Di Enrico Euli
CONVEGNO ASPO-ITALIA, FIRENZE, 28.10.2011
1.
CASSANDRATE ?
Naturalmente
non mancano neppure singoli individui capaci di prevedere il corso
degli eventi, di lanciare moniti ed esortazioni. Ma, Dio mio, come si
può distinguere in tempo il solito menagramo dal profeta
chiaroveggente ? Il mondo è pieno di forze apparentemente assopite:
come si fa a sapere in anticipo quale possa essere risvegliata senza
pericolo e quale occorra lasciare assolutamente in pace ? Tra
l’istante in cui l’allarme suonerebbe prematuro in modo ridicolo
e l’attimo in cui ormai è troppo tardi per fare checchessia deve
pur esserci il momento giusto, l’unico adatto a evitare la
tragedia. Ma in mezzo a un simile frastuono, il più delle volte
passa inavvertito. Del resto, qual è il momento giusto ? E come fare
a riconoscerlo ? Credo si tratti dell’interrogativo più doloroso
che la storia ponga agli uomini. (W.Szymborska)
La scala di
Turner-Pidgeon (1) distingue sei stadi percettivi associati allo
sviluppo di un disastro:
1. Punto di partenza
apparentemente normale (convinzioni culturali condivise sul mondo e i
suoi pericoli; norme precauzionali contenute in leggi, codici di
comportamento, costumi e consuetudini)
2. Periodo di incubazione
(accumularsi inosservato di un insieme di eventi in contrasto
con le convinzioni e norme di cui al punto 1)
3. Evento precipitante
(focalizza l'attenzione su di sé e trasforma le percezioni generali
dello stadio 2)
4. Innesco (l'improvviso
collasso delle precauzioni culturali diventa evidente)
5. Operazioni di soccorso
e recupero
6. Adeguamento culturale
completo.
E gli stessi autori
commentano: ' Nel corso del periodo di incubazione, eventi in
contrasto con le convinzioni esistenti incominciano ad accumularsi
senza produrre commenti od osservazioni di sorta: o perchè non
vengono notati o perchè il loro significato viene frainteso...Non
vengono avvertiti perchè nessuno se li aspettava o prestava
attenzione a quel tipo di fenomeni, oppure perchè se ne dà
un'interpretazione tranquillizzante, che ne snatura il senso mentre
altri fenomeni 'civetta' monopolizzano l'attenzione. Questi eventi
sono, per loro stessa natura, difficilmente osservabili se non con il
senno di poi, ma è possibile rintracciarne indizi nel modo in cui
vengono trattati coloro che dissentono dalla visione organizzativa
dominante. Quando l'ortodossia vigente liquida automaticamente le
proteste di estranei come rivendicazioni di maniaci inesperti, viene
il sospetto che ci si trovi in presenza di alcune distorsioni e
rigidità organizzative.' (2)
La nostra specie è stata
definita 'neghentrofaga', famelica mangiatrice di ordine e
informazione; essa esprime infatti una netta ed esasperata preferenza
per l'ordine, il controllo, la sicurezza; questa tendenza
epistemologica profonda è divenuta ancora più forte, direi
ossessiva, in una civiltà scientifico-tecnologica come la nostra,
caratterizzata da un rischio mitomanico di onnipotenza, in cui l'Uomo
si erge a sostituto di Dio.
Non siamo allenati,
quindi, a leggere e gestire il disordine, e non ne sosteniamo a lungo
neppure la vista. Cerchiamo, più velocemente possibile, di
'riportarlo all'ordine'.
La domanda che ci
facciamo, anche rispetto al comportamento dei nostri consimili, non è
certo 'come mai si sta così tranquilli ?', ma quasi sempre 'come
mai ci si agita tanto ?'. La passività ci preoccupa meno
dell'azione, la stabilità meno del cambiamento, la quiete molto meno
del conflitto.
