giovedì, giugno 30, 2011

Tav e opposti estremismi

L'Italia è il paese degli opposti estremismi, cioè della frequente contrapposizione su tematiche cruciali di posizioni ideologiche radicalmente divergenti. E' ciò che sta avvenendo anche sul fronte del progetto di treno ad alta velocità tra Torino e Lione in Francia.

Da una parte abbiamo politici come l'ex Sindaco del capoluogo piemontese, Chiamparino, che dalle pagine di Repubblica pone un discrimine netto tra i favorevoli alla crescita economica e i fautori della decrescita per giustificare il proprio sostegno alla TAV. Si tratta evidentemente di un keinesismo rozzo e di una visione paleoindustriale, degna di un politico dell'800.
Ma anche dalla parte degli oppositori all'opera mi pare che si possa intravedere un furore ideologico di segno opposto non commisurato all'effettiva dimensione e gravità del problema.

Ciascuno dei due schieramenti ha ovviamente posizioni diverse sull'effettiva esistenza dei flussi di traffico (merci e passeggeri) che giustifichino la realizzazione dell'infrastruttura. Non è mia intenzione entrare in questa sede nel merito di queste opposte valutazioni.
Voglio solo delineare un aspetto del problema che mi pare venga trascurato nelle analisi dei contrari alla TAV. Cioè la netta e incontrovertibile superiorità sul piano energetico ed ambientale del trasporto ferroviario rispetto a quello aereo.

Il grafico allegato, tratto dallo studio di un'Università finlandese è uno di quelli che ho presentato nella mia relazione all'ultimo congresso di Aspoitalia, tutti attestanti i minori consumi energetici dei trasporti su ferro rispetto agli altri mezzi di trasporto motorizzati.
In particolare, si può notare che i consumi energetici specifici (MJ/passeggeri*km) dei vari mezzi di trasporto sono stati calcolati sull’intero ciclo di vita, con una suddivisione delle componenti di tale valore molto articolata. La scomposizione comprende infatti, l’energia usata per la costruzione e manutenzione dell’infrastruttura, quella per la costruzione del veicolo, quella per la produzione e distribuzione dei combustibili e infine quella per l’esercizio del servizio di trasporto.

Ebbene, si può vedere come i consumi specifici degli aerei siano da 6 a 8 volte superiori a quelli dei treni ad alta velocità. Anche volendo ammettere che, nel caso specifico della Torino - Lione, la costruzione dell'opera prevalentemente in galleria possa aumentare i consumi energetici complessivi dell'alta velocità, è praticamente impossibile che questo fattore possa determinare un ribaltamento della convenienza energetica.

Ora, non c'è dubbio che per tempi di percorrenza delle tratte non superiori alle 3-4 ore, l'alta velocità ferroviaria è in grado di sottrarre fette via via più consistenti di passeggeri al trasporto aereo e i dati Enac dimostrano che tra Milano - Torino e Lione - Parigi esista attualmente un bacino annuo di spostamenti corrispondente a circa 1.200.000 passeggeri. Se poi consideriamo che il picco del petrolio e l'aumento dei prezzi petroliferi determineranno inevitabilmente la riduzione della domanda di trasporto aereo e una crescita delle relazioni commerciali tra l'Italia e i paesi limitrofi come Francia e Spagna, ecco che la nuova infrastruttura ferroviaria potrebbe risultare meno cervellotica e inutile di quanto la si voglia far apparire.



mercoledì, giugno 29, 2011

Effetto del fotovoltaico sulla bolletta elettrica

Il fotovoltaico ha fatto negli ultimi tempi notevoli passi in avanti nella competitività economica rispetto ad altre fonti energetiche, ma occorre anche valutare il costo a carico del sistema elettrico nazionale legato alla necessità di impegnare alcune centrali elettriche convenzionali al minimo della potenza per rispondere velocemente a brusche variazioni di potenza rinnovabile. In questo puntuale articolo, disponibile anche sul sito di Aspoitalia, Domenico Coiante mette nel conto del kWh fotovoltaico anche questo fattore.

Scritto da Domenico Coiante


Introduzione


Tempo addietro è comparsa sulla stampa la notizia che nei prossimi 20 anni il fotovoltaico e le altre fonti rinnovabili e assimilate con le loro incentivazioni costeranno complessivamente agli utenti sulla bolletta elettrica circa 120 miliardi di euro, cioè circa 6 miliardi all’anno. Naturalmente, la notizia ha suscitato allarme e indignazione nell’opinione pubblica con pesanti pressioni presso il governo perché provvedesse a ridurre i sussidi in particolare al fotovoltaico, indicato erroneamente come il principale responsabile delle enormi spese. Questo clima d’allarme ha prodotto come risultato il decreto ministeriale del 4° Conto Energia con tariffe incentivanti più basse del 20-25% rispetto alle precedenti e smorzate progressivamente nel tempo per i nuovi impianti.


Proviamo a verificare le cifre di questo allarme. Nel 2010 la potenza fotovoltaica, complessivamente istallata, era di 3470 MWp (leggere qui). Fissiamo l’attenzione su questi impianti e seguiamone la produzione energetica nel tempo. La produttività media degli impianti in Italia è di circa 1200 kWh/kW, per cui saranno prodotti annualmente circa 4,2 TWh fotovoltaici, a cui sarà attribuito un incentivo totale (tariffa media tra le varie tipologie d’impianto = 300 €/MWh, CE vigente nel 2010) di circa 1,26 miliardi di €/anno per i prossimi venti anni. Anche se la potenza prevista dal piano governativo aumenterà di ulteriori 3000 MWp nei prossimi anni, siamo ben lontani dalla cifra che è stata sbandierata. In ogni caso, nei vari commenti che hanno accompagnato la campagna di stampa è passata per vera l’affermazione che le incentivazioni fanno salire la bolletta elettrica degli utenti in misura pari alla loro entità. Ed è soprattutto questo concetto che ha provocato la reazione indignata dell’opinione pubblica. Si è trattato di un tipico equivoco dovuto alla cattiva informazione, poiché, come già un altro lavoro ha cercato di chiarire (leggere qui), il peso delle incentivazioni si traduce in bolletta mediante un meccanismo indiretto, che ne attenua l’effetto, potendo arrivare in qualche caso addirittura ad abbassarne il costo.
In questo lavoro proveremo a verificare i risultati precedenti, utilizzando un modello di riferimento più completo, in modo da approssimare meglio l’impatto sulla bolletta delle incentivazioni erogate ai produttori fotovoltaici.

Prezzo del kWh in rete
Il grafico di Fig.1 rappresenta l’andamento tipico del prezzo di acquisto del kWh da parte della rete elettrica nazionale in un giorno feriale, nella fattispecie martedì 3 maggio 2011.

Quel giorno, il prezzo è variato da un minimo di 47 €/MWh nelle ore notturne fino ad un massimo di circa 99 €/MWh nelle ore di punta della mattina. Il prezzo medio è stato di 72 €/MWh (linea nera orizzontale). Per questioni esemplificative, che appariranno chiare in seguito, supponiamo che, in quel particolare giorno, il contributo da parte dei sistemi fotovoltaici sia stato praticamente trascurabile.
La successiva Fig.2 mostra il grafico corrispondente dei volumi di MWh scambiati sul mercato elettrico nello stesso giorno.

Si vede chiaramente come il prezzo possa variare seguendo il volume delle vendite, che, a sua volta, è determinato dal tracciato orario della richiesta di elettricità degli utenti. Questa è stata massima, intorno ai 43000 MWh, nelle ore di punta e minima, intorno ai 26000 MWh, nelle ore notturne. In ogni caso, la richiesta oraria d’elettricità non è scesa mai sotto i 26000 MWh.
Si possono identificare tre fasce di richiesta, che si sovrappongono nel corso della giornata. La prima è quella sempre presente di circa 26000 MWh, che costituisce il cosiddetto carico di base. A questa si va a sommare gradualmente, a partire dalle prime ore della mattina, una fascia intermedia, detta del carico medio, a cui si sovrappongono i picchi di richiesta della mattina e del pomeriggio, detti carichi di punta.
Responsabile di far combaciare nel tempo la fornitura d’elettricità con le esigenze degli utenti è il Gestore dei Sistemi Elettrici (GSE), a cui è affidato il sistema d’immissione nella rete elettrica nazionale e di regolazione dei flussi d’energia provenienti dai vari generatori in connessione. Nell’odierna situazione di liberalizzazione, gli impianti di produzione elettrica sono di proprietà privata, mentre la rete di distribuzione ed i sistemi di smistamento (dispacciamento), misurazione e controllo del flusso energetico sono rimasti pubblici. Dal GSE, sotto la supervisione dell’Autorità per l’Energia Elettrica e per il Gas, dipende anche la fatturazione dei costi sostenuti dall’intero sistema elettrico nei confronti dell’utente finale, cioè la determinazione delle varie voci di spesa presenti nella bolletta degli utenti.


Per capire, grossolanamente, come avviene l’intero processo, conviene far riferimento allo schema sommario, riprodotto in Fig.3. Esso è basato, per semplicità, su un’analogia idraulica dei flussi energetici. La rete di distribuzione è schematizzata in un solo blocco, a cui affluiscono i contributi dei diversi tipi di generatori e da cui si diparte l’elettricità diretta alle varie utenze, anch’esse rappresentate da un solo blocco.




Partiamo dagli utenti. I dati della richiesta di energia pervengono istante per istante al sistema di controllo e dispacciamento, che provvede a regolare i “rubinetti” d’immissione nella rete elettrica dei flussi d’energia provenienti dai generatori convenzionali, attingendo da quelli dedicati rispettivamente alle diverse fasce di richiesta del carico. Per lo scopo di questo lavoro, come si capirà meglio nel seguito, l’idroelettrico, il geotermoelettrico e le biomasse sono considerati all’interno dei blocchi rappresentativi dei generatori convenzionali delle due fasce più alte, in quanto si tratta di sorgenti di energia programmabili, non casualmente intermittenti.
I flussi provenienti dai generatori fotovoltaici e dalle altre nuove fonti rinnovabili intermittenti sono immessi direttamente in rete senza subire alcuna modulazione perché godono per legge della priorità di dispacciamento.
Il sistema di controllo fa in modo che l’energia totale immessa in rete corrisponda istante per istante a quella richiesta dagli utenti nell’arco della giornata ed è per questo che, oltre a regolare i “rubinetti”, esso programma fin dal giorno prima l’istante d’accensione dei vari generatori e la durata del loro intervento. Risulta, perciò, definita fin dal giorno prima la quantità di kWh che ciascun generatore dovrà fornire ed è stabilito, mediante gara al ribasso1 il prezzo della fornitura. Questo tipo di trattative si svolge il giorno prima della fornitura ed è detto perciò “mercato del giorno prima”. Vengono abilitati a fornire energia quei generatori che offrono il prezzo più basso1.
Un altro aspetto importante, di cui si deve tenere conto, è che gli utenti non solo richiedono la quantità di energia di cui abbisognano, ma chiedono anche che tale energia sia fornita a tensione e frequenza costanti. Detto in altri termini, essi richiedono anche la garanzia del mantenimento, da parte della rete, del livello di potenza.
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1Nota
In realtà, nel Mercato Elettrico italiano viene usato il sistema di aggiudicazione detto del “prezzo marginale”, le cui modalità sono abbastanza complicate da spiegare e che non premiano il prezzo più basso in assoluto. Tuttavia, i termini imprecisi qui usati rendono concettualmente più immediata la comprensione del meccanismo d’azione dell’offerta di energia rinnovabile sulla formazione del prezzo. Per chi ne volesse sapere di più sul funzionamento del mercato elettrico consigliamo la lettura edificante del cap.2 del testo di S. Zabot e C. Monguzzi intitolato “Illusione Nucleare”, Ed. Melampo 2011

La bolletta elettrica


Entriamo ora nei particolari fissando la nostra attenzione sulle ora di punta mattutina. Dal grafico di Fig.2 si può vedere, ad esempio, che alle 11 di mattina la richiesta d’energia è: E11 = 43000 MWh. Il GSE dovrà pertanto provvedere ad acquistare questa quantità di energia dai produttori con i quali ha stabilito contratti di fornitura già dal giorno prima. Dovrà anche assicurare agli utenti un livello di potenza adeguato, che durante l’ora di fornitura sarà pari ad almeno P11 = 43000 MW, misurati in totale sulle apparecchiature di utenza. Naturalmente la potenza complessiva dei generatori a “bocca di centrale” sarà un po’ più grande di questo valore dovendo tenere conto degli autoconsumi degli impianti e delle perdite di trasmissione fino agli utenti.
Per comodità esplicativa, supponiamo che si verifichi il caso limite peggiore: in quel momento il cielo è nuvoloso su tutta l’Italia e non tira vento. Segue che tutta l’energia richiesta dovrà essere fatta affluire attingendola dai generatori delle tre fasce, perché dalle fonti rinnovabili intermittenti non giunge alcun kWh (o molto pochi).
La spesa per l’acquisto dell’energia sostenuta dalla rete durante quell’ora sarà pertanto:

S11 = V11*E11

Dove V11 è il prezzo unitario, mediato rispetto ai contributi delle tre fasce, pagato dalla rete ai produttori così come è stato fissato dall’asta del giorno prima e come risulta dal grafico di Fig.1.
A questa spesa occorre aggiungere la quota oraria dei costi di gestione dell’intero sistema della rete, che indicheremo come G11, cosicché avremo per la spesa totale oraria ST11:

ST11 = S11 + G11 = V11*E11 + G11

Il recupero di questa spesa avviene mediante l’emissione della bolletta elettrica a carico di tutti gli utenti, a cui pertanto il kWh consumato nell’ora considerata viene a costare (tasse ed altri balzelli esclusi):

CkWh(h 11) = ST11/E11 = V11 + G11/ E11

Quindi, ora per ora, il costo del kWh in bolletta agli utenti è determinato dal prezzo pagato dalla rete ai produttori più la quota aggiuntiva di rimborso delle spese di gestione del sistema elettrico. Poiché il prezzo orario, V, varia a seconda dell’andamento della domanda e dell’offerta sul mercato elettrico, il costo del kWh per l’utente varia di conseguenza. Il costo giornaliero medio si ottiene dalla somma dei costi orari mediata sulle 24 ore.

