemplificativi della Tab.1.



Si deduce, pertanto, che il governo USA stima il valore presente della spesa complessiva per il decommissioning & waste disposal delle centrali nucleari compreso nell’intervallo tra circa 106 e 142 $/kW a seconda che il tasso di sconto valga il 5 o il 6,5% annuo e la vita operativa sia di 40 o 60 anni.
Quanto è affidabile questa valutazione?
Come vedremo meglio in seguito, il processo di decommissioning & waste disposal, che inizia alla fine della vita operativa, cioè dopo 30, 40 o 60 anni dalla partenza, ha una durata di circa un secolo, senza contare il tempo successivo di conservazione in discarica dei rifiuti radioattivi. Operazioni di così lungo periodo richiedono responsabilità che vanno sicuramente al di là di quelle delle ordinarie imprese commerciali. Per tale motivo, il Regno Unito ha ritenuto opportuno d’istituire nel 2004 un apposito organismo pubblico, la Nuclear Decommissioning Authority (NDA), responsabile del controllo del processo di smantellamento delle centrali nucleari britanniche, che sono giunte a fine vita operativa.
Utilizzeremo i dati provenienti da questa autorevole fonte per valutare meglio la situazione.
Ma prima stabiliamo le basi del discorso definendone i termini.

Decommissioning & waste disposal
Con questi termini inglesi, il cui significato non è riconducibile alla sola traduzione letterale, si indica l’intero processo di chiusura del ciclo di vita delle centrali nucleari. Esso comprende un’articolazione su diversi argomenti e in varie fasi temporali. Generalmente si adotta la traduzione: “Smantellamento degli impianti e messa in discarica dei rifiuti radioattivi.” Però, come vedremo, il concetto è più ampio di quanto appaia da questi soli termini.
Per comprenderne il vero significato, occorre ricordare brevemente alcuni fatti inerenti ai reattori nucleari dopo il loro spegnimento, che ci permettono d’identificare altrettante fasi operative. Secondo la NDA (Thomas, 2008), il procedimento da adottare è quello detto “Safstor”, cioè lavori in massima sicurezza (safety) e conservazione (storage) delle parti radioattive per tutto il tempo necessario ad un ragionevole decadimento dell’intensità delle radiazioni. Tutto sommato si riconosce che questo procedimento sia il più economico da usare quando non esistono esigenze di particolare urgenza circa il reimpiego del sito.
Si procede secondo le seguenti fasi:

a) Rimozione del combustibile dal nocciolo (Defuelling)
Durante la vita operativa degli impianti, che oggi si tende ad estendere da 30 a 40 ed anche a 60 anni, le barre di combustibile bruciato, estratte dal nocciolo, sono immerse verticalmente in un’apposita piscina d’acqua demineralizzata e lì immagazzinate. Questa operazione è fatta più volte ad intervalli di circa un anno e mezzo nel corso delle attività ed essa riguarda solo 1/4, o 1/3, alla volta degli elementi contenuti nel reattore. La permanenza in piscina è necessaria in attesa che l’alta radioattività delle scorie decada a valori compatibili con la possibilità del successivo trasporto in altro luogo. Il calore che si sviluppa dagli elementi fortemente radioattivi è continuamente rimosso facendo circolare l’acqua nella piscina con apposite pompe in modo da mantenere il liquido molto al di sotto della temperatura d’ebollizione e da conservarne il livello sempre almeno un metro sopra l’estremità superiore delle barre. Naturalmente, tutto ciò ha un costo. La relativa spesa è considerata all’interno dei costi annuali di esercizio e manutenzione.

Alla fine della vita operativa, dopo lo spegnimento del reattore, si effettua lo svuotamento completo del nocciolo rimovendo tutto il combustibile che esso contiene e si pongono le barre dentro la piscina. A questo punto, però, l’attività produttiva è ormai terminata ed il bilancio economico è chiuso. Pertanto, i costi di questa operazione non fanno più parte del bilancio ordinario, ma aprono un nuovo capitolo di spese di esercizio e manutenzione straordinaria.
In definitiva il defuelling costituisce la prima voce di questo nuovo capitolo di spesa.
Durata: circa 2 anni.

b) Preparazione per la sorveglianza e manutenzione (Care & Maintenance Preparation)
Poiché i prodotti di fissione più attivi hanno un tempo di dimezzamento di circa 30 anni, generalmente le barre di combustibile bruciato sono mantenute nella piscina per almeno questo periodo. Nei primi anni si svolgono tutte le attività di predisposizione delle attrezzature e degli impianti per adeguarli alla missione di conservazione in sicurezza del combustibile bruciato. Naturalmente, anche il resto degli impianti e l’intera centrale dovranno essere preparati per la messa a riposo in sicurezza per il lungo periodo prima che inizi l’operazione di smantellamento e rimozione delle parti. Ciò comporta un completo riassestamento delle competenze lavorative ed una diversa organizzazione del lavoro.
Pertanto, le operazioni di care & maintenance preparation costituiscono la seconda voce di costo del decommissioning.
Durata: circa 8 anni.

c) Sorveglianza e manutenzione (Care & maintenance)
Una volta che è terminata la fase di preparazione, inizia il lungo periodo gestione del sito della centrale spenta. Si dovrà sorvegliare l’intero impianto ed assicurare il funzionamento dei servizi anti-intrusione, mantenendo in piena efficienza per circa 30 anni il sistema di pompe che assicura la sicurezza della piscina di decadimento.
In definitiva, tutto ciò costituisce un’altra voce di spesa del processo.
Durata: circa 85 anni.

d) Sgombero totale degli impianti e pulizia finale del sito (Final clearance)
Non appena trascorso il tempo di dimezzamento delle scorie radioattive (circa 30 anni), può iniziare l’attività finale di rimozione degli elementi di combustibile ed il loro trasporto negli impianti di trattamento per la successiva messa in discarica di sicurezza. In questa fase si completa anche la rimozione di tutte le parti d’impianto, che non sono state attivate e si provvede a sezionare e compattare le parti attivate in modo da poterle trasportare e collocare in discarica sorvegliata. Per quanto riguarda l’edificio di contenimento, semplice o doppio, al momento non esiste una procedura consolidata per lo smantellamento, che, in ogni caso, rappresenta un’operazione abbastanza tradizionale, da effettuare con qualche cautela per una bassa residua radioattività purtroppo presente.
Infine, occorre ripristinare il sito per poterlo destinare ad altri usi.
L’intera fase finale costituisce l’ultima e più consistente voce di spesa del decommissioning.
Durata: circa 8 anni.

e) Messa in discarica di sicurezza dei rifiuti (Waste disposal)
Ad onore del vero, le spese del ciclo di vita dei reattori nucleari non si chiudono con il trattamento dei rifiuti e la loro messa in discarica, perché questa dovrà essere approntata con modalità costruttive speciali così da conservare i rifiuti radioattivi a lunga vita in sicurezza per secoli, cioè in modo da non costituire pericolo per la salute adesso e per le future generazioni. A parte il costo strutturale della discarica, occorrerà disporre di un servizio di sorveglianza per secoli. Purtroppo, tutti questi costi, che riguardano le generazioni future, non si sanno valutare pienamente e, pertanto, non vengono presi in considerazione all’interno del bilancio preventivo della centrale nucleare. Essi sono accantonati semplicemente tra le esternalità a carico della collettività.
Durata: secoli.

Caso di studio: Centrale Sizewell A da 420 MW tipo Magnox
Si tratta di un reattore inglese entrato in servizio nel 1966 e spento nel 2006. Funzionava con elementi di combustibile di uranio metallico incamiciati con una lega di magnesio (magnox). I neutroni erano moderati a grafite e il raffreddamento avveniva mediante circolazione forzata di anidride carbonica gassosa. Questa filiera è stata ormai abbandonata alla fine degli anni ’70 in favore dei più efficienti reattori refrigerati ad acqua (Boiling Water Reactor e Pressurized Water Reactor). La tecnologia magnox è stata sviluppata dagli inglesi, che la hanno applicata in casa ed esportata in numerosi paesi fin dagli anni ’60. Il reattore di Latina è un esempio di questa filiera. Un gran numero di questi reattori è ormai spento ed in fase di smantellamento.
Anche se le caratteristiche tecniche sono diverse da quelle della filiera PWR, che oggi appare come la più usata, esamineremo il caso di Sizewell, soprattutto per il dettaglio e l’affidabilità dei dati pubblicati.
La Tab.2 riassume brevemente la situazione del decommissioning di Sizewwell A secondo la NDA (Thomas, 2008).




