martedì, marzo 27, 2012

Perché le riserve di combustibili fossili vengono modificate e cosa significa?


Articolo di Luis Cosin su The Oil Crash del 14 Marzo 2012.
Traduzione a cura di Massimiliano Rupalti.


Cari lettori,
Questa settimana Luis Cosin si è offerto per chiarire un tema che è solito confondere i profani, cioè come si valutano le riserve petrolifere , cosa significano in pratica e perché stiano cambiando così tanto. Spero che attraverso il suo articolo monografico possiate capire meglio e a contestualizzare i tanti annunci che oggigiorno si fanno sulle grandi scoperte di giacimenti.
Vi lascio con Luis. 

Antonio Turiel

RISERVE DI COMBUSTIBILI FOSSILI: COSA SONO E COME SI MISURANO?

0.- INTRODUZIONE

Ultimamente c'è un gran fluire di notizie che parlano del tema delle riserve di combustibili fossili che stimolano domande:
       Perché subiscono revisioni al rialzo ed al ribasso?
       Si scoprono realmente nuove riserve o sono ampliamenti di quelle esistenti?
       Come si possono conoscere le loro dimensioni?
       Una riserva di gas o di petrolio sono la stessa cosa?
       In definitiva: come si sommano pere e mele?
In questo articolo ho la pretesa di descrivere brevemente il processo di formazione dei combustibili fossili, necessario per comprendere le particolarità di ogni tipo di giacimento, e il processo che viene seguito per scoprire nuovi giacimenti e stimarne la prosuzione futura.

1.- COME SI FORMANO I COMBUSTIBILI FOSSILI
I combustibili fossili sono, essenzialmente, materia organica fossilizzata, proveniente da organismi viventi. In termini quantitativi di massa, la materia vivente è composta essenzialmente da:
                     Glucidi (o carboidrati), che formano parte della parete cellulare e dei tessuti strutturali dei vegetali (steli, rami, foglie, tronco...).
                     Lipidi (o grassi, principalmente trigliceridi) che costituiscono le riserve di energia metabolica.
Essa contiene anche proteine e DNA, ma in quantità che sono proporzionalmente molto piccole, irrilevanti per l'analisi che stiamo per fare. Carboidrati e lipidi si fossilizzano in modo diverso e portano a materiali totalmente distinti.

1.1.- Fossilizzazione dei lipidi: il petrolio e il gas naturale

I lipidi o grassi (in gran parte trigliceridi) sono composti ricchi di idrogeno e poveri di ossigeno. La loro formula stechiometrica:

Cn+1H2n+2O3

E' quasi come quella di un idrocarburo convenzionale (CnH2n+2) e la loro struttura è di lunghe catene di carbonio de idrogeno collegati:

http://www.monografias.com/trabajos31/lipidos/lipidos.shtml




Struttura di un trigliceride tipico, formato da una molecola di glicerina (3 atomi di carbonio a sinistra) e lunghe catene di carbonio e idrogeno che possono superare i 15 o addirittura i 20 legami. I trigliceridi, dal punto di vista chimico, ésteri di glicerina con acidi grassi di lunga catena.

A causa della scarsa presenza di ossigeno, non fermentano, anzi, a causa del calore e della pressione de in assenza di ossigeno sono sottoposti a due tipi di reazione:
                     Transesterificazione, che forma lunghe catene di idrocarburi e che da luogo agli olii minerali (biodiesel).
                     Rottura (“cracking”) termica o pirolisi, che produce la decomposizione termica dei trigliceridi e di altri composti organici in molecole semplici, come alcani, alcheni, sostanze aromatiche (componenti fondamentali del petrolio e del gas naturale) ed acidi carbossilici.
Le molecole piccole, risultato del cracking (fondamentalmente metano 90-95%, etano 2-6%, e propano 1-2%), insieme ad altri gas come elio, sulfuro di idrogeno, azoto e marcaptani formano quello che è conosciuto come “gas naturale”.
Per questo motivo, il gas naturale di solito è presente nei giacimenti di petrolio e costituisce una parte fondamentale delle riserve di combustibili fossili.

Il plancton marino e le alghe microscopiche accumulano grasso in grande quantità nel proprio organismo come riserva di energia:


Per quello che si sa, sono le principali  fonti di materia organica dalla quale derivano il petrolio de il gas naturale che esistono attualmente.