Effetto dell’energia intermittente sul prezzo


Siamo ora in grado di osservare che cosa avviene per l’immissione dell’elettricità intermittente nella rete elettrica.
Cominciamo dal mercato del giorno prima. Pur essendo aleatoria la quantità esatta di energia che potrà arrivare dalle fonti rinnovabili, potremo tuttavia predire con una certa probabilità di successo l’immissione in rete di un quantitativo d’elettricità oraria sulla base delle previsioni meteorologiche.
Quindi, essendo prioritaria l’accettazione in rete di questo quantitativo, la domanda d’energia rivolta ai generatori convenzionali sarà più bassa che nel caso precedente. Di conseguenza, il prezzo d’acquisto che emergerà dalla contrattazione sarà generalmente minore.
Per comodità d’esposizione, fissiamo l’attenzione sulle ore 11 del picco mattutino e supponiamo il caso migliore: giornata limpida e assolata, ma non ventosa. In tali condizioni, la maggior parte della potenza fotovoltaica sarà a pieno regime e quindi ci sarà un rilevante afflusso d’elettricità da parte di questa fonte con energia e potenza, che indicheremo rispettivamente con Everde e Pverde.
La richiesta del carico è rimasta quella del caso precedente: energia totale = E11, potenza complessiva = P11. Ora però tale richiesta viene soddisfatta da due contributi:

E11 = Everde + Erossa
P11 = Pverde + Prossa

Dove Erossa e Prossa sono rispettivamente le quantità di energia e di potenza provenienti dai generatori convenzionali.
Ricordiamo che ci troviamo in pieno periodo di punta. Quindi, come sopra accennato, la presenza della quantità Everde ha causato una significativa riduzione della richiesta di elettricità “rossa”. Il volume dell’offerta da parte dei generatori convenzionali è restato pressappoco invariato, per cui il calo della domanda si traduce in un abbassamento del prezzo precedentemente pagato dal GSE, che in queste ore raggiungeva il massimo di 99 €/MWh.
Supponiamo che il nuovo prezzo pagato per l’energia sia divenuto ora V11’, con (V11’ < V11).


La spesa per l’acquisto dell’energia da parte della rete diviene:


S11’ = V11’*Erossa + (V11’+ Vinc)*Everde


Dove Vinc è il costo unitario dell’incentivo governativo erogato ai produttori.


La spesa totale sostenuta dal GSE, ( ST’), sarà:


ST11’ = V11’*(Erossa+ Everde) + (Vinc)*Everde + G11’


Dove, come vedremo, anche il costo di gestione della rete assume un valore, G11’, diverso dal caso precedente a causa della presenza delle fonti rinnovabili intermittenti.


Il nuovo costo del kWh in bolletta varrà:


CkWh’ = (ST11’/E11) = V11’ + (Vinc)*(Everde/E11) + (G11’/ E11)


A questo punto sorge la domanda: “Questo nuovo costo sulla bolletta degli utenti è maggiore o minore del caso precedente?” In altri termini: “Quanto costa realmente agli utenti la presenza delle fonti rinnovabili intermittenti in rete?”


Confrontiamo la spesa sostenuta dalla rete in assenza di contributo verde con quella in presenza del contributo verde valutando le condizioni perché le due grandezze siano uguali.


V11’*E11 + (Vinc)*Everde + G11’ = V11*E11 + G11


Cominciamo con introdurre un’ipotesi grossolana esemplificativa. Supponiamo in prima approssimazione che i costi di gestione della rete siano uguali nei due casi. Cioè:


G11 = G11’


Allora potremo scrivere:


(V11- V11’)*E11 = (Vinc)*Everde


Il primo termine dell’uguaglianza rappresenta il risparmio di spesa dovuto all’effetto di abbassamento del prezzo per la presenza del fotovoltaico, il secondo termine è invece la spesa totale sostenuta per le incentivazioni. Pertanto, i due termini si equivalgono solo se il differenziale di prezzo raggiunge il valore:


§V = (V11- V11’) = (Vinc)*(Everde/E11)


In questo caso, il recupero di valore sull’acquisto dei kWh permette di compensare la spesa sostenuta per le incentivazioni e questa voce di costo non grava per nulla sulla bolletta degli utenti. Naturalmente, se il valore recuperato fosse minore, rimarrebbe una parte di spesa per le incentivazioni da recuperare in bolletta, ma si tratterebbe comunque solo di una parte perché è innegabile che la presenza dei kWh fotovoltaici produce l’effetto di abbassamento del prezzo di mercato. Con tutta la cautela dovuta alla schematizzazione del caso, proviamo a mettere alcuni dati nelle formule. Secondo i dati del GSE, la potenza fotovoltaica, istallata nel 2010 era rispettivamente di 3470 MWp. Alle 11 di mattina del nostro giorno assolato del 2011, possiamo supporre che tutta questa potenza stia lavorando al massimo e che, quindi, nell’ora indicata sia immessa in rete una quantità di energia fotovoltaica Everde = 3470 MWh.


Dato che la richiesta oraria totale è di 43000 MWh, il rapporto (Everde/E11) = 0,087. Inoltre, dal grafico di Fig.1 sappiamo che V11 = 99 €/MWh, mentre per l’incentivo assumiamo un valore medio del CE di circa 300 €/MWh. Avremo:


§V = (Vinc)*(Everde/E11) = 300*0,087 = 26,1 €/MWh Cioè:


V11’ = (V11 - 26,1) = 72,9 €/MWh


Come si può vedere, questo valore è più alto del prezzo della fascia del carico di base (47 €/MWh) ed è all’incirca vicino al prezzo della fascia del carico medio. Se il nuovo prezzo spuntato dal GSE nell’asta del giorno prima fosse pari a questo valore, ne seguirebbe che la bolletta degli utenti non si accorgerebbe della presenza delle incentivazioni. In pratica, il ribasso causato dalla presenza del fotovoltaico pareggerebbe il costo delle incentivazioni. Se poi il GSE riuscisse a spuntare un prezzo di acquisto più basso, allora il nuovo costo in bolletta per gli utenti sarebbe più vantaggioso. Solo nel caso in cui il prezzo d’acquisto fosse più alto di 72,1 €/MWh, allora la bolletta degli utenti aumenterebbe a causa della presenza delle incentivazioni, ma in misura minore del valore dei sussidi, a meno di non voler negare completamente l’effetto calmierante dell’immissione in rete dell’energia fotovoltaica.


Incremento del costo di gestione della rete


Il conto che abbiamo svolto attiene ad una sezione oraria dell’andamento giornaliero del diagramma di carico. Esso ha riguardato soltanto ciò che può accadere in una particolare ora della mattina e l’estensione all’intera giornata non è affatto semplice ed ancora più complicato è ripetere il calcolo nel corso dell’intero anno. Tuttavia, l’aspetto parziale esaminato ci ha consentito di acquisire il concetto fondamentale che il ruolo economico delle incentivazioni è più complesso del puro aspetto aritmetico finora dato per scontato. Una trattazione più completa di questo argomento può essere letta nel lavoro già citato di F. Meneguzzo. Sempre nei limiti della nostra schematizzazione, esaminiamo ora un aspetto che può contribuire a chiarire meglio la situazione, completando l’analisi precedente. Vediamo come il risultato può cambiare in relazione al ruolo che possono giocare i costi di gestione della rete nel caso della presenza delle fonti intermittenti. In altri termini, nel caso reale, l’ipotesi assunta sopra (G11 = G11’) non è vera. Purtroppo, in pratica, si verifica che:


G11’ > G11


Cioè, la presenza delle fonti intermittenti aumenta le spese di gestione della rete.
La spiegazione rigorosa di questo effetto, da sola, richiederebbe una trattazione lunghissima. Per il nostro scopo, ci basta sviluppare alcune considerazioni qualitative. Nel funzionamento normale della rete, quando non sono presenti fonti intermittenti, il gestore è particolarmente attento al caso delle fluttuazioni impreviste dei carichi, a cui egli deve comunque far fronte modulando opportunamente la potenza dei generatori veloci al fine di assicurare agli utenti il livello costante di potenza. Per tale motivo, alcuni generatori sono fatti lavorare al di sotto della loro massima potenza, tenendoli ad una quota percentuale più bassa rispetto al massimo. Ciò implica che la richiesta normale del carico è soddisfatta lasciando un margine di potenza pronta, ma non sfruttata, detta margine di riserva, in modo che, all’occorrenza, sia possibile fronteggiare eventuali richieste improvvise del carico facendo ricorso a tale margine. In condizioni normali, la riserva di potenza non produce kWh, ma contribuisce ugualmente ai costi fissi di produzione che il GSE deve riconoscere ai produttori elettrici. Per tale motivo, il margine di potenza è tenuto sempre al minimo possibile, in pratica esso può arrivare intorno al 3-5%.
Questo costo è considerato all’interno del costo generale di gestione della rete e quindi, nel nostro caso orario, esso si trova all’interno del parametro G11.


La presenza delle fonti intermittenti è vista dal sistema di controllo della rete alla stessa stregua delle fluttuazioni impreviste del carico, con la sola differenza della maggiore ampiezza. Pertanto, per fronteggiare l’eventuale mancanza improvvisa della potenza intermittente, occorre aumentare adeguatamente il margine della potenza di riserva. In conclusione, la connessione in rete dei generatori intermittenti fa aumentare le spese di gestione del sistema elettrico a causa della necessità di tenere un certa quantità di potenza convenzionale attiva, ma non produttiva. La quantificazione di questo concetto è materia di accese discussioni tra i sostenitori ed i detrattori delle fonti intermittenti. La versione più svantaggiosa arriva a considerare la necessità di tenere di riserva una quantità di potenza convenzionale pari a quella delle fonti intermittenti. Senza arrivare a questo caso estremo che farebbe lievitare enormemente i costi, in ogni caso, dobbiamo ammettere che la sicurezza della rete richiede la presenza di un certo numero di generatori convenzionali veloci, tenuti in funzione e pronti a compensare eventuali mancanze improvvise della potenza immessa dalle fonti rinnovabili. La spesa dovuta ai costi fissi di tali generatori fa aumentare il costo di gestione della rete e l’incremento deve essere considerato a carico delle fonti intermittenti. Ciò ha come conseguenza che possiamo ritenere valida la disuguaglianza G11’ > G11, cosa che porta alla nuova condizione generale:

(V11 - V11’)*E11 = (Vinc)*Everde + (G11’- G11)

Il risparmio ottenuto attraverso l’abbassamento del prezzo di acquisto (primo termine) deve ora compensare, oltre alla spesa per le incentivazioni (secondo termine), anche il differenziale di spesa di gestione della rete dovuto alla presenza delle fonti intermittenti (terzo termine).
Pertanto, solo nel caso che sia valida l’uguaglianza precedente, la bolletta degli utenti non subisce una maggiorazione di spesa per la presenza delle rinnovabili e delle relative incentivazioni. Di sicuro, se questo evento aveva una certa probabilità di verificarsi nel caso particolare della parità tra i due costi di gestione della rete, ciò diviene molto improbabile nel caso più generale di maggiorazione di questo costo per la presenza delle fonti intermittenti.
La quantificazione di questa aggiunta di costo impone la conoscenza esatta oraria e giornaliera della configurazione completa della rete con il tipo ed il numero dei generatori tenuti di riserva e la programmazione del loro impiego. Purtroppo, queste informazioni non sono facilmente accessibili ai non addetti ai lavori, come noi siamo, e il loro reperimento ci porterebbe lontano dal concludere.
La conclusione di questo lavoro, sicuramente non esaustivo, suggerisce l’opportunità di analizzare più accuratamente tutti gli elementi che concorrono al bilancio costi-benefici prima di emettere un giudizio definitivo sull’interazione tra le fonti rinnovabili intermittenti e la bolletta degli utenti.

lunedì, giugno 27, 2011

Petrolio: nuova crisi finanziaria alle porte?