Come si può vedere il costo specifico ricondotto al 2008 è di 788,1 £/kW, corrispondente a 1279,1 $/kW (1£ = 1,623$). Pertanto, se volessimo costruire un impianto nucleare dello stesso tipo nel 2008, dovremmo aggiungere questo costo alle altre voci. Il che corrisponde, con una produttività di 7500 kWh/kW ed un fattore d’annualità per una vita operativa di 40 anni pari a 0,05828 e per 60 anni pari a 0,05283 (r = 5%), a considerare rispettivamente un costo aggiunto di circa (0,01 - 0,009) $/kWh.
Questi valori sono circa un fattore 10 più alti del costo di 0,001 $/kWh ammesso negli USA. La ragione del divario, secondo gli esperti, è da ricercare nel fatto che i reattori gas-grafite, essendo poco efficienti, producono nella loro vita una quantità maggiore di rifiuti radioattivi e, quindi, maggiori spese per il trattamento.

Decommissioning dei reattori PWR in USA

a. Secondo la WNA (World Nuclear Association), il costo di smantellamento dei reattori PWR nei casi sperimentati (alcuni già definiti ed altri ancora in corso) è compreso fra 200 e 500 $/kW (valore del $ al 2001 (WNA, 2010).
Se andiamo ad esaminare i singoli casi di smantellamento, troviamo che il dato minore della forcella si riferisce ai piccoli impianti nucleari sperimentali, che hanno funzionato per un tempo ridotto a una o due decine d’anni. E’ chiaro che in tal caso i rifiuti radioattivi sono in misura minore e quindi il costo dello smantellamento è più basso. Pertanto, dovendo considerare il caso di una centrale di taglia intorno a 1000 - 1600 MW con vita operativa di 40, il nostro dato di riferimento non potrà essere che quello più alto indicato. Applichiamo ad esso il tasso d’inflazione medio del 2% per avere il costo attuale (2010) di 597 $/kW.

Per quanto riguarda l’allungamento della vita operativa a 60 anni, occorre precisare che questo dato deve essere proporzionalmente aggiornato a causa della maggiore quantità di rifiuti che si accumulano nei 20 anni aggiuntivi. Pertanto, la spesa da applicare alle centrali di vita allungata sarà grossomodo pari a 895 $/kW.
Nel bilancio d’impresa per la realizzazione di una centrale nucleare oggi, dobbiamo considerare questi valori per la voce di costo del decommissioning. Considerando, al solito, un tasso d’interesse reale che può andare dal 5 al 6,5%, un fattore di annualità su 40, o su 60 anni di vita operativa e la produttività annuale dell’impianto di 7500 kWh/kW, avremo secondo la (9):

r = 5% N = 40 anni Q40 = 0,05828 c = 0,0046 $/kWh
N = 60 anni Q60 = 0,05283 c = 0,0063 “
r = 6,5% N = 40 anni Q40 = 0,07061 c = 0,0056 “
N = 60 anni Q60 = 0,06652 c = 0,0079 “

In definitiva il contributo atteso per il costo del kWh potrà spaziare tra:

c = (0,0046 - 0,0079) $/kWh

cioè: c = (0,0033 - 0,0057) €/kWh (1 $ = 0,7289 €)

Questo costo è un fattore (4 - 5) volte più alto del valore indicato dal governo USA.

b. Secondo l’analisi finanziaria di Moody’s (Griffiths-Lambeth, 2008), il costo presente per il decommissioning & waste disposal è di circa 1000 $/kW, cioè circa 729 €/kW.
Applicando le stesse ipotesi del caso precedente, otteniamo per il contributo al costo del kWh:

c = (0,0070 - 0,0094) $/kWh = (0,0051 - 0,0068) €/kWh

Il costo risulta un fattore da 7 a 9 volte più alto di quello indicato dal governo USA.

Conclusione
Riassumiamo nella Tab.3 la situazione risultante della stima del contributo di costo del decommissioning dei reattori PWR di grande taglia.




In conclusione, potremo considerare che il contributo presente sul costo del kWh possa andare da 0,0033 a 0,0068 €/kWh.
Il costo del kWh nucleare stimato dallo IEFE (De Paoli, 2008) è dato come 6,32 c€/kWh. Si vede allora che il contributo, qui indicato nel caso peggiore della stima di Moody’s, costituisce circa il 15% del costo totale. Si tratta di una parte di costo che comincia ad essere rilevante. Comunque, anche negli altri casi, il valore è pur sempre notevolmente superiore a quello ottimistico (completamente trascurabile) indicato dal governo USA.

Come già accennato, occorre ricordare che, una volta sistemati i rifiuti radioattivi nella discarica speciale predisposta alla loro conservazione in sicurezza, una componente di spesa continuerà a gravare sul kWh nucleare per un tempo dell’ordine dei secoli. Il bilancio d’impresa, però, si arresta al momento della collocazione in discarica ed i costi successivi, che oggi sono difficilmente stimabili, s’intendono posti a carico della collettività presente e delle generazioni future come se si trattasse di costi sociali.
Ci chiediamo se questo è economicamente ed eticamente giusto.


Riferimenti
- De Paoli L., Gulli F, 2008, The competitivenessof nuclear energy in an era of liberalized markets and restrictions on greenhouse-gas emissions, Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, Anno LI – N.2/2008, p.51.
- Griffiths-Lambeth N., 2008, Decommissioning and Waste Costs for a New Generator of Nuclear Power, Moody’s Report n.109086, May 2008
- Severance C.A., 2009, Businness Risks and Costs of New Nuclear Power, http://climateprogress.org/wp-content/uploads/2009/01/nuclear-costs-2009.pdf, p.26
- Thomas Steve, 2008, The Organisation & the Costs of the Decommissioning Nuclear Plants in the UK, Economia Delle Fonti Di Energia E Dell’Ambiente, Anno LI – N.2/2008, pp.63-82
- WNA, 2010, Decommissioning Nuclear Facilities, www.world-nuclear.org/info/inf19.html, ottobre 2010.


lunedì, marzo 21, 2011

ASPO-Italia sponsorizza uno studio sul "Magmagen"


Vi ricordate della (piccola) "borsa di studio ASPO-Italia" che avevamo messo in palio qualche mese fa?

Bene, il comitato scientifico di ASPO-Italia ha deciso di assegnare un contributo per una tesi di laurea in ingegneria a Nicola Giulietti, studente presso l'università di Firenze.

Il soggetto della tesi sarà lo stoccaggio energetico in sistemi ad alta temperatura; quello che è venuto di moda in ASPO chiamare il "Magmagen" su suggerimento di Stefano Cianchetta.

Il concetto del magmagen l'avevo descritto in un modo un po' scettico in un post su nuove tecnologie energetiche. D'altra parte, è anche vero che senza dati appena un po' solidi a disposizione non si può dare nessun giudizio sull'idea; per cui ben venga il lavoro di Nicola Giulietti che approfondirà la faccenda e ci saprà dare una valutazione quantitativa del concetto.

Quindi, buon lavoro a Nicola Giulietti e vi terremo informati



http://www.aspoitalia.it/blog/nte/2011/02/03/magmagen-una-nuova-tecnologia-di-stoccaggio-energetico/

sabato, marzo 19, 2011

La Fukushima delle rinnovabili italiane

Qualche giorno fa ho partecipato a un incontro organizzato da un’associazione di categoria degli artigiani per protestare contro il nuovo decreto governativo sulle energie rinnovabili del 3 Marzo scorso in attuazione della direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili; tale decreto avrebbe dovuto riformare gli incentivi in modo da rendere raggiungibili gli obiettivi europei che per il nostro Paese prevedono il raggiungimento del 17% di fonti rinnovabili sul consumo energetico finale al 2020.

Invece, la norma approvata ha introdotto forti limitazioni alla crescita delle rinnovabili e, in particolare, l’anticipazione al 31 maggio 2011 della scadenza, inizialmente prevista al 31 dicembre 2013, del secondo conto energia sul fotovoltaico, rimandando a un decreto successivo, ha gettato nella totale incertezza un intero settore e ha già bloccato tutti gli investimenti in essere - il sistema bancario ha già annunciato la sospensione dei finanziamenti previsti.