1.2.- Fossilizzazione degli idrati di carbonio: il carbone

Gli idrati di carbonio hanno la formula generica:

Cn+x H2nOn

Stechiometricamente, sono quasi una combinazione di carbonio (C) de acqua (H2O). Per questo si chiamano “idrati di carbonio. Per questo motivo:
                     Possono essere fermentati a causa dell'azione dei batteri anaerobici, che consumano il proprio ossigeno dai carbiodrati per produrre energia, liberando  CO2 e H2O e incrementando gradualmente il contenuto di carbonio anella misura in cui l'ossigeno si  esaurisce (notare che questo non accade coi lipidi, che non fermentano). Questo processo è conosciuto come “carbonificazione”.
                     Inoltre, sottoposti ad altre pressioni e temperature, subiscono una reazione di disidratazione (perdita de acqua), perdendo carbonio elementale (cosa conosciuta anche come “carbonizzazione”). E' ciò che osserviamo, ad esempio quando si riscalda del legno senza farlo ardere ho un blocco di carta. Il processo di disidratazione ad alte temperature e quello che genera il carbone vegetale o “picón”(chiedo scusa, ma non ho trovato una definizione plausibile in italiano, forse biochar, ndT).
Per la sua abbondanza, ci sono due tipi di idrati di carbonio che meritano una menzione speciale: la lignina e la cellulosa. La cellulosa è un polimero naturale, formato da unità di glucosio (che è un carboidrato) polimerizzata (connessa l'una con l'altra in una specie di maglia estesa):




La cellulosa forma le pareti cellulari dei vegetali. La parete di una cellula vegetale giovane contiene approssimativamente un 40% di cellulosa; il legno circa il 50%, mentre l'esempio di maggior purezza della cellulosa è il cotone che ne contiene in percentuale superiore al 90%.


Da parte sua, il legno è ricco di lignina (il nome proviene esattamente dalla parola latina “lignum”, che vuol dire “legno”) che è un altro polimero naturale, di struttura più complessa della cellulosa ma con una stechiometria simile (da carboidrato) ed è presente in gran quantità nelle parti cellulari delle piante e anche le alghe dinoficee del regno dei cromalveolati.

 Per esempio, c'è un tipo di carbone giovane chiamato lignite, così chiamato perché si presenta spesso con la forma del legno dal quale proviene:



2.- COME A QUANDO SI SONO FORMATI I COMBUSTIBILI FOSSILI

I combustibili fossili, ai quali oggi siamo così tanto affezionati, hanno origine in due ere molto specifiche del paleozoico: il Devoniano e il Carbonifero.



I diversi tipi di vita (e di materia organica associata) presenti in questi periodi e le diverse forme in cui si trova fossilizzata, hanno dato vita al petrolio e al  gas nel Devoniano e carbone  nel Carbonifero.

2.1.- Il Petrolio e il Gas naturale

Durante il Devoniano (nome proveniente dalla contea del Devon, in Inghilterra), gli oceani e i fiumi si riempirono di plancton e alghe microscopiche che, come abbiamo visto, accumulavano grandi quantità di grasso nei loro organismi.


Nella misura in cui i loro cadaveri si andavano accumulando in bacini sedimentari, normalmente mari poco profondi e letti di fiumi, e continuavano ad essere ricoperti da nuovi strati di sedimenti, la pressione e la temperatura nei sedimenti più profondi aumentavano fino a che iniziarono le reazioni di fossilizzazione che conducono alla formazione di petroli e gas naturale. Il processo di formazione del petrolio e del gas naturale è lento e casuale e consta dei seguenti passaggi:

                     I sedimenti mescolati con sabbia si depositano in un ambiente anaerobico in fondo ai bacini sedimentari marini e fluviali.
                     Poco a poco, vengono ricoperti da nuovi strati di sedimenti, ciò che fa sì che sprofondino e che aumenti la loro pressione e temperatura.
                     A pressione e temperatura sufficienti, iniziano le reazioni di formazione degli idrocarburi e si trasformano a poco a poco in sabbie bituminose. In alcuni casi il processo avviene qui (per esempio, nei giacimenti di sabbie bituminose del Canada).
                     In seguito, a pressioni anche maggiori , le sabbie bituminose si trasformano (si producono cambiamenti mineralogici) dando luogo a rocce arenarie impregnate di petrolio e gas e si intensifica il “cracking” degli idrocarburi pesanti per dar origine ad altri più leggeri.
                     In alcuni casi, a temperature troppo alte o mantenute per troppo tempo, tutti gli idrocarburi si trasformano in gas naturale.  Normalmente, solo una parte si trasforma in gas e il resto rimane come idrocarburi allo stato liquido.
                     Gli idrocarburi e il gas migrano verso l'alto, solito perché hanno una densità minore dell'acqua e della roccia, o meglio perché vengono trascinati e lavati dallo strato d'acqua inferiore.


 La migrazione continua fino a che:

                     O emergono all'esterno, formando fumarole di gas o affioramenti di bitume, come quelli che si possono vedere in certe zone del mar Morto (da lì proviene il “Bitume della Giudea”):

                     Oppure rimangono intrappolati da una roccia impermeabile, chiamato roccia “copertura” o “trappola” (tipicamente rocce saline di antichi bacini marini oppure rocce argillose di antichi bacini fluviali).


Di fatto, si stima che la stragrande maggioranza del petrolio e del gas (più del 99%!) formatosi nel tempo sia già uscito in superficie. Resta solo quello che, casualmente, è stato catturato in una trappola da una roccia copertura, tipicamente argille (in zone fluviali) e rocce saline (in antichi mari) che sono poco permeabili. La roccia nella quale il petrolio ed il gas restano imbrigliati si chiama roccia “serbatoio” ed è di importanza fondamentale. Dalle sue caratteristiche fisiche e chimiche dipende la quantità di petrolio che si potrà estrarre da un giacimento.



Ogni petrolio ha la “sua” ricetta e la “sua” storia. Non ce ne sono due uguali. Anche la composizione di ciò che si estrae dallo stesso giacimento varia nel tempo.

Per questo motivo, in senso commerciale, si è soliti lavorare con valori medi di densità,  contenuto di zolfo...ecc. Il petrolio commerciale è una miscela di prodotto di vari pozzi con una specifica più o meno costante. Così, estrarre petrolio è paragonabile a questo:

 2.2.- Il Carbone

Durante il Carbonifero (letteralmente “l'età del carbone”) gli alberi ed i vegetali legnosi di grandi dimensioni colonizzano la terraferma e le paludi, ed i loro resti legno e foglie si accumulano in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità.


Il processo di formazione del carbone richiede l'azione di batteri anaerobici o calore, è molto più semplice di quello del petrolio ed segue questi passaggi:
                     I vegetali terrestri morti, foglie, legno, cortecce e spore, ricchi in cellulosa e carboidrati, vanno accumulandosi nel fondo di un bacino di sedimentazione, in zone paludose, lagunari o marine di poca profondità. Rimangono coperti di acqua e, pertanto, protetti dall'aria.
                     I batteri anaerobici trasformano lentamente il materiale mediante la fermentazione, consumando l'ossigeno della materia organica stessa, liberando CO2 e H2O e lasciando un residuo sempre più ricco di carbonio.
                     In seguito possono venire coperti da depositi argillosi provenienti da alluvioni o inondazioni, il che contribuirà al mantenimento dell'ambiente anaerobico adeguato perché continui il processo di carbonificazione.

Possiamo trovare diversi tipi di carbone in funzione del grado di carbonificazione che abbia subito la materia organica. Più o meno sono i seguenti:
                     Antracite, che è carbonio cristallino praticamente puro.
                     Bituminoso con poche sostanze volatili.
                     Bituminoso con media quantità di sostanze volatili.
                     Bituminoso con alta quantità di sostanze volatili (carbon fossile).
                     Sub-bituminoso.
                     Lignite con una conformazione che ricorda ancora l'origine vegetale.
                     Torba carbone giovane mescolato con resti di vegetali non ancora carbonificati.

Questi tipi sono abbastanza omogenei in tutto il mondo.
Si pensa che la maggior parte del carbone si sia formato durante il carbonifero (da 190 a 345 milioni di anni fa).