Prezzi del petrolio. Da "Early Warning"


Sembra concluso un nuovo ciclo dei prezzi del petrolio. Dopo che avevano raggiunto prezzi dell'ordine dei 120 dollari al barile, siamo oggi in rapida discesa con il WTI e il Nymex ben sotto i 100 dollari e il Brent poco sopra. Non è un calo contingente ma un vero e proprio crollo dei prezzi

Certamente, il recente rilascio di una certa quantità di petrolio dalle riserve strategiche USA ha influenzato i prezzi, come pure le ha influenzate la guerra in Libia, ma l'andamento dei prezzi sembra avere una sua logica che ha origini precedenti agli eventi degli ultimi tempi. In sostanza, si ripete il ciclo che abbiamo visto tre anni fa raggiungere un massimo e poi crollare.

Il ciclo è il risultato delle difficoltà produttive dovute al graduale esaurimento delle risorse a basso prezzo. Questo produce aumenti dei prezzi che vanno a compensare i maggiori costi di estrazione. Tuttavia, a lungo andare, i prezzi troppo alti distruggono la domanda nei paesi importatori. Il risultato finale è la crisi economica e finanziaria con il sistema che si riadatta a livelli di consumo inferiori. Questi ultimi anni, in effetti, hanno visto la stasi o la riduzione dei consumi nei principali paesi industrializzati

Anche se i prezzi di questo ciclo non hanno raggiunto quelli del ciclo precedente, a questo punto possiamo aspettarci conseguenze simili: una crisi finanziaria prossima ventura. Non mancano i sintomi di una crisi imminente, il crollo dei prezzi del petrolio sembra indicare che la vedremo svilupparsi in tempi brevi anche se, forse, dovremo aspettare settembre per vederne le conseguenze principali. Queste non saranno certamente piacevoli. D'altra parte, come si sa, chi non studia la storia è condannato a ripeterla e questo nuovo ciclo potrebbe essere un caso da manuale.

sabato, giugno 25, 2011

Togliete i rifiuti dalle strade di Napoli





Prima delle ultime elezioni amministrative, avevo scritto un commento al ballottaggio napoletano tra De Magistris e Lettieri, ma altre esigenze editoriali mi avevano impedito di pubblicarlo. Ve lo ripropongo a consuntivo (in verde) perchè mi pare ancora drammaticamente attuale, aggiungendo in fondo (in rosso) alcune valutazioni positive sulle prime azioni amministrative avviate dal nuovo Sindaco.

Guardate nel video uno stralcio dell'ultima puntata di Ballarò, relativamente al confronto sul problema dei rifiuti a Napoli, tra Luigi De Magistris e Gianni Lettieri, i due candidati a Sindaco passati al ballottaggio. Se non avete voglia di seguire il teatrino politico che lo precede, spostatevi al minuto 3:10.

I due candidati hanno descritto brevemente alcune proposte di gestione dei rifiuti anche condivisibili e addossato le colpe a chi gli pareva, però non hanno detto l'unica cosa che attualmente è importante per Napoli, cioè come levare immediatamente dalle strade le tonnellate di rifiuti che rappresentano un vero e proprio attentato alla salute dei cittadini e alla rispettabilità internazionale del nostro paese.

Sarebbe opportuno che prima del voto ce lo dicessero. Nel mio piccolo ho illustrato qui la situazione e spiegato che senza l'individuazione di nuovi siti di discarica qualsiasi buona intenzione gestionale sarebbe destinata al naufragio.

Dopo l'elezione quasi plebiscitaria, De Magistris ha adottato alcune scelte condivisibili e in linea con gli orientamenti annunciati. Ha nominato Raphael Rossi alla presidenza dell'azienda dei rifiuti napoletana, ASIA. Il nuovo presidente è noto per essere un esperto di raccolta differenziata porta a porta e per la sua onestà, avendo denunciato i tentativi di corruzione nei suoi riguardi durante la precedente esperienza nell'azienda torinese.

Inoltre, dopo qualche annuncio un pò ingenuo, sembra che la nuova giunta si sia orientata a trovare alcuni siti temporanei sul territorio cittadino per collocare i rifiuti ammassati nelle strade ed eliminare lo scempio quotidiano che si trascina da diversi mesi.

Staremo a vedere, ma penso che De Magistris meriti fiducia e il suo operato debba essere sostenuto.















giovedì, giugno 23, 2011

I PIGS europei dei gas serra

Qualche settimana fa ho commentato qui i dati emissivi definitivi per il 2009 per quanto riguarda la CO2 equivalente italiana, che confermano la tendenza in atto a una sensibile riduzione e che consentono, grazie agli effetti positivi della crisi economica, di raggiungere sostanzialmente l’obiettivo del Protocollo di Kyoto (- 6,5% del livello emissivo al 1990).

Ora è finalmente disponibile anche il consueto Rapporto Annuale dell’Unione Europea relativo all’inventario 1990 – 2009 dei gas serra e scopriamo altre interessanti e positive novità.
Nel primo grafico, estratto dal Rapporto, osserviamo che l’Unione Europea dei 15 (quella più dispendiosa dal punto di vista energetico) è scesa abbondantemente sotto la soglia di Kyoto con qualche anno di anticipo, attestandosi a un valore su base 100 di 87,3 contro i 92 richiesti.

Nel secondo grafico poi, scopriamo che l’Unione Europea allargata dei 27 Stati ha addirittura quasi raggiunto il nuovo obiettivo più ambizioso del 20% al 2020.
Che meraviglia. Siamo nel migliore dei mondi possibili? Evidentemente no, perché accanto ad alcuni motivi strutturali che ho descritto in questo precedente articolo, l’apporto decisivo alla riduzione delle emissioni è stato determinato dalla crisi economica iniziata nel 2008. E, infatti, il 2010 e l’inizio del 2011 sono stati caratterizzati in tutto il mondo e, in misura minore ma sensibile in Europa, da una ripresa della crescita economica (produzione industriale e consumi individuali) a cui si associano inevitabilmente maggiori consumi energetici. In Italia, ad esempio, i consumi di energia elettrica hanno parzialmente recuperato le notevoli perdite del 2009.

La mia opinione è che la contemporanea ripresa della tendenza alla crescita dei prezzi petroliferi determinerà una retroazione negativa sui meccanismi della crescita economica, anche se il sistema, avendo affrontato con una certa efficacia la crisi finanziaria del 2008, sembra assorbire meglio del passato l’aumento delle quotazioni dei prodotti energetici. Quindi è probabile che difficilmente assisteremo a una decisa inversione rispetto alla tendenza di riduzione delle emissioni. Anche perché i margini di intervento nei settori delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico soprattutto nei trasporti sono ancora notevoli (a tale proposito è molto interessante la Tabella 1 del Rapporto di sintesi che mette in evidenza la continua crescita nelle emissioni dei trasporti rispetto alla quasi totalità degli altri settori) .

Mi hanno infine sorpreso i dati della tabella 3 di sintesi dei risultati nei vari Stati europei. Curiosamente gli Stati che hanno aumentato invece di ridurre le emissioni di gas serra sono gli stessi che versano in una grave condizione delle finanze pubbliche, denominati PIGS, una parola che evoca comportamenti inquinanti, ma che in realtà è l’acronimo di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Probabilmente la correlazione tra i due eventi è legata al fatto che questi paesi hanno a disposizione minori risorse pubbliche per finanziare politiche di risparmio energetico. Però, le condizioni economiche più sfavorevoli dovrebbero anche determinare un calo dei consumi.
Spero che qualche lettore mi fornisca qualche risposta convincente a questo apparente paradosso.

martedì, giugno 21, 2011

La macchina mineraria universale

Di Ugo Bardi -traduzione di Massimiliano Rupalti






La miniera di carbone di Garzweiler in Germania in un'immagine da Google Earth. Il satellite ha colto due giganteschi macchinari al lavoro. Misurate con il righello di Google, ogni “braccio” delle macchine misura circa 120 metri (circa 400 piedi). Queste non sono macchine minerarie universali, ma danno una qualche idea della scala delle moderne operazioni minerarie. Si ritiene che la miniera di Garzweiler contenga più di un miliardo di tonnellate di riserve di carbone.


Introduzione


In una storia di fantascienza che ho avuto sotto mano molti anni fa, un gruppo di esploratori erano rimasti intrappolati in un remoto pianeta ed hanno avuto bisogno di costruire una nuova nave spaziale usando i materiali locali. Non avevano né tempo né risorse per gli scavi minerari tradizionali, così hanno costruito una “macchina mineraria universale” che estraeva elementi dalla crosta del pianeta. La macchina rompeva la roccia, la scaldava e la trasformava in plasma atomico. Gli ioni del plasma venivano accelerati e in seguito separati a seconda della massa da un campo magnetico. In entrata c'era semplice roccia ed in uscita c'erano tutti gli elementi presenti nella roccia originaria, ognuno allegramente impacchettato nella sua scatola.


Quella storia (mi pare che fosse di Poul Anderson) mi ha sempre affascinato. Perché non possiamo costruire una macchina simile qui sulla Terra e smettere di preoccuparci della fine delle risorse minerarie? Alcuni economisti sembrano pensare all'esaurimento delle risorse in questi termini, infatti, come se avessero una macchina mineraria universale pronta. Una delle dichiarazioni preferite che potete sentire su questo tema è che non esistono cose come le risorse finite. I prezzi creano le risorse a seconda di quello di cui avete bisogno. Se i prezzi sono abbastanza alti, potete sempre fare profitti anche estraendo da materiale minerale molto povero. Fino a che non resterete a corto di crosta terrestre da scavare, non esaurirete un bel niente o, al massimo, non avrete problemi per molto, molto tempo. Julian Simon, autore del libro “L'Ultima Risorsa” (1985), era forse il campione di questa scuola di pensiero. Fra le altre cose, disse che abbiamo risorse minerarie per “7 miliardi di anni” (Simon 1995).


Di recente, questo tipo di entusiasmo sull'abbondanza delle risorse sembra essere diventato meno popolare. Comunque, l'opinione generale è ancora quella ottimista, come mostrato in innumerevoli articoli della stampa popolare ogni qualvolta la questione dell'esaurimento è dibattuta. Sfortunatamente, l'idea che entità non fisiche, i prezzi, possano creare entità fisiche, le risorse minerarie, è molto problematica. I prezzi sono solo cartellini, etichette che appiccichi su qualcosa. Se hai bisogno di qualcosa non è sufficiente cambiare l'etichetta che c'è sopra; hai bisogno di energia.


L'energia è l'entità fisica che definisce cosa puoi estrarre e cosa no. Simon ed i suoi sostenitori hanno ragione nel dire che la quantità di risorse minerarie non è certa. Ma la quantità estraibile di risorse è definita non dai prezzi, ma dalla quantità di energia che puoi permetterti di impiegare per l'estrazione. E, diversamente dai prezzi, l'energia è una risorsa limitata.


In futuro, la fornitura di energia potrebbe ben diminuire al graduale esaurimento dei combustibili fossili. Se consideriamo anche i problemi del progressivo esaurimento dei bacini minerari più ricchi in densità di materiale, è chiaro che l'industria mineraria affronta una sfida formidabile. Quanto a lungo potremo continuare ed estrarre all'attuale ritmo? Saremo in grado di mantenere in opera la società industriale? Esiste qualcosa tipo “l'estrazione sostenibile”?


Queste domande sono di difficile risposta ma non possono essere ignorate a lungo. Diversi studi recenti pubblicati enfatizzano il carattere “finito” delle risorse ed i verosimili problemi che dovremo presto affrontare (Gordon et al 2006, Ayres 2007, Pickard 2007, Cohen 2007). In un recente lavoro pubblicato su “The Oil drum” Ugo bardi e Marco Pagani (2007) hanno mostrato che la produzione mineraria di diversi metalli e diversi composti hanno raggiunto il picco e sono in declino. Altri prodotti metallurgici segnano un picco imminente. Tutto ciò, naturalmente, è evidenziato anche dalla tendenza all'aumento dei prezzi di tutti i prodotti minerari negli ultimi anni. Chiaramente, non stiamo parlando di qualcosa lontano nel tempo, ma di qualcosa che potrebbe iniziare ad accadere proprio adesso.



