giovedì, novembre 30, 2006

In memoria di Milton Friedman

Sapete quanti economisti ci vogliono per avvitare una lampadina?

Nessuno. Ci pensa la mano invisibile





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Il mio primo negabarile


Ho toccato in questi giorni i 3500 km percorsi con il mio scooter elettrico. Fatti i dovuti conti, confrontando con quello che consumavo col mio vecchio scooter col motore tradizionale, ho raggiunto il "negabarile", ovvero ho evitato il consumo dell'equivalente di un intero barile di petrolio (159 litri).

Lo so che tutti si affretteranno a dire, "ma hai comunque consumato combustibile alla centrale elettrica!" Vero, lo so benissimo. Però tenete conto che:


1) La catena di consumi è favorevole al veicolo elettrico anche tenendo conto delle perdite di trasmissione e conversione. Un mezzo elettrico consuma comunque meno energia di uno convenzionale a parità di distanza percorsa.

2) In Toscana un buon 20% dell'energia elettrica viene da fonti rinnovabili, ovvero geotermico e idroelettrico. Quindi zero emissioni di CO2.

3) Sto installando sul tetto di casa mia un impianto fotovoltaico che produrrà circa cinque volte più energia di quella che consuma il mio scooter elettrico

Quindi, credo di aver dato un discreto contributo alla riduzione delle emissioni, il tutto risparmiando anche (!). In più, non ho emesso nanopolveri, non ho emesso sostanze inquinanti di nessun tipo e non ho fatto neanche rumore, che si può volere di piu'?

Andatelo a dire a quelli che parlano di auto a idrogeno per il 2020 (forse.....)



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mercoledì, novembre 29, 2006

Proprio una brutta CERA

Esce su "energy Bulletin" un articolo di Ugo Bardi che commenta le ultime stime di abbondanza di Cambridge Energy REsearch Associates (CERA).

L'articolo si intitola "Stime delle Risorse per Geologicamente Andicappati", La critica alle stime di CERA si basa principalente su un esame dell'affidabilità di stime passate, che - contrariamente a quello che spesso si pensa - sono risultate molte volte sbagliate per eccesso.

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Published on 25 Nov 2006 by ASPO-Italy. Archived on 28 Nov 2006.
Resource Forecasting for the Geologically Challenged

by Ugo Bardi


Estimating the amount of crude oil resources seems to be a popular activity nowadays, but often the results of the various studies are not in agreement with each other.

Several independent researchers estimated the total planetary endowment, or “ultimate recoverable resource” (URR), as around 2 trillion barrels (ASPO 2006). Others, instead, propose larger numbers: a study by the United States Geological Survey (Wood and Long 2000) proposed an URR of 3 trillion barrels as the most probable value. A recent study from Cambridge Energy Research Associates (CERA 2006,1) proposes “4.82 trillion barrels” as the ultimate world endowment.

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La Zattera e il Transatlantico: Il solare nel deserto?

Leggiamo su "Repubblica" di qualche giorno fa http://www.repubblica.it/2006/11/sezioni/ambiente/solare/solare/solare.html


Uno studio commissionato dal governo di Berlino rilancia le potenzialità di questa tecnologia
Costruendo centrali nei deserti del Nordafrica si potrebbe dare un enorme aiuto all'Europa
Rapporto tedesco sull'energia solare "Col termodinamico possibile autosufficienza"
Per l'Italia si tratta di uno schiaffo: Rubbia è tra i pionieri, ma è dovuto emigrare in Spagna


Questo articolo è francamente un po' troppo trionfale e richiede qualche commento.

L'idea di fare energia nel deserto non è nuova. Già dopo la prima grande crisi del petrolio dalla Germania arrivò uno studio del 1982 che prevedeva la costruzione di grandi impianti fotovoltaici nel deserto del Sahara e la trasmissione dell'energia in Europa. Lo studio è oggi introvabile, ma ne rinvengono alcune tracce nel libro "La Via del Sole" di E. Turrini del 1990. Lo studio era piuttosto evoluto per i suoi tempi e esaminava due possibilità per la trasmissione dell'energia elettrica: trasmissione diretta attraverso linee ad alta tensione e conversione a idrogeno. Lo studio concludeva che non c'erano vantaggi nell'uso dell'idrogeno, che la cosa era fattibile ma i costi estremamente alti. Si parlava, all'epoca, di costi paragonabili a quelli del progetto Apollo per l'impresa lunare.

Ci si accorse poi che il fotovoltaico nel deserto non funziona meglio (anzi funziona leggermente peggio) dello stesso fotovoltaico in Germania e l'ovvia conclusione fu che era meglio sviluppare il fotovoltaico in Germania piuttosto che lanciarsi nell'impresa follemente costosa di mettersi a piazzare pannelli nel deserto. Questo è quello che la Germania ha fatto con coerenza negli ultimi 10-20 anni, arrivando a una diffusione già importante dell'energia fotovoltaica sul territorio

Ritornata di moda la crisi energetica, si riprendono molte vecchie idee e fra queste quella dell'energia solare nel deserto. Rispetto allo studio del 1982, alcune cose sono cambiate. Nonostante che Rubbia avesse parlato di fare idrogeno nel deserto, se c'è una speranza di portare l'energia dal Sahara all'Europa è soltanto per via di linee elettriche. La differenza principale fra il progetto dell'82 e quello di oggi è che Rubbia propone di utilizzare sistemi solari a concentrazione (o "solare termodinamico") piuttosto che il fotovoltaico.

Il sistema a concentrazione ha il vantaggio rispetto ai pannelli fotovoltaici di poter continuare a produrre energia elettrica anche di notte per mezzo dell'inerzia termica di tutto il sistema. Ma non è tutto oro quello che viene descritto come luccicante e il sistema a concentrazione ha una serie impressionante di problemi. Ci sono grossi problemi nella trasmissione del calore, occorre un fluido in grado di lavorare stabilmente a temperature di 400 gradi almeno e che non solidifichi se per caso una parte delle tubazioni si raffredda. Ci vogliono sistemi sotto vuoto per i tubi collettori, e il tutto va accoppiato con il sistema ottico di concentrazione in modo efficiente. C'è il problema di mantenere gli specchi puliti e il generale problema della manutenzione di un sistema così vasto piazzato nel bel mezzo del deserto. C'è il problema di dover creare tutta una nuova serie di linee di trasmissione a lunghissima distanza con tutte le questioni ambientali connesse. Il problema principale è la scala. Il sistema non ha inerzia termica a sufficienza a meno che non sia veramente grande. In ogni caso non avrebbe senso farlo piccolo se uno deve comunque investire cifre impressionanti per le linee di trasmissione. E, d'altra parte, il sistema non potrebbe funzionare bene in Italia perché ha bisogno di luce diretta, le nuvole e la foschia gli danno molto fastidio, un problema che si pone molto meno con il fotovoltaico. Quindi, comunque vada, si parla di investimenti enormi per un sistema le cui prestazioni dovrebbero essere sperimentate a posteriori.

In sostanza, l'impressione è che si voglia costruire un transatlantico senza aver mai veramente sperimentato una zattera. Tutti i problemi si possono risolvere, in linea di principio, ma è problematico (per non dire altro) trovare l'immenso investimento necessario per un sistema del genere senza poter veramente sperimentare un sistema più piccolo. Ricordiamoci che in Italia non riusciamo ancora a far decollare il fotovoltaico, neanche su piccola scala, figuriamoci imbarcarsi in un'impresa del genere con i soldi pubblici. Ma, in compenso, non ci manca il sole, possiamo creare energia a casa nostra. Lasciamo i profeti incompresi a chi li accoglie. Noi cerchiamo almeno di vivere in accordo alla nostra fama di "Paese del Sole".


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Le tariffe disincentivanti

In questi giorni circola tra gli “addetti ai lavori” il testo, predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico, di una proposta di decreto (di seguito proposta) che modifica radicalmente l’attuale normativa a sostegno della tecnologia solare fotovoltaica. Tralascio gli aspetti meno rilevanti della proposta per soffermarmi sulla previsione che rischia di bloccare la crescita del fotovoltaico nel nostro paese, cioè l’entità dell’incentivazione economica riconosciuta all’energia elettrica prodotta dai pannelli fotovoltaici. I valori delle tariffe incentivanti contenuti nella proposta sono tutti inferiori a quelli definiti dal decreto vigente, compresi quelli relativi agli impianti di potenza inferiore che, nell’intento degli estensori, dovrebbero invece essere maggiormente agevolati.
Per valutare le conseguenze di questo scenario ho effettuato, con l’ausilio di un foglio di calcolo excel appositamente predisposto, una simulazione degli effetti della proposta, e i risultati dimostrano l’assoluta inadeguatezza delle nuove tariffe proposte. Ad esempio, nel caso della realizzazione di un impianto da 1 MW di potenza, il VAN (Valore Attuale Netto), cioè il guadagno netto attualizzato per l’investitore è, mediamente e nelle ipotesi più favorevoli, inferiore a zero e il tempo di ritorno dell'investimento superiore al tempo di vita dell'impianto (25-30 anni), rendendo quindi privo di convenienza economica l’investimento stesso. In altre parole, in un paradossale ribaltamento semantico, le tariffe incentivanti si trasformerebbero inopinatamente in tariffe disincentivanti.
Sono convinto che il decreto proposto non verrà approvato nell’attuale versione perché l’attuale governo di centro-sinistra ha chiaramente individuato tra i propri obiettivi la diffusione delle fonti rinnovabili e il rispetto del Protocollo di Kyoto. Non oso credere che il Ministro dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente, che di concerto dovranno approvare il nuovo decreto, possano accettare previsioni che bloccherebbero definitivamente la crescita delle installazioni fotovoltaiche in Italia. Ciò contrasterebbe con la valutazione positiva che più volte hanno manifestata nei confronti di questa tecnologia.
Mi permetto perciò di avanzare, molto modestamente, alcune proposte per dare maggiori certezze e prospettive al mercato del fotovoltaico. Le modifiche più significative del decreto vigente potrebbero essere appena tre:
1) Aumentare leggermente le attuali tariffe incentivanti, magari eliminando il meccanismo di gara attualmente previsto per gli impianti di potenza maggiore.
2) Introdurre un meccanismo automatico di aggiornamento delle tariffe nei confronti dell’andamento del costo della vita.
3) Prevedere espressamente forme di detrazione fiscale, attualmente non certe, per gli impianti di potenza superiore ai 20 KW, al fine di compensare le spese derivanti dal pagamento dell’Irpef sui ricavi ottenuti dalla produzione di energia elettrica.
Terenzio Longobardi

martedì, novembre 28, 2006

Rinnovabili: come il Nucleare

E' apparso il 25 Novembre sul "Quotidiano Nazionale" un articolo che descrive l'odissea di un poveretto che sta tentando di installare un impianto fotovoltaico a Salerno. Lettura da brivido.

A commento, anche nel caso personale del sottoscritto (Ugo Bardi), l'anno scorso mi sono visto rifiutare dal GRTN la domanda di ammissione alle tariffe incentivanti perché non avevo ancora il permesso del comune. Permesso che mi ha richiesto circa un anno di lavoro, fra suppliche, domande, permessi, sopraluoghi, eccetera. Adesso, che ho il permesso, mi tocca ricominciare con la domanda per le tariffe.....

Vi racconto anche, senza fare nomi, che una volta mi sono trovato a chiaccherare con un assessore di un piccolo comune Toscano il quale mi ha detto "Ma lo sai che il tale X,Y ha chiesto il permesso di installare un impianto da 15 kW? Stiamo cercando di trovare il modo di bloccarlo". Non ho avuto il coraggio di chiedergli perché mai si doveva affaticare tanto a bloccare l'impianto di quel tale; penso che non lo sapesse neanche lui.