3.- DOVE TROVARLI

Come abbiamo spiegato nell'esposizione precedente, il petrolio e il gas naturale si trovano in:
                     Zone che sono state bacini sedimentarie di mari o fiumi durante il Devoniano.
                     Che abbiano subito processi geologici di trasformazione delle sabbie sedimentarie in arenaria.
                     E che dispongano di uno strato di roccia impermeabile che ha impedito che gli idrocarburi formati salissero fino alla superficie.

Da parte sua, il carbone si trova in:
                     Zone che sono state bacini sedimentari di mari poco profondi e paludi durante il Carbonifero.
                     E che si trovino in zone dalla vegetazione abbondante durante quell'epoca.

E' molto più abbondante del petrolio e del gas. Di solito si trova sotto uno strato di ardesia e sopra uno di sabbia e argilla.

4.- COME SI TROVANO

Il Dio Ade dei greci (Plutone per i Romani) regnava nell'inframondo e custodiva con zelo i suoi tesori. Lo si invocava colpendo il suolo con la mano o con un bastone e lanciando ogni tipo di maledizione. Come troviamo petrolio e gas oggi?

Bene: facendo esattamente la stessa cosa! Anche se le maledizioni si riservano ai casi in cui si trivella e non esce nulla. Una volta che abbiamo identificato un antico bacino sedimentario, una parte fondamantale dell'esplorazione consiste nel fare “mappedegli strati profondi della crosta terrestre. Ciò si ottiene per mezzo di tecniche sismiche:



Un dispositivo generatore di onde sismiche (qualcosa che colpisce il suolo o fa scoppiare piccole cariche esplosive) genera onde che si riflettono e si rifrangono sui diversi strati del suolo e vengono “ascoltati” da geofoni situati ad una certa distanza dalla fonte.
Il suolo, essendo molto denso, è un trasmettitore eccellente del suono, cosa che possiamo verificare in estate, sulla spiaggia, mettendo l'orecchio a terra ed ascoltando i passi di una partita di calcetto a più di 100 metri di distanza. Inoltre, la velocità del suono è molto diversa in funzione della composizione di ciascuno strato. .

Misurando i tempi di ritardo delle onde nel tornare in superficie, ed essere raccolte dai diversi geofoni, e risolvendo i sistemi di equazioni corrispondenti, si possono redigere mappe relativamente precise dei diversi strati.


Esempi di mappe sismiche

Queste mappe sismiche non misurano distanze, ma tempi! Per ottenere la profondità di strato in strato, bisogna conoscere la densità e la velocità del suono in ogni segmento e questo si potrà fare soltanto con i primi sondaggi. I geologi ed i geofisici passano ore davanti a questi diagrammi, assistiti da potenti computer, per cercare di trovare le formazioni suscettibili di diventare trappole per il petrolio. E' tipico il caso degli anticlinali (pieghe convesse verso il basso) e  delle faglie (attraverso le quali il petrolio migra verso la superficie).


Di fatto i computer moderni, con capacità di processo impensabili qualche anno fa, hanno comportato un salto qualitativo nella qualità di queste analisi preliminari ed hanno migliorato drasticamente l'affidabilità di questa tecnologia. Le più recenti scoperte sarebbero state impossibili senza questa tecnologia, poiché richiederebbero migliaia di milioni di ore di calcolo manuale. Una volta localizzata una zona promettente, bisogna fare una prima perforazione... La perforazione del primo pozzo di prova è un momento chiave.
                     Una perforazione onshore (sulla terra ferma) può costare quasi un milione di dollari (senza contare i costi per trasferire i macchinari e le infrastrutture necessarie sul posto).
                     Una perforazione offshore (in acqua, su una piattaforma o una nave) può costare varie volte di più ed è alla portata delle sole compagnie più grandi.

La media dell'industria su scala mondiale è di una perforazione di successo ogni 15-20 dry wells.


Va da sé che, nella perforazione offshore, la complessità ed il costo aumentano rapidamente con la profondità dell'acqua. L'esplorazione in acque profonde (altezza delle acqua superiore a 1000 metri) è diventata praticabile e ragionevolmente sicura solo da 7-8 anni. Il carbone è, in confronto, molto più semplice da localizzare e da estrarre . Di solito affiora in strati lungo le faglie del terreno e si trova fra uno strato di argilla ed uno di ardesia.

Si stima che la maggior parte delle vene carbonifere siano ancora da scoprire, per il fatto che non sia vantaggioso il loro sfruttamento (sono troppo piccole o perché si trovano troppo lontane dai centri di consumo).