Un esempio della curva “a campana” che descrive la produzione di alcune risorse minerali, in questo caso, piombo (Da Bardi e Pagani, 2007)


Le risorse minerarie del pianeta.

Si ritiene che la crosta terrestre contenga 88 elementi in concentrazioni che sono comprese in un dominio di almeno sette ordini di grandezza. Alcuni elementi sono definiti come “comuni”, con concentrazione oltre lo 0,1% in peso. Di questi, 5 sono tecnologicamente importanti in forma metallica: ferro, alluminio, magnesio, silicio e titanio. Tutti gli altri esistono in concentrazioni minori, a volte molto minori. La maggior parte dei metalli di importanza tecnologica sono definiti “rari” ed esistono prevalentemente in basse concentrazioni che costituisco la pietra ordinaria, vale a dire che sono dispersi a livello atomico in silicati ed altri ossidi. La disponibilità media di elementi rari nella crosta terrestre, tipo il rame, zinco, piombo ed altri, è al di sotto dello 0,01% (100 ppm). Alcuni, tipo oro, platino e rodio, sono molto rari ed esistono nella crosta in pochissime parti per milione o anche meno. Comunque, la maggior parte degli elementi rari formano anche composti chimici specifici che si possono trovare in concentrazioni relativamente alte in regioni chiamate “depositi”. Quei depositi dai quali in effetti estraiamo metalli e che si chiamano minerali.


La quantità totale dei depositi di minerale nella crosta è spesso descritta come inversamente proporzionale al grado, ovvero alla concentrazione (“La legge di Lasky”). Ciò significa che i depositi a bassa concentrazione sono molto più comuni di quelli ad alta concentrazione e contengono una quantità di materiali molto più grande. Come conseguenza, quando l'esaurimento progressivo dei minerali ad alta intensità forza l'industria mineraria a spostarsi a minerali ad intensità più bassa, avete l'effetto che la quantità di risorsa aumenti (“non esaurisci le risorse, le aumenti” come disse Odell nel 1994). Questa apparente abbondanza è una delle ragioni del grande ottimismo di alcune persone sulla disponibilità dei minerali. Sfortunatamente, questa abbondanza è un'illusione per diverse ragioni; una è che la legge di Lasky non è valida per l'intera gamma dalla concentrazione della crosta.


Secondo Brian Skinner (1976-79), la quantità di una risorsa nella crosta terrestre non è semplicemente inversamente proporzionale alla concentrazione. Piuttosto, la distribuzione è “bimodale”, cioè che c'è un grande picco per elemento come costituente a bassa concentrazione ed un picco più piccolo per lo stesso elemento in deposito. L'assenza di concentrazione nel mezzo dei due picchi è ciò che Skinner chiama la “Barriera Mineralogica”. Il concetto è mostrato nella seguente figura.

Il concetto della barriera mineralogica di Skinner. La dimensione relativa dei due picchi non è in scala.


Non abbiamo dati sufficienti per costruire un diagramma di Skinner in scala ma, per una stima approssimativa della differente grandezza dei due picchi, possiamo fare un rapido calcolo per il caso del rame. Per il picco minimo di concentrazione, possiamo dire che la disponibilità media di rame nella crosta alta è riportata essere intorno a 25 parti per milione (Wikipedia 2007). Considerata un'area terrestre di 150 milioni di kmq e una densità media di roccia di 2,6 g/cc, possiamo calcolare qualcosa come 10 trilioni di tonnellate di rame disponibili entro un km di profondità dalla superficie. Per il picco delle alte concentrazioni ci mancano i dati completi, ma possiamo considerare che l'USGS stima le risorse di rame del territorio globale in circa 3 miliardi di tonnellate. La dimensione reale dei tutti i depositi di rame esistenti è certamente maggiore, ma non dovrebbe essere lontano da quest'ordine di grandezza. Quindi, il rapporto in termini di dimensioni dei due picchi è di almeno 1 a 1000.


Ci sono delle eccezioni al modello di Skinner, l'uranio per esempio non sembra avere un doppio picco (Deffeyes 2005) e questo potrebbe essere messo in relazione alle caratteristiche chimiche specifiche degli ioni di uranio. Poi, naturalmente, i minerali comuni, ferro ad esempio, esistono in alta concentrazione su tutta la crosta e non hanno una vera barriera mineralogica. Ma la distribuzione bimodale è probabilmente la condizione generale di praticamente tutti i metalli rari.


Estrazione


Quello minerario è un processo a vari livelli. Il primo è la fase dell'estrazione, in cui il minerale viene estratto dalla terra. Poi, segue la fase di arricchimento, dove la parte utile del minerale viene separato dal rifiuto (chiamato anche “ganga”). Normalmente seguono ulteriori fasi di lavorazione; per esempio la produzione di metallo richiede una fase di riduzione ed una di raffinazione. Tutti questi passaggi richiedono energia. Per essere esatti, dovremmo piuttosto usare il concetto di “exergia” al posto di energia, ma nel contesto dell'estrazione la differenza è trascurabile.


Facciamo un esempio pratico. Oggi, estraiamo rame da risorse minerali (prevalentemente calcopirite CuFeS2) che lo contengono in concentrazioni dell' 1-2%. L'energia coinvolta nell'estrazione, lavorazione e raffinazione del metallo di rame sta in un dominioe di 30-65 megajoules (MJ) per chilogrammo (Norgate 2007) con una media riportata da Ayres (2007) di 50 MJ. Usando il valore di 50 MJ, abbiamo bisogno di circa 0,75 exajoules (EJ) per la produzione mondiale di rame (15 milioni di tonnellate/anno). Questo è circa lo 0.2 % della produzione mondiale di energia primaria (400-450 EJ) (Lightfoot 2007).


La tabella seguente elenca l'energia specifica necessaria per la produzione di alcuni metalli comuni, insieme al fabbisogno di energia per la produzione mondiale attuale.




Energia specifica e totale per la produzione di alcuni metalli. I dati sull'energia specifica provengono da Norgate e Rankin (2002). Quelli sulla produzione totale dall'United States Geological Survey (USGS) per il 2005.



Notate come la produzione mondiale dell'acciaio da sola richieda una quantità di energia (24 EJ) equivalenti a circa il 5% della fornitura mondiale (circa 400-450 EJ). Siccome fare acciaio richiede carbone, questo dato è approssimativamente concorde con il fatto che il 13% della produzione mondiale di carbone va per l'acciaio e il carbone vale circa il 25% dell'energia primaria mondiale (fonte www.worldcoal.org).


Presi insieme, questi dati indicano che l'energia totale usata per estrarre e produrre metalli potrebbe essere sull'ordine del 10% del totale. Questa stima sembra essere coerente con quella di Rabago ed altri (2001) che riporta un range del 4-7% e quelli di Goeller e Weisnet (1978) dell'8,5% per l'industria metallurgica dei soli Stati Uniti.


Affrontare la barriera mineralogica


Durante la storia dell'estrazione mineraria, abbiamo estratto minerali dai bacini ad alta densità sfruttando l'energia fornita gratuitamente da processi geochimici di un remoto passato (vedi De Wit 2005). I bacini contengono moltissima energia, generata sia dal calore del nucleo terrestre, sia dall'energia solare in combinazione con i processi biologici. La Terra è un pianeta geochimicamente vivo e l'esistenza dei bacini minerari e dei depositi è una conseguenza di ciò. Ma i processi che hanno creato i minerali sono estremamente rari ed i minerali sono una risorsa finita.


C'è poca speranza di trovare sorgenti di alta densità di minerali oltre a quelli che già conosciamo. La crosta del pianeta è stata esplorata completamente e scavare a fondo non sembra essere di aiuto, dal momento che i minerali si formano prevalentemente grazie a processi geochimici (specialmente idrotermici) che avvengono vicino alla superficie. Il fondo degli oceani potrebbe essere una sorgente di minerali (Roma 2003) ma fino ad ora non un singolo grammo di nulla è stato estratto da lì. Gli oceani stessi contengono ioni metallici ma in concentrazioni estremamente ridotte. Con la possibile eccezione dell'uranio (Seko 2003) estrarre minerali dall'acqua del mare è fuori discussione. Per esempio, tutto il rame disciolto negli oceani basterebbe per soli dieci anni della presente produzione mineraria (Sadiq 1992). Infine, c'è il vecchio sogno fantascientifico di estrarre dalla luna e dagli asteroidi. Ma se il nostro problema è l'energia, non possiamo permetterci il costo energetico di viaggiare sin là. Per di più la luna e gli asteroidi sono geochimicamente “morti” e non contengono minerali.


Inoltre, mentre continuiamo ad estrarre, non abbiamo altra prospettiva che quella di procedere progressivamente verso bacini a bassa intensità di minerale. In generale, l'energia richiesta per estrarre qualcosa da una miniera è inversamente proporzionale al grado di densità del minerale. Questo perché ci vuole dieci volte più energia per lavorare un minerale che contiene un decimo del minerale utile (Skinner 1979). Questa relazione è valida per minerali della stessa composizione che cambiano solo di concentrazione.


Potremmo anche esaurire completamente un certo tipo di minerale e dover passare a minerali di composizione chimica diversa. E' già successo in passato, ad esempio per i metalli nativi. Il ferro, ad esempio, era trovato un tempo in forma metallica, pronto ad essere forgiato, sotto forma di meteoriti. Questa sorgente è stata esaurita completamente come risorsa mineraria molto tempo fa. Cambiare minerale normalmente significa un aumento della quantità di energia richiesta per l'estrazione.


A seconda del tipo di prodotto, il cambio di densità del minerale potrebbe avere effetti notevoli, o quasi nessuno, sulla richiesta totale di energia. L'alluminio, per esempio, è un caso estremo in cui l'estrazione e l'arricchimento giocano un ruolo minore (Norgate e Rankin, 2000). Ciò non è sorprendente, considerato che estraiamo alluminio dal minerale di bauxite che lo contiene in alte concentrazioni, circa il 30-70% sotto forma di ossido di alluminio. La situazione è diversa dalla maggior parte dei metalli, dove il minerale contiene una quantità molto minore di elemento utile. L'oro è un esempio in cui quasi tutta l'energia è richiesta per l'estrazione e l'arricchimento. Il rame è un esempio di situazione intermedia dove quasi il 50% dell'energia va per estrazione ed arricchimento.


L'esaurimento dei minerali ad alta densità è un problema che, alla fine, ci porterà ad affrontare la barriera mineralogica di Skinner. La quantità di minerali dall' “altra parte” della barriera è enorme. Se potessimo riuscire ad estrarre da questa zona di concentrazione, non avremmo problemi di esaurimento per sempre o almeno per i “7 miliardi di anni” che menzionava Julian Simon. Comunque, questo richiederebbe una quantità di energia ben oltre le nostre capacità attuali.


Facciamo un calcolo approssimativo per valutare questa energia. Consideriamo il rame, ancora, come esempio. Il rame è presente in concentrazioni di circa 25ppm nella crosta superiore (Wikipedia 2007). Per estrarre il rame dalla crosta indifferenziata, avremmo bisogno di frantumare la roccia fino ad un livello atomico fornendo una quantità di energia comparabile a quella che è servita a formare le rocce stesse. In questa media, possiamo prenderla come qualcosa nell'ordine dei 10 MJ/kg. Da questi dati possiamo stimare circa 400 GJ/kg per l'energia di estrazione. Ora, se volessimo continuare a produrre 15 milioni di tonnellate di rame all'anno, come facciamo oggi, estraendolo dalla roccia normale, questo calcolo dice che dovremmo spendere 20 volte l'attuale produzione mondiale di energia primaria. I prezzi non possono rendere la roccia comune una sorgente di metalli rari, non di più di quanto la "danza dei fantasmi" non poteva rendere gli Indiani invulnerabili alle pallottole dei bianchi.


Naturalmente, questa è solo una stima rozza di ordine di grandezza. Potremmo non aver bisogno di polverizzare la pietra a livello atomico e potremmo trovare aree della crosta che contengono più rame della media. Per esempio, Skinner (1979) ha proposto che potremmo estrarre rame da un tipo di argilla chiamata biotite a che necessiterebbe di un'energia di estrazione approssimativamente 10 volte maggiore dell'attuale. Se il problema fosse solo il rame, sarebbe fattibile. Ma se dobbiamo aumentare la richiesta di energia di un fattore 10 per tutti i metalli rari, chiaramente arriviamo rapidamente a livelli che non possiamo permetterci, perlomeno oggi.