Pensavo che la situazione fosse grave, ma ascoltando i drammatici interventi al convegno degli operatori di settore, ho capito che sulle rinnovabili italiane si è abbattuto un vero maremoto che ha distrutto quanto di buono fatto fin ora.
L’eccellente situazione del fotovoltaico prima del sisma governativo era (fonte Nomisma) la seguente:

1. Oltre 100.000 occupati (di cui 18mila diretti ed età media <35 anni).

2. Fatturato complessivo: 40 miliardi di €.

3. Entrate fiscali: 1,9 miliardi di €.

4. 5.700 MWp installati nel solo 2010: → 2,2 % di copertura del fabbisogno elettrico nazionale → 3 milioni di tonnellate di CO2 evitate

5. Costo per famiglia: 23 €/anno.

Ora, l’annullamento delle tariffe definite nel DM 08/2010 senza definire le nuove tariffe, insieme all’ impossibilità di garantire la connessione entro il 31 maggio per gli impianti già avviati, determina:

1. 10.000 persone in cassa integrazione straordinaria + altre migliaia di persone che perderanno il lavoro perché non possono beneficiare degli ammortizzatori sociali.

2. 20 miliardi di € di contratti in corso bloccati per i quali le aziende dovranno procedere comunque al pagamento dei fornitori, senza ottenere il finanziamento previsto dagli istituti di credito che hanno già annullato le delibere.

3. 8 miliardi di € di ordinativi bloccati dalle aziende ai fornitori.

4. Blocco delle assunzioni e perdita di posti di lavoro qualificati (ad es. Ingegneria e Ricerca & Sviluppo).

5. Investimenti nazionali e internazionali bloccati, in attesa del nuovo sistema incentivante.

6. Perdita di credibilità del sistema paese che compromette investimenti sia italiani che esteri.

Considerando che anche i nuovi investimenti nell’eolico sono attualmente a rischio a causa dell’incertezza dovuta al non chiaro funzionamento dei nuovi meccanismi basati sulle aste al ribasso, si può facilmente comprendere l’entità del danno che è stato fatto alle rinnovabili.

Le notizie dell’ultima ora sono che, a seguito delle vibranti proteste e alla mobilitazione delle opposizioni, si giunga a breve all’approvazione di una mozione d’indirizzo del Parlamento, per limitare i danni di questo tsunami. Ma, inutile illudersi, per ripristinare un clima di fiducia degli investitori occorrerà molto tempo e difficilmente si riuscirà a riavviare quel circuito virtuoso promosso dal precedente conto energia.

Concludo con una considerazione politica. Credo ormai sia chiaro a tutti che l’intento nemmeno tanto nascosto del governo, è quello di favorire il nucleare e quindi destinare ad esso risorse economiche sempre più scarse. Come abbiamo cercato e continueremo a dimostrare, si tratta di una strategia folle, anche dal lato della convenienza industriale. Speriamo che anche chi si oppone al governo riesca a comprendere la posta in gioco e le effettive priorità.

Ringrazio vivamente l’Ing. Antonio Mazzeo che, durante il convegno, mi ha fornito molte delle informazioni contenute in questo articolo.

venerdì, marzo 18, 2011

Tutti vivi a Fukushima


Su autorizzazione dell'autore, pubblichiamo questo contributo alla discussione sul nucleare di Giorgio Nebbia, già apparsa su Liberazione del 15 Marzo.

Scritto da Giorgio Nebbia

Tutti vivi a Fukushima. Ricalco l’ironico titolo di un celebre libro di Dario Paccino, “Tutti vivi ad Harrisburg”, scritto dopo l’incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, vicino Harrisburg in Pennsylvania. Anche allora, come oggi in Giappone, si ebbe un’interruzione del flusso di acqua che “deve” raffreddare continuamente il nocciolo di un reattore, quell’insieme di tubi in cui avviene la fissione dell’uranio (e del plutonio) con liberazione del calore. Se cessa il riscaldamento, anche se la reazione di fissione nucleare viene interrotta, gli elementi radioattivi all’interno dei tubi del “combustibile” continuano a liberare calore che può provocare l’idrolisi dell’acqua con formazione di idrogeno, quello che si è incendiato e ha provocato la (o le) esplosioni degli edifici delle centrali giapponesi.

Non si può dire oggi quante persone sono state contaminate dalla radioattività, quante sono morte o moriranno per esposizione alle radiazioni. Di certo gli incidenti giapponesi hanno provocato l’interruzione della distribuzione dell’elettricità in vaste parti del paese che tanto aveva puntato, per soddisfare la fame elettrica delle sue fabbriche e città e metropolitane, su 55 centrali nucleari, a drammatica riprova della fragilità di questa tecnologia.

L’incidente ai reattori di Fukushima è il terzo importante nella storia dell’energia nucleare commerciale, lunga circa 14.000 anni-reattore (il numero dei reattori in funzione moltiplicato per gli anni di funzionamento di ciascuno): un incidente ogni circa 4.500 anni-reattore, un incidente in media ogni dieci anni quando sono in funzione, come oggi nel mondo, circa 450 reattori; una probabilità di incidenti molto maggiore di quella assicurata dai solerti venditori di centrali nucleari.

Inaccettabili pericoli, inquinamenti e costi umani e monetari riguardano tutto intero il ciclo delle attività nucleari, ciclo che parte dalle miniere di uranio, comprende i processi di arricchimento dell’uranio e la preparazione del combustibile nucleare (durante la quale si verificarono gli incidenti alla KerrMcGee negli Stati Uniti, del 1974, e a Tokaimura in Giappone del 1999). Vi sono poi i costi e i conflitti per la ricerca della localizzazione degli impianti; e poi i costi della costruzione e di funzionamento “normale” delle centrali nucleari e quelli, di soldi e politici, per i controlli di tipo militare; non a caso il governo italiano ha dovuto invocare il segreto di stato sulle scelte e sul funzionamento delle infrastrutture energetiche, quello stato atomico autoritario di cui aveva parlato Robert Jungk in un libro del 1970.

E poi ancora vi sono i costi e i pericoli e gli incidenti del ciclo del ritrattamento del combustibile irraggiato per recuperare un po’ di plutonio da aggiungere all’uranio nelle centrali per trarne un po’ più di elettricità e di soldi; e poi i costi del ciclo di smaltimento delle centrali esaurite e della sistemazione del combustibile irraggiato e degli inevitabili rifiuti, la coda avvelenata delle centrali; si tratta, anche solo in Italia, di migliaia di tonnellate di prodotti radioattivi, tutti, sia pure in diverso grado, pericolosi, che continuano ad accumularsi anche quando è svanito e sarà svanito il sogno dell’elettricità abbondante a basso prezzo. Tutte operazioni che richiedono una vigilanza per secoli e decenni per evitare perdite di radioattività nell’ambiente.

Per tutti questi motivi le centrali nucleari, anche quelle “perfettissime” di ”terza generazione” che già tanti guai e ritardi stanno incontrando prima ancora di entrare in funzione in Finlandia e in Francia, quelle che il nostro governo fa intendere di volar comprare a quattro per volta, non sono sicure né convenienti in termini di soldi, sono insomma inaccettabili.

Se tutti i soldi che sono stati spesi anche in Italia in passato, e quelli che rischiamo di dover spendere per i programmi nucleari governativi, fossero investiti non dico per le fonti di energia rinnovabili, ma anche soltanto per la razionalizzazione dell’intero sistema economico e produttivo italiano, per scelte lungimiranti su quello che è utile produrre e consumare, con minori e diversi consumi di energia, saremmo un paese con più posti di lavoro e veramente moderno. Non resta perciò che fermare l’avventura nucleare governativa col referendum e col voto, impegnando i futuri governanti a rinsavire.

mercoledì, marzo 16, 2011

Auguri, Italia

Il 17 Marzo si festeggiano i primi 150 anni di storia nazionale. La grande maggioranza degli italiani sta rispondendo con entusiasmo alla importante ricorrenza. Secondo un recente sondaggio, quasi il 90% degli italiani ritiene che l’Unità d’Italia sia stata un fatto positivo e, udite bene, persino il 70% dell’elettorato leghista la pensa allo stesso modo. Quindi, archiviate le farneticazioni secessioniste dei dirigenti leghisti, non ci resta che porci l’unica domanda seria che la Festa ci propone: quale sia l’eredità del grande moto risorgimentale ancora attuale nel 2011.