In
una visione complessa, invece, ordine e disordine si equivalgono e
non può sussistere preferenza escludente e dualistica, in quanto
entrambi appaiono costitutivi della vita e dei suoi processi:
peraltro gli stati che chiamiamo 'disordinati' saranno sempre più
frequenti e probabili di quelli che chiamiamo 'ordinati' (infatti
abbiamo bisogno di una colf per togliere la polvere e non dobbiamo
invece assumere nessuno per metterla) e sorgeranno continuamente
conflitti, spesso non mediabili,' proprio tra le diverse visioni su
'ciò che riteniamo ordinato' (infatti, quando la colf mette in
ordine la nostra stanza spesso non troviamo più nulla e ci
lamentiamo...). Gran parte dei problemi umani, infine, non nasce da
un eccesso di disordine, ma proprio dai tentativi di imporre il
nostro ordine (di specie, di gruppo, individuale) a sistemi che, se
fossero lasciati liberi, ne sceglierebbero altri. Quel che si genera
così è un disordine di secondo livello, generato proprio dai
conflitti tra diversi e presunti 'ordini'. (3)
'Due
pericoli minacciano il mondo, l'ordine e il disordine',
amava dire Paul Valery..
2.
ORLO ?
Noi
non siamo sognatori, siamo il risveglio da un sogno che si sta
trasformando in un incubo. Conosciamo tutti la scena dei cartoni
animati: il gatto raggiunge il precipizio ma continua a camminare,
come se avesse ancora la terra sotto i piedi. Comincia a cadere solo
quando guarda in basso e si accorge dell'abisso. (S.Zizek)
'Mannheim
sottolinea la differenza tra razionalità funzionale
e sostanziale. La
prima è vista come 'una serie di azioni organizzate in modo tale da
condurre a una meta predeterminata, e ogni elemento di questa serie
di azioni riceve una posizione e un ruolo funzionali'...La seconda è
invece caratterizzata da 'un'intelligente comprensione delle
interrrelazioni tra gli eventi in una data situazione'. Egli afferma
che la nostra società industriale, per il solo fatto di presentare
una grande quantità di razionalità funzionale, non per questo è
caratterizzata da una grande quantità di razionalità
sostanziale...Anzi, è chiaro che il comportamento razionale ha dei
limiti, specialmente se si è portati ad accettare la razionalità
funzionale come sostitutiva della razionalità sostanziale:
l'esistenza di una grande organizzazione, con un'imponente struttura
organizzativa, una pianificazione aziendale elaborata, compiti
complessi e un ampio staff di specialisti non garantisce affatto una
razionalità sostanziale.' (4)
Da
un punto di vista psichico, la paura e l'incessante rimozione
del 'disordine' agiscono quali strategie di
autoconservazione-autorassicurazione a breve termine;
l'anestetizzazione e l'immunizazione preventiva procedono ad
ampie falcate al fine (dicono) di 'proteggere la (nostra) vita'. (5)
Notate come, anche nel
linguaggio attuale preferiamo 'default' a 'fallimento', 'crisi' a
'catastrofe': un imbarazzante modo di dire dei miei colleghi, davanti
al tracollo dell'Università, è : 'emergono delle criticità' !
Ma, a lungo termine,
proprio questi automatismi reattivi favoriscono, anziché la nostra
sopravvivenza, proprio la nostra estinzione: 'fare lo struzzo' non
ci salva più sull'orlo dell'abisso (a proposito di
rimozione/negazione: quanto è grande questo orlo, quando sarà
consumato nel linguaggio e ammetteremo di essere 'andati oltre' ? (6)
Il riccio continua a
chiudersi tra i suoi aculei, come ha fatto da sempre. Ma non riesce a
modificare il suo automatismo ora che esistono le automobili e viene
schiacciato, ben chiuso, al loro passaggio.
3.
IGNORANZA ?
Può essere, molto
semplicemente, che non si voglia credere alla catastrofe, già
ampiamente provata, perché è più comodo ingannarsi, illudersi.
Oggi sembrano tutti sopraffatti dal fascino dell'autoinganno. E
finiscono per voler lucrare anche sul proprio funerale (A.Zanzotto)
Le persone comuni
percepiscono e pensano secondo modalità non popperiane: in genere,
se un a nuova esperienza falsifica una nostra premessa preferiamo
falsificare (manipolare, mistificare, negare) l'esperienza percettiva
piuttosto che cambiare idea.