Sembra che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato su questo pianeta. Forse mi devo semplicemente svegliare e mi ritroverò in un pianeta "normale" dove l'energia si fa dal sole e non da un liquido nero e puzzolente. Si, deve proprio essere un incubo.... qualcuno mi puo' dare un pizzicotto?

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«Fonti rinnovabili? Una favola»
La burocrazia blocca l’impianto fotovoltaico dell’imprenditore Rino Minardi
di ELENA COMELLI


— SALERNO —
«UN IMPIANTO fotovoltaico? Come una centrale nucleare». Questa è l’esperienza di Rino Minardi, che sta combattendo dal settembre dell’anno scorso per mettere su un megawatt e mezzo di pannelli solari a Castelnuovo del Cilento, nel Salernitano. L’imprenditore cilentano è uno dei pionieri del nuovo sistema d’incentivazione in conto energia, varato l’anno scorso per incrementare la diffusione di pannelli fotovoltaici. Fino ad oggi nel Paese del sole non si supera una potenza installata di 40 MW in tutto, contro gli 800 MW della Germania, dove notoriamente il sole non c’è. Per questo il precedente governo ha escogitato un sistema d’incentivazione tale da spingere gli italiani verso l’energia del sole.

Oggi chi vuole realizzare un impianto fotovoltaico, sia una famiglia o un piccolo produttore, riceve dal Gse, il Gestore dei servizi elettrici, per vent’anni un incentivo pari a circa mezzo euro per kWh di energia pulita prodotta. In vista del discreto guadagno, appena varato il decreto qualcuno si è mosso: tra i primi, Rino Minardi. Per gli impianti più grandi era prevista una gara: bisognava presentare entro il 30 settembre 2005, come imposto dal primo bando, un progetto dettagliato al Gse, insieme a una fidejussione da un milione di euro per ogni megawatt di potenza installata. Così ha fatto Minardi: «Alla fine di settembre ho presentato il progetto dettagliato per un impianto da 1,5 MW a Castelnuovo del Cilento e la fidejussione da un milione e mezzo di euro».

La domanda ha successo e alla fine dell’anno scorso Minardi apprende di aver passato l’esame del gestore. Ora deve darsi una mossa, perché l’attribuzione degli incentivi scade dopo un anno e se in questo lasso di tempo non si avvia il cantiere, il suo milione e mezzo va a finire nelle casse dello Stato. Con in mano l’ammissione agli incentivi, Minardi si rivolge dunque al Comune per chiedere l’autorizzazione ad avviare il cantiere.

«SI TRATTA di un impianto che non ha sostanzialmente impatto ambientale», spiega Luca Fermo di Ray Energy, cui Minardi si è rivolto per l’installazione. «I pannelli — precisa Fermo — vanno in parte installati su un capannone industriale in disuso, in parte a terra in una zona non agricola e producono energia senza nessun tipo di emissioni».

La costruzione dell’impianto porterebbe una cinquantina di posti di lavoro in zona per 10 mesi-un anno. L’investimento complessivo di 8-9 milioni di euro darà un rendimento di circa un milione di euro l’anno: 700mila euro per ogni megawatt installato.

Ma tutto questo bendidio non smuove di un millimetro le autorità locali. Malgrado i ripetuti solleciti, il permesso di costruire tarda e dopo otto mesi di traccheggi arriva la richiesta più assurda: ci vuole l’autorizzazione unica, che comporta uno studio d’impatto ambientale come se ci trovassimo di fronte a una mega-centrale a carbone o a gas, e poi la convocazione di una conferenza servizi cui dovranno partecipare 17 enti diversi, dai vari assessorati competenti della Regione alla Provincia al Comune, passando per Telecom Italia (non ci sono fili del telefono o centraline in zona) e dal Parco Nazionale del Cilento (il cui confine corre ben lontano dal sito dell’impianto).

Minardi si mette al lavoro, ma non ce la farà mai ad avere tutte le autorizzazioni entro la fine dell’anno, quando scade il termine che gli farebbe perdere i soldi della fidejussione. «Non ho altra scelta: aprirò un cantiere lo stesso, anche senza tutte le autorizzazioni», spiega con amarezza.

E IL CASO DI MINARDI non è isolato. «Il sospetto è che ci sia qualcuno che cerca di bloccare lo sviluppo del solare in Italia», ipotizza Minardi, convinto che l’energia rinnovabile dia fastidio ai grandi produttori di fonti fossili, che perderebbero clienti a favore delle fonti pulite. Non stupisce che a un anno dalla partenza del nuovo sistema d’incentivazione, il boom del solare che ci si aspettava in Italia non ci sia stato: su 185 MW di progetti incentivati, finora non c’è nemmeno 1 MW in funzione. E solo per 27 MW è stato notificato l’inizio dei lavori.


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lunedì, novembre 27, 2006

Perche le Rinnovabili non Sfondano?

Un nuovo interessante articolo di Domenico Coiante sul sito www.aspoitalia.net. Qui, Coiante prende in considerazione un argomento spesso trascurato, quello delle "esternalità" della questione della "sicurezza degli approvvigionamenti", esternalità che prendono in gran parte la forma di spese militari e che non vengono mai conteggiate come costi dell'energia fossile. Se le si conteggiassero, il vantaggio delle rinnovabili sarebbe probabilmente incolmabile.

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da www.aspoitalia.net

Sulle difficoltà incontrate dalle NFER per la penetrazione nel mercato dell’energia
Domenico Coiante
lunedì 27 novembre 2006


La recente ennesima crisi geopolitica internazionale possiede, in parte come quelle precedenti, la sua causa recondita nella pesante e vitale dipendenza dell’economia occidentale dal petrolio e nel fatto che la fornitura prevalente di questo combustibile proviene dalla instabile zona dei paesi mediorientali. La necessità strategica di garantire la sicurezza del rifornimento energetico a costi accettabili rende particolarmente reattivo il mondo occidentale nei riguardi di qualsiasi minaccia di interruzione del flusso di petrolio che alimenta la sua economia. Così, anche nell’attuale crisi, si stanno spendendo ingenti risorse economiche su questo fronte.

A prescindere dal fatto che le vite umane in gioco hanno un valore incalcolabile, tali enormi spese non vengono mai contabilizzate sul prezzo reale del barile di petrolio in quanto considerate strategiche in senso lato e quindi poste tranquillamente a carico della collettività, alla stessa stregua delle spese per la salute. Ignorate pertanto queste spese, il petrolio gode del privilegio ingiustificato di essere considerato come un qualsiasi prodotto commerciale scambiato su un mercato completamente libero, non assistito, mentre i prodotti energetici alternativi (in special modo le energie rinnovabili), per competere, devono fare ricorso a consistenti forme di incentivazione pubblica, tutte giustificabili con molta fatica mediante i benefici ambientali indotti. Stante la situazione degli alti costi di produzione dell’energia rinnovabile, il riconoscimento di un adeguato valore dei benefici ambientali diviene così elemento essenziale per l’ampliamento del mercato e la diffusione nell’uso delle fonti alternative.


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Il Rapporto Stern e lo studio WWF a confronto

Un articolo molto interessante da "Umanità Nova" a firma di "MarTa" che mette a confronto i risultati del recente "rapporto Stern" e quelli dello studion "The Living Planet" del WWF. Curiosamente, Tony Blair (che ha commissionato il rapporto) e il WWF si trovano daccordo.

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Umanita` Nova. n. 37. del 19 novembre 2006. anno 86.

Clima: rapporto "Stern" e "The living planet" del WWF.

Un'impronta devastante.

L'ottobre di quest'anno in Italia verra` ricordato, almeno dai fortunati abitanti delle localita` marine, perche` cosi` mite da permettere ancora gradevoli nuotate. Magari, tra un tuffo e un altro, buttando l'occhio sulla stampa quotidiana, qualcuno si sara` accorto della quasi contemporaneita` con cui si pongono all'attenzione dell'opinione pubblica due rapporti ambientali. Analogo il tema dell'indagine, diversi gli autori. Da una parte il WWF con i risultati del suo studio biennale "The living planet report 2006", dall'altra un gruppo di lavoro guidato dall'economista Nicholas Stern che ha condotto una ricerca sulle conseguenze economiche dei cambiamenti climatici, commissionata dal governo britannico di Blair.

La considerazione singolare e` che, questa volta, le conclusioni cui giungono gli studiosi, pur partendo da un differente approccio, sono molto simili. E' probabile che Blair non voglia essere ricordato solo in relazione alla sua partecipazione alla guerra in Iraq, o forse ha bisogno di trovare una giustificazione per l'introduzione di alcune "tasse ambientali", ma e` comunque significativo che dagli estratti dello studio di 700 pagine, proposti in anteprima dalla stampa inglese, risulti uno scenario a dir poco preoccupante. Fino al 20 per cento del prodotto lordo mondiale perso per colpa del global warming e 200 milioni di profughi in fuga dai territori che, piu` pesantemente, subirebbero le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Stern analizza l'impatto del riscaldamento globale sui vari comparti produttivi da oggi al 2100, delineando le conseguenze limite dell'anomalo incremento delle temperature prodotto, principalmente, dal modello energetico basato sul petrolio e sui combustibili fossili. L'ipotesi peggiore, quella indicata dai dati prima riportati, costituirebbe un pericolo gravissimo per la capacita` di tenuta dell'economia mondiale e un fattore di grande tensione per gli "equilibri" politici.

Per scongiurare questa minaccia lo studio Stern suggerisce, sostanzialmente, di sostenere i rimedi proposti dal protocollo di Kyoto prevedendo pero` un rilancio nella individuazione degli obiettivi ed un'accelerazione nella loro realizzazione. In particolare sottolinea la necessita` del coinvolgimento degli Stati Uniti, quali maggiori responsabili dell'immissione dei gas serra, e dell'immediata partecipazione al protocollo di paesi come la Cina e l'India che, in seguito al loro rapido sviluppo economico tra i paesi emergenti, saranno presto responsabili di una significativa fetta delle emissioni inquinanti.


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Trasporti e petrolio

Trasporti e petrolio: l’ Institut Français du Pétrole capisce, ma non dice tutto.