Se si ha voglia di studiare e approfondire quel lontano passato, si scopre un’inaspettata ricchezza e complessità di contenuti e motivazioni, una vera età dell’oro italiana. E’ come quando si apre un antico armadio in un angolo nascosto della casa, scoprendo gli abiti un po’ ammuffiti dei nostri antenati. Ma se apriamo la finestra e li osserviamo con attenzione alla luce, rilevano bellissimi colori e disegni e originalità incomparabili con gli indumenti massificati che siamo soliti indossare.
Fra quei contenuti e motivazioni io ne enucleo tre che mi paiono i più attuali.

1) L’epoca risorgimentale ha rappresentato uno dei pochi momenti della nostra storia in cui il merito e la valorizzazione del talento abbiano prevalso sui criteri clientelari e “familiari” di selezione della classe dirigente. Gli uomini e le donne che hanno fatto l’Italia erano non solo i migliori, ma in alcuni di essi l’enorme statura etica, intellettuale, militare e politica travalicava persino i confini nazionali. Tra tutti, si staglia a mio parere, la figura immensa di Giuseppe Garibaldi e l’episodio decisivo della spedizione dei Mille. Ispirato dalle teorie proto - socialiste di Saint-Simon, Garibaldi lottò disinteressatamente l’intera vita per la libertà, l’indipendenza e l’eguaglianza dei popoli. Fu un generale originale, abile e coraggioso che risolse a proprio favore con geniali strategie le sorti di molte battaglie per l’indipendenza, combattendo e rischiando la vita sempre in prima fila insieme ai suoi soldati. Il suo capolavoro fu la spedizione dei Mille, che non può minimamente essere offuscata dai revisionismi d’accatto di storici improvvisati. Si è detto che un esercito poco numeroso e male armato non avrebbe potuto sconfiggere un’armata organizzata come quella borbonica e che ci sia riuscito solo grazie all’aiuto di potenze straniere e con la corruzione dei generali nemici. Questo sospetto denigratorio non ha alcun fondamento storico e non corrisponde allo svolgersi dei fatti. L’unificazione del sud d’Italia al resto del paese fu determinata grazie alle straordinarie capacità militari di Garibaldi (geniale la strategia adottata per espugnare Palermo), all’esperienza acquisita sul campo in precedenti battaglie per l’indipendenza, all’impeto “garibaldino” e alle superiori motivazioni ideali (“Qui si fa l’Italia o si muore”) dei Mille volontari, all’appoggio delle antiborboniche popolazioni locali, alla progressiva formazione di un esercito più numeroso e a un pizzico di fortuna che, come noto, aiuta gli audaci. Per comprendere meglio i fatti e il valore delle “Camicie Rosse”, giustamente definite da Luciano Bianciardi “uno degli eserciti più colti che la storia ricordi”, consiglio la lettura del gioiello letterario “Da Quarto al Volturno” dello scrittore – soldato Cesare Abba.

2) Il movimento risorgimentale ebbe come suo scopo principale la liberazione dell’Italia dalla secolare dominazione straniera e l’unificazione del paese ma fu anche, in termini sociali ed antropologici, il tentativo tuttora attuale e a tratti ciclopico, di promuovere la rigenerazione etica e morale degli italiani, precipitati dopo il Rinascimento in secoli bui di arretratezza e degrado civile.

3) L’ultimo e per me più importante “messaggio nella bottiglia” lasciato dai patrioti risorgimentali, ha molta attinenza con le motivazioni di questo blog: ciò che rende una vita umana degna di essere vissuta non è il semplice soddisfacimento di esigenze materiali e di pulsioni e istinti primordiali, ma soprattutto combattere e impegnarsi per alti obiettivi e nobili ideali.

Concludo con un ricordo commosso a tutti gli italiani che hanno dato la vita per il Paese, durante il Risorgimento ma anche nella “Grande Guerra”, nella Resistenza, nella lotta al terrorismo e nella guerra tuttora in corso contro le mafie. Viva l’Italia.

martedì, marzo 15, 2011

Gli incidenti nucleari giapponesi


Scritto da Domenico Coiante


Sollecitato a scrivere qualcosa di chiaro sugli incidenti nucleari giapponesi mentre sono ancora in corso gli eventi, mi trovo in una posizione difficile. Non essendo in possesso di tutte le informazioni necessarie sarò sicuramente parziale e non esauriente. Tuttavia ci provo.

La prima domanda che mi viene rivolta da parenti e amici è: “Che cosa è avvenuto?”
Per i reattori di Fukushima, quelli che stanno dando i guai peggiori, la risposta è LOCA: Loss of Coolant Accident, cioè incidente per perdita di fluido refrigerante.
Questo incidente viene classificato fra quelli detti a bassa frequenza di accadimento, a cui il Rapporto Rasmussen sulla sicurezza dei reattori della II generazione (quelli in questione) assegna la probabilità più bassa, cioè 1 caso su 10000 per anno e per reattore. Detto in termini più comprensibili, su 400 reattori in funzione per 25 anni, un incidente di questo tipo accade quasi sicuramente. L’ENEL in una sua stima successiva, fatta per il caso specifico del reattore PWR di Trino Vercellese, ha calcolato una probabilità ancora più bassa, pari a 1 caso su 1 milione.

La dinamica è la seguente. Una volta arrestato il funzionamento del reattore, occorre smaltire il calore residuo prodotto dagli elementi di combustibile per la radioattività residua. Se per qualche motivo (ad esempio la tranciatura di un tubo di adduzione del refrigerante, il blocco di una valvola, ecc) viene a mancare il liquido di raffreddamento del nocciolo, il calore si accumula, il liquido evapora e gli elementi di combustibile (che devono sempre essere immersi in acqua) possono trovarsi all’asciutto. A questo punto, la temperatura degli elementi scoperti sale esponenzialmente fino al valore di 1200 °C, quando essi iniziano a fondere a partire dalla guaina di acciaio che racchiude il combustibile. L’acqua, presente sia in forma liquida che in forma di vapore, sottoposta a queste alte temperature, si decompone nei suoi elementi, idrogeno e ossigeno. L’idrogeno, che è un gas leggerissimo, sale immediatamente verso l’alto e si va ad accumulare sulla cupola del serbatoio di contenimento del reattore, da dove viene fatto defluire verso l’edificio di contenimento secondario, il cui tetto è l’unica parte non costruita in cemento armato. La bolla d’idrogeno che si forma sotto a questo tetto viene sgonfiata cercando di far defluire il gas verso l’esterno.

Purtroppo, la probabilità che si formi la miscela esplosiva tra idrogeno ed ossigeno è altissima e quindi basta una qualsiasi fonte d’innesco perché si abbia l’esplosione. A questo punto il tetto dell’edificio secondario salta in aria e tutto quello che esso contiene finisce nell’atmosfera. E’ evidente che l’idrogeno e l’ossigeno prodotti nella fusione degli elementi di combustibile portano con sé anche gli elementi radioattivi, sia gassosi, sia in polveri sottili, che si liberano dalla rottura della guaina. In definitiva, o che l’idrogeno venga fatto defluire ‘pacificamente’ nell’atmosfera, o che esso esploda violentemente, l’incidente immette dosi più o meno consistenti di radioattività pericolosa per la salute dell’ecosistema, dell’ uomo in primo piano.
Come già detto, la probabilità di questo incidente è bassissima, ritenuta praticamente impossibile, perché ovviamente i circuiti di raffreddamento sono almeno due ed uno solo è sufficiente a mantenere il nucleo in sicurezza. Eppure, a quanto sembra, è avvenuto (e non è il primo).