Il futuro dell'estrazione


Nel breve periodo, non sembra che dobbiamo affrontare problemi critici in termini di forniture minerali, perlomeno finché possiamo mantenere la nostra fornitura energetica stabile. Consideriamo ancora il rame come esempio. La USGS stima le riserve base di rame in 950 milioni di tonnellate (2007) (anche se Grassmann e Meyer riportano valori più bassi). Se potessimo mantenere stabile il tasso di estrazione avremmo circa 60 anni di fornitura di rame. Naturalmente, il tasso di estrazione non è mai stato costante durante la storia dell'estrazione del rame. Un modello più realistico (Bardi e Pagani 2007) tiene conto della crescita e del declino delle forniture e vede la produzione del rame raggiungere il picco in circa 30 anni da adesso.



Una proiezione del tasso di produzione del metallo di rame da estrazione. Da Bardi e Pagani, 2007



Trenta anni al picco, o sessanta all'esaurimento totale, può sembrare vicino, ma non è domani. In molti altri casi non sembra che siamo vicini al totale esaurimento (E.G. Cohen 2007). Comunque, ci sono casi in cui l'esaurimento sembra essere un problema più pressante, come per l'indio, un metallo importante per l'industria elettronica e potrebbe scarseggiare presto. Inoltre, alcuni metalli potrebbero fronteggiare un serio esaurimento a causa di un aumento della domanda. Per esempio, se dovessimo usare le celle a combustibile su larga scala per il trasporto, le riserve di platino conosciute sarebbero verosimilmente insufficienti per gli elettrodi catalitici. (Dipartimento dei trasporti 2007)


Questi sono problemi seri, ma sono marginali rispetto ai problemi reali che abbiamo e che sono anche più immediati. I minerali, come abbiamo detto, sono definiti in termini di energia necessaria per l'estrazione. Per continuare ad estrarre dalle attuali forniture minerali abbiamo bisogno almeno di una fornitura energetica costante. Ma, nel prossimo futuro, la nostra fornitura energetica potrebbe scendere anziché salire. La diminuzione della fornitura energetica influenza tutti gli stadi della produzione di beni minerali, non solo l'estrazione e la raffinazione. Questo può avere effetti avversi ed immediati nella produzione di beni minerali.


Oggi, l'energia usata per l'estrazione e la lavorazione dei minerali proviene principalmente dai combustibili fossili e, in qualche caso, è direttamente dipendente da combustibili liquidi prodotti dal petrolio greggio. Per esempio, è stato riportato (DOE 2007) che il 34% dell'energia utilizzata nell'industria mineraria degli Stati Uniti è composto da gasolio. I combustibili fossili sono risorse che sono state pesantemente sfruttate in passato, sono in fase di rapido esaurimento e sono in vista del picco entro poche decadi al massimo. Il picco nella produzione di risorse minerali è un fenomeno generale che è in relazione all'incremento dei costi di prospezione, estrazione, e lavorazione quando la risorsa diventa rara e più costosa. Al momento, il petrolio greggio si sta avvicinando al proprio picco di produzione mondiale (picco del petrolio) e ci si aspetta un irreversibile declino produttivo nei prossimi anni (vedi http://www.peakoil.net/). Gli altri due principali combustibili fossili, gas naturale e carbone, sono previsti al loro picco più avanti, ma comunque nei prossimi decenni.


Non abbiamo bisogno di aspettare il picco della produzione reale per vedere una risorsa diventare più costosa sia in termini di energetici, sia in termini monetari. Se ci vuole più energia per estrarre e raffinare il petrolio, questo investimento supplementare in energia condizionerà direttamente il processo di estrazione che fa uso di petrolio come fonte energetica. Così, se l'attuale tendenza al declino nella produzione di combustibili fossili continua, non saremo in grado di sfruttare tutte le risorse minerali esistenti dal lato “buono” della barriera mineraria. Se non cambia nulla, in un futuro non lontano vedremo un declino nella produzione di tutti i beni minerali: “il picco dei minerali” (vedi Bardi e Pagani, 2007). Il picco della produzione dei minerali pone un problema serio ed immediato in termini di mantenimento di una fornitura di beni minerali all'economia mondiale.


Strategie di mitigazione


Come reagire al futuro declino della produzione di minerali? Ci sono due modi: o stimoliamo (o forziamo) le miniere a produrre di più o usiamo in maniera più efficiente quello che siamo ancora in grado di produrre. Possiamo ulteriormente elencare alcune strategie più dettagliate: 1) attraversare la barriera mineralogica, 2) sostituire, 3) riciclare, 4) riusare e 5) fare con meno.


1. Attraversare la barriera mineralogica. Questa strategia equivale a costruire – ed alimentare – una vera e propria macchina mineraria universale ed estrarre i minerali che ci servono dalla crosta indifferenziata. Ciò risolverebbe il problema una volta per tutte ed il sogno di Julian Simon (risorse per 7 miliardi di anni) diverrebbe realtà. Questo tipo di estrazione sarebbe “sostenibile”, nel senso che potrebbe durare tanto a lungo quanto a lungo potremo fornire la grande quantità di energia necessaria per questo scopo. La superficie del pianeta non sarebbe tanto bella, dopo il passaggio di questi mostri giganti ma, se avessimo energia sufficiente per alimentarli, potremmo probabilmente permetterci di spostare l'intera operazione nello spazio. Probabilmente nessuno si lamenterebbe se rovinassimo esteticamente lontani asteroidi. Comunque, come abbiamo detto, la richiesta di energia per una tecnologia del genere è nettamente al di sopra di qualsiasi cosa possiamo concepire per il prossimo futuro. Richiederebbe una svolta radicale nella produzione di energia, probabilmente una nuova forma di fusione nucleare. Non possiamo lasciar cadere questa possibilità, ma non possiamo contarci.


2. Sostituzione. Già nel 1976, Brian Skinner ha intitolato uno dei suoi saggi “Una seconda età del ferro?”. Intendeva dire che il futuro si potrebbe verificare uno spostamento generale dei processi industriali dagli elementi rari verso quelli comuni, come il ferro. Durante lo stesso anno, Goeller e Weinberg avevano esaminato la situazione in un saggio nel quale proponevano quella che chiamavano “Il principio della sostenibilità infinita”. Il loro lavoro è citato talvolta come la demolizione definitiva del catastrofismo. Ma essi avevano correttamente riconosciuto che le sostituzioni richiedono profondi cambiamenti nella tecnologia e nella società. Quello che sia Skinner sia Goeller e Weinberg hanno trascurato di affermare esplicitamente era che la sostituzione richiede energia, spesso molta energia.


Facciamo alcuni esempi di sostituzione in modo da illustrare il problema energetico. Uno classico quello della sostituzione del rame con l'alluminio come materiale conduttore. L'alluminio è uno dei metalli comuni nella crosta terrestre ed usarlo al posto del rame sembra promettente contro il problema dell'esaurimento dei minerali. L'alluminio è un conduttore più povero ed è infiammabile quando si surriscalda ma, con qualche precauzione, è possibile usarlo per quasi tutte le operazioni di carico elettrico. Il problema è che, abbiamo verificato, servono 120 MJ/kg (o 210 MJ/kg) per produrre alluminio metallico dove invece servono 50 MJ per produrre un kg di rame. Siccome il nostro problema più pressante è l'energia, non la densità del minerale, l'idea di sostituire il rame con l'alluminio è una soluzione per il problema sbagliato.


Facciamo un altro esempio. Supponiamo di avere problemi con la disponibilità di cromo. In questo caso avremmo problemi con la produzione di acciaio inox, che contiene cromo in quantità relativamente alte. Per molte applicazioni strutturali che richiedono robustezza e resistenza alla corrosione, l'acciaio inox potrebbe essere sostituito col titanio (Goeller e Weinberg 1976). Sfortunatamente il titanio è un metallo con un alto punto di fusione che richiede grandi quantità di energia per la produzione. Secondo Norgate ed altri (2007) abbiamo bisogno di 361 MJ/kg per produrre titanio metallico, contro gli appena 75 MJ/kg per l'acciaio inox. Ancora, la strategia della sostituzione si rivela essere affamata di energia.


Un ulteriore esempio è il mercurio. Goeller e Weimberg prendono il mercurio come loro paradigma di sostituibilità, per il fatto che è stato eliminato gradualmente e completamente dagli usi tecnologici durante gli scorsi decenni. Ma è anche vero che la sua sostituzione ha richiesto energia. Non abbiamo dati sull'energia che serviva per produrre un kg di mercurio. Considerate, per esempio, che il mercurio nelle pompe a vuoto è stato sostituito da olio sintetico prodotto da precursori fatti di petrolio greggio. Questo tipo di sostituzione ha richiesto energia per la sintesi dell'olio, così come per la sostituzione periodica del fluido che dura meno del mercurio. Questa ed altri tipi di sostituzione sono difficili da definire passi verso la sostenibilità.


Quindi, la sostituzione è una strategia che può contrastare l'esaurimento dei minerali, ma ad un prezzo alto in termini di energia. Non è così affamata di energia come la macchina mineraria universale, ma la “sostituzione universale” di tutti i metalli rari richiederebbe più energia di quella che che possiamo ragionevolmente pensare di avere nel futuro a breve e medio termine.

3. Riciclare. Se potessimo riciclare al 100% di efficienza, non esauriremmo mai niente. Ma il problem è lo stesso che con i metodi tradizionali di estrazione: riciclare richiede energia. Non richiede le stesse quantità che sono richieste da una macchina mineraria universale, ma il riciclaggio ad alta efficienza si è rivelato essere molto difficoltoso per diversi motivi.


Gestire i rifiuti sembra essere un tipico esempio della nostra tendenza a scontare ("discounting") il futuro (Hagens 2007). I rifiuti sono considerati un fastidio piuttosto che uno stock di risorse. Se non troviamo che sia conveniente riciclare qualcosa, lo abbandoniamo in una discarica o lo bruciamo in un inceneritore. In entrambi i casi il risultato è che il recupero è praticamente impossibile. Nel caso degli inceneritori, le ceneri prodotte disperse finemente sono un mix che richiederebbe trattamenti estremamente complessi e costosi in modo da recuperare metalli specifici (Shen e Fossberg, 2003) e, al momento, non viene fatto. Per le discariche, il recupero potrebbe essere più facile, ma ancora buttiamo metalli di valore e rifiuti potenzialmente tossici insieme, e questo non rende facile il recupero. Al momento, le discariche non sono sfruttate come sorgente di minerali a livello industriale anche se pare che lo siano in paesi del terzo mondo. Questo è possibile, comunque, solo a costi molto alti in termini di pericolo per la salute per le persone coinvolte nell'operazione.


Il risultato è che riusciamo a recuperare solo una frazione di ciò che buttiamo via. Secondo l'USGS (Papp, 2005), negli Stati Uniti il tasso medio del riciclaggio è di circa il 50% in peso per i principali metalli prodotti. Il tasso di riciclaggio massimo è del 74% nel caso del piombo. Il ferro è riciclato per circa il 50%; altri metalli comuni di meno: sia il rame sia l'alluminio non sono riciclati per più del 30%. Norgate e Rankin (2002) hanno riportato diversi valori, ma il livello medio di riciclaggio per la maggior parte dei metalli comuni rimane nell'ordine del 50%.


Ciò non è sufficiente per compensare il declino delle estrazioni. Se ricicliamo qualcosa al 50% significa che dopo 4 cicli di recupero avremo perso oltre il 90% del materiale col quale avevamo iniziato. Avremmo bisogno di fare molto meglio di così ma, evidentemente, non è facile e significherebbe un cambiamento radicale nel modo in cui è concepita e gestita la produzione industriale. Questo, a sua volta, richiederebbe un grado di pianificazione centralizzata che è improbabile che si materializzi prima che la scarsità di materiali divenga molto seria. Ancora, è la nostra tendenza a scontare il futuro (Hagens 2007).