In un articolo intitolato: “I trasporti penano e continueranno a penare per affrancarsi dal petrolio” e pubblicato il 23 novembre sul sito di Le Monde, si può apprezzare il buon livello di comprensione del problema dei trasporti da parte degli specialisti dell’ Institut Français du Pétrole (IFP) in relazione sia ai consumi petroliferi che agli impegni contratti dai paesi firmatari del protocollo di Kyoto. Philippe Pinchon del comitato esecutivo dell’IFP e direttore del settore motori- energia afferma: “in un modo o nell’altro, si dovrà uscire dall’equazione trasporti = petrolio”. I problemi dei trasporti e delle alternative al motore a scoppio sono poi presentati con sufficiente chiarezza. Nell’articolo, ben scritto secondo la tradizione del quotidiano francese, si riportano i risultati di un convegno dell’IFP tenutosi il 21 novembre. Si presentano le proiezioni sulla crescita della domanda di petrolio e sulla crescita del trasporto nonché delle corrispondenti emissioni di gas serra. Una parte non indifferente è dedicata ad una disamina degli aspetti critici della produzione e dell’introduzione dei biocarburanti, nella quale non manca un accenno al fatto che prima o poi la loro produzione entrerebbe in competizione con il “mercato alimentare”. Un modo educato per dire che si sceglierebbe di andare in macchina piuttosto che far mangiare gli affamati? La percentuale di combustibili liquidi coperta dai biocarburanti comunque non superebbe nel 2050 un terzo (sic!!) del totale. L’IFP si occupa anche dello sviluppo di carburanti da legno e paglia e M. Pinchon assicura che il loro EROEI è maggiore di 1. Nel seguito viene affrontata l’opzione elettrica con valutazioni sulla densità energetica di batterie di vecchia (50 Wh/kg per le batterie al Pb), e di nuova concezione (200 Wh/kg per quelle al Litio) e, giustamente, si confrontano questi dati con quelli medi dei carburanti di origine petrolifera (9000 Wh/Kg). E’ questo fattore che limiterebbe lo sviluppo del “tutto elettrico”. Secondo M. Pinchon l’opzione elettrica andrebbe bene solo per il trasporto urbano. Al contrario gli ibridi e i motori di nuova concezione ancora allo studio vengono considerati una opzione promettente. Infine l’ultima carta sarebbero i nuovi condensatori che permetterebbero di immagazzinare decine di kW in tempi molto brevi durante le frenate.
Manca un solo aspetto, per noi rilevante, non si fa menzione del Picco del Petrolio. Il problema della sostituzione è visto solo nella prospettiva della riduzione delle emissioni di CO2. Verrebbe da pensare che all’Istituto Francese del Petrolio preferiscano fare gli ambientalisti piuttosto che gli Hubbertiani. Si può capire..



Le transports peinent et peineront à s'affranchir du pétrole.

Le Monde on line 23 novembre 2006.

La France affiche l'ambition de diviser par quatre ses émissions de gaz à effet de serre d'ici à 2050. Pour le seul secteur des transports, ces émissions ont augmenté de 23 % entre 1990 et 2004. Certes, le kilométrage du parc automobile français (398 milliards de km) et sa consommation de carburant (29 millions de m3) ont stagné ces dernières années. Mais les réponses apportées, mardi 21 novembre, par l'Institut français du pétrole (IFP), lors d'une conférence intitulée "Quelles énergies pour les transports de demain ?", suggère que l'objectif "Facteur 4", partagé par d'autres pays, sera difficilement tenable.

"Il n'y a pas de panacée, prévient Olivier Appert, président de l'IFP. Au niveau mondial, le transport, qui connaît une croissance annuelle de 2 %, dépend à 98 % du pétrole et il représente 50 % de la consommation des hydrocarbures." Les projections à 2050 suggèrent que la demande internationale de transport de marchandises pourrait tripler, et croître de 131 % pour les passagers. Dans le même temps, les émissions de gaz à effet de serre augmenteront de 125 %, dans un scénario où l'économie garderait le rythme de croissance actuel.

"Il faudra sortir de l'équation transport = pétrole d'une manière ou d'une autre", indique Philippe Pinchon, directeur moteur-énergie de l'IFP, qui, outre un changement de comportement des utilisateurs, envisage deux types de réponses. La première concerne le rendement énergétique des moteurs et la seconde vise à diversifier les sources d'énergie.

Les moteurs actuels et les formulations des carburants peuvent encore progresser, "mais cela ne suffira pas", prévient-il. Depuis une décennie, les normes européennes ont imposé une diminution de 15 % des émissions de CO2. L'objectif est désormais de 140 g/km en 2008. "Au delà, juge-t-il, il faudra des ruptures technologiques, telles que la distribution variable, l'injection directe, pour l'essence" Pour elle comme pour le diesel, le "downsizing", c'est-à-dire le recours à des cylindrées plus faibles, sera la règle.

L'hybridation, qui allie moteurs à explosion et électrique, dans des proportions variables, est une solution d'avenir, selon l'IFP, qui a mesuré les performances de plusieurs prototypes avec des partenaires industriels : moins de 80 grammes de CO2 au km pour la Prius "full hybrid" de Toyota, et performance identique avec une Smart "moyennement hybride", par exemple.

L'IFP est très critique vis-à-vis de l'utilisation des huiles végétales brutes, jugées trop visqueuses pour les moteurs modernes et émettrices de composés nocifs (benzène et acroléine). Mais il est favorable aux biocarburants, éthanol et biodiesel, même si leur production entrera tôt ou tard en concurrence avec le marché alimentaire, les terres cultivables n'étant pas indéfiniment extensibles. Le potentiel de production mondial des biocarburants varie selon les analystes, mais ne dépasse pas un tiers de besoins prévisibles en 2050. Il faut donc envisager l'utilisation de résidus de bois et de paille, assure l'IFP, qui a développé des procédés d'extraction.

L'impact environnemental des biocarburants n'est pas nul : utilisation d'engrais, défrichage. Mais ils fournissent plus d'énergie que leur production n'en nécessite, assure Philippe Pinchon : "globalement, on économise 50 % de l'énergie fossile correspondante". Certains analystes, comme Henri Prévot (Conseil général des Mines), estiment cependant que la biomasse serait mieux employée dans un premier temps comme substitut du fioul dans le chauffage.

Et le tout-électrique, qui n'est pas la spécialité de l'IFP ? Le facteur limitant reste la faible densité énergétique des batteries. Avec le plomb, elle est de 50 Wh/kg et pourrait atteindre 200 Wh/kg pour le lithium-ion. "A comparer avec les quelque 9 000 Wh/kg du carburant", note Philippe Pinchon. Sauf pour les utilisations urbaines, ou dans les véhicules hybrides, ce spécialiste voit mal le moteur électrique s'imposer. De nouveaux condensateurs, qui permettent de stocker sur un temps bref des dizaines de kW, lors du freinage du véhicule, seront en l'occurrence un atout.

domenica, novembre 26, 2006

Ricchezza e Povertà di un Paese

Qualche anno fa, un collega mi invitò a visitare il paesino della Sicilia dove era nato e cresciuto. Immaginatevi questo posto, sperduto fra le montagne della Sicilia centrale, che tuttavia mostrava una certa attività; automobili, nuove case in costruzione, negozi e gente ben vestita.

Il mio collega mi raccontava di quanto le cose fossero cambiate dal tempo della sua infanzia, negli anni '50. A quell'epoca, mi diceva, il paese era poverissimo. Molte case non avevano ne' luce ne' acqua potabile, non c'erano automobili, non c'era neanche la strada asfaltata che portava alla costa. La gente viveva di un po' di agricoltura, qualche capra e qualche pecora.

Mi venne naturale chiedere al mio collega che cosa avesse causato il cambiamento. La sua risposta fu subito sicura: è stata l'edilizia, disse, che ha portato la prosperità. La stessa domanda posta alla moglie del mio collega, anche lei originaria del paese in questione, fu diversa. Sono gli stipendi del comune, disse, che danno da vivere a tanta gente.

Il mio collega sembra essere un seguace delle teorie di Robert Solow dell "economia dematerializzata". Non importa quanto sia l'influsso di risorse nel sistema economico, dice più o meno Solow, è il fattore tecnologico che fa crescere l'economia. In questo caso, parrebbe che la tecnologia edilizia del cemento armato, superiore a quella delle case di pietra di una volta, sia quello che abbia permesso agli abitanti del paesino di loro, e quindi di raggiungere la prosperità.

La moglie del mio collega sembra essere invece una seguace delle teorie dell'economista John Maynard Keynes. Una delle idee di Keynes era che la spesa statale stimola l'economia ed genera crescita. E' stato detto che secondo Keynes si può ottenere la prosperità economica mettendo metà della popolazione a scavare buche e l'altra metà a riempirle, tutti con uno stipendio statale. Questa è, evidentemente, una semplificazione eccessiva, ma rende l'idea. Nel caso del paesino Siciliano, sembrerebbe che le spese comunali abbiano stimolato l'economia a crescere in un circolo virtuoso in cui metà della popolazione paga le tasse per pagare gli stipendi di dipendenti comunali all'altra metà.

E' curioso come non abbia sfiorato la mente dei miei interlocutori come la risposta alla domanda potrebbe essere completamente diversa e non correlata nè agli stipendi nè all'attività edilizia. Non hanno fatto caso che la strada che collega il paese con il resto della Sicilia è asfaltata con bitume, che viene dal petrolio. E' stata scavata con dei buldozer che vanno con carburante derivato dal petrolio. La percorrono automobili e camion che anche loro usano carburante derivato dal petrolio. Il cemento con il quale le case sono state costruite è stato prodotto da un cementificio che ottiene la sua energia dal petrolio. La luce elettrica in paese è generata da una centrale sulla costa che funziona a petrolio. Tutto quello che si vende nei negozi è stato fabbricato usando energia che viene in gran parte dal petrolio. Molta della ricchezza del paese viene dalle rendite dei suoi ex abitanti che sono andati a lavorare altrove, tutti lavori resi possibile dal petrolio.

Gli americani hanno un detto "non accorgersi dell'elefante in salotto" per indicare quando esiste una risposta a un problema che perfettamente ovvia me che non si riesce a vedere. Come se uno avesse un elefante nel salotto e non se ne accorgesse. Che la prosperità di un paesino siciliano dipenda dal petrolio è uno di questi elefanti, talmente ovvio che nessuno ci fa caso.

D'altra parte, gli stessi ragionamenti si possono fare su scale ben più vaste del microcosmo del paesino siciliano. Che cosa ha portato la prosperità di tutta l'Italia negli ultimi 50 anni? Economisti di grido vi diranno che la nostra ricchezza sta tutta nel nostro patrimonio edilizio e che questo è una cosa buona. Altri, nel più puro stile keynesiano, vi diranno che per "rilanciare l'economia" bisogna attivare gli scambi. Comprate qualcosa per Natale, non importa cosa, e tutto andrà bene.

Anche qui, non ci si accorge che non solo abbiamo un elefante in salotto, ma che questo elefante è in pessima salute e che potrebbe cadere morto sul tappeto, lasciando il salotto in condizioni miserevoli. Il petrolio che fino a non molti anni fa è fluito in abbondanza nella nostra economia, ora è in difficoltà. Non è finito il petrolio, ma il graduale esaurimento lo rende sempre più costoso. Le cose non sono più come prima

Quel paesino siciliano di cui vi ho parlato, l'ho visitato ormai parecchi anni fa e ho l'impressione che se ci tornassi adesso l'impressione di prosperità sarebbe assai più limitata. Tutto il paese mostra segni evidenti di impoverimento; un ciclo sta finendo. Il petrolio è stato un ciclo molto rapido che ci ha dato solo una breve impressione di ricchezza. In quanto tempo quel paesino dovrà ritornare alle capre e agli orticelli, è difficile dire. Ma tutto il paese, senza petrolio, tornerà anche quello a capre e orticelli. A meno che non ci diamo una smossa e ci decidiamo a sostituire il petrolio con le rinnovabili; non basta comprare qualcosa per Natale.




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Il Disaccoppiamento (cerebrale) degli Economisti

Già da parecchi anni, gli economisti si sono accorti del fenomeno chiamato "disaccoppiamento". E' successo che dalla metà degli anni '70, circa, l'influsso di energia nel sistema economico non cresce più così rapidamente come era cresciuto nel passato. Tuttavia, il prodotto interno lordo (PIL, o GdP dall'inglese "Gross Domestic Product") ha continuato a crescere nella maggior parte dei paesi industrializzati senza risentire, apparentemente, del rallentamento del flusso energetico.