Così il mio collega, grande esperto mondiale di reattori nucleari, Paolo Loizzo, purtroppo venuto a mancare qualche anno fa, descrive quella che, secondo lui, è l’improbabile sequenza di eventi del LOCA per tranciatura del tubo di adduzione. “ La doccia interna d’emergenza spegne il reattore e lo refrigera; il vapore che continua ad uscire dal tubo tranciato (prima che si chiudano le apposite valvole), viene refrigerato e condensato dai grandi ventilatori e dalle docce sulle pareti dell’edificio di contenimento. Il danno è grave, ma riguarda solo l’impianto, che potrà essere rimesso in funzione dopo un certo numero di anni di riparazioni e di decontaminazione. Nasce contemporaneamente la prima questione: e se contemporaneamente manca l’energia elettrica?
Si ripete l’analisi e si dimostra che, per raffreddare il contenitore bastano tre ventilatori e le due docce alimentati dai diesel d’emergenza. Nasce la seconda questione: e se i diesel non partono? E se si sviluppano grandi quantità d’idrogeno che poi esplodono nell’edificio del reattore? E’ chiaro che il gioco può continuare a lungo. A furia di guasti successivi (le valvole, l’alimentazione d’emergenza, le barre che non funzionano,etc) si arriva alla fusione completa del nocciolo.” (Paolo Loizzo, 1994, Le centrali nucleari, ovvero il diavolo che non c’è, Ed. Monteleone, p. 187).

Ebbene, leggendo queste parole, sembra quasi di leggere la cronaca in tempo reale di quello che è accaduto nei due reattori di Fukushima. Il terremoto ha prodotto il blocco automatico improvviso di sicurezza di tutti i reattori (evento detto di transiente brusco, di per sé abbastanza pericoloso per la sicurezza perché si possono danneggiare, qua e là, alcuni elementi di combustibile). A determinare la sequenza maledetta è stato l’intervento successivo dell’onda di maremoto, che, a quanto sembra, ha fatto spegnere i diesel d’emergenza con tutto quello che è seguito come descritto sopra.
A prescindere dal programmato referendum sul nucleare, l’incidente ha fornito l’occasione per mettere in discussione il programma nucleare italiano ed anche l’atteggiamento degli altri paesi europei. In queste ore concitate, i rappresentanti governativi non mancano di intervenire su tutti i mezzi d’informazione per rassicurare gli italiani circa la bontà della scelta fatta.

L’argomento fondamentale è che i reattori in predicato sono molto più sicuri di quelli giapponesi e che il verificarsi di una tale sequenza di eventi sfavorevoli, terremoto di grado 9 e tsunami, non è possibile in Italia. Anche per i giapponesi, che pure sono abituati ai terremoti, non si riteneva possibile un terremoto di grado 9, (lo tsumami è una sua conseguenza), eppure è avvenuto.
Un altro argomento è che il nucleare è indiscutibilmente il più economico. Questo è un falso, come dimostrano le numerose stime indipendenti effettuate recentemente (vedi ad esempio il rapporto MIT 2003, 2009). Anche senza mettere in conto i costi di chiusura del ciclo di vita del combustibile, che implicitamente vengono caricati sui contribuenti, il costo del kWh si aggira intorno ai 7-8 c€ ed è quindi più caro di quello da carbone, gas e olio. Ricordo che il prezzo unico PUN pagato ai produttori dal GSE, che riflette pertanto il costo attuale dell’energia, è intorno ai 6 c€/kWh.
Ma l’argomento principe, che viene continuamente avanzato da tutti come fosse un tormentone è quello del fatto che “siamo accerchiati da almeno 13, (qualche volta 40 o cinquanta), reattori che stanno al di là delle alpi e che potrebbero inviarci le loro radiazioni in caso d’incidente.”

Sono esterrefatto dalla logica che sta in questo argomento! Si riconosce implicitamente il grave rischio, a cui siamo soggetti senza nostra decisione, per i reattori presenti al di là delle alpi e si propone di combattere tale rischio aggiungendone un altro, più grave perché più vicino, costruendo anche in Italia i reattori nucleari! E’ roba da matti o mi sfugge qualcosa?
Inoltre, a questo proposito, mi duole segnalare che finora nessuno ha fatto presente una legge fisica ineludibile, quella della diffusione delle radiazioni in funzione della distanza dalla sorgente. In assenza di venti, come si dice in aria tranquilla, la concentrazione dei prodotti radioattivi emessi in aria da una sorgente diminuisce approssimativamente con il quadrato della distanza. Quindi un conto è avere una centrale a 100 km di distanza ed un altro, al quadrato, è di averla vicino casa. Perché i giapponesi stanno facendo sgombrare la gente per un raggio di 20 km se non per gli effetti di questa legge?

Naturalmente, in presenza di venti, il quadro può cambiare notevolmente perché gli effetti diffusivi possono essere aumentati o diminuiti a seconda della direzione del vento (vedi la nube di Chernobil che ha fatto il giro del globo).
Infine, viene spesso avanzato l’argomento del “così fan tutte” le altre nazioni europee. A questo proposito faccio presente che l’Italia si trova in una posizione geologica particolare rispetto agli altri paesi europei. Come il Giappone siamo soggetti a frequenti terremoti a causa del fatto che il nostro territorio si trova attraversato da almeno due o tre grandi faglie ed altre minori. Tutte sono attive perché sotto di noi si scontrano alcune zolle tettoniche, che producono i nostri terremoti.
Nel resto d’Europa la situazione è ben diversa. In alcuni paesi non sanno neppure cosa sia un terremoto (Svezia, Norvegia, Inghilterra, Germania, ecc).

Non voglio dire che questo dato di fatto ci debba impedire di fare il nucleare: il Giappone insegna. Però, occorre avere ben chiaro il rischio ben maggiore a cui si va incontro ed ai conseguenti costi economici e sociali: il Giappone insegna ancora.
Consapevole della specificità italiana, la domanda che mi pongo è: “Forse il nucleare ce lo ha ordinato il dottore?” A cui segue: “Ci sono altre soluzioni?”
Questo però apre un altro argomento di discussione che rimando ad altra occasione.

lunedì, marzo 14, 2011

L’imprevedibilità del Caso e la fallacità degli Argomenti



Scritto da Dr. Toufic El Asmar
Segretario ASPO Italia
Consulente FAO

Sono anni ormai che il mondo capitalista post moderno in particolare, e l'intero pianeta in generale, sta vivendo una serie di eventi straordinari che stanno mettendo a dura prova tutte le sue sicurezze di supremazia finanziaria, tecnologica, sociale, filosofica e ambientale. Questo ventunesimo secolo sta sperimentando l’evolversi incredibile di una serie dei "cigni neri" (ref. Il cigno nero: Come l'improbabile governa la nostra vita, edit. Il Saggiatore, 2008) che continuano a verificarsi e susseguirsi senza interruzione.

Secondo Taleb un "Cigno Nero è un evento isolato e inaspettato, che ha un impatto enorme, e che solo a posteriori può essere spiegato e reso prevedibile”; ossia un evento "a bassissima probabilità, e altissimo potenziale di danno" (Federico Rampini, La Repubblica). Nassim Taleb, nel suo libro scrive: "Un singolo evento è sufficiente a invalidare un convincimento frutto di un'esperienza millenaria. Ci ripetono che il futuro è prevedibile e i rischi controllabili, ma la storia non striscia, salta. I cigni neri sono eventi rari, di grandissimo impatto e prevedibili solo a posteriori, come l'invenzione della ruota, l'11 settembre, il crollo di Wall Street e il successo di Google. Sono all'origine di quasi ogni cosa, e spesso sono causati ed esasperati proprio dal loro essere imprevisti. Se il rischio di un attentato con voli di linea fosse stato concepibile il 10 settembre, le torri gemelle sarebbero ancora al loro posto. Se i modelli matematici fossero applicabili agli investimenti, non assisteremmo alle crisi degli hedge funds".

Il Giappone è un Paese molto interessante è stato ampiamente studiato e analizzato da tanti saggisti, come ad esempio nel suo libro “Collasso” Jared Diamond, dimostra la vulnerabilità del Giappone come società a rischio di estinzione ma ci informa anche della loro capacità di capire e di trovare quelle soluzioni capaci di farli sopravvivere a lungo, infatti egli scrive: "L'intero globo è oggi un tutt'uno autosufficiente e isolato, come lo erano un tempo l'isola di Tikopia e il Giappone dell'era Tokugawa. Come fecero i tikopiani e i giapponesi, anche noi dobbiamo capire che non esiste nessun'altra isola (nessun altro pianeta) cui potremmo rivolgerci per chiedere aiuto, o sulla quale potremmo esportare i nostri problemi. Anche noi, come questi popoli, dobbiamo invece imparare a vivere nei limiti dei nostri mezzi".