5.- COME SI VALUTA LA QUANTITA'


5.1.- “Risorse” (Petrolio nel posto”) e “riserve” non sono la stessa cosa

La quantità totale stimata  di petrolio in un bacino, includendo le parti estraibili e non estraibili, si chiama “risorsa” (“oil in place” in inglese). Date le caratteristiche di ogni bacino e le limitazioni delle tecnologie di estrazione del petrolio, solo una parte delle risorse può essere portata in superficie. Questa parte è denominata “riserve”. Il quoziente riserve/risorse viene chiamato fattore di recupero, FR (“recovery factor”, in inglese) e varia enormemente da un posto all'altro. Dipende da:
                     La densità del petrolio. A maggiore densità, corrisponde maggiore difficoltà di flusso e di estrazione del petrolio.
                     La pressione alla quale si trovi il bacino. A maggiore pressione corrisponde una maggiore densità del petrolio o del gas e minori sforzi per estrarli.
                     La porosità della roccia magazzino. A minore porosità corrisponde una difficoltà maggiore a che il petrolio o il gas fluiscano e saranno necessari più pozzi.
                     La distribuzione fisica del bacino (la sua irregolarità). Ci possono essere zone inaccessibili che richiedano la perforazione di pozzi supplementari.
                     La tecnologia utilizzata: in generale, il fattore di recupero migliora se si fanno ulteriori investimenti in un bacino come:
1. Iniezione di gas o acqua per aumentare la pressione.
2. Inondazione per trascinare il petrolio verso la parte superiore del bacino.
3. Uso di microbi anaerobici che “digeriscano” il petrolio più pesante e lo trasformino  
     in composto più leggeri.
4. “Fracking” (fratturazione idraulica o fisica mediante esplosioni), consistente nel rompere la roccia serbatoio per migliorare la sua porosità. Questo tipo di tecnologia permette di estrarre petrolio e gas dall'ardesia (“shale oil”/”shale gas”), che è una roccia molto poco permeabile. E' un procedimento controverso a causa della possibilità di inquinare le falde acquifere, creare faglie e addirittura anche terremoti locali (se vi guardate il documentario “Gasland” scoprirete che è una certezza, ndT).

In generale:
                     Il gas naturale ha un fattore di recupero superiore al 80%.
                     Le riserve di  petrolio leggero, come quello nigeriano, iracheno o saudita possono arrivare ad un fattore di recupero del 50 %.
                     Quello del petrolio intermedio (per esempio quello del Mare del Nord), di solito non supera il 20%, anche se estratto con tecnologie migliorate (“enhanced recovery”) può arrivare al 25%.
                     E il fattore di recupero del petrolio pesante ed extra pesante, come quello messicano  o venezuelano, raramente supera il 5% attualmente, a causa del fatto che lo sfruttamento non può avvenire a cielo aperto (come nel caso delle sabbie bituminose del Canada).

Attualmente assistiamo ad un certo “revival” di zone che erano entrate in fase di declino grazie alle nuove tecniche di recupero avanzato (“enhanced recovery”). Si parla di recupero secondario o anche terziario

5.2.- Riserve provate, probabili e possibili.

La contabilità delle riserve di petrolio e del gas è l'incubo dell'economista con mentalità da contabile, poiché le riserve non si sommano come euro, dollari, aautomobili o chili di mele. Per cominciare, i criteri per misurare la quantità stimata delle riserve non sono uniformi ed alcune aziende petrolifere statali usano criteri propri (non omologabili) per valutarle. Qui commenteremo gli standard più accettati dall'industria a livello internazionale. In funzione della certezza con la quale si spera di trovare riserve in un giacimento, si parla di riserve provate, probabili e possibili.
                     Le riserve provate sono quelle certezza superiore 90% di essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P90 o 1P.
                     Le riserve probabili sono quelle con una certezza superiore al 50% di essere recuperate alle condizioni tecniche e politiche attuali. Solitamente si parla di P50 o 2P. Cioè, sono quelle che è più probabile che esistano piuttosto che no.
                     Le riserve possibili sono come “il racconto della latteria”: sono quelle con una certezza superiore al 10% di poter essere recuperate. Solitamente si parla di P10 o 3P. E' una valutazione generosa della dimensione possibile del giacimento.