In altre parole, il rapporto fra PIL e flusso energetico ha cominciato ad aumentare e continua a tutt'oggi. E' stato detto, dunque, che la quantità di energia necessaria per creare un'unità di PIL diminuisce sempre di più. Gli economisti hanno chiamato questo rapporto "efficienza" e ne hanno dedotto che stiamo diventando sempre più bravi a sfruttare l'energia. Al limite, questo è il ragionamento che ha portato Robert Solow, uno dei più noti economisti al mondo, ad affermare che l'economia può crescere "anche senza bisogno di risorse materiali".

A questo tipo di ragionamenti, Herman Daly - altro economista ben noto - aveva contrapposto un immagine efficace dicendo che l'idea di Solow equivaleva a dire che un pasticcere può preparare una torta anche senza farina, semplicemente rimestando con maggior foga nella teglia. In parte, l'eccessivo entusiasmo di molti economisti su questa faccenda era correlato alla bolla economica degli anni '90, quando si parlava seriamente di "economia dematerializzata" e sembrava che il segreto della ricchezza fosse di farsi un sito internet e vendere - magari - altri siti internet. Più tardi, ci siamo accorti che non si poteva mangiare l'internet e l'entusiasmo si è notevolmente ridotto. Tuttavia, l'idea che il rapporto fra PIL e produzione di energia sia una misura dell'efficienza di un'economia rimane diffusa. E' vero che diventiamo sempre più efficienti?

Ahimé, è improbabile che l'aumento di questa "efficienza" sia veramente un'indizio della nostra sempre crescente bravura a sfruttare l'energia. Quando si considerano certe grandezze che includono molti elementi (dette "aggregate" nel gergo degli economisti) bisogna stare attenti a che cosa si misura; ovvero bisogna stare attenti, come si dice, a non sommare le mele con le pere.

Se la produzione di energia è una grandezza ben definita e fisicamente misurabile, bisogna stare attenti a cosa si misura con il prodotto interno lordo, che è una grandezza talmente aggregata che veramente include pere, mele, cocomeri, limoni e altro. Il PIL è la somma delle transazioni monetarie interne all'economia. Alcune di queste transazioni implicano l'uso di energia, altre no. Una fabbrica - diciamo - di scarpe, usa energia per produrre le scarpe, poi le vende e la relativa transazione economica si somma al PIL. Se però qualcuno vende una casa e qualcuno la compra, questo non implica che si sia usata energia se non in quantità minuscola. Ma anche la compravendita di una casa registra sul PIL.

Stiamo sommando cose molto diverse fra di loro e traendone conclusioni sbagliate. Se volessimo dire che veramente siamo più bravi, dovremmo comparare cose comparabili, ovvero come varia il costo di attività che richiedono energia, come la manifattura di prodotti. Qui, vedremmo che la produzione di qualunque cosa richiede una quantità di energia che rimane quasi costante nel tempo; l'aumento di efficienza esiste ma è veramente minimo, niente di comparabile alla rapida crescita che gli economisti chiamano "efficienza."

Entro certi limiti, è una questione di definizione, ma le parole possono ingannare. Chiamare "efficienza" qualcosa che è molto diverso dalla definizione comune di efficienza ha certamente un effetto perverso. Se si chiude una fabbrica di scarpe e la si trasforma in appartamenti, la transazione economica della vendita di questi ultimi si riflette sul PIL in modo probabilmente più importante di quanto non si riflettesse la vendita delle scarpe che la fabbrica produceva. Siccome la fabbrica consumava energia, mentre la compravendita di appartamenti non ne consuma, ne consegue che trasformare le fabbriche in appartamenti viene inteso dagli economisti come un "aumento di efficienza" dell'economia nazionale.

Questo è un buon esempio di come una serie di ragionamenti in apparerenza logici porti a delle conseguenze assurde. Sarebbe da riderci sopra se non fosse che per davvero in Italia si stanno chiudendo le fabbriche per trasformarle in appartamenti e che per davvero in Italia c'è gente che ti dice che non c'è niente di cui preoccuparsi se il nostro sistema industriale sta scomparendo. Tanto, il PIL continua ad aumentare! Ricordiamoci, però, che non si può mangiare il PIL.

Per chi ha chiara la teoria dinamica dell'economia, è chiaro l'abbaglio che alcuni economisti hanno preso con la loro definizione di "efficienza". L'interazione fra il flusso di materie prime nell'economia e la creazione di capitale segue un ciclo ben definito. Stiamo vedendo oggi quella parte del ciclo che vede il rallentamento della capacità estrattiva dovuto all'aumento dei costi di estrazione. Ciononostante, le economie stanno ancora crescendo, in parte questo è dovuto allo spostamento dell'attività economica verso transazioni poco energivore (trasformare fabbriche in appartamenti) in parte all'utilizzazione di capitale accumulato in precedenza. Questo viene chiamato un effetto di "time-delay" (sfasamento). Comunque vada, l'economia non si può completamente dematerializzare e anche la compravendita di case utilizza una certa quantità di energia; se non altro venditore e compratore devono mangiare. Fra qualche anno, anche il PIL dovrà cominciare a seguire l'andamento della produzione energetica. Siccome la produzione energetica è destinata a raggiungere un picco e poi diminuire, anche il PIL seguirà lo stesso destino, ovvero di diminuire.

Facciamo un esempio per spiegare meglio la faccenda. Immaginatevi che vi riducano lo stipendio a causa di una ristrutturazione aziendale. Per un po', potrete comunque continuare a mantenere il vostro tenore di vita - l'automobile, la casa al mare, andare a sciare in inverno - con i soldi che avevate in banca. Per un altrò po', potrete continuare magari vendendo i quadri di casa, o facendo dei debiti. Uno che osserva dall'esterno, potrebbe notare che il vostro tenore di vita non è cambiato e, se sapesse anche che il vostro stipendio è diminuito, potrebbe dedurre che siete diventati più "efficienti" nello sfruttare le vostre risorse. In realtà, è semplicemente uno sfasamento. Esaurite le risorse accumulate in precedenza, sarete costretti adattare il vostro tenore di vita allo stipendio reale, e quindi vendere la casa al mare, cambiare l'automobile con una più piccola, addio vacanze in montagna. Su una scala più vasta, questo è quello che sta succedendo all'economia mondiale.

Quindi, parlare di "disaccoppiamento" come se fosse una cosa bella e positiva è indizio più che altro di un disaccoppiamento cerebrale di certi economisti che hanno perso il contatto con il mondo reale. Va anche detto, comunque, che non è necessario avere abbondanza di cose materiali per vivere bene. Anche se il PIL diminuisce, si può essere felici lo stesso. Però bisogna anche che qualcosa da mangiare rimanga. Troppa dematerializzazione non fa bene alla salute.




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sabato, novembre 25, 2006

Il petrolio per il turismo - il petrolio contro il turismo

Avete mai fatto caso a una cosa? I paesi che producono petrolio non hanno turisti, e viceversa.

Prendete l'arco dei paesi dell'Africa del Nord; Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Egitto. Bene, di questi solo due producono petrolio e gas, Algeria e Libia, e sono i due paesi dove i turisti non vanno. Non sarebbero bene accolti.

Prendete il Medio Oriente e anche li' la regola vale: Israele, Libano, Giordania e Siria sono paesi che non producono petrolio e che cercano, per quanto possono, di attirare i turisti. Il paese che ha oggi più petrolio di tutti, l'Iraq, confina con la Siria e la Giordania, ma non è decisamente il caso di andarci come turisti (non è il caso di andarci in nessuna forma). Lo stesso vale per l'Arabia Saudita e l'Iran, anche se in Iran un certo turismo esiste (ed è anche quello dei tre che ha meno petrolio). Anche la Russia, paese produttore di petrolio, non è un posto facile per i turisti.

Come tutte le regole, anche questa ha delle eccezioni. USA e Canada sono produttori di petrolio, e i turisti ci vanno, lo stesso vale per la Norvegia, l'Inghilterra e la Danimarca. Però, si può dire che se l'economia di un paese dipende quasi esclusivamente dal petrolio, il turismo in quel paese non esiste.

Data la regola, ce ne possiamo domandare la ragione. Come mai il petrolio caccia via i turisti? Fra le altre cose, è vero anche che se non ci fosse petrolio, non ci sarebbero neanche turisti a lunga distanza. Su questo punto, possiamo pensare che i vari paesi cercano di strutturare le loro economie sulle risorse che hanno, il cui problema è sempre di attirare valuta pregiata, ovvero dollari. Chi ha petrolio, non ha problemi a incassare dollari, chi non lo ha, deve arrangiarsi; uno dei modi per riuscirci è di attirare i turisti i quali portano, in effetti, valuta pregiata.

Tutto questo, di per se, non implicherebbe che se un turista visita un paese petrolifero, qualcuno gli debba sparare con l'AK-47. Forse i paesi petroliferi hanno già troppi dollari? Improbabile. Diciamo piuttosto che il flusso di dollari che arriva in un paese che esporta petrolio genera un dominio dei meccanismi economici da parte di una lobby petrolifera - chiamiamola pure un'oligarchia - che non ha nessun interesse a far si che il paese sviluppi altri meccanismi economici che sarebbero in concorrenza con il petrolio e metterebbero a rischio la dominanza dell'oligarchia corrente. Questo spiega anche perché i paesi petroliferi hanno tanta difficoltà a mettere in piedi un'industria nazionale decente, nonostante le loro grandi risorse economiche.

Il petrolio, come al solito, finisce per essere una maledizione. Per fortuna prima o poi finirà per tutti



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giovedì, novembre 23, 2006

Il problema è il carbone!

Chi si occupa di esaurimento delle risorse, di solito sa poco riguardo al problema climatico. Chi si occupa del problema clima, di solito sa molto poco riguardo alla questione dell'esaurimento. Questo porta a delle analisi fatte, a dir poco, con l'accetta, in cui i modelli climatici assumono la crescita continua delle emissioni dovute al petrolio da qui al 2100, oppure quando qualcuno dice che non dobbiamo preoccuparci del clima dato che finiremo il petrolio prima.

Su questo punto, James Hansen ha rilasciato a Chris Vernon su "The Oil Drun" un'intervista veramente illuminante. Vi ricorderete che Hansen è il climatologo che aveva accusato l'amministrazione americana di aver cercato di farlo tacere. Adesso si è messo a parlare pubblicamente della faccenda e quello che dice è di enorme interesse.

Come già qualcuno di noi sospettava, il problema con il cambiamento climatico non è tanto il petrolio ma il carbone. Secondo Hansen, in effetti, possiamo anche permetterci di bruciare petrolio per un po', forse anche qualche decina di anni, senza peggiorare enormemente le cose. Hansen è forse ottimista, ma questo ci darebbe un po' di respiro.

Il punto è, comunque, che o si comincia subito a sequestrare il carbone, o sennò siamo letteralmente fritti. Hansen parla di estinzioni di massa di circa il 50% delle specie del pianeta. Oserei dire che la probabilità di essere nel 50% che non si estingue è bassina per animali complessi e specializzati come gli esseri umani.

Se Hansen ha ragione, la situazione non è ancora fuori controllo. SE riusciamo a sequestrare la CO2 a partire da subito e SE fermiamo tutte le centrali a carbone che non sequestrano a partire dal 2012, allora FORSE ce la possiamo fare a fermare il cambiamento climatico prima che ci ammazzi tutti.

Forse Hansen è ottimista, forse è pessimista; ma notate come la visione di Hansen sposti la questione dal petrolio al carbone, cosa che dovremmo tutti cominciare a fare. Il problema è il carbone!