I Giapponesi hanno sempre capito che il "big one" prima o poi si sarebbe manifestato, e si sono sempre preparati ad affrontare tale evento. Però nello stesso tempo la fame capitalista e tecnologica, ha spinto tale paese a dotarsi di 55 Centrali nucleari. Malgrado ciò la domanda energetica giapponese fa si che questo paese dipenda ancora per il 75% dal petrolio, e che il governo giapponese debba investire sulla costruzione di ulteriori 40 centrali (libro bianco giapponese). Oggi il Giappone ha una strategia energetica di lunga durata ma dimostra che comunque questa non basta, proprio perché è un Isola, fortemente urbanizzata, e altamente energivora.

La Catastrofe di ieri è un perfetto esempio di "Cigno Grigio", sempre secondo Taleb, un Cigno Grigio è un Cigno Nero di cui si ha un'idea generale della probabilità che si verifichi, ed i cui effetti sempre sovversivi sono stati ridotti grazie all'adozione di politiche ed azioni di prevenzione (come appunto hanno fatto i Giapponesi). Tuttavia anche il cigno grigio rimane un evento ad alta probabilità catastrofica: Il mix terremoto (8.9 scala Richter, seguito da altri di scala più bassa ma altrettanto devastanti) e Tsunami era un evento probabile per i Giapponesi ma non atteso, ed è soltanto grazie al loro impegno nel trovare le soluzioni capaci di limitare i danni o addirittura evitarli che il numero delle vittime (tragico comunque) sia rimasto limitato; la maggior parte dei danni e dei morti è stato causato dal micidiale tsunami e dalla forma geografica di Sendai (territorio piatto e basso). Tuttavia non tutto in Giappone ha retto, una diga che cede portando all’annientamento di un villaggio intero, alcuni palazzi che crollano, il deposito carburante che si incendia, ma soprattutto l’emergenza nucleare di Fukoshima e qui tornano i nodi al pettine.

Gli argomenti dei nuclearisti super-convinti sono fondamentalmente tre, le centrali nucleari:
- Non emettono CO2
- Coprono il GAP energetico dovuto alla crisi del petrolio
- Sono sicurissime
Tutti tre questi argomenti sono fallaci, le analisi del ciclo di vita di una centrale nucleare (LCA) mostrano che le emissioni di CO2 e altri gas climalteranti sono presenti e verificati soprattutto durante la prima fase (estrazione, trasporto, costruzione delle pompe, sistemi elettronici, sistemi idraulici, spostamento terra, installazione impianti, ecc …) tale argomento è simile a quello spesso usato contro il fotovoltaico.
Non esiste oggi un Paese al Mondo possessore di centrali nucleari che sia stato capace di ridurre il GAP energetico dovuto alla crisi del Petrolio e alle sue necessità energivore. Cina, Giappone, USA, Francia ecc … ne sono un grandissimo esempio. Tutti erano partiti con la convinzione di poter risolvere la loro dipendenza dal petrolio costruendo tante centrali nucleari (in Giappone sono circa 55 centrali di diversa grandezza), tuttavia ancora oggi continuano a dipendere fortemente sia dal petrolio che dal gas.

Le centrali nucleari attuali, contrariamente a quella di Chernobyl, sono sicure? Probabilmente si, ma realmente non lo sono. Proprio perché è soprattutto sulle Centrali Nucleari che la teoria del “Cigno Nero” o del “Cigno Grigio” è fortemente applicabile e ciò dovrebbe invitarci alla prudenza: La probabilità che un evento qualsiasi posso portarci ad un nuovo disastro nucleare esiste ed è sempre alta in quanto un qualsiasi evento pur essendo a bassissima probabilità, il suo potenziale di danno è altissimo e estremamente costoso. Il rischio di catastrofe nucleare a Fukoshima esiste, intanto sono due le centrali che non riescono a raffreddare il reattore, una delle quali ha già avuto un esplosione ed un incremento delle radiazioni; riporto dal Corriere della Sera online di oggi “… l'esplosione sarebbe stata molto più potente delle iniziali stime, al punto che si sarebbe polverizzata la gabbia di esterna di contenimento di uno dei reattori. Il tetto e parte delle mura dell'edificio sono crollate e alcuni operai sarebbero rimasti feriti”. Eppure si tratta di Centrali a prova di sisma.

Mi permetto un ultimo argomento a sfavore delle Centrali Nucleari. Il reattore nucleare deve essere raffreddato e questo si fa prima di tutto con l’acqua (i refrigeranti sono costosissimi e vanno bene per le emergenze come è il caso di Fukoshima”. Si stima che un impianto da 1000 Megawatt (Caorso era da 830 Megawatt) richiederebbe per il raffreddamento quasi un terzo dell’acqua che scorre nel Po a Torino.
L’Italia non è immune da “Cigni Neri” e non è nemmeno capace di prevenire o minimizzare gli impatti di un evento “considerato improbabile” cioè non è capace di trasformare un cigno nero in un cigno grigio. Questo è un motivo in più per riflettere ed essere molto cauti.

venerdì, marzo 11, 2011

Un pò di sana dietrologia

Con il titolo “L’enigma del prezzo della benzina”, Vittorio Carlini ha scritto un articolo sul sito del Sole 24 Ore in cui si domanda se i rincari dei carburanti di questi giorni siano giustificati dalle condizioni di mercato, in particolare dalla crisi scoppiata nel Nord Africa.

Per rispondere, cita lo studio settimanale di Nomisma Energia, che scompone il prezzo ottimale del litro di benzina italiana del 28 Febbraio scorso in 53,08 centesimi (circa il 35%) relativi al Platts, cioè il valore del petrolio raffinato sui mercati internazionali, in 15,05 centesimi (circa il 10%) per il margine medio lordo, cioè l’utile delle compagnie petrolifere, in 81,3 centesimi (circa il 55%) per la somma di accise e IVA, cioè le tasse incamerate dallo Stato. Il prezzo complessivo giudicato ottimale risulta quindi di poco superiore a quello medio effettivo e, come si vede nel grafico allegato, nel caso del gasolio, addirittura inferiore.

A questa valutazione ne aggiungo personalmente un’altra. Nello stesso giorno, il barile di petrolio Brent valeva 113,64 $/barile, cioè 82,64 €/barile che, effettuando semplici conversioni, corrisponde a 51,75 cent.€/l. Ripetendo le stesse operazioni per il WTI, otteniamo 44,42 cent.€/l. Valori che mi paiono del tutto compatibili con quelli leggermente più alti del Platts, che comprende ovviamente i costi di trasporto e raffinazione.
Quindi sembrerebbe tutto abbastanza regolare.

Ma, a questo punto, il giornalista da la parola al presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, che infatti sposta il problema, dalla filiera finale dei carburanti, al prezzo di mercato del barile di petrolio, affermando che “il greggio di buon livello, per esempio dell'Algeria, ha un costo industriale di estrazione di circa 3 dollari al barile. A questi, se ne devono aggiungere altri 2 per il trasporto verso la raffineria, la quale ne spenderà circa 3 nella realizzazione dei diversi derivati del barile. In totale siamo a 8 dollari al barile che, se calcolato in Platts, significa un prezzo di 3 centesimi al litro». Cioè, a livello puramente teorico, il prezzo del carburante sui mercati internazionali definito attraverso i soli costi industriali è a un livello infinitesimamente minore di quelli del Platts.”
Quindi, Tabarelli ne deduce che la parte più rilevante della quotazione petrolifera è attribuibile alla rendita pagata ai paesi produttori e, ci risiamo, alla speculazione finanziaria, la misteriosa cospirazione a cui i disinformati ma finti furbi italiani hanno ormai deciso di attribuire tutte le responsabilità dei prezzi alla pompa.

A questo punto è lecito domandarsi come fa il presidente di Nomisma a non sapere che per valutare il prezzo industriale del petrolio occorre considerare la somma del costo di estrazione medio e del costo di esplorazione e sviluppo dei giacimenti, il cui valore è di molte volte maggiore di quello da lui indicato. E come fa a non sapere che il costo marginale per rinnovare produzione e riserve, cioè quelle più onerose, è oggi superiore agli 80 dollari al barile.