Inoltre, Simon ha
mostrato come 'la capacità della mente umana di formulare e
risolvere problemi complessi è molto ridotta rispetto alle
dimensioni dei problemi che è necessario risolvere per ottenere un
comportamento oggettivamente razionale nel mondo reale o anche solo
un'approssimazione ragionevole a questa razionalità'. E
commentano Turner e Pidgeon: ' Quindi,
anche se le persone riescono ad evitare una pura razionalità
funzionale e cercano di perseguire obiettivi ragionevoli ed
appropriati...non possono sfuggire ai vincoli della razionalità
limitata'. (7)
E
ancora:
'Che cosa impedisce
alle persone di acquisire ed utilizzare segnali di allarme e
anticipazioni che permetterebbero di evitare disastri ? In termini
generali, la risposta è che le informazioni non sono a disposizione
delle persone giuste, al momento giusto, e in una forma tale che le
renda utilizzabili...(Più in specifico) possiamo suddividere le
informazioni necessarie per prevenire un disastro nelle seguenti
categorie:
1. informazioni
completamente sconosciute
2. informazioni note
ma non completamente recepite
3. informazioni note a
qualcuno, ma che non vengono combinate con altre informazioni al
momento giusto, quando la loro importanza diventa palese e vi sarebbe
la possibilità di agire in base al loro contenuto
4. informazioni
disponibili, ma non comprese in quanto non è possibile collocarle
nei quadri interpretativi esistenti.' (8)
Possiamo
chiudere citando anche le 4
cause di fallimento che
conducono al collasso di un sistema, secondo Diamond (9):
non essere capaci
di vedere,
essere capaci di
vedere ma rimuovere/negare
essere capaci di
vedere, di non rimuovere ma non di agire
essere
capaci anche di agire, ma in modo sbagliato e non efficace
Ci troviamo a descrivere
qui quella che amo chiamare ignoranza 2: anche le persone
colte, informate si sono trasformate in una nuova specie, quella
dell''homo sapiens insapiens', l'uomo che non sa di sapere, in
una sorta di maieutica rovesciata, in cui si finge di non sapere quel
che si sa.
L'ignoranza
2 rappresenta la strategia di sopravvivenza primaria per adattarsi
all'apocatastasi,
termine che la Scolastica utilizzava per definire la fine penultima,
la fine che non finisce di finire (che pare essere, per ora, la forma
assunta dalla catastrofe in corso).
Per
la maggioranza degli esseri umani che la attuano (intellettuali e
scienziati compresi) non indica quindi il problema, ma la soluzione.
E, in quanto tale, andrebbe affrontata. Ben sapendo che correggere
quella che si crede una soluzione è molto più complicato ed
improbabile che correggere quel che si crede un errore.
“Stiamo
cercando di verificare se è ancora troppo presto per avere la
certezza che abbiamo già fatto troppo tardi”. Insomma, il rischio
sempre più probabile è che, a differenza dei dinosauri, ci
estingueremo perfettamente informati e consapevoli, magari mentre
ancora ne discutiamo!
4.
TOSSICODIPENDENDO
Parliamo
della politica
della depressione.
La depressione come atto politico. Lei ed io subiamo quotidianamente
la pulsione irrefrenabile a comprare e spendere e vivere in fretta…La
depressione è l’unico modo per mettere un freno a tutto questo. La
depressione economica così come quella psicologica. Per cui, provi a
supporre che la sua depressione e la mia siano atti politici di
ribellione.
Provi a supporre che la psiche stia dicendo NO. Non voglio questa
accelerazione. Non voglio comprare niente. Le mie gambe non si
vogliono muovere. Non mi interessa. Ora me ne sto qui nel letto e
penso al passato…’ (J.Hillman)
Da
vari esperimenti di laboratorio, concentrato premonitore di violenza
verso esseri viventi inermi, sappiamo che se noi mettiamo dei
topolini in gabbia e li lasciamo lì, a subire scariche elettriche
senza possibilità di fuga, essi iniziano presto a deprimersi e, in
un certo tempo, ad ammalarsi, sino a morire.
Come è possibile che il
topo non si deprima e non si ammali, restando in una gabbia senza
uscita ?