Attenzione che poi qualcuno però non la prenda come una licenza di bruciare petrolio, che tanto non fa danni!!!
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Tha "The Oil Drum"

Hansen believes there is a huge gap between what is understood about global warming by the science community and what is known about it by the people who need to know, that is the public and policy makers. This belief has driven Hansen to communicate the science directly to the public as frequently and as clearly as he is able. Why is this important? Because we have just a decade to embark on a fundamentally different path regarding our use of fossil fuels if we are to avoid dangerous human-made climate change.

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mercoledì, novembre 22, 2006

Comincia l'Iter della fusione

E' stato Approvato formalmente il 21 Novembre il progetto "ITER" per la creazione di un prototipo di reattore a fusione di tipo "Tokamak." Un gruppo di governi, che include l'Unione Europea, finanzieranno con 13 miliardi di Euro il nuovo aggeggio che potrebbe entrare in funzione, forse, nel 2014.

Ovviamente, il reattore ITER non produrrà energia, ma è soltanto un prototipo dimostrativo della possibilità di ottenere il "punto di ritorno" in cui l'energia fornita dalla reazione nucleare è pari a quella necessaria per innescarla e tenerla in funzione.

Curioso che nel comunicato ANSA definiscano i reattori a fusione "soluzione di ricambio alla fissione". Ammesso che la fissione sia una "soluzione" a qualcosa, la fusione non è certamente un rabbercio che tappa qualche buco. Se la si potesse far funzionare a costi ragionevoli sarebbe una vera soluzione al problema energetico, forse l'unica possibile o pensabile.

Ma quando potremo ottenere reattori commerciali a fusione? La risposta è vaga; i vari comunicati parlano del "2050". Nel linguaggio di queste cose, dire che qualcosa sarà disponibile fra 50 anni equivale a dire "mai" oppure, al meglio, "chissà quando" o anche "Dio solo lo sa".

In ogni caso, anche se veramente si potesse cominciare a costruire reattori commerciali nel 2050, sarebbe troppo tardi per poterli considerare una soluzione di qualcosa. Anche i super-ottimisti di CERA predicono il picco del petrolio per il 2030. ma sicuramente sarà molto prima. Se poi sostituiremo il petrolio con il carbone, come stiamo facendo, da qui al 2050 saremo tutti bolliti dall'effetto serra.

Comunque, come si sa, la speranza è l'ultima a morire.....

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FNUCLEARE: FRANCIA, FIRMATO TRATTATO PER REATTORE FUSIONE ITER
(ANSA) - PARIGI, 21 nov - Cina, Corea del sud, Stati Uniti, India, Giappone, Russia e Unione europea hanno firmato oggi a Parigi il tratto Iter, un progetto di reattore sperimentale di fusione termonucleare che punta a fornire tra qualche decennio un'energia pulita ed illimitata. L'accordo, per un valore di oltre dieci miliardi di euro, è stato firmato all'Eliseo ed è la conclusione di anni di negoziati internazionali che alla fine lo scorso anno hanno assegnato alla Francia la localizzazione del progetto che sorgerà nell'area di Caradache, nel Sud del Paese. La costruzione del reattore Iter (International Thermonuclear Experimental Reactor) dovrà cominciare tra due anni e sarà completato in una decina d'anni. Soluzione di ricambio della fissione, la fusione termonucleare controllata sarà al centro di lunghe ricerche e punta a riprodurre i fenomeni che si producono nel sole.(ANSA).

Vedi anche Greenwire

Oasi Petrolifera



Le antiche oasi in mezzo al deserto sono delle zone verdi e rigogliose intorno a dei pozzi d'acqua. Ecco qui, invece, un'oasi moderna, sulla riva del Mar Morto, in Giordania.









E' un albergo costruito pochi anni fa; ha palme, piante verdi, piscine e un canale dove nuotano i pesci







Fuori dall'albergo, è il deserto di pietra e sassi. Montagne desolate dove non vive nessuno. Da Amman al Mar Nero in auto sono circa tre ore di totale desolazione, che continua fino ad Aqaba. In parte, è dovuto al clima, ma anche in buona parte alla deforestazione.



L'albergo esiste perché c'è il petrolio. All'interno, l'albergo contiene condizionatori d'aria, generatori di vapore per il riscaldamento, per le cucine e per la lavanderia. L'acqua viene pompata (con il petrolio) da un pozzo di acqua salata e viene desalinizzata con energia fornita dal petrolio.

Se non ci fosse il petrolio, l'oasi moderna sulla riva del Mar Morto sparirebbe in poche settimane. Niente più acqua per irrigare le piante, niente acqua per le piscine, niente condizionatori d'aria, niente energia per le cucine e neanche per le fontane che zampillano nella lobby. Ma, d'altra parte, senza petrolio non potrebbero venire nemmeno i turisti.


Niente petrolio, niente oasi. Solo deserto di pietra e sassi.


/ Foto di Ugo Bardi - Novembre 2007

lunedì, novembre 20, 2006

vigneti ed effetto serra

Quando si tratta di negare le evidenze per un veloce riscaldamento globale, un argomento classico è quello dei vigneti inglesi.
Al tempo dei romani, che ovviamente avevano portato con se, oltre alla spada corta, alle quadratissime legioni, all'urbanistica, e alla burocrazia, anche la viticoltura, i vigneti inglesi producevano vinelli piu' che decenti, come risulta da varie testimonianze e da qualche residuo radicale trovato negli scavi.
SICURAMENTE c'erano vigneti, visto che venivano tassati, nel XI secolo.
Poi, dopo il XIII secolo, arrivo' la piccola era glaciale ed il vino, sebbene continuasse ad esserea articolo ben apprezzato, arrivo' sui deschi inglesi solo grazie ai commerci.
Coloro che negano il riscaldamento globale, citano appunto il fatto che i vigneti non siano ancora tornati in Inghilterra come una prova che i mutamenti climatici non stanno avvenendo. visto che il clima in Inghilterra non è particolarmente diverso che nei decenni passati e che in ogni caso non ci sono da aspettarci disastri visto che nel passato questi disastri non ci furono ( ma ne siamo sicuri?).
Un semplice link, grazie alla potenza dei motori di ricerca mette "al muro" queste tesi scientificamente debolissime ma massmediologicamente di successo.

Bang !!!

http://www.chapeldownwines.co.uk/

Requiescat.

Pietro

sabato, novembre 18, 2006

Il Petrolio nucleare: Un orrore mancato?

A quanto pare , quasi quaranta anni fa', nel 1969, ovvero nel momento della massima euforia "espansionistica" dell uso del petrolio, c'era gia chi si poneva il problema del picco della produzione. Non solo a livello governativo USA si prendevano seriamente le previsioni di Hubbert ( Il picco della produzione USA si sarebbe avuto l'anno successivo, 1970) ma si era pronti anche a tentare soluzioni " disperate" per vedere di allontanare l'amaro calice, ovvero l'impossibiltà di una ulteriore autonomia energetica statunitense.
In sintesi: si penso di fare esplodere una bomba atomica all'interno di una formazione contenente scisti bituminosi allo scopo di fratturare la roccia e scindere termicamente il bitume in composti piu' leggeri e sfruttabili.
Si trattava del progetto Rulison, fu sponsorizzato DA UNA PICCOLA COMPAGNIA
PETROLIFERA LOCALE, al costo di soli 6,5 milioni di dollari ( vabbe' del
1969, sarebbero una sessantina di oggi) ed i risultati furono scarsi.
Ando' proprio cosi: fecero esplodere una atomica da 29 kilotons negli sciti
bituminosi ( veramente loro le chiamano sabbie, vabbe'). aspettarono un po'
e trivellarono sopra e nei dintorni del botto per vedere cosa ne saltava
fuori.Si fecero un altro paio di tentativi analoghi, con risultati un po' piu' promettenti ma di fronte ai problemi " politici" di questi esperimenti si decise una moratoria.
Qui ulteriori dettagli:
http://www.osti.gov/energycitations/servlets/purl/771512-YalruC/webviewable/771512.pdf

I risultati erano poco interessanti per il parco automezzi di allora.
Ma a vederla con gli occhi di oggi e considerando tutto il polverone
sull'idrogeno la cosa e' diversa: il 17% del gas ( perche' ovviamente la
sotto si era gassificata anche la roccia, altro che cracking)
era...bene..era H2 !!!! idrogeno a volonta' insomma.
Quanto ci vorra' perche' qualcuno si ricordi di questo promettente
esperimento?
Brrrrr.
Una cosa e' teorizzare l'arrivo degli unni.
Un'altra e' vedere lo scintillio del sole sulle loro spade e scuri bipenni
( o qualunque cosa manovrassero i suddetti unni).
Peraltro lo fecero anche i russi ( Nordyke, 1975, Raichlin & Clarke, 1980).
Infine, recentemente, c'e' chi si e' offerto di tornare a darci un occhio,
ritenendo che i prodotti del decadimento siamo ormai stabilizzati ed il
petrolio estratto sia ormai non piu' radioattivo.
Mala tempora currunt !

Pietro Cambi

IL Crollo del Petrolio


Forse non era proprio questo che intedevano alcuni quando hanno detto che "Il petrolio è crollato"











E' vero comunque che venerdi' a un certo punto al Nymex il petrolio è sceso quasi sotto i $ 55 al barile. Adesso è risalito a oltre 59, ma sembra un periodo decisamente traquillo e di prezzi decisamente "bassi" (anche se, solo un paio di anni fa dire che il petrolio a 55 $ al barile era "basso" avrebbe fatto svenire la gente). E' la quiete prima della tempesta? L'occhio del ciclone? Chi lo sa? Non resta che aspettare e vedere.



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La Guerra per il Petrolio - il Petrolio per la Guerra

E' curioso che tanta gente trovi politicamente scorretto dire che la guerra si fa per il petrolio, quando lo si poteva leggere chiaramente già nel "rapporto Cheney" sull'energia del 2001. E' un altro dei tanti misteri del petrolio.

Ma non è soltanto questo. Guerra e petrolio correlati; in verità sono in un'interessante relazione di feedback ("retroazione") reciproco. La guerra si fa per il petrolio, ma la guerra richiede petrolio. Più petrolio si consuma per fare la guerra, più bisogna fare la guerra per procurarselo. Uno dei più classici esempi di "spirale senza controllo."

In un recente articolo di Sohbet Karbuz, si esamina la dipendenza del Pentagono dal petrolio. E' una lettura molto interessante, tradotta recentemente in italiano sul sito "comedonchisciotte". Notare qualche imperfezione nella traduzione, tipo "Locomotiva Abrams" per "Abrams tank engine". "Tank engine" è un termine che si usava 100 anni fa per le locomotive a vapore, oggetti che il Pentagono probabilmente non usa oggi in Irak (!!). "Tank engine" si riferisce invece al carro armato Abrams M1, la macchina da guerra terrestre più costosa mai costruita. Karbuz lo definisce "La madre di tutti i divora-carburante". A parte queste piccole cose, la traduzione di comedonchisciotte è una lodevole iniziativa per diffondere anche da noi un tipo di letteratura che non arriva tradotta sui media più comuni.

Ecco i primi paragrafi dell'articolo di Karbuz.


LUNGA VITA AL PENTAGONO

DI SOHBET KARBUZ
Energy Bulletin

Il consumo di petrolio da parte dei settori militari statunitensi è generalmente considerato essere poca cosa in confronto con il gigantesco consumo del paese. Dato che il petrolio è e rimarrà una risorsa strategica e vitale il Pentagono non si concederà il lusso di voltargli le spalle.

Il Dipartimento della Difesa degli USA è un impero?