Non ci resta quindi che chiederci perché tanti giornalisti, economisti, esperti, continuino a disinformare e confondere l’opinione pubblica su una materia così cruciale, e perché un’istituzione come l’Agenzia Internazionale per l’Energia si ostini a minimizzare il problema della reale disponibilità di risorse petrolifere.

Il presidente di ASPO internazionale ritiene che questi comportamenti siano dettati dalla volontà di non creare il panico nei mercati e nell’opinione pubblica. Può darsi, a me, molto più prosaicamente, questa domanda ne fa scattare un’altra, quella resa celebre da Medea: “CUI PRODEST?”

giovedì, marzo 10, 2011

Spam e moderazione sul blog di ASPO-Italia

Nota per i lettori

C'è stata un po' di confusione nei commenti del post precedente: un commentatore che si firma "Enrico" ha inviato almeno cinquanta messaggi, monopolizzando la discussione.

Purtroppo, questo tipo di cose succedono molto di frequente nei blog con persone che - per qualche motivo - ritengono di poter imporre le loro opinioni per mezzo della sopraffazione verbale e il puro volume. Per cui, è normale che si debbano prendere dei provvedimenti per dare a tutti la possibilità di esprimere le loro opinioni in un'atmosfera serena. E' una cosa che abbiamo visto in particolare sull'argomento "clima" anche, per esempio, sul blog "climalteranti" e su "Cassandra". Lo stesso tipo di fenomeno si verifica su altri argomenti controversi, come il nucleare - come abbiamo visto su questo blog.

Quindi, abbiamo ripulito dallo spam la coda dei commenti e messo il blog in moderazione. Questo vuol dire che i commenti saranno filtrati a giudizio dei moderatori del blog. Non ci sarà nessun filtro di tipo "ideologico", passeremo commenti sia in favore che contro il nucleare o altri argomenti. L'unico metro di giudizio sarà la gestione di una civile discussione. Ovvero, ci riserviamo il diritto di "tagliare" chi monpolizza la discussione con un numero eccessivo di commenti, come pure con commenti offensivi o ripetitivi.

Ciò detto, andiamo avanti.

martedì, marzo 08, 2011

Vita operativa dei reattori nucleari

Comunemente si tende a pensare che il costo di produzione dell'energia nucleare dipenda prevalentemente dal costo di costruzione degli impianti, invece diversi sono i fattori che determinano il costo del kWh prodotto. Tra questi, molto importante è la durata della vita operativa della centrale. In questo affascinante articolo, Domenico Coiante, dall'alto della sua esperienza di fisico ricercatore e dirigente per 35 anni presso l’Enea, non solo fa luce su questo aspetto cruciale della questione, ma ci racconta anche una parte forse poco conosciuta della storia energetica nazionale.


Scritto da Domenico Coiante

Costo del kWh e vita operativa

Nella stima del costo del kWh prodotto nelle centrali elettriche ha un ruolo fondamentale la durata del funzionamento in piena efficienza degli impianti di produzione. Questo periodo temporale è indicato come “vita utile” o “vita operativa”. Esso inizia al momento d’avvio dell’attività produttiva e termina quando le spese annuali di esercizio e manutenzione arrivano a superare il ricavo ottenuto dalla vendita dell’energia, (le spese di manutenzione crescono con l’invecchiamento degli impianti). Questo evento determina la chiusura definitiva delle attività.
Fissata la potenza nominale del generatore, tanto più lunga è la vita operativa quanto maggiore è la produzione energetica cumulativa. Quindi, a parità di costo della centrale, il costo dell’unità di energia prodotta sarà tanto più basso quanto più lunga è la sua vita operativa.

I reattori nucleari di I e II generazione erano progettati per una vita operativa di 30 anni, la stessa degli impianti termoelettrici tradizionali. L’ammortamento della spesa per gli impianti era spalmato sull’intera vita operativa e ciò determinava, attraverso il tasso di sconto vigente, il costo di produzione del kWh. Pertanto, le condizioni esistenti, sia per il costo della centrale, sia per le incentivazioni governative, congiuntamente alla vita operativa di almeno 30 anni, garantivano la competitività del nucleare sul mercato elettrico dominato dalla produzione termoelettrica convenzionale.

Per lo meno ciò è stato vero fintanto che è esistito il mercato parallelo, militarmente protetto, del plutonio estratto dagli elementi di combustibile bruciato. I proventi del plutonio, come sottoprodotto della produzione atomica pacifica, ammontavano in quegli anni a circa 30 $/g e questo prezzo d’acquisto da parte del governo USA era così alto da rappresentare per le imprese nucleari la “fonte più alta di profitto” (Loizzo, 1994). Ricordo che con il plutonio si sono realizzate nei Paesi Alleati (ed ex Alleati) migliaia di testate nucleari durante il periodo della guerra fredda. La quota di ricavo proveniente dalla vendita del plutonio costituì il sussidio principale di sostegno al costo del kWh nucleare fino al 1977. In quell’anno il Presidente J. Carter, preoccupato per la proliferazione atomica, fece approvare dal Congresso un decreto che proibiva l’estrazione del plutonio dagli elementi di combustibile bruciato. Improvvisamente, per i gestori delle centrali nucleari, venne a mancare il principale provento. Le centrali già in funzione da anni, a cui il sussidio ‘plutonio’ aveva consentito praticamente di ammortizzare la spesa di costruzione, poterono continuare a produrre i kWh in attivo, mentre, per le ultime nate, sorsero seri problemi economici. Le cose peggiorarono ulteriormente nel 1978, quando il Presidente G. Ford fece privatizzare completamente il settore dei reattori nucleari, togliendo gli altri incentivi pubblici, tra cui le garanzie governative ai prestiti chiesti per realizzare gli impianti. Per l’industria nucleare statunitense fu il blocco totale: gli ordini in itinere furono bloccati e nessun nuovo impianto fu più ordinato in USA fino ai nostri giorni. Le industrie si ridimensionarono drasticamente ed alcune sono sopravvissute approfittando di alcune realizzazioni di reattori nucleari nei paesi emergenti, principalmente Cina, India, Pakistan, Corea, dove esistevano ambigui programmi per il “nucleare pacifico”.

Anche l’Italia risentì pesantemente di questa situazione. Il programma nucleare, varato a fatica dal ministro dell’industria Donat Cattin nel 1975, che prevedeva la costruzione di 20 centrali nucleari da 1000 MW ciascuna, per un costo totale di 20000 miliardi di lire, dovette essere ridimensionato a soli 6 impianti, di cui solo due furono realizzati: Trino Vercellese e Caorso. A titolo di prova della gravità della crisi, chi scrive può ricordare che, nel giorno stesso della decisione del Presidente Ford, il corso di qualificazione sulla sicurezza dei reattori PWR della Westighouse, che si stava tenendo a Roma e a cui egli partecipava, fu interrotto bruscamente durante una lezione e tutti gli insegnanti, specialisti della ditta, furono richiamati immediatamente negli USA.

A parte la questione del plutonio, nel passaggio dai reattori della I generazione degli anni ’50-’60 a quelli della II generazione degli anni ’70 era avvenuto un notevole aumento dei costi di costruzione degli impianti, soprattutto, a causa delle esigenze di maggior sicurezza imposte dagli organismi governativi di controllo. Questi maggiori oneri erano in parte assorbiti dal grande margine di profitto, che proveniva dalla vendita del plutonio. Una volta bloccata questa fonte e liberalizzato il settore, la competitività del kWh nucleare fu fortemente compromessa. L’energia nucleare non era più a “costo così basso da non poter essere misurato”, come recitava lo slogan in voga negli anni ’50.
Arriviamo agli anni 2000, quando l’industria nucleare sopravvissuta ha iniziato ad annunciare il “rinascimento nucleare”, da realizzare con la III generazione dei reattori, quella presente, in attesa di una IV generazione ancora nella mente dei ricercatori.