1. le punizioni possono
essere alternate a premi, se il topo apprende a fare qualcosa che
possa essere premiato o apprende che anche le punizioni possano avere
un significato ed un’utilità (vedi alla voce: istruzione);
2. il topo può essere
tenuto continuamente in attività, attraverso esercizi, occupazioni,
compiti produttivi (vedi alla voce: lavoro);
3. il topo può essere
anche curato, assistito, protetto e creare così legami di dipendenza
strumentale ed ‘affettiva’ con i suoi 'difensori' (vedi alla
voce: sicurezza);
4. può essere
continuamente distratto e occupato attraverso divertimenti, svaghi,
offerte di consumo e di servizi (vedi alla voce: spettacolo);
5. può essere messo a
convivere con un suo simile: i due possono così competere-aggredirsi
(e si possono far del male, anche uccidersi, ma non si deprimono e
non si ammalano più…anzi, si sentono più vivi !..se restano
vivi…) (vedi alla voce: guerra).
Lo so che non siamo
(uguali a) topi, lo so che (forse) non ci sono sperimentatori malvagi
sopra di noi, lo so che la storia umana non è solo questo ed è
stata anche (quanto ?) capace di altro, lo so che i nostri spazi di
libertà, di cambiamento e di gioco sono (potrebbero essere) più
ampi…
Non sono un sostenitore
della sociobiologia, né del determinismo genetico, culturale e
ambientale…
Ma la catastrofe pare
proprio avvicinarsi quando, per vari motivi, si riducono le
possibilità di compensare e ricompensare:quando un sistema inizia a
non poter più ridistribuire premi ( o questi perdono valore d’uso
e di scambio), a non poter più garantire lavoro e occupazione,
assistenza e protezione, restano solo
spettacolo e guerra: essi sussumono,
sostituendosi alle istituzioni sino a quel punto abilitate, le
matrici stesse dell’istruzione, del lavoro e della sicurezza.
Divengono le fonti primarie e pervasive di in-formazione, produzione,
protezione.
Ed ora
che anche lo spettacolo sta per finire, rischiamo di trovarci
soltanto dentro la guerra, o forse la guerra come unico spettacolo...
E' sempre un'impresa
disperata tentare di uscire da una mitologia, da un'ideologia
anti-ideologica, da una neo-religione che recita i suoi mantra,
sempre attraenti seppure ossidati: + denaro, +crescita, + lavoro,
+consumi, + energia...
E sappiamo bene che il
dio petrolio è un problema anche quando c'è, non solo quando
sparirà.
Ci troviamo dentro una
sindrome di tossicodipendenza allucinatoria, grave e profonda,
la cui prognosi è riservata.
Le persone che
partecipavano ai recenti riots a Londra (e che svaligiavano i negozi
di alta tecnologia) condividono gli stessi immaginari di quelle che
abbiamo visto fare file oceaniche, rinunciando al sonno, per
comprare da Trony a Roma e che hanno trasformato la morte di Saint
Steve Jobs in una iper-reale cerimonia religiosa su scala globale:
l'acquisizione di un Ipad si trasforma in una nuova cerimonia
eucaristica, in un rito tra 'civiltà' ed 'invasioni barbariche', tra
la cortesia ipocrita di chi ha e può ancora comprare e la violenza
distruttiva di chi non ha e ruba. (10)
Come quella rana,
descritta da Bateson, che
continua a saltellare allegramente nell'acqua sempre più bollente,
adattandosi sempre alle nuove condizioni di calore, ma -in un attimo-
schiatta, senza riuscire più a saltar fuori dalla pentola.
Se
questo non bastasse, siamo costretti ad aggiungere che affrontiamo
l'attuale situazione tossico-dipendendo, concettualmente ed
operativamente, da modelli di organizzazione dei processi di
decisione e di gestione dei conflitti mutuati da logiche militari e
statuali, basate quindi su accentramento, delega, obbedienza,
repressione delle divergenze, procedure burocratiche...), con i
disastri conseguenti, derivanti anche dalle sedicenti soluzioni
proposte da sedicenti esperti e nostri volenterosi rappresentanti
(vedi i recenti casi del Golfo del Messico e di Fukushima) . (11)
Ma chi ha oggi la
capacità e il coraggio di dire che siamo in una fase inedita, che
nessuno sa cosa fare, che dobbiamo rivedere i nostri presupposti per
provare ad uscirne vivi ?