Continua

venerdì, novembre 17, 2006

Dai un'occhiata all'arbitro, che lassù c'è qualcuno che mi mena

Escono oggi sulla stampa le dichiarazioni del presidente delle FS Cipolletta, secondo il quale il deficit delle ferrovie non è quattro miliardi, ma soltanto due. Meno male! Nel frattempo l'università sciopera perché non ha abbastanza soldi, l'Alitalia ha un deficit di.... oh mamma mia, non so nemmeno quanto. Altra notizia di oggi: la polizia non ha abbastanza soldi per il carburante degli elicotteri. Per non parlare delle difficoltà della tartassata gente "normale" i cui problemi non finiscono sui giornali.

C'è chi dice che è solo un fenomeno temporaneo che si risolverà con qualche aggiustamento. Questo che ricorda la storia di quel pugile appena rientrato all'angolo dopo aver ricevuto una scarica di cazzotti sul ring, il cui manager per incoraggiarlo gli dice che è bravissimo a schivare i colpi dell'avversario. Al che il pugile, con voce impastata, risponde, "dai un'occhiata all'arbitro, allora, perché lassù c'è qualcuno che mi mena."

In effetti, lassù c'è qualcuno che ci sta menando alla grande. Il curioso della faccenda è che nessuno si domanda seriamente come mai stiamo ricevendo tutti questi cazzottoni. I politici fanno polemica dicendo che è colpa della destra oppure della sinistra. C'è chi dice che ci vogliono più privatizzazioni, chi che ce ne vuole di meno. C'è chi pensa, apparentemente, che andare in piazza agitando cartelli serva a rimettere le cose a posto. Ma che cosa sta succedendo veramente? Dove sono finiti i soldi?

Bene, vi ricordate cosa si diceva qualche anno fa a proposito del picco del petrolio? Si parlava di quali sarebbero state le conseguenze e si presumeva che il picco si sarebbe manifestato con una grave recessione economica che avrebbe colpito un po' tutti i settori della società. Che ci sarebbero stati sempre meno soldi, che la vita sarebbe diventata molto difficile per tutti.

Allora, secondo alcuni il picco del petrolio è stato a Dicembre dell'anno scorso. Questo non vi dice qualcosa? Forse abbiamo trovato chi ci sta menando di santa ragione: il petrolio.



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giovedì, novembre 16, 2006

La Frana del Rame

Post ricevuto da Luca Lombroso

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Dopo i furti nelle ferrovie con blocco sabato dei treni fra Torino e
Piacenza, ancora un effetto dell'impennata del prezzo del rame e un tragico
segnale del picco delle risorse minerarie: in Zambia 4 minatori sono stati
trovati morti, dopo che la pioggia ha innescato una frana su una miniera di
rame abbandonata.
C'è anche lo zampino delle piogge forti: non si dice quanto forti, è
senz'altro impossibile darne la colpa ai cambiamenti climatici, ma pensare
questo tragico caso come un effetto combinato declino risorse-cambiamento
clima viene spontaneo.

Ecco la notizia:

http://www.metoffice.com/cgi-bin/newsid?article=17960723&epoch=1163599200

Landslide kills 4 illegal miners

15 Nov 2006

Four people illegally mining copper in Zambia died after rain triggered a
landslide, news24.com reports.

Local police commander Dobson Siame said that the bodies were found in the
open cast mine on November 13th.

"Four bodies were trapped in a tunnel of a disused mine at Nchanga open
pit", run by the Konkola Copper Mines, adding that Sunday's "landslide was
caused by heavy rains".

The Nchanga pit is in Zambia's copperbelt region near the border with Congo.

Luca Lombroso

mercoledì, novembre 15, 2006

Picco? Quale Picco?

Arriva in questi giorni un un nuovo rapporto sulla situazione delle riserve petrolifere a opera di CERA (Cambridge Energy Research Agency) a firma di Peter Jackson e datato Novembre 2006. Si intitola "Perché la teoria del Picco del Petrolio fallisce" e lo trovate a:

http://cera.ecnext.com/coms2/summary_0236-821_ITM

Per un modico prezzo di $ 1000 potete leggere 16 pagine (!! - alla faccia, 62 dollari a pagina!!) di demolizione dell'idea del "PIcco del petrolio" che non ci sarà fino al 2030, Secondo CERA, infatti, le risorse petrolifere mondiali sono tre volte maggiori di quello che non si pensi. Non solo, ma al picco non seguirà un declino ma quello che CERA chiama "un altopiano ondulato". Infatti, ecco il disegnino che segue (non ho pagato 1000 dollari per averlo! :-))


Varie le reazioni dei "Picchisti" di fama, per il momento espresse in email piuttosto informali fra amici. Jean Laherrere ha commentato che il rapporto CERA lo fa ridere e ha commentato in modo sarcastico le fantasiose "ondulazioni" del disegnino. Charles Hall ha detto che dopo tutti gli studi che ha fatto "Non riesce a concepire come quelli di CERA potrebbero aver ragione"



Forse la migliore risposta a questo strenuo sforzo di CERA per intascare un po' di dollari dai gonzi è di ricordare come non è la prima volta che qualcuno sovrastima di un fattore tre le risorse petrolifere. Negli anni prima del picco del petrolio degli Stati Uniti, che si verificò nel 1970, i geologi americani facevano a gara per demolire le argomentazioni di Hubbert secondo il quale il picco era imminente. Ebbene, qualche anno prima del picco, la stima della quantità estraibile era di oltre 600 miliardi di barili (Sterman, J. Technological Forecasting and Social Change 33, 219-249 (1988)). La quantità reale? Oggi la sappiamo, è circa 200 miliardi di barili. Anche li', le pressioni psicologiche di dover dire che il picco era ancora lontano li aveva fatti sbagliare di un fattore 3.

Si dice che la storia non si ripete ma fa rima. In questo caso mantiene lo stesso fattore di proporzionalità delle bufale.



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martedì, novembre 14, 2006

L'Islanda studia i bus elettrici

Ricordate il programma islandese che avrebbe dovuto portare l'Islanda ad esportare idrogeno nel 2015? La prima fase è partita un paio d'anni fa realizzando bus a fuel cell per la capitale Reykjavik . A leggere questa notizia sembra che abbiano capito che l'ambaradan idrogeno/trasporti non funziona? Che è meglio accumulare energia in batterie che nelle bombole? Resto in attesa di altre notizie.
Massimo De Carlo

13 nov 17:34
Torino: Islanda studia i bus elettrici
TORINO - Una delegazione del Parlamento islandese e'
in visita a Torino per studiare le caratteristiche dei
bus elettrici, dodati di un innovativo sistema di
carica. Gli ospiti hanno effettuato oggi un giro a
bordo dei bus elettrici e visionato gli impianti di
ricarica. Torino, con i suoi 23 mezzi elettrici,
possiede la flotta piu' numerosa d'Europa. (Agr)


lunedì, novembre 13, 2006

Perché la Cina ci fa le scarpe?

Quando parlo di petrolio in pubblico, cerco di far capire come la maggior parte dei problemi che abbiamo è dovuta al peso delle importazioni di petrolio e di materie prime sulla nostra economia. La crisi che ci troviamo a fronteggiare, il triste spettacolo di questa finanziaria in cui tutti tirano dalla loro parte e nessuno è disposto a fare il pur minimo sacrificio; tutto questo deve avere una ragione. Questa ragione non può che essere alla base; la nostra economia è come una macchina che non funziona bene e che vari meccanici cercano di aggiustare senza che nessuno di loro, finora, si sia accorto che il problema è cha manca il carburante.

Tuttavia, una domanda che mi arriva spesso dal pubblico è qualcosa tipo "Professore, lei ci ha parlato di petrolio, ma il problema vero è un altro: è la Cina che ci sta facendo le scarpe e ci sta portando via tutti i mercati"

Ma la questione della concorrenza cinese non è in contraddizione con la spiegazione petrolifera della crisi. In realtà, sono due facce della stessa medaglia. Domandiamoci, infatti, come mai la Cina ci sta facendo le scarpe. Che cos'hanno i Cinesi più di noi? Sono più bravi, piu' intelligenti, o cosa? Certo, un ingegnere cinese prende meno soldi di stipendio di un ingegnere italiano, ma la differenza si sta rapidamente colmando. E comunque, noi abbiamo tanti vantaggi rispetto alla Cina; investimenti pregressi, strutture consolidate, tradizione imprenditoriale. Magari potremmo crescere meno della Cina, ma come va che invece la nostra industria decresce di brutto mentre quella cinese cresce vertiginosamente?

Bene, ritorniamo alla spiegazione petrolifera. Il problema che abbiamo, come dicevo, è nel costo - chiamiamolo pure "pizzo" - che dobbiamo pagare per importare il petrolio e altri combustibili. Fatti i dovuti conti, la spesa energetica pesa per il 25% circa sul nostro export commerciale. Il che vuol dire che se esportiamo, diciamo, quattro paia di scarpe, tre paia le possiamo vendere, il quarto lo dobbiamo dare via in cambio del petrolio che ci è servito per fabbricarle. Niente male come pizzo.

In pratica, non è che scambiamo scarpe con petrolio, ma comunque il petrolio lo dobbiamo pagare in dollari e questi dollari ci possono arrivare soltanto se vendiamo qualcosa all'estero - scarpe per esempio - che ci vengono pagate in dollari. Dopo di che, quando questi dollari li diamo a chi ci vende il petrolio, questi diventano "Petrodollari" e finiscono in un giro internazionale di borse e di investimenti dal quale qui, in Italia, torna indietro ben poco.

E invece la Cina non ha questo problema. La Cina importa un po' di petrolio, ma nella pratica è largamente autosufficiente in termini energetici. Pensate solo che il suo fabbisogno energetico è soddisfatto per il 75% dal carbone e che la cina ha prodotto nel 2005 un miliardo e 500 mila tonnellate di carbone (oltre due miliardi, secondo alcune stime) Il numero in se forse non vi dice molto, ma sappiate che un miliardo e mezzo di tonnellate di carbone corrispondono in peso a circa 10 miliardi di barili di petrolio. In termini energetici, la produzione cinese di carbone corrisponde a circa un terzo della produzione mondiale di petrolio. Vi può anche interessare sapere che mai nella storia umana un paese aveva prodotto tanto carbone in un anno.

Allora, se la Cina esporta quattro paia di scarpe, non ha bisogno di regalarne uno, ovvero non ha bisogno di pagare il pizzo a nessuno. L'energia necessaria per fabbricarle viene dal carbone cinese ed è energia cinese. Dal che consegue che i soldi spesi per l'energia in Cina rimangono in Cina. Tutti questi soldi, poi, possono essere re-investiti nell "azienda Cina" che in questo modo ha risorse immensamente superiori all "azienda italia" per pagarsi il rinnovo degli impianti, le spese di ricerca e sviluppo, gli overhead di produzione, l'istruzione degli operatori e tutto il resto. Nessuna meraviglia che la Cina ci stia, appunto "facendo le scarpe."

Orbene, la crescita esplosiva della Cina è tutta basata sul carbone e durerà fino a quando sarà possibile alla Cina mantenere la crescita della produzione carbonifera, ovvero fino al "Picco del Carbone" cinese. Quando si verificherà questo picco? Difficile dirlo, i dati che arrivano dalla Cina sono piuttosto incerti. Sembrerebbe comunque che la crescita della produzione cinese di carbone sia estremamente vigorosa e che il picco non sia previsto a brevissima scadenza, ancora almeno per qualche anno continuerà a salire.

Certo, quando il picco del carbone cinese arriverà, la diga delle tre gole potrà compensare solo in parte. Quindi, le ripercussioni sul mercato mondiale saranno notevoli e l'economia cinese si troverà a una frenata terrificante; Solo allora, comunque, la Cina potrebbe smettere di farci le scarpe. Poca consolazione, tuttavia; se la Cina smette di crescere, noi non cominceremo certo a risalire: il problema energetico è lo stesso per tutti.