Quale è la novità?
La competitività del kWh può essere recuperata, nonostante i più alti costi d’impianto dovuti alle apparecchiature dei sistemi di sicurezza, mediante una migliore efficienza di conversione ed il prolungamento della vita operativa.
Il miglioramento dei materiali e delle tecnologie ha consentito di portare la produttività annuale media della centrale dai 6500 kWh/kW degli anni ’80 a 7500 – 7800 kWh/kW attuali.
L’esperienza maturata sugli impianti della II generazione, che ormai hanno raggiunto ai nostri giorni i 30 anni di esercizio, ha dimostrato la possibilità di prolungarne la vita operativa fino a 40 anni, mentre i reattori di III generazione sono progettati con criteri tecnici tali da prevedere una vita operativa di 60 anni. Con un periodo di vita così lungo, il fattore di sconto del capitale gioca un ruolo minore e si produce l’abbassamento del costo del kWh.
Quale affidabilità ha la previsione del raddoppio della vita operativa da 30 a 60 anni?

La situazione
Innanzi tutto, cerchiamo di capire perché la vita operativa dei reattori della I e II generazione era fissata a 30 anni.
E’ noto che l’esperienza pratica, maturata in oltre un secolo di gestione degli impianti termoelettrici convenzionali, ha fissato la loro vita utile intorno ai 30 anni. Dopo questo periodo, il numero dei guasti delle parti rilevanti diventa così alto da portare il costo di manutenzione ad un valore tale da azzerare il profitto. Per questo motivo, una vita operativa di 30 anni è usualmente assunta per il bilancio economico dell’impresa termoelettrica.
Poiché un impianto nucleare, a parte il modo per scaldare il fluido termico primario, è sostanzialmente simile ad un impianto termoelettrico convenzionale, si è ritenuto che il processo d’invecchiamento dei principali componenti fosse analogo. Anzi, nel caso del nucleare, si sa che la presenza delle radiazioni neutroniche produce l’infragilimento di tutti i materiali, compreso l’acciaio. Quindi, il processo d’invecchiamento è accelerato e, di conseguenza, si sono dovuti adottare provvedimenti d’irrobustimento dei materiali per garantirsi almeno 30 anni di vita operativa. Questo ha prodotto, indipendentemente dai requisiti dei sistemi di sicurezza, un generale aumento del costo degli impianti rispetto a quelli convenzionali, ma tale aumento era compensato dal bassissimo costo del combustibile nucleare. In definitiva, i 30 anni previsti per la vita utile erano sufficienti per portare al profitto l’impresa.
Per molti reattori nucleari 30 anni sono ormai trascorsi dal loro avvio. Ci chiediamo se la previsione della vita operativa è stata rispettata.

Certo, non ci possiamo basare sull’esperienza italiana, che, a prescindere dal blocco a seguito del referendum del 1987, è stata abbastanza travagliata. Infatti, i due reattori della I generazione, costruiti alla fine degli anni ’50 ed avviati nei primi anni ’60, avevano mostrato una serie di malfunzionamenti, che difficilmente avrebbero permesso il raggiungimento dei 30 anni di vita operativa.
- Il reattore di Latina, della filiera inglese a gas-grafite, poco dopo essere stato portato alla massima potenza di 210 MW, ebbe un grave guasto a causa della dilatazione termica dei blocchi di grafite. Alcuni dadi che serravano i bulloni di contenimento della grafite saltarono via, facendo oscillare pericolosamente il nucleo del reattore e provocando l’intervento del sistema di blocco. L’esame del guasto e la sua riparazione consigliarono di esercire il reattore a potenza ridotta a 140 MW, onde impedire una eccessiva dilatazione della grafite, e così fu fatto fino al blocco del 1987. E’ chiaro che, in tali condizioni di funzionamento a regime ridotto, la vita operativa sarebbe stata poco significativa in ogni caso.
- Il reattore ad acqua bollente (BWR) da 160 MW della General Electric del Garigliano ebbe una vita altrettanto travagliata. Avviato nel 1963, il suo funzionamento fu spesso interrotto durante i primi 10 anni a causa di guasti. Chi scrive partecipò, come addetto ai controlli governativi previsti dalla legge, alle diverse ispezioni dei sistemi di sicurezza a seguito della richiesta del rinnovo decennale della licenza d’esercizio. Assieme ad alcuni malfunzionamenti di scarso rilievo, si scoprì in quella occasione una perdita di vapore radioattivo da parte di una saldatura del bocchettone d’uscita di uno dei circuiti primari. La successiva verifica a tutti gli altri bocchettoni mise in evidenza la presenza di cricche nelle saldature, da cui ancora non usciva vapore. Una indagine fatta in Germania, su alcuni impianti uguali a quello del Garigliano, permise di accertare il verificarsi di guasti simili. Le stime tecniche ed economiche fatte dall’ENEL dimostrarono la non convenienza di riparare i guasti e, pertanto, fu presa nel 1981 la decisione di spegnere il reattore. Quando fu deciso il blocco del nucleare per il referendum del 1987, il reattore del Garigliano era già spento da anni. La sua vita operativa, a voler essere ottimisti, è stata di circa 15 anni.
- Gli altri due reattori, quello PWR di Trino Vercellese da 260 MW e quello BWR di Caorso da 860 MW furono spenti per decisione politica nel 1987, rispettivamente dopo 25 e 12 anni di funzionamento.

Vediamo, pertanto, se possiamo sostenere la fiducia nella previsione di 60 anni di vita con altri elementi sperimentali provenienti da una base significativa allargata nel mondo.
La seguente tabella, pubblicata dalla World Nuclear Association (WNA, 2010), fornisce l’elenco di tutti i reattori che sono stati spenti finora per raggiunti limiti d’età (perché divenuti non economici).
Come si può costatare, la grande maggioranza di questi 95 reattori è entrata in servizio negli anni ’60 e un piccolo numero di essi è stato avviato nei primi anni ’70.
Il grafico di Fig.1 riporta gli stessi dati della tabella in forma di distribuzione del numero di reattori rispetto alla vita operativa.

Il valore della media aritmetica della vita operativa, calcolato per l’intera distribuzione, è di 23,1 anni.
Osservando l’istogramma, si nota un gruppo di casi che si addensano nei primi 7 anni della scala. Si tratta quasi sempre di casi relativi a reattori sperimentali prototipi, che non hanno dato luogo a filiere industriali. Eliminandoli dalla base per la media perché si tratta di casi non significativi, il valore della media sale a 26,8 anni. Non possiamo, tuttavia, concludere che la vita operativa dei reattori della I e II generazione sia questa, perché non sappiamo quanti altri impianti, avviati negli anni ’70, siano ancora in funzione. Ad esempio, osservando il lato destro del grafico, possiamo vedere che una decina di reattori hanno operato per oltre 40 anni; ce ne potrebbero essere altri, entrati in servizio alla fine degli anni ’70 prima del blocco, che ancora sono in esercizio e che potrebbero portare la media della vita operativa ad un valore più alto.

Il grafico di Fig.2, sotto riprodotto da un recente rapporto dell’IAEA (IAEA, 2009), è molto interessante. Esso mostra chiaramente che la maggior parte dei reattori in funzione ha un’età compresa fra i 20 e i 30 anni e che un altro consistente gruppo è in servizio da 30-40 anni. Andando indietro nel tempo, il primo gruppo è entrato in servizio nella decade 1980-1990 e, secondo il grafico, ha statisticamente ancora davanti a sé un periodo di vita di un’altra decina di anni, mentre il secondo, che è stato avviato nella decade precedente 1970-1980, non ha più un futuro (sempre in termini statistici).
Praticamente non ci sono più in servizio reattori d’età superiore a 40 anni, cioè costruiti ed avviati prima del 1970.

Conclusione
La conclusione, che si può trarre da questi dati sperimentali, è che la vita operativa effettiva si possa collocare con buona certezza al valore assunto dei 30 anni e che l’estensione a 40 anni, per i reattori di tecnologia più recente, sia probabilisticamente accettabile.
Per quanto riguarda l’ulteriore estensione a 60 anni, non si ha alcun riscontro nei dati sperimentali.

Riferimenti
- Loizzo P., 1994, Le centrali nucleari, ovvero il diavolo che non c’è, Ed. Monteleone, Vibo Valentia 1994, p.98
- WNA, 2010, Decommissioning Nuclear Facilities, www.world-nuclear.org/info/inf19.html
- IAEA, 2009, Power Reactor Information System, www.iaea.org/programmes/a2