E ammettendo che siamo
non dentro semplici problemi da risolvere tecnicamente, ma dentro
dilemmi:
la
distruzione del Pianeta è necessaria per la sopravvivenza del
sistema, e la distruzione del sistema è necessaria per la
sopravvivenza del Pianeta: cosa facciamo?
'Nel
mondo contemporaneo ci sono problemi senza soluzione che
caratterizzano la complessità. Sono polarità tra le quali è
impossibile scegliere, perché solo tenendole insieme si può
garantire l’equilibrio di un sistema molto differenziato. Sono
problemi che
è impossibile non tentare di risolvere, ma la cui soluzione sposta
solo temporaneamente l’incertezza…Le decisioni politiche tendono
spesso a nascondere dietro tecniche e procedure il fatto che i grandi
dilemmi della società contemporanea (ad es. il conflitto tra
autonomia e controllo) non hanno soluzione. Essi possono solo trovare
aggiustamenti temporanei, che saranno tanto più democratici quanto
più saranno equi e aperti alla possibilità di cambiare…' (12)
Ma
chi, oggi, prenderebbe voti dicendo questo?
5.
NO FUTURE ?
-Vede, sta entrando in
quel turbine che io chiamo 'tutto in vacca, fuori dallo stallo'.
-Ma poi devo comunque
tornare alla realtà .
-Non si ponga il
problema ora; spazi, diventi lei l'orizzonte.
-E' vero. Cosa mi
aspetta, ora, mi fa meno paura. (A.Bergonzoni)
'Gephart sostiene che
'i problemi di comunicazione e di non ascolto degli
avvertimenti...sono visti sempre solo in modo retrospettivo...Un
rumore considerevole si mischia con i potenziali segnali di pericolo
per mascherarli, ed essi sono distinguibili da segnali 'normali' e
falsi allarmi solo dopo l'evento. Inoltre
i sistemi complessi non sono reattivi rispetto ai segnali inusuali. I
disastri normali sono pertanto inevitabili.'
. (13)
E la conclusione radicale a cui arriva Perrow è che ' il solo modo per evitare incidenti gravi [...], in sistemi complessi e strettamente connessi, è di impedire che tali sistemi vengano costruiti'. (14) |
Sembra proprio che non
potremo quindi evitare l'effetto-sorpresa della catastrofe.
L'inutilità delle
informazioni di primo livello, infatti, appare evidente. La
catastrofe non è evitabile, anche perchè non è qualcosa che deve
ancora avvenire, ma è già in corso. possiamo solo iniziare a
percepirla e prepararci ad essa, provare a conviverci e a ridurne i
danni. (15)
E a viverla come
opportunità di cambiamenti ed evoluzioni, verso nuovi apprendimenti
e nuove premesse e modelli. (16)
La pedagogia delle
catastrofi nasce proprio da questo assunto: un forte shock ed un
alto livello di instabilità cognitiva appaiono quali passaggi
obbligati per un salto gestaltico: quel che Bion chiama 'cambiamento
catastrofico' (analogo al 'paradigm breakdown' in Kuhn o
all''apprendimento 2' in Bateson). (17)
Forse così potrebbe
avvenire quel che possiamo chiamare, in generale, una potente e
ristrutturazione cognitiva:
'Secondo Platt questi
salti hanno quattro caratteristiche:
I salti sono preceduti
o accompagnati da una 'dissonanza cognitiva', o da quel che potremmo
forse chiamare un aumento dello stato di incertezza, provocato dalla
consapevolezza dell'esistenza di anomalie
Sia la dissonanza che
i salti hanno un carattere globale
La ristrutturazione,
quando avviene, è improvvisa
La nuova struttura
garantisce un'organizzazione delle informazioni disponibili più
generale e concettualmente più semplice delle precedenti.' (18)
Quindi, la pedagogia
delle catastrofi mi appare oggi quale unica chance: un 'equivalente
morale' della shock economy (termine
coniato da Naomi Klein (19)), forma che il tardocapitalismo assume
oggi, prendendo atto (lui sì!) della catastrofe in corso,
neutralizzando il negativo, rivalutandolo in termini economici
(profitti da disinquinamento, trasporti più agevoli e diretti
attraverso uno Stretto di Bering senza ghiacci, etc...) e
preparandosi alla (illusoria?) gestione militare delle rivolte e
delle guerre civili interne: la catastrofe si traduce in 'questione
di ordine pubblico' , 'emergenza da protezione civile' o 'problema di
interesse strategico nazionale', come sta già accadendo di fatto
anche nel nostro paese da almeno dieci anni (vedi: G8 a Genova,
terremoto in Abruzzo, CPT a Lampedusa, rifiuti a Napoli, Tav in Val
di Susa).