Solo se riusciremo a trovare il modo di produrre energia in casa nostra, potremo "fare le scarpe" alla Cina. Questo è possibile con le energie rinnovabili, ma non facile. Ci vorrebbero dei sacrifici e l'ultima finanziaria ha mostrato che nessuno li vuole fare. Vuol dire che qualcuno continuerà a farci le scarpe, anzi, a prenderci proprio a pedate.





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domenica, novembre 12, 2006

Il Ritorno del SUV

E' bastato che il prezzo del petrolio rimanesse per qualche tempo intorno ai 60 dollari al barile, che molta gente si è convinta che non c'è più nessun problema. In America, le vendite di SUV sono aumentate del 12% e quella delle macchine ibride scese del 16%. (e neanche poi che le ibride siano quella grande cosa ecologica......)

Non è bella la vita? Cosa si può volere di più di avere in garage un ibrida da guidare tutti i giorni e una bella SUV da guidare la domenica? E' il ritorno della SUV. Coming to a theater near you......

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Hybrid Hypocrisy
About a quarter of hybrid owners have an SUV in the garage, too. Why the conflicted carports?

WEB EXCLUSIVE COMMENTARY
By Keith Naughton
Newsweek
Updated: 1:10 a.m. ET Nov. 12, 2006

Nov. 10, 2006 - As gas prices have plunged since topping $3 a gallon this summer, a startling shift is taking place in the car market. Hybrid sales are slowing and SUV sales are speeding up.

Come again?

That’s right: the megawatt popularity of hybrids is dimming and Americans are rediscovering their favorite automotive guilty pleasure, gas-guzzling SUVs. And here’s something even more shocking: a surprising number of Americans have it both ways. They own a hybrid and an SUV. According to an analysis for NEWSWEEK by researcher GfK Automotive, 24.2 percent of hybrid owners also have an SUV in their garage. Oh sure, plenty of hybrid owners like small cars, too. One in five of them has a diminutive gas sipper in the family fleet. But SUVs, from large to little to luxurious, are hybrid owners’ No. 1 stablemate, according to GfK, an affiliate of the Roper research organization.


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sabato, novembre 11, 2006

Federico Rampini e la Cina

Un Post ricevuto da Terenzio Longobardi

Federico Rampini scrive sulla Repubblica dell’8 Novembre: “Arriva il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti, la data è vicinissima, appena tre anni. Ma la leadership mondiale che i cinesi conquisteranno già nel 2009 non sarà quella misurata dal Prodotto Interno Lordo, è un record funesto che nessuno vorrà celebrare: il primato nelle emissioni di gas carbonici che avvelenano l’aria del pianeta, provocano l’effetto serra e il surriscaldamento climatico”.

Che il livello di emissioni di CO2 sia un evento funesto, non c’è dubbio. Ma anche il record del PIL, qualora venisse raggiunto, non sarebbe affatto da celebrare.

Prendiamo a riferimento l’emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra, in buona parte originati dal sistema energetico. Esiste una relazione ben chiara fra il prodotto industriale mondiale e delle emissioni di CO2 (anidride carbonica) dopo la rivoluzione industriale, come si vede nella figura.


Per soddisfare il fabbisogno di energia necessario ad alimentare la crescita economica, l’uomo ha usato sempre più intensamente i combustibili fossili, la cui combustione ha determinato la crescita esponenziale delle emissioni di CO2. Le emissioni di CO2 raddoppiano ogni 29 anni. La crescita economica, misurata attraverso il Prodotto Industriale Mondiale, equivalente del PIL in termini fisici, ha seguito un’analoga crescita esponenziale, ma con tempi di raddoppio di 17 anni, dovuti al fatto che l’efficienza energetica è finora costantemente aumentata e questo ha consentito che il raddoppio delle emissioni sia stato più lento della crescita economica.

Il tentativo di spezzare questa correlazione attraverso il solo aumento dell’efficienza delle tecnologie energetiche, senza mettere in discussione il modello economico è però limitato dal Secondo principio della termodinamica. Il Secondo Principio della Termodinamica stabilisce che il rendimento delle macchine non può superare il 100%. Per le macchine reali usate nelle attività umane, questo rendimento in pratica può al più arrivare ipoteticamente ad un valore intorno a 0.8, considerando le perdite energetiche nelle varie fasi di processo. E’ stato calcolato che l’efficienza media mondiale – dai motori a combustione interna alle efficientissime turbine a gas – può in media aumentare al massimo di un fattore 2-2.5.

Pertanto, siccome il livello di emissioni è dato dal rapporto tra PIL ed efficienza energetica, l’auspicabile aumento di quest’ultima non è sufficiente a combattere efficacemente l’effetto serra. E’ veramente scoraggiante vedere come questo semplice e persino banale concetto non sia assolutamente compreso dai decisori, economisti e politici, i quali pretendono che la crescita economica continui per sempre inalterata, e cioè che il numeratore di tale rapporto aumenti sempre, e in maniera esponenziale come nei passati 140-150 anni, cercando di ridurre le emissioni attraverso una crescita costante dell’efficienza al denominatore.

Un esempio concreto di come la rapidità della crescita industriale mondiale sia in grado di vanificare in breve tempo gli effetti benefici di un aumento dell’efficienza conseguente a un’innovazione tecnologica è riferibile all’ industria automobilistica. L’automobile è una delle tecnologie meno efficienti dal punto di vista energetico. Il rendimento energetico di un’automobile media è molto basso, circa il 15%, al punto che paradossalmente potremmo definirla “una macchina che ha come produzione calore e inquinamento e come scarto movimento”. Nonostante studi e ricerche, l’industria automobilistica non è riuscita ancora ad individuare innovazioni in grado di accrescere significativamente l’efficienza energetica del parco mezzi circolante. Supponiamo comunque che nei prossimi anni si riesca a raddoppiare l’efficienza energetica di tutte le auto in circolazione. Questo consentirebbe di dimezzare le emissioni di CO2 del settore dei trasporti. Ma il numero delle auto è in continua crescita, come dimostra la rapida motorizzazione di paesi emergenti, Cina e India in testa. Nello stesso periodo di tempo tale numero potrebbe raddoppiare, quindi vanificando completamente i vantaggi ambientali del raddoppio dell’efficienza di combustione.

Pertanto, l’attuale modello di sviluppo che associa crescita economica illimitata e uso dei combustibili fossili non è ambientalmente sostenibile.

Terenzio Longobardi

I grafici di questo articolo sono tratti dagli articoli di Alberto Di Fazio disponibili sui Documenti del sito www.aspoitalia.net

venerdì, novembre 10, 2006

Come usare la leva fiscale per ridurre i consumi energetici nei trasporti.

Post ricevuto da Terenzio Longobardi

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E’ di questi giorni la notizia che dal 2012 in Olanda arriverà la tassazione a chilometro percorso dei veicoli. Da quella data non si pagherà più la tassa di possesso del veicolo, ma l’effettivo utilizzo. Il sistema promosso dal Governo olandese si chiama “kilometre pricing” e coinvolgerà 8 milioni di veicoli. Il costo per chilometro sarà differenziato in base all’orario di utilizzo, al luogo di percorrenza, a categoria e tipologia di veicolo. Gli introiti saranno reinvestiti per migliorare la mobilità urbana. Una politica innovativa di pricing, dunque, che si differenzia dalle esperienze di Londra e Stoccolma, in quanto prevede una modulazione della tassazione su scala nazionale per l’uso dell’automobile come mezzo di trasporto e non un pedaggio di accesso a una zona circoscritta. Si mira a introdurre nelle vetture delle scatole nere in grado di registrare sistematicamente la mobilità dell’auto, dalla percorrenza, ai luoghi di utilizzo delle vetture.

Anche se le strategie devono essere adattate alle singole realtà nazionali, la proposta olandese si muove nella direzione giusta. Infatti, il parametro corretto per valutare l’efficienza energetica di un mezzo di trasporto è il consumo specifico, cioè la quantità di energia consumata in rapporto al numero di passeggeri trasportati e ai chilometri percorsi. L’unità di misura del consumo specifico è generalmente il gep/passeggeri x chilometri, dove gep è l’acronimo di grammi equivalenti di petrolio. Quindi, i mezzi che hanno un consumo specifico più basso sono i più efficienti dal punto di vista energetico. In altre parole, occorre diminuire il numeratore, cioè i consumi energetici, ma anche aumentare il denominatore, cioè i passeggeri trasportati e i chilometri percorsi. In Italia, una delle analisi più recenti sui valori del consumo specifico nei vari mezzi di trasporto è stato eseguito dall’associazione ambientalista Amici della Terra in collaborazione con le Ferrovie dello Stato, all’interno di uno studio sui costi sociali e ambientali della mobilità, disponibile sul sito internet delle due organizzazioni. Come si può vedere facilmente nella tabella , i consumi specifici dei mezzi di trasporto collettivo sono nettamente inferiori di quelli individuali, di circa due terzi e, all’interno del trasporto collettivo, la rotaia è più efficiente della gomma.



Il criterio di valutazione che prende in considerazione i tre parametri, consumi energetici, passeggeri trasportati e chilometri percorsi, dovrebbe valere anche per i singoli mezzi di trasporto, al fine di promuoverne un uso più razionale ed incentivare la ricerca tecnologica orientata al risparmio energetico. Ad esempio, per le automobili, il criterio di tassazione dovrebbe penalizzare i modelli con livelli di consumo di carburante più elevati, ma disincentivare anche l’uso eccessivo del mezzo in termini chilometrici. A livello di organizzazione della mobilità, dovrebbe essere infine agevolato l’uso collettivo dell’automobile (car-sharing, car-pooling, ecc.).
Gli introiti della tassazione dei mezzi con consumi specifici maggiori dovrebbero poi essere finalizzati alla promozione delle modalità di trasporto con minori consumi specifici, cioè finanziando interventi infrastrutturali nel settore del trasporto collettivo su ferro.


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Atenei al Freddo

Oggi il presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, Guido Trombetti, critica la finanziaria e parla di "baratro". A Firenze il Preside della Facoltà di scienze Paolo Marcellini riunisce la giunta in un aula al freddo perché bisogna risparmiare sul riscaldamento.

Bene, domani andrò di nuovo al mio ufficio al Polo Scientifico dell'Università di Firenze. Un edificio di inaugurato solo cinque anni fa; costruito senza la pur minima precauzione per il risparmio energetico. Grandi vetrate, tutte rigorosamente a vetri singoli, pareti sottili, niente isolamento termico, niente pannelli solari; niente di niente. In un altro edificio, c'è una caldaia grande come quelle del Titanic che manda vapore attraverso una tubazione per riscaldare l'intera baracca. Se manca il riscaldamento o il condizionamento, non è un edificio al cui interno possono vivere esseri umani.

Invece di lamentarsi con il governo, quelli che gestivano queste cose potevano pensarci prima e fare degli edifici un po' più umani. Ho il dubbio che questo inverno al Polo Scientifico (mai nome fu più preveggente) dovremo lavorare col cappotto, la sciarpa e i guanti. E' il minimo che ci meritiamo.


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giovedì, novembre 09, 2006

Exxon: noi non siamo picchisti

E' bastato che il prezzo del petrolio scendesse per un po' sotto i 60 dollari al barile che si scatenasse una reazione "anti-picco" da parte di alcune delle principali compagnie petrolifere. In Italia, abbiamo sentito Scaroni, qui abbiamo un rapporto su alcune dichiarazioni di Stephen Pryor, presidente di Exxon Mobil Refining, che ha dichiarato che al mondo esistono ancora quattromila miliardi di barili da estrarre. Qualcosa di molto simile aveva detto anche Scaroni.