Per quello che abbiamo detto primasui fattori di recupero, le riserve possibili sono diverse volte superiori a quelle probabili o provate (dell'ordine da 1 a 10 o 1 a 20). Le compagnie (private e alcune statali) si sottomettono periodicamente a revisioni delle riserve per verificare la veridicità dei numeri che pubblicano. Il problema è che due delle maggiori compagnie petrolifere statali, che si presume accumulino più del 60% delle riserve mondiali di petrolio (non c'è bisogno di dire quali!) e dalle quali dipende buona parte della fornitura mondiale, non accettano di sottomettersi a questo tipo di revisione. Si suppone che “qualcuno” stia manipolando quei numeri, ma naturalemnte non sono di dominio pubblico.


5.3.- Stima delle riserve di petrolio e gas

Ci sono vari metodi per il calcolo delle riserve e normalmente si utilizzano tutte visto che qualsiasi informazione che serva da contrasto aiuta nel prendere decisioni di investimento che sono enormemente costose.


Si raggruppano in tre categorie e tutte hanno vantaggi e svantaggi:
                     Bilanciamento dei materiali: usa un'equazione termodinamica che mette in relazione il volume di acqua, petrolio e gas che sono stati prodotti nella storia del giacimento e i cambiamenti di pressione osservati nello stesso, per dedurre il petrolio restante. Richiede una gran quantità di dati (che non sempre sono disponibili) e serve solo per giacimenti che hanno prodotto fra il 10 ed il 15% della propria capacità.
                     Curva di declino: utilizza la curva di produzione storica per stimare la produzione futura, aggiustandola ad una curva di regressione (che di solito è iperbolica, esponenziale ed armonica). Richiede uno storico esteso ed esaustivo perché la stima sia buona.




                     Volumetrici: cercano di determinare la quantità di petrolio presente (“oil in place”) utilizzando la dimensione del giacimento così come le proprietà fisiche delle sue rocce e fluidi. Si presume quindi un fattore di recupero basato sull'esperienza di giacimenti simili il cui comportamento è conosciuto e ciò fornisce delle riserve stimate. Sono le più utili nel momento di prendere una decisione di sfruttamento iniziale e di inizio vita del giacimento.

Nei metodi volumetrici, l'industria è solita usare il seguente modello di tipo “schermata discendente” per determinare le riserve provate, probabili e possibili:


Risorse = Volume del giacimento (V)
            ×
Porosità (φ)
            ×
            Saturazione degli idrocarburi (S)
            ×
            Fattore di espansione a pressione atmosferica (N)
             ×
Fattore di recupero (FR)

Il prodotto Risorse = V×φ× S ×N non è mai maggiore del “oil in place” che, moltiplicato per il fattore di recupero (FR), ci dà le riserve.

Vediamo come si determina ognuno di questi fattori:

                     Volume del giacimento (V): abbiamo già spiegato come il petrolio si trovi detenuto , abitualmente in una roccia impermeabile (roccia sigillo) e uno strato d'acqua inferiore. Il presupposto è stimare tanto lo spessore dello strato quanto la sua estensione. Per questo, i geologi sono soliti fare affidamento su informazioni fornite per pozzi di campionamento realizzati lungo una regione, immagini di sismica a rifrazione e correlazioni con altri giacimenti già conosciuti ( L'industria ha dietro di sé più di 100 anni di esperienza nel fraintendimento della valutazione della dimensione dei giacimenti).
                     Porosità (φ): mediante pozzi di campionamento, si estrae materiale e si sottomette ad una analisi mineralogica per determinare la dimensione media del poro ed il grado di connessione fra pori adiacenti. In questo modo si valuta lo spazio reale disponibile per il petrolio ed il gas “estraibili”.
                     Saturazione degli  idrocarburi (S): nei giacimenti, e dovuto al processo stesso di formazione del petrolio e del gas, questi di solito si trovano mescolati con acqua. La saturazione in olio o gas (la percentuale in massa di olio o gas ed acqua nella roccia)viene determinata mediante campionamenti.
                     Fattore di espansione a pressione atmosferica (N): i giacimenti di solito si trovano sotto chilometri di roccia, a pressioni immense, per cui il petrolio ed il gas si trovano enormemente compressi e si espandono rapidamente nella misura in cui ascendono per il tubo mentre vengono estratti a pressione atmosferica.