4. Riuso. Riusare significa produrre prodotti che durino a lungo e che possano essere riparati e/o restaurati. Riusare richiede un po' di energia, ma probabilmente meno di ogni altra strategia che abbiamo preso in considerazione finora. Come esempio, possiamo pensare di fare le scocche delle auto in acciaio inox o titanio. L'energia richiesta per produrre acciaio inox (Norgate 2007) è circa doppia rispetto a quella richiesta per l'acciaio semplice, mentre il titanio ne richiederebbe circa dieci volte tanto. Comunque, una vettura fatta in acciaio inox o in titanio non arrugginirebbe mai e durerebbe praticamente per sempre. Naturalmente, questo tipo di strategia va contro il concetto stesso di tutto ciò che è normalmente pensato come una strategia di successo nel mercato delle automobili. Progettare prodotti in previsione di riusarli non è mai stato popolare e, in generale, il riuso sa di povertà, non solo per le auto. E' difficile immaginare che che con la nostra limitata capacità di pianificare per il futuro (Hagens 2007) potremmo cambiare la nostra attitudine. Comunque, se una crisi energetica ci colpisse, saremo costretti a usare ciò che abbiamo per tempi più lunghi, con tutti i problemi ed i limiti che comporterebbe. Potremmo anche usare i prodotti per scopi per i quali non erano stati progettati. Nel sud dell'Europa o in Nord Africa, potete trovare persone che fanno posacenere con le lattine. E' pensato come come gadget per i turisti, finora, ma le cose potrebbero cambiare in futuro.


5. Fare con meno. Questa è la strategia più facile; una che non richiede alcuna energia. Semplicemente, se non puoi permetterti qualcosa, non la usi. Non necessita nemmeno di interventi da parte del governo. Con meno energia e meno materiali a disposizione, potresti scoprire che non puoi permetterti un SUV per fare il pendolare. Così, potresti passare a una piccola utilitaria. Meglio ancora potresti passare alla bici oppure potresti camminare. Infine potresti non essere più capace di fare il pendolare. C'è moltissimo grasso superfluo che la società può perdere funzionando ancora in un modo a noi riconoscibile. Il problema è che, mentre perdiamo questo e quello, la società potrebbe entrare in una mortale spirale verso il basso che gradualmente distrugge le basi industriali del mondo. Il processo potrebbe portarci indietro al punto da dove siamo partiti prima della rivoluzione industriale: ad una società agraria con meno popolazione con un basso surplus energetico. Una simile società non potrebbe mantenere il livello tecnologico che abbiamo raggiunto.


Curiosamente, i nostri discendenti contadini non dovrebbero aver bisogno di tornare a scheggiare la selce. Recuperando anche solo un frazione delle più di 50 miliardi di tonnellate di ferro che abbiamo prodotto nei secoli passati, ne avrebbero a volontà per supportare ogni loro necessità. Pensate solo che ai tempi di Napoleone, quando la rivoluzione industriale era già iniziata, la produzione mondiale di ferro ed acciaio era meno di un milione di tonnellate all'anno, circa un millesimo di quello che è oggi. Coi frammenti recuperati dal nostro lavoro di fusione, i nostri discendenti potrebbero felicemente continuare a forgiare spade e aratri (e forse anche moschetti e cannoni) per molte migliaia di anni. Il metallo che rimarrebbe dalla nostra civilizzazione potrebbe anche provvedere al loro approvvigionamento di altri metalli per migliaia di anni, almeno di quelli che possono essere fusi e forgiati in fornaci a carbone di legna. Ciò esclude il titanio e qualche metallo esotico, ma lascia tutto il resto. Pensate che la nostra società ha prodotto così tanto metallo di rame che una quantità di circa 200 kg a persona è ancora in circolazione nel mondo industrializzato (Gordon 2006). Con così tanto rame, i nostri discendenti avrebbero bronzo in abbondanza per pentole e padelle ed anche per spettacolari sculture. Avrebbero persino l'alluminio, qualcosa che i nostri antenati pre-industriali non si sarebbero nemmeno sognati.

Conclusione e prospettive


La nostra civiltà ha profondamente cambiato la composizione chimica della parte superficiale della crosta terrestre. Depositi di elementi formatisi in centinaia di migliaia di anni di processi geochimici (Shen 1997) sono stati rimossi, trasformati ed in larga parte dispersi. Centinaia di migliaia di anni (almeno) saranno necessari per riformare questi depositi e tempi almeno dello stesso ordine di grandezza saranno richiesti per riformare sul pianeta petrolio e gas naturale. Alcuni minerali, come il carbone, sono stati formati in specifiche condizioni in un passato remoto e potrebbero non formarsi mai più nel futuro nelle quantità che esistevano prima che cominciassimo ad estrarli.


Abbiamo ereditato dalle passate generazioni un pianeta che è molto diverso da quello che era prima della rivoluzione industriale. I minerali abbondanti ed economici che i nostri antenati hanno usato per costruire la società industriale non ci sono più. Se vogliamo continuare sulla strada industriale, avremo bisogno di sviluppare nuove strategie per assicurarci una sufficiente fornitura di materiali. Ciò dipenderà prevalentemente dall'energia. Sarà la nostra capacità di produrre energia che determinerà le scelte future della società.


Se riusciremo ad incrementare la fornitura energetica, la sostituzione potrebbe compensare il declino nella densità di minerale e, se saremo veramente capaci di avere abbondanza di energia, potremmo mettere in pratica il sogno di un'infinita fornitura di minerali derivante dall'estrazione da asteroidi usando una macchina mineraria universale. Comunque, questo scenario non sembra molto verosimile.


E' molto più probabile che, in futuro, non saremo in grado di compensare la diminuzione della fornitura di combustibili fossili col nucleare o le rinnovabili. Questo ci porterà ad una riduzione globale della fornitura mondiale di energia e, in abbinamento con il graduale esaurimento dei minerali ad alta densità, ad una riduzione delle disponibilità di tutti i beni minerali. La reazione a questa situazione sarà una combinazione di strategie a bassa energia: riciclaggio, riuso e di fare con meno.


Nell'ipotesi peggiore, considerando anche i verosimili danni derivanti dai cambiamenti climatici, la crisi potrebbe essere così grave che potrebbe riportarci ad una società agraria. Coi frammenti rimasti della nostra civiltà, sarebbe un tipo di società agraria ricca di metalli, ma ancora una società a bassa tecnologia. Potrebbe mai ripartire con una nuova rivoluzione industriale? E' difficile da dire. La rivoluzione industriale che conosciamo era strettamente collegata alla disponibilità di carbone a buon mercato e questa cosa se ne è andata da che lo abbiamo bruciato. E' difficile realizzare “mulini satanici” solo col carbone di legna; le foreste tendono ad esaurirsi troppo velocemente. Forse ci sarà soltanto una rivoluzione industriale nella storia dell'umanità.


In mezzo a questi due estremi, estrarre dagli asteroidi e tornare ad un'agricoltura di sussistenza è perfettamente possibile immaginare scenari intermedi. Potremmo concepire una società che mantiene una fornitura di energia più piccola, ma non tanto più piccola dell'attuale da non riuscire ad usarla per mantenere una ridotta, ma non pari a zero, fornitura di minerali. Dovrebbe essere estremamente attenta ad evitare lo spreco di materiali e vedere alcune delle nostre abitudini (i viaggi aerei, per esempio) come pericolose stravaganze. Dovrebbe, questa società, riciclare e riusare ad un livello che ci apparirebbe difficile concepire oggi. In qualche modo, l'attitudine di questa società sarebbe paragonabile a quella del parsimonioso periodo Edo del Giappone (JSN 2003). Una simile società potrebbe mantenere il nostro livello tecnologico ed anche incrementarlo. Potrebbe ancora impegnarsi nell'esplorazione dello spazio, nella ricerca di base, nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e altre ricerche culturali ed umane che non possono essere concepite senza un salutare surplus di energia e materiali.


Se arriveremo mai ad una tale società è difficile da dire. Avremmo bisogno di cominciare a pianificare già adesso, ma la nostra capacità di pianificazione a lungo termine è molto limitata (Hagens 2007). Almeno, da questa trattazione, possiamo dire che fra le nostre preoccupazioni immediate non dovrebbe esserci solo l'energia, ma anche la disponibilità di materiali fondamentali per l'industria.




Riconoscimenti: l'autore ringrazia Franco Galvagno, Marco pagani e Antonio Tozzi per i loro suggerimenti e commenti su questo saggio.


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sabato, giugno 18, 2011

Comuni fotovoltaici



Dopo aver analizzato in questo articolo la distribuzione per regione delle installazioni fotovoltaiche in Italia, proviamo a classificare con lo stesso criterio della potenza procapite in esercizio, anche i 117 Comuni capoluogo di Provincia. Come al solito, le informazioni sono state reperite dall’Atlasole del GSE per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici e dall’Istat per la popolazione.

Nel grafico allegato (che si può ingrandire cliccando sopra), abbiamo una rappresentazione sintetica della situazione, dividendo i Comuni in tre fasce. Nella prima, in arancione, troviamo i Comuni con più di 100 Watt a persona, nella seconda, in verde, sono raggruppati i Comuni con dotazioni tra i 100 e i 50 watt a persona, nella terza fascia quelli con potenza procapite inferiore ai 50 Watt a persona.

Se dovessimo definire le tre fasce, potremmo chiamare la prima “Virtuosi”, la seconda “Senza infamia e senza lode”, la terza “Rimandati a Settembre”.

Segnalo infine i primi dieci Comuni Capoluogo “Virtuosi”:

1) Brindisi;
2) Viallacidro;
3) Cuneo;
4) Ravenna;
5) Lanusei;
6) Foggia;
7) Agrigento;
8) Alessandria;
9) Enna;
10) Tortolì.

Interessante notare come il primo classificato, Brindisi abbia una potenza procapite vicino ai 600 Watt, che corrisponde quasi a un impianto fotovoltaico per ogni famiglia.

venerdì, giugno 17, 2011

Auguri a Marco Pagani

Due ottime notizie giungono in questi giorni da Novara. La promozione in Serie A dopo 55 anni della storica squadra di calcio della città piemontese e l'elezione di Marco Pagani nel Consiglio Comunale di Novara.

Marco Pagani è socio Aspoitalia ed ha scritto insieme ad Ugo Bardi l'articolo sul picco dei minerali che abbiamo pubblicato qualche giorno fa. Gestisce un interessante ed utilissimo blog "Ecoalfabeta" su cui ha pubblicato di recente il suo "manifesto" politico per l'importante incarico che lo attende.

Condividiamo le interessanti proposte in esso contenute e riteniamo che la sua elezione sarà molto utile per il futuro sostenibile della città.

Complimenti e tanti auguri Marco.

mercoledì, giugno 15, 2011

E ora?

Soren Lisberg è l'ideatore del logo "Nucleare, no grazie." Ha inviato al Presidente di Aspoitalia Ugo Bardi i complimenti e i ringraziamenti per il risultato del referendum sul nucleare in Italia: "E' un grande giorno per l'Italia e per l'Europa."


Archiviati e con grande soddisfazione i risultati della consultazione referendaria, è ora opportuno soffermarsi sulle conseguenze del voto in materia energetica e di uso delle risorse idriche nel nostro paese.

La scelta nucleare è a questo punto definitivamente accantonata, ma contrariamente ai proclami annunciati il ripensamento del governo su una scelta sbagliata industrialmente, rischiosa sul piano ambientale e sanitario e contraria agli interessi nazionali, era secondo me in atto da tempo e il referendum ha dato loro solo un comodo anche se doloroso pretesto per una strategia di uscita da un progetto impraticabile.

E’ bene infatti ricordare che Berlusconi aveva promesso pomposamente di porre la prima pietra delle centrali a fine legislatura, ma in effetti non era ancora riuscito nemmeno a individuare i possibili siti. Inoltre, la scelta di una tecnologia obsoleta, economicamente fuori mercato, senza prospettive industriali, avrebbe inevitabilmente determinato un asservimento energetico del nostro paese ad interessi extra nazionali. Non può infatti sfuggire che, qualora il piano del governo avesse avuto attuazione, l’Italia sarebbe stata completamente dipendente dalla Francia non solo per quanto riguarda il know how tecnologico, ma soprattutto per tutta la filiera del ciclo di lavorazione del combustibile nucleare. L’assenza del Presidente francese ai festeggiamenti del 2 Giugno in Italia, ha simbolicamente anticipato e chiosato la volontà popolare e l’esito referendario.

Ora tutti richiedono una pianificazione strategica nazionale, dimenticando che la modifica del titolo V della Costituzione ha irresponsabilmente frammentato tale competenza in capo alle Regioni e che l’incertezza del quadro energetico rende impraticabile una pianificazione di lungo termine.
Nella navigazione che ci attende, gli strumenti di bordo sono tutti fuori uso o di difficile interpretazione, per cui dovremo viaggiare in un mare aperto e tempestoso solamente con l’ausilio di qualche stella polare.