Dire che fare queste affermazioni è da irresponsabili sarebbe poco. "quattromila miliardi di barili" non è neanche un errore, è proprio un imbroglio. La stima più ottimistica esistente fra quelle almeno teoricamente serie è quella dell'USGS del 2000 che parlava di un ammontare rimasto da estrarre di duemila miliardi di barili. Questa stima si è già rivelata sbagliata perchè aveva previsto una crescita delle scoperte nel quinquennio successivo che poi non si è verificata. Ma, anche se uno proprio vuol dar retta alla USGS, come fa a inventarsi che le risorse sono doppie?

Comunque, il prezzo del petrolio è risalito in questi giorni sopra i 60 al barile. Insisteranno questi qui?

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The Peak Oil Crisis: Exxon & Peak Oil
By Tom Whipple Thursday, 09 November 2006

Every now and again, a senior oil company executive speaks optimistically to some august gathering about all the oil that is left. This time the honor fell to Stephen Pryor, president of ExxonMobil Refining. Speaking to a conference in Houston, Mr. Pryor stridently asserted that "energy resources are adequate to sustain growth— we are not peak oil people." At the mention of the bogeyman, "peak oil," the reporter covering the speech, or at least his editor, felt impelled to add a few words of explanation: "proponents of peak oil argue that the world has already tapped most of the easy-to-find deposits and that the drop in supplies combined with ever-growing demand point toward inevitably higher prices that will eventually hamper global economic growth." Actually, the reporter did a nice job in capturing the essence of peak oil.

The speaker then backs up his assertion by saying that the world has thus far produced 1 trillion barrels of oil and that there are still 4 trillion left.

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Costo del kWh NUcleare

A commento del post di ieri sul costo dell'energia nucleare, Maurizio Daniello segnala i seguenti link sull'argomento
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"Università di Chicago, Agosto 2004

http://www.qualenergia.it/UserFiles/Files/Nu_Te_03_Il%
20futuro_del_nucleare_2004.pdf

IEA 1998

http://www.iea.org/textbase/nppdf/free/1990/projected1998.pdf

EIA 2006

http://www.eia.doe.gov/oiaf/aeo/electricity.html

Lo studio del MIT si trova a questo sito

http://web.mit.edu/nuclearpower/





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mercoledì, novembre 08, 2006

Il Crollo della Bolla Immobiliare

Dal New York Times di ieri. E' soltanto uno dei molti articoli che descrivono il crollo della borsa immobiliare negli Stati Uniti. La camera andrà ai Democratici e forse anche il senato, ma sono dettagli; la notizia vera di questi giorni è l'inversione di tendenza del mercato immobiliera, che era attesa e che, alla fine, è arrivata.

Il mercato immobiliare negli Stati Uniti, e non solo, era diventato una "bolla" o "schema di Ponzi" o "Lrttera di Sant'Antonio" o "gioco dell'aeroplano" per dargli uno dei tanti nomi che vanno a questo tipo di schema. La bolla immobiliare era una ricchezza costruita su un'illusione, così come qualche anno fa era stata la "bolla internet". Curioso che la gente continui a cascarci, ormai di esempi ne dovremmo avere a sufficienza.

In ogni caso, la bolla americana è scoppiata. Tocca ora alla bolla italiana degli immobili; chi è vicino alla zona interessata ai detriti forse fa ancora in tempo a scansarsi per limitare i danni; ma è meglio sbrigarsi. Come dice qui nell'articolo, la gente "is pulling back as fast as they can". Stanno scappando il più alla svelta possibile. Qualcuno, nella ressa, sicuramente si farà male.




In Arizona, ‘For Sale’ Is a Sign of the Times

By VIKAS BAJAJ
Published: November 7, 2006

PHOENIX — Until recently, this fast-growing area was a paradise on
earth for home builders. Fulton Homes’ developments, for example,
were so popular last year that it was able to raise prices on its new
homes by $1,000 to $10,000 almost every week.

“People were standing in line for lotteries,” recalled Douglas S.
Fulton, president of the company, one of the largest private builders
in the Phoenix area. And they were “camping overnight begging to be
the next number in the next lot in the next house.”

No more.

Today, it is the company’s sales agents that do most of the waiting.
Not only are there few new customers to talk to, but many buyers who
put down a deposit are not even bothering to come back for the walk-
through.

“All of a sudden, they just don’t show up,” Mr. Fulton said, noting
that such cancellations often mean the buyers forfeit as much as 5
percent of the price. The reason? The prospective buyers got cold
feet or simply could not sell their old home.

The striking contrast tells the tale of a housing bonanza turned
bust. Today, the number of unsold homes in the area has soared to
almost 46,000 from just a few thousand in early 2005. And builders
are pulling back as fast as they can.

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Ufficiale: il costo del kWh nucleare

Un commento ricevuto da Domenico Coiante sul costo dell'energia nucleare

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Ormai è ufficiale: il kWh nucleare costa di più di quello termoelettrico da carbone o da altri combustibili fossili. La fonte è autorevole, anzi molto autorevole. Si tratta addirittura del prestigioso MIT. Sul N.64 di Le Scienze, in edicola, tutto dedicato all'energia, c'è un articolo dei due ricercatori che hanno coordinato nel 2003 lo studio del MIT su "The Future of Nuclear Power". In tale lavoro si è appurato che il kWh nucleare dell'attuale generazione di reattori costa 6.7 centesimi di $ contro i 4.2 delle centrali a carbone e i 5.8 delle centrali a gas. Nonostante che la vita operativa dei reattori sia stata allungata da 30 a 40 anni e che si siano ignorati i costi del waste disposal, di fatto il nucleare non risulta ancora competitivo. Conscio di ciò, il governo USA ha deciso di incentivare il programma nucleare con un credito fiscale di 1.8 cent a kWh, ma a tutt'oggi non è stata ordinata alcuna nuova centrale.

Sembra che a frenare l'avvio del programma sia l'insicurezza circa la gestione delle scorie radioattive. Infatti il sito di Yucca Mountains nel Nevada, dove si sta realizzando il primo grande impianto di stoccaggio, si è rivelato molto meno adatto di quanto previsto dai geologi per la presenza di vaste falde freatiche. I lavori stanno subendo continui ritardi tanto che non si prevede di poter accogliere le scorie prima del 2015. Infine si è "scoperto" che, qualora partisse effettivamente il famoso programma di 1 TW di nuovi reattori nucleari, per collocare le scorie prodotte sarebbe necessario un impianto come quello del Nevada ogni 3 anni e mezzo. Quanto costerebbe tutto ciò?

Questa è la situazione descritta. Eppure c'è qualcuno che vede nel nucleare la soluzione dei problemi energia-ambiente.

Domenico Coiante 8 Novembre 2006

Vedi anche un articolo di Domenico Coiante sull'argomento




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martedì, novembre 07, 2006

I Nemici delle Rinnovabili

Sembrerebbe che dovrebbe essere ormai assodata la necessità che l'Italia segua la politica degli altri stati Europei e si impegni seriamente sull'energia rinnovabile. Se questa sembra essere un'opinione diffusa, rimane tuttavia uno zoccolo duro di irriducibili che continua a sostenere che le rinnovabili non servono a niente, anzi che sono uno spreco di soldi.

Vale la pena di esaminare le argomentazioni dei nemici delle rinnovabili che, molto spesso, si riducono a un'osservazione banale: le rinnovabili, e in particolare le "nuove" rinnovabili producono oggi soltanto una piccola frazione dell'energia totale prodotta. Viceversa, la fissione nucleare ne produce molta di più. Ergo, la fissione nucleare è l'unica soluzione. Fra i vari esempi, questa argomentazione si trova esposta in dettaglio in una "Lettera aperta al presidente Ciampi" dove, con numerosi firmatari, si va avanti per un paio di dense pagine a sostenere che le rinnovabili producono poca energia rispetto ai fossili e che pertanto sono una "pericolosa illusione" mentre si sostiene (senza alcuna quantificazione del motivo) che l'unica soluzione è la fissione nucleare.

E' sorprendente che si possa sostenere seriamente una cosa del genere. La penetrazione nel mercato delle varie tecnologie è un processo dinamico; come si fa a trarre delle conclusioni generali da un esame della situazione statica in un momento qualsiasi? La domanda da porsi, invece, è "quali tendenze di crescita mostra il mercato per le tecnologie rinnovabili?" Per spiegarsi, se uno avesse esaminato il mercato statico del trasporto su strada verso la fine dell'800 avrebbe concluso che le automobili non avevano nessuna speranza contro i cavalli. Guardando le tendenze, invece, già allora si sarebbe potuto notare la rapida crescita dei mezzi a motore e sospettare che erano destinati a conquistare il mercato.

Se si vanno a vedere le tendenze di crescita, vediamo che la situazione è molto favorevole per le rinnovabili. Ecco una figura tratta da un articolo recente (Wind=eolico, PV=fotovoltaico, "solar heat" = solare termico)


Come si vede, le nuove rinnovabili sono partite verso il 1975 con 25 anni buoni di ritardo rispetto alla fissione nucleare, il cui primo impianto commerciale di produzione energetica risale al 1951. Dato il ritardo, non c'è da stupirsi se oggi il nucleare produce molto di più delle rinnovabili. Ma se sovrapponiamo le curve a parità di data di partenza, vediamo che la velocità di crescita delle rinnovabili è sempre stata superiore a quella del nucleare. Se le tendenze di crescita rimangono le attuali, il vento potrebbe raggiungere e superare il nucleare in una decina di anni e il fotovoltaico in una ventina di anni.

Da notare, fra le altre cose, come il grande sviluppo dell'energia nucleare negli anni '50 e '60 abbia beneficiato dei fondi per lo sviluppo delle armi nucleari, di cui il nucleare civile si può considerare uno spin-off. Sparito questo sostegno, lo sviluppo dell'energia nucleare si è arrestato. In confronto, il supporto pubblico alle rinnovabili è stato enormemente inferiore e, in Italia, è stato un puro imbroglio. I fondi, pur abbondanti, destinati alle rinnovabili del cosiddetto "CIP-6" invece di andare alle vere rinnovabili sono andati alle "assimilate", ovvero all'incenerimento di rifiuti industriali.

Quindi, come dicevo prima, è stupefacente che qualcuno proponga seriamente una comparazione fra nucleare e rinnovabili basata sulla valutazione statica del mercato attuale. Questo ci porterebbe a errori marchiani, della serie di quelli che la storia ha additato al ludibrio generale. Per esempio, il fondatore della IBM, Thomas Watson, disse che in tutto il mondo c'era mercato forse per 5 o 6 computer. Anché li, una valutazione statica del mercato del momento lo aveva portato a sottovalutare enormemente le potenzialità di una tecnologia.

Altrettanto stupefacente è che i nuclearisti spendano tanto tempo e tante energie per denigrare le energie rinnovabili sulla base di argomenti così deboli. A che pro buttarsi con tanto ardore in una polemica di così basso livello? Vuol dire fare solo ulteriore confusione in una situazione già difficile e va a finire che la gente rimane attaccata ai combustibili fossili perchè non vede alternative. Non è detto che l'energia nucleare non ci possa dare una mano a passare la fase di transizione dai fossili alla sostenibilità, ma se se ne deve discutere seriamente ci vuole un atteggiamento ben diverso, e più serio, da parte dei suoi proponenti.



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