Ciò può provocare uno degli incidenti più tipici (e pericolosi) di questo tipo di sfruttamento: il blow out (l'esplosione):


I fattori tipici di espansione sono 100/1 o perfino 1.000/1.
                     Fattore di recupero (FR): come abbiamo detto prima, in funzione delle caratteristiche del giacimento citate anteriormente, si stima per comparazione con altri simili la percentuale di risorse che è possibile estrarre e si determinano così le riserve.

Dato che esiste un margine di errore più o meno ampio in ognuna delle variabili precedenti, è abitudine determinare per ognuna di esse un intervallo di sicurezza, una distribuzione di probabilità (per esempio, triangolare, con valore minimo, massimo è più probabile) e di usare la simulazione di Montecarlo per ottenere una distribuzione probabilistica del prodotto. Questa distribuzione è solita somigliare a questo (una distribuzione di tipo “beta”, che è simile a una normale, ma  con un valore probabile più prudente):
In generale, la conoscenza di un giacimento migliora col suo sfruttamento e la indeterminazione iniziale va diminuendo. Le prime stime di solito sono per difetto e le riserve di solito col tempo, semplicemente per aggiustamenti fra il modello teorico iniziale conservativo e la realtà osservata. Nel 2007, la SPE (Society of Petroleum Engineers), il WPC (World Petroleum Council), la AAPG (American Association of Petroleum Geologists) e la SPEE (Society of Petroleum Evaluation Engineers) hanno elaborato un sistema più sofisticato di valutazione delle riserve che include tanto quelle provate quanto le:
                     Contingenti: quantità di petrolio che si stima si possano recuperare ma i cui progetti sono bloccati e che non sono state dichiarate commerciali per cause contingenti (litigi, assenza di mercati, tecnologia in via di sviluppo).
                     Prospettive: quantità di petrolio che si stima si possano recuperare ma che non sono ancora state scoperte (per esempio, le zone circostanti ai grandi giacimenti molto produttivi) e hanno alcune possibilità di esserlo in futuro.






5.4.- I criteri della SEC (Secouristes and Exchange Commission)

La SEC obbliga le imprese energetiche sono quotate nei mercati dei valori USA a calcolare le proprie riserve in accordo con una metodologia che, in generale, sta diventando obsoleta (le regole datano in gran parte agli anni 70). I criteri economici sono quelli che hanno maggior peso (la normativa è pensata per proteggere l'azionista)  ed un effetto perverso degli stessi è che le riserve crescono quando sale il prezzo  e diminuiscono quando si abbassa, il che non sembra molto ragionevole.

Recentemente sono stati fatti alcuni cambiamenti che cercano di mitigare il ballo di cifre, poiché è controproducente, e cercano di raccogliere in qualche modo le riserve contingenti, anche se con criteri molto conservatori.


5.5.- Stima delle riserve di carbone

Le riserve di carbone si stimano in modo analogo a quelle di petrolio: mediante sismica di alta precisione e pozzi di sondaggio si cerca di determinare l'estensione e lo spessore della vena e le difficoltà tecniche per estrarla. Il tipo di sfruttamento dipenderà dal materiale e dalla sua distribuzione:

                     Le vene di torba e lignite, che sono geologicamente più recenti, normalmente sono orizzontali e vicine alla superficie per non aver subito piegature e si è soliti sfruttarli attraverso miniere a cielo aperto, un'opzione più semplice ed economica in generale (anche se il materiale estratto ha molto meno potere calorico per unità di massa).

                     Quelle di antracite e carbon fossile  (come, ad esempio, quelle esistenti nel nord della Spagna e in gran parte del Nord Europa) hanno molto più potere calorico, ma si trovano di solito in strati antichi, piegati e deformati dalla tettonica, per cui il looro sfruttamento è solita avvenire in miniere convenzionali (tunnel sotterranei) ed è, pertanto, più costosa e pericolosa.


Finiamo con una stima attuale delle riserve di carbone:Finalizamos con una estimación a día de hoy de las reservas de carbón:


I grandi produttori di carbone:

1 commento:

Francesco Cappello ha detto...

la velocità con cui si formano i combustibili fossili, nelle diverse condizioni, è stata stimata, teorizzata?

grazie