Sicuramente il combustibile di transizione verso un futuro rinnovabile non potrà che essere il metano e, per questo, dovremo diversificare al massimo gli approvvigionamenti per evitare crisi nelle forniture. Per fortuna la produzione termoelettrica italiana è ormai quasi del tutto indipendente dal petrolio e il parco centrali è anche sovradimensionato rispetto alla domanda (circa 100.000 MW installati contro una domanda alla punta di circa 65.000 MW). Anzi, sarebbe opportuno dal punto di vista economico, migliorare il fattore di carico delle efficientissime centrali a ciclo combinato.
Naturalmente, dobbiamo eliminare ogni ostacolo alla diffusione delle nostre uniche fonti autoctone, quelle rinnovabili, nella consapevolezza che senza l’individuazione di vettori efficienti che accumulino i flussi energetici incostanti di tali fonti, difficilmente si potrà risolvere il problema cruciale della connessione alla rete elettrica nazionale oltre certi limiti di potenza installata. E soprattutto, a partire dalla diffusione di un’industria nazionale delle rinnovabili, dovremo incentivare decisamente la ricerca in tecnologie innovative.

Anche per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche la scelta dell’elettorato è stata chiara e schiacciante a favore della gestione pubblica. Questa netta volontà dovrà essere contemperata con le direttive comunitarie che impongono l’assegnazione dei servizi di interesse pubblico attraverso gara e forse potrà trovare risposta nell’ampliamento delle cosiddette assegnazioni “in house”. A questo punto sarà meno facile il giochino dei Comuni e delle forze politiche che, attraverso la vendita di una quota delle aziende ai privati, sembravano aver ottenuto il duplice obiettivo di continuare ad occupare i posti di potere e responsabilità nei consigli di amministrazione e di addossare la colpa degli aumenti tariffari alla gestione privata.

Da qualche parte, i soldi per ammodernare la rete idrica e soprattutto completare il sistema depurativo delle acque contro cui pende un giudizio di infrazione da parte dell’Unione Europea, dovranno essere trovati, magari cominciando a rinunciare ad alcuni privilegi politici che l’ultimo referendum, quello sul legittimo impedimento, ha chiaramente chiesto di eliminare.

Alla fine e come al solito, il lascito di questa entusiasmante tornata elettorale è tutto politico. Le scelte che ci attendono saranno più complesse, difficili, faticose e richiederanno grandi capacità amministrative e di sintesi politica. L’ultimo e più forte messaggio che gli italiani hanno lasciato nelle urne elettorali è indirizzato proprio al profondo rinnovamento delle mummificate caste di ogni provenienza politica che hanno sostituito da tempo al tentativo di interpretare le sensibilità sociali, stanchi e insopportabili riti di auto – perpetuazione.

martedì, giugno 14, 2011

Il Picco dei Minerali



Questo è un post di Ugo Bardi e Marco Pagani pubblicato qualche tempo fa su "The Oil Drum" (TOD) e che ha avuto un notevole successo, per cui lo ripropongo su "ASPO-Italia" in una traduzione di Massimiliano Rupalti. E' uno dei primi articoli che ho pubblicato su TOD, quindi lo stile è un po' accademico - col tempo ho cercato di scrivere queste cose con uno stile un po' più informale; comunque spero che lo troverete interessante.

Riassunto: Abbiamo esaminato la produzione mondiale di 57 minerali riportata nel database della United States Geological Survey (USGS). Fra questi, abbiamo trovato 11 casi in cui la produzione ha chiaramente raggiunto il picco ed è in declino. Diversi altri potrebbero essere vicini al picco o averlo raggiunto. Adattando la curva di produzione con una funzione logistica vediamo che, in molti casi, la quantità finale estrapolata dalle misurazioni corrisponde bene alla quantità ottenuta sommando la produzione cumulativa fino ad ora e le riserve stimate dall' USGS. Questi risultati sono una chiara indicazione che il modello di Hubbert è valido per la produzione mondiale di minerali e non solo per quelle regionali. Ciò supporta fortemente il concetto che il “picco del petrolio” è solo uno dei numerosi casi di picco e declino di risorse finite nel mondo. Molte altre risorse minerarie potrebbero raggiungere il picco e iniziare a declinare nel mondo nel prossimo futuro.

Un “picco” di produzione viene comunemente osservato per il petrolio in molte regioni del mondo (e.g. Laherrere, 2005). Secondo Hubbert (Hubbert 1956) la curva di produzione del petrolio greggio e di altri minerali ha la forma di una campana approssimativamente simmetrica; ciò significa che il picco avviene quando approssimativamente metà della risorsa estraibile è stata estratta. Dai dati regionali è un passo logico estrapolare la produzione mondiale e giungere alla conclusione che il picco globale (“peak oil”) sarà raggiunto. In molti casi l'analisi basata sul modello di Hubbert dice che il picco potrebbe avvenire tra pochi anni a partire da ora (2007).

Da quando il petrolio è la principale (quasi unica) sorgente di energia primaria nel mondo, è largamente riconosciuto che le conseguenze del picco potrebbero essere importanti, persino disastrose. Comunque, abbiamo un problema con l'idea che siamo vicini al picco mondiale del petrolio; nessuna delle principali risorse energetiche (petrolio, gas e carbone) ha raggiunto il picco mondiale finora. Quindi, come possiamo sapere che la situazione globale possa essere comparata con le situazione regionali che conosciamo? Un modo per rispondere a questa domanda è guardare ai meccanismi che producono il picco. Il modello di Hubbert è stato analizzato in diversi studi (Naill 1972, Reynolds 1999, Bardi 2005, Holland 2007). In tutti questi modelli il picco ed il declino sono il risultato del graduale aumento dei costi di produzione della risorsa, a loro volta dovuti all'esaurimento della stessa. Questi costi possono essere visti in termini monetari, ma possono anche essere misurati in unità di energia. Nel caso del petrolio, questo aumento dei costi è legato a fattori come il minore tasso di successo nella prospezione petrolifera, la necessità di sfruttare giacimenti più piccoli e costi più alti per la lavorazione di petrolio di minor qualità. Questi costi ridurranno gradualmente i profitti e, di conseguenza, la volontà degli operatori di investire in ulteriori estrazioni. Questo rallenterà la crescita e, col tempo, causerà il picco ed il successivo declino. Questa analisi non dipende dal tipo di risorsa si consideri né dalle condizioni globali/regionali di estrazione.

Comunque, questa interpretazione è lontana dall'essere accettata da tutti. Molti dicono che molti casi di picco regionali non sono dovuti al progressivo esaurimento ma a fattori politici o di mercato o entrambi ( vedi, per esempio, Engdhal, 2007, per una recente riproposizione di questa idea). Il modello di Hubbert è criticato anche perché non tiene in considerazione i prezzi. Nel caso globale, viene detto, i crescenti prezzi di mercato continuano a garantire profitti e, per questo, gli operatori continueranno ad investire sull'aumento del tasso di estrazione. Se non per sempre, almeno molto oltre il picco o la metà della disponibilità di una risorsa. Questa interpretazione proviene dagli anni 30 (Zimmermann, 1933) col cosiddetto “modello funzionale” dell'estrazione mineraria, che ha avuto un considerevole successo nella letteratura economica recente (e.g. Nordhaus 1992, Simon 1995, Adelman 2004). Studi recenti su modelli che tengono conto del prezzo (Holland 2006) indicano che il picco avverrebbe comunque, ma l'idea che i prezzi in aumento invaliderebbero il modello di Hubbert aleggia ancora. Alcuni studi, infatti, sostengono che la produzione di petrolio non raggiungerà mai il picco ma, piuttosto, raggiungerà un durevole plateau (CERA 2006).

Le teorie vanno e vengono ma una cosa è certa: anche la teoria più elegante necessita del supporto dei fatti. Se possiamo trovare esempi storici di risorse globali che hanno raggiunto il picco e sono declinate seguendo la curva a campana, questo supporterà fortemente l'idea che la teoria di Hubbert funziona anche per la produzione globale. Fino all'anno scorso c'era un solo esempio di un caso simile riportato in letteratura: quello sulla caccia delle balene nel 19° secolo (Bardi 2006). Le balene non sono una risorsa mineraria, ma lo “stock” di balene si comportò come una risorsa non rinnovabile poiché le balene furono “estratte” (cacciate) ad un tasso molto più veloce di quello della loro riproduzione. Recentemente, Dery ed Anderson (2007) hanno mostrato che la produzione globale di almeno una risorsa mineraria, pietra di fosfato, ha raggiunto il picco negli anni 80.

Soltanto due casi potrebbero non essere abbastanza per provare la validità generale del modello di Hubbert ma, qui, possiamo riportare che ci sono molti più casi di picco globale rispetto alla produzione di minerali. Dopo una esaustiva disamina dei dati della USGS sulla produzione mondiale di minerali (Kelly 2006) abbiamo trovato almeno 11 casi di minerali che mostrano una curva a campana globale con un picco chiaro. Il picco era evidente ed è stato confermato misurando i dati usando una funzione a forma di campana. Entrambi abbiamo usato funzioni derivative gaussiane e logistiche, riscontrando risultati molto simili. Entrambi i tipi di curva possono essere usati per misurare la curva di Hubbert come mostrato da Bardi (2005) e da Staniford (2006). In più abbiamo trovato diversi casi di minerali che potrebbero aver raggiunto il picco recentemente o esserci vicini, anche se non è ancora totalmente certo.

I dati USGS non sono stati esaminati solo per la presenza di picchi di produzione, ma anche analizzati in termini di disponibilità di minerale estratto ad oggi ed estrapolata nel futuro. Nella sua forma base, il modello di Hubbert afferma che la curva di produzione è simmetrica, questo significa che la produzione raggiunge il picco approssimativamente allorché la metà della risorsa da estrarre è stata estratta. Comunque, nella fase iniziale del ciclo di estrazione, è possibile stimare questa quantità come “massima quantità di risorse recuperabili” (Ultimate Recoverable Resources, URR). Secondo la BP (2007) nel caso del petrolio greggio l' URR è definito come “una stima della totale disponibilità di petrolio che potrà essere recuperato e prodotto. E' una stima soggettiva basta su informazioni parziali”. Questa stima è anche più soggettiva nel caso dei minerali diversi dal petrolio per diverse ragioni. Una è che la conoscenza delle risorse mondiali possono essere molto più incerte che nel caso del petrolio. Un'altra difficoltà potrebbe essere la mancanza di dati storici rilevabili. Infine, i minerali, diversamente dal petrolio o dal gas, spesso appaiono come risorse “graduate”, cioè che sono in depositi di diversa concentrazione. Così è molto difficile determinare il punto di cesura fra quanto sia estraibile e quanto non lo sia.
Tuttavia, il database della USGS riporta valori per la “riserve” di ciascun minerale considerato. Il concetto delle “riserve” è definito dall'USGS (2007) come: “Quella parte delle riserve base che potrebbe essere estratta economicamente prodotta al momento della determinazione. Il termine riserve non necessariamente implica il fatto che gli impianti di estrazione siano installati ed operativi”. Al contrario, sulle “riserve base” l'USGS dice che “ Le riserve base includono quelle risorse che sono attualmente economiche (riserve), marginalmente economiche (riserve marginali) ed alcune di quelle che sono attualmente subeconomiche (risorse subeconomiche). Ovviamente, le riserve base sono molto più vaste che non quanto stimato dall'USGS. Da questi dati l'URR di ogni minerale può essere misurato come la produzione cumulativa fino ad oggi più la quantità ancora estraibile. La seconda può essere presa come uguale alle riserve o alle riserve base. Abbiamo provato entrambe le possibilità ed abbiamo trovato che, in tutti i casi, l'area al di sotto della curva a campana estrapolata è molto più prossima alla quantità ottenuta usando le riserve che non quella ottenuta con le riserve base, come vi mostreremo in seguito. Notate, comunque, che una discrepanza in questa comparazione non invalida, di per sé, il modello di Hubbert: potrebbe semplicemente indicare che le stime delle riserve sono approssimate o sbagliate.

Abbiamo esaminato 57 casi di estrazione mineraria dai dati dell'USGS. Di questi, abbiamo trovato 11 casi in cui un chiaro picco di produzione è rilevabile. Questi casi sono elencati nella tabella 1. La tabella contiene anche l'URR derivato dalla somma della quantità della risorsa già estratta (fino al 2006) e la quantità di riserve elencate nelle tabelle dell'USGS. Questo valore può essere comparato alla quantità che le misurazioni logistiche o gaussiane della curva forniscono.



Tabella 1

Per 4 minerali (mercurio, piombo, cadmio e selenio) abbiamo trovato una buona concordanza fra l'URR determinato dalle misure logistiche e l'URR determinato dai dati dll'USGS (produzione cumulativa fino ad oggi più riserve). Per 5 minerali (tellurio, fosforo, tallio, zirconio e renio) l'URR ottenuto dalle misurazioni è ancora accettabilmente vicino a quello dei dati USGS, anche se minore. L'URR derivato dai dati USGS è significativamente più alto per il gallio ed il potassio. Questa discrepanza può essere attribuita alla grande incertezza sui dati del gallio e, per il potassio, per ragioni di mercato descritte nella scheda tecnica dell'USGS (USGS 2006). Se la riserva base viene adottata per effettuare la stima dell'URR, per tutti i minerali i risultati sono sempre molto maggiori di quelli ottenuti dalle misure dei dati sperimentali.