Ma se non abbiamo
alternative rispetto all'assunzione di una posizione depressiva,
e visto che la catastrofe sta avvenendo e non possiamo più
evitarla, che fare?
Possiamo abbatterci del
tutto e restare catatonici, paralizzarci.
Possiamo agitarci,
urlare, aggredire, distruggere.
Ma possiamo anche
attraversarla creativamente e provare a farci nuove domande, vivendo
la catastrofe come opportunità.
Potremmo seguire la
logica scientifica della controdeduzione fattuale (del
tipo: e se l'acqua bollisse a 80 gradi ?) e tentare di immaginarci
'altri mondi possibili'.
Alcune
domande che dovremmo permetterci di farci finalmente, approfittando
della catastrofe?
Ci
provo:
E se
il reddito fosse svincolato dal lavoro?
E se
i beni non fossero solo e sempre merci?
E se
il lavoro non fosse più un valore ma un'attività come altre?
E se
la disoccupazione crescente si rivelasse anche come un successo?
E se
andassimo verso un'economia stazionaria, senza crescita, o
decrescente?
E se
la formazione fosse più sganciata da produzione e occupazione?
E se
la democrazia rappresentativa e statuale non fosse l'unico regime
politico possibile?
E se
'pubblico' non fosse più sinonimo di 'statale'?
E se
la protesta pacifica non fosse più un metodo efficace per prendere
potere?
E se
la guerra non fosse più una soluzione ai conflitti?
Per
poterci anche solo permettere domande come queste, credo sia
suggestiva, infine, l'ipotesi di vivere come se la catastrofe fosse
avvenuta e come se vivessimo già in un futuro anteriore (20).
' Siamo sopraffatti da
ciò che i francesi chiamano l'esprit d'escalier:
lo stato d'animo retrospettivo sperimentato a serata finita, per le
scale appunto, quando ormai è troppo tardi. Ebbene, il futuro
anteriore è lo
strumento grammaticale per esprimere fin da subito, prima ancora che
la serata abbia inizio, l'esprit d'escalier di cui saremo preda dopo,
a cose fatte: 'sarò stato inadeguato' o 'avrò colto l'occasione di
una vita'. Poiché si addossa per un istante il rammarico o il
compiacimento che forse proveremo molto più tardi, il futuro
anteriore consente di discernere in anticipi quante possibilità
alternative coesistano, ancora impregiudicate, mentre ci si reca a
casa degli amici. Collocandosi nell'attimo in cui dilagherà l'esprit
d'escalier, il 'sarò stato' censisce i decorsi divergenti che ora
ci stanno dinanzi, traduce l'acidulo 'si sarebbe potuto' in un più
decente 'si potrebbe', riabilita per tempo quelli che, in seguito,
rischiano di figurare come 'futuri perduti'. Ciò che vale per la
festa conviviale, vale a maggior ragione per ogni gesto politico
radicale, per ogni condotta pubblica che strida con l'ordinamento
statale. L'esprit d'escalier, e il futuro anteriore che se ne fa
carico preventivamente, impediscono la compilazione di una storia in
cui ogni tappa successiva sia spacciata per necessaria e
inquestionabile.' (21)
NOTE
- B. A. Turner – N. F. Pidgeon, Disastri. Dinamiche organizzative e responsabilità umane, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p.108
- idem, pp.126-7
- G. Bateson, Perchè le cose finiscono sempre in disordine?, in Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, pp.33-38
- B.A.Turner-N.F.Pidgeon, op.cit., pp.158-9; vedi anche G.Bateson, Finalità cosciente e natura, in op.cit., pp.465-479
- cfr. R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino, 2002; S. Cohen, Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea, Carocci, Roma, 2002; La Sicurezza che ci Terrorizza, in E.Euli, Casca il mondo! Giocare con la catastrofe, la meridiana, Molfetta, 2007, pp. 258-275
- cfr. H. Jonas, Sull'orlo dell'abisso, Einaudi, Torino, 2000
- B.A.Turner-N.F.Pidgeon, p.163
- idem, p.233
- J. Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Torino,2005
- G. Ritzer, La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell'iperconsumismo, Il Mulino, Bologna, 2005; V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino, 2007; J. G. Ballard, Regno a venire, Feltrinelli, Milano, 2009
- 'Toft propone la distinzione tra apprendimento passivo e attivo: il primo è caratterizzato dalla mera presa di coscienza dei risultati o delle raccomandazioni prodotte dalle inchieste; il secondo da una consapevolezza più ampia e dal tentativo di generare attivamente una migliore capacità di previsione...' , in Turner-Pidgeon, p.249
- A.Melucci, Passaggio d'epoca. Il futuro è adesso, Feltrinelli, Milano, 1994, p.68,; e cfr. E.Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana, Molfetta, 2004
- R. P. Gephart, in Turner-Pidgeon, p.252
- C. Perrow, in Turner-Pidgeon, p.260
- L. Mercalli, Prepariamoci a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia,meno abbondanza, e forse più felicità, Chiarelettere, Milano, 2011
- 'Per usare un'espressione di Argyris e Schön, dobbiamo andare oltre un semplice modello cibernetico, a un solo anello, di cambiamento retroattivo del comportamento, per arrivare allo stadio del cosiddetto apprendimento a doppio anello, nel quale le procedure per cogliere e valutare i segnali d'allarme di possibili pericoli, insieme alle nostre teorie su come interpretare il mondo, sono messe direttamente e continuamente in discussione. Anche Levitt e March si sono allontanati dalla tradizionale visione cognitiva dell'apprendimento organizzativo per rivolgersi a quella che hanno definito ecologia dell'apprendimento...Hedberg ha inoltre attirato l'attenzione sull'importante processo del disapprendimento: un disapprendimento lento, infatti, sarebbe secondo lui un fattore di debolezza cruciale per molte organizzazioni. In ambienti stabili l'apprendimento può essere cumulativo, ma in ambienti che cambiano chi apprende deve lavorare attivamente per preservare tanto il proprio apprendimento quanto il proprio disapprendimento. (cfr. su questo tema anche Z. Bauman La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna, 2010) D'altro canto, Hedberg sottolinea anche che un'eccessiva stabilità ambientale inibisce la motivazione al disapprendimento'. (in Turner-Pidgeon, pp.282-283)
- cfr. W. R. Bion, Analisi degli schizofrenici e metodo psicanalitico, Armando, Roma, 1970; T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 2009,; G. Bateson, Le categorie logiche dell'apprendimento e della comunicazione, in op.cit, pp.324-356; M.R. Mancaniello, L'adolescenza come catastrofe. Modelli di interpretazione psicopedagogica, ETS, Firenze, 2002
- J. Platt, in Turner-Pidgeon, pp.189-190; e cfr. R.Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einaudi, Torino, 1980; A. Koyrè, Dal mondo chiuso all'universo infinito, Feltrinelli, Milano, 1970
- N. Klein, Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, BUR, Milano, 2008
- J.Dupuy, Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilità nelle catastrofi del nostro tempo, Donzelli, Napoli, 2006; J.Attali, Breve storia del futuro, Fazi, Roma, 2009;
P.
Virilio, L'università del disastro, R.Cortina, Milano, 2008;
A.Bosi-M.Deriu-V.Pellegrino (a cura di), Il dolce avvenire. Esercizi
di immaginazione radicale del presente, Diabasis, Reggio Emilia, 2009
- P. Virno, Esercizi di esodo. Linguaggio e azione politica, Ombre corte, Verona, 2002, pp.141-2
6 commenti:
Scusi signor Euli, ma lei non usa l'automobile, il cellulare, il pc, ecc ecc ecc???