Vi mostriamo ora qualche esempio di picco. Cominciamo con il primo picco globale che può essere trovato nelle tabelle dell'USGS, quello del mercurio (Fig. 1)


Figura 1

Qui ci sono alcune dispersioni nei dati, ma le misure sono ragionevolmente buone e non c'è dubbio che un picco globale ha avuto luogo a metà degli anni 60. La quantità totale di mercurio estratto dal 1900 ad oggi è, approssimativamente, 540.000 tonnellate. Secondo i dati dell'USGS, le riserve mondiali di mercurio sono ridotte a 46.000 tonnellate che, sommate alla quantità già estratta, fornisce una quantità totale di mercurio estraibile di circa 590.000 tonnellate. Considerando che una ridotta quantità è stata estratta prima del 1900, questo valore è perfettamente in linea con quello ottenuto dalle misurazioni logistiche (580.000 tonnellate).

Un altro picco storico è quello del piombo (Fig. 2) che lo raggiunse nel 1986.


Figura 2

La misura è migliore che nel caso del mercurio ed i dati dell'URR calcolati dalle misure (330 milioni di tonnellate) sono in buona concordanza con quelli calcolati attraverso i dati USGS (290 milioni di tonnellate).

Un esempio più recente di picco è quello dello zirconio minerale concentrato (principalmente zircone, ZrSiO4), che è la fonte principale di zirconio e ossido di zirconio, due materiali importanti, spesso usati come componenti per materiali ad alta resistenza alle temperature.


Figura 3

Non c'è dubbio che la crescita quasi esponenziale dell'inizio della produzione ha cominciato a rallentare negli anni 70 e la stessa crescita è cessata nel 1990 per poi declinare. La misura dei dati ci dà la data del picco nel 1994. Secondo i dati USGS, l'URR di questo minerale dovrebbe essere di circa 670 milioni di tonnellate. Le misure della curva di produzione dà un valore più piccolo, circa 390 milioni di tonnellate. Da notare che le riserve USGS sono riportate in termini di tonnellate di ZrO2, mentre “minerali concentrati di zirconio” sono un mix di diversi minerali, prevalentemente zircone (ZrSiO4) e baddeleyte (ZrO2). Un ulteriore elemento di insicurezza, anche se minore, è la mancanza di dati di produzione degli Stati Uniti per qualche anno nei dati USGS. Tenendo conto di queste incertezze, la concordanza può essere considerata accettabile come ordine di grandezza.

Il selenio, un metallo importante per l'industria dei semiconduttori, ha raggiunto anch'esso il picco nel 1994, secondo una misurazione logistica (Fig. 4)


Figura 4

L'URR del selenio calcolato dai valori delle riserve USGS è in buona concordanza con l'area della curva misurata.

C'è anche il caso di un picco ancora più recente, quello del gallio. Il gallio è un altro metallo importante per l'industria dei semiconduttori. Secondo l'interpretazione logistica dei dati, ha raggiunto il picco durante il 2000 (Fig. 5)




Figura 5

In questo caso, l'area sottostante la curva misurata è molto più piccola di quella calcolata dai dati delle riserve dell'USGS, probabilmente per l'alta incertezza nella stima delle riserve è molto alta. Una delle ragioni è che il gallio è prodotto solo come sottoprodotto dell'estrazione di altri minerali.
In linea di principio, i picchi che abbiamo riportato potrebbero essere dovuti a fattori diversi dall'esaurimento. Gli economisti tendono a distinguere fra domanda ed offerta ed il declino produttivo dei minerali potrebbe essere visto come il risultato di più economici e sicuri sostituti che sono entrati nel mercato e genera una riduzione della domanda. Ma molte delle leggi che hanno proibito l'uso del mercurio sono state approvate molto dopo il picco del mercurio (1962) e, come abbiamo visto, il mercurio ha raggiunto il picco quasi esattamente al “punto mediano” delle riserve disponibili, come previsto dal modello standard di Hubbert. Un caso simile, riduzione della domanda, può essere fatto per il picco del piombo, un altro metallo velenoso. Ma per molte applicazioni, per esempio le batterie delle auto, non è stato trovato alcun sostituto ancora per rimpiazzare il piombo. Inoltre, anche in questo caso il picco ha avuto luogo esattamente a metà delle risorse stimate.

Forse l'unico caso in cui il declino della produzione può essere attribuito a fattori di mercato è quello dell'ossido di potassio (o potassa) (K2O) che ha raggiunto il picco ad un valore della produzione cumulativa considerevolmente più bassa della metà e dove fattori di mercato sono stati effettivamente riportati come cause del declino (USGS 2006). In tutti gli altri casi mostrati nella tabella 1, non c'è alcuna causa evidente che possa portarci a pensare che il declino della produzione possa essere attribuita a riduzione della domanda. Per esempio, alcuni dei materiali elencati sono importanti per l'industria dei semiconduttori (gallio, tellurio, selenio), altri per l'industria metallurgica (zirconio, molibdeno) ed altri per l'agricoltura (pietra di fosfato). Non esistono sostituti per questi materiali. Quindi, il picco ed il declino dei minerali che abbiamo esaminato vanno interpretati come dovuti, almeno in parte, a fattori legati a una riduzione dell'offerta, a sua volta legata all'esaurimento.

Altri minerali esaminati nel database USGS mostrano un chiaro rallentamento del tasso di crescita della produzione, ma è difficile provare che un picco sia avvenuto. Ciò dipende fortemente dai dati degli ultimi anni e da quelli riportati dall'USGS (Kelly 2004) sotto l'etichetta “Sommario delle Materie Prime Minerali”, che sono aggiornate per gli ultimi due anni e disponibili al momento fino al 2006. Sfortunatamente, in alcuni casi questi gruppi di dati sono incoerenti fra loro. Per esempio, la produzione mondiale di vanadio sembra raggiunger il picco intorno al 2002 dall'annuario dei minerali, ma nei dati del Sommario delle Materi Prime Minerali mostra un improvviso salto di produzione nel 2005/2006 che lo porta ben al di sopra del picco precedente. I dati del vanadio nelle successive edizioni del “Sommario” non sono coerenti fra loro, per esempio nel 2007 la produzione mondiale per il 2005 è stata cambiata a 58.200 tonnellate dalle 40.200 elencate nelle tabelle dell'anno precedente. Le ragioni di questa correzione non sono spiegate ma sembrano in relazione ad incertezze nel riportare dati da stati come la Cina.

Diversi minerali oltre al vanadio mostrano simili salti di produzione che portano la curva di produzione ad abbandonare la tendenza al picco di pochi anni prima. Uno di questi casi è quello del minerale di ferro (Fig. 6) che mostra un vero “bastone da hockey” nei dati di produzione.



Figura 6

Ora, è difficile dire se la rapida ripresa negli anni scorsi è dovuta ad inconsistenze nei report o ad un vero incremento della produzione che può essere legata alla rapida crescita dell'economia Cinese (Pui Kwan Tse, 2005). Probabilmente entrambi i fattori giocano un ruolo e l'aumento improvviso della produzione potrebbe essere dovuta al fatto che l'economia cinese è, almeno in parte, “fuori sincronia” col resto del mondo. In ogni caso, saremo in grado di valutare la situazione del vanadio, minerale di ferro ed altri casi simili solo dopo che altri dati saranno disponibili e quando la loro consistenza sarà valutata dall'USGS.
Alcuni minerali nel database dell'USGS mostrano una continua crescita di produzione che, visivamente, appaiono come essere quasi esponenziali. Gordon ed i suoi collaboratori (Gordon 2006), hanno recentemente esaminato 5 metalli che mostrano questo comportamento: rame, zinco, stagno, nichel e platino. Non hanno usato il modello di Hubbert, ma hanno cercato di estrapolare la domanda di questi metalli in relazione alla crescita della popolazione mondiale prevista. Essi riportano che “nessun rischio immediato” esiste per la disponibilità degli stock di metalli, ma che “gli stock vergini di diversi metalli appaiono inadeguati a sostenere la qualità di vita del moderno “mondo sviluppato” per tutte le persone del mondo con la tecnologia moderna”.
Prendendo il rame come esempio, fino al 2006 i dati sperimentali possono, in effetti, essere misurati usando una funzione esponenziale, ma una funzione logistica fornisce lo stesso grado di accordo (Fig. 7)


Figura 7

Se estrapoliamo i due modelli poche decadi nel futuro vediamo lo scenario della Fig. 8 con il rame che raggiunge il picco intorno al 2040 secondo le misure logistiche.


Figura 8

I risultati delle misure sono in linea con le stime delle riserve di rame dell'USGS. Questa quantità è circa 0,5 – 1 gigatonnellate, ovvero anche meno del valore che può essere stimato dal modello logistico (2 gigatonnellate). La nostra analisi è quindi in linea con quella di Gordon, ma fornisce un quadro più dettagliato di quello che possiamo aspettarci in futuro. Altri metalli che mostrano un apparente crescita esponenziale della produzione finora possono essere esaminati in questo modo. Il risultato è che la maggior parte dei minerali dovrebbero raggiungere il picco nei prossimi decenni.

Ovviamente, ogni considerazione fatta finora dipende dall'assunto che i picchi mostrati nella tabella 1 sono picchi globali definitivi. E' un assunto ragionevole, ma anche opinabile, specialmente per quei minerali che hanno raggiunto il picco più di recente. Alcuni minerali sono molto sensibili ai cicli di mercato e mostrano diversi picchi. L'oro è il caso più evidente: i dati storici mostrano un picco nel 2001, ma il picco potrebbe essere solo uno di una serie di picchi osservati nella storia della produzione dell'oro. Anche se i minerali riportati nella tabella 1 appaiono essere scarsamente sensibili a questi cicli, possiamo essere certi del picco “definitivo” solo dopo che il ciclo estrattivo (o produttivo) è stato completato.

Questo, per il momento, è possibile è possibile ad un livello globale solo nel caso dell'olio di balena (Bardi 2006) e forse per il mercurio (Fig. 1). Tuttavia, i gruppi di dati sperimentali qui riportati e le relative analisi forniscono prove impressionanti sulla fondatezza dell'approccio di Hubbert. Vediamo, inoltre, che il picco e declino è un tratto comune della produzione mondiale della maggior parte dei minerali, come il modello di Hubbert predice. Non possiamo escludere che i recenti aumenti di prezzo di tutti minerali daranno inizio ad una nuova ondata di investimenti, ma, finora, le previsioni del “modello funzionale” non sembrano essere verificate.

Abbiamo bisogno anche di considerare che i costi d'estrazione non sono solo monetari, ma coinvolgono anche costi energetici. Questo fatto introduce un ulteriore fattore che potrebbe precipitare il picco ed il declino. L'energia coinvolta nell'estrazione di materie prime minerali, diciamo rame, non dipende solo dall'energia necessaria per estrarlo dal minerale e a raffinarlo. Dipende anche dall'energia necessaria per estrarre petrolio (o carbone o gas o uranio) e trasformarlo in potenza e macchinari utili all'estrazione del rame. Da quando i combustibili fossili si stanno esaurendo, è necessaria più energia per la loro produzione ed il risultato è un ulteriore aumento dell'energia per l'estrazione di tutti i minerali. Il sistema mondiale di estrazione è connesso in questo modo. Questa connessione potrebbe spiegare perché il picco della maggior parte delle materie prime minerali sembrano essere concentrate in un periodo che va dagli ultimi decenni del 20° secolo ai primi del 21°, il periodo in cui le difficoltà di produzione di combustibili fossili hanno iniziato a farsi sentire globalmente. Questa connessione potrebbe anche spiegare perché diversi minerali stanno raggiungendo il picco per i valori di estrazione cumulativa che sono inferiori a quelli che deriverebbero dalle stime USGS delle riserve disponibili. A meno che nuove ed economiche fonti di energia diventino disponibili, potremmo non essere mai in grado di sfruttare l'abbondante “riserva base” della maggior parte dei minerali e forse nemmeno le riserve per come sono stimate oggi.

Alla fine, il “picco del petrolio” sembra essere solo uno dei numerosi casi di picco mondiale e declino di una risorsa finita. La curva a campana è globalmente valida e per molti minerali, non solo per il petrolio e per casi regionali. In pochi anni, è verosimile che molte più risorse si vedranno raggiungere il picco e declinare.

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Ringraziamento: gli autori ringraziano John Busby per i suoi suggerimenti riguardo la produzione di metalli.

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