Se le fa così ribrezzo la nostra società, perchè non se ne va a vivere in una tribù primitiva sperduta in un angolo del mondo? Perchè continua ad usufruire delle comodità che la società da lei tanto criticata le offre?
troppo lungo da leggere
E' uno dei pochi interventi di quel giorno che ero riuscito a seguire in streaming. C'è speranza di leggere anche gli altri?
Salve signor Euli; vorrei ricordare che LaTouche nel suo bel libricino sulla decrescita felice, si limita a dedicare un paragrafo a pensioni e sanità, ammettendo che le attuali garanzie non sono sostenibili in una prospettiva di risorse decrescenti; detto questo le sue domande propositive non sono del tutto peregrine, ma inutile illudersi che la maggior parte della gente sarà più felice nel corso della lunga emergenza, nè che questo sia ingiusto.. La retorica pacifista in una società di cavallette la rimanderei indietro completamente al mittente : guerre quanto meno regionali ci saranno, e sicuramente la democrazia non è adatta a gestire 30-40 anni di risorse procapite decrescenti : abbiamo voluto pensioni per chi ha lavorato 20 o 25 anni, una spesa pubblica che pensasse a dare lavoro ai suoi dipendenti prima che ad investire in sosteniblità ed adesso chi becchiamo 30 anni di mare grosso..In tutto ciò lei però non ravvisa il pericolo della formazione ai fondamentali termodinamici delle nuove generazioni: se ciò accadesse si creaerebbero forti tensioni fra le generazioni che al momento sono per lo più mitigate dalla saggezza dei "giovani" italiani. ( Tasso di fecondità al 1,2 e procrastinazione dell'allontanamento dal nucleo familiare dei baby boomers)...Una nuova socialità si può costruire solo quando la nostra morale non cozzerà più con gli equilibri del pianeta e penserà prima al benessere delle future generazioni che non a quello dei singoli presnti.In tutto ciò la gestion dellacosa pubblica italiana, non esendo limitata ad un 25% delle risorse complessive come negli USA, ha responsabilità gravissime.
Finalmente un primo assaggio delle cassandrate dell'ottobre fiorentino!
E' bello sapere che ci estingueremo perfettamente informati e consapevoli a differenza dei dinosauri. Magari anche i dinosauri avevano una specie di internet planetaria per comunicare sulla catastrofe e solo pochi di loro, quelli che si sono rimpiccioliti e hanno cominciato a volare si sono salvati. Tuttavia sono invidiosa: loro son durati 200 milioni di anni, noi forse 200.000 (e ben pochi consapevolmente). Quindi se mi appresto a mangiare pollo mi sento autorizzata a pensare di mangiare dinosauri o perlomeno i loro più vicini parenti.
Credo di aver dovuto abusare della razionalità funzionale soprattutto per lavoro, fissandomi sulla procedura e quasi mai sul risultato. Ho dovuto diventare schizofrenica per evitare il contagio (o perlomeno credere di farlo) nella vita extra lavorativa, ma spesso un modo di ragionare così diverso mi ha fatto sentire una forte solitudine. Se mi pongo il dilemma se salvare il Pianeta o il Sistema, magari in compagnia di altri compagni di viaggio dentro il doppio anello dell'apprendimento, mi trovo spesso sola a cercare una strada nella nebbia. Garret Hardin nel 1968 scrisse che servono soluzioni etiche-politiche coercitive e condivise per evitare il dramma del sovrappopolamento, adesso, nel 2012, come soluzione alle crisi/catastrofi, si fanno governi tecnici e la politica discute di frivolezze. Sull'etica tralascio. So solo che molti non vogliono vedere, oppure vedono ma si dichiarano "egoisti" perchè pur di mantenere il grado di ricchezza raggiunto, giudicano ancora l'Ambiente capace di rigenerarsi, nonostante le nostre idiozie, e vedono come unico problema la rivolta sociale che a breve potrebbe scatenarsi.
Caro Prof. Euli,
grazie mille per la trascrizione del suo bellissimo intervento del quale ero riuscito a prendere solo qualche appunto alla conferenza. Difficilmente l'homo (in)sapiens sparirà da questo pianeta, troppo resiliente ed adattivo. Quello che invece scomparirà completamente sarà la civiltà così come la intendiamo oggi.
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