sabato, febbraio 27, 2010

Il sequestro dell'anidride carbonica: chi paga il riscatto?


created by  Maurizio Zicanu

[ articolo inviato (e pubblicato) anche a Il Tirreno in data 15 2 2010 ]


Intervenendo su Il Tirreno di sabato 13 febbraio, il candidato del PD alla presidenza della Regione Toscana, Rossi, ha sostenuto di pensare “ad una Toscana capace di trattare con ENEL la riconversione delle due centrali [Livorno e Piombino] con il sequestro geologico della CO2 per produrre più energia e meno emissioni”.
Sono rimasto sbigottito da questa affermazione che, se confermata, ci farebbe tornare indietro di 25 anni quando a Piombino solo un grande movimento popolare evitò la trasformazione a carbone della centrale di Torre del sale.
Per chi non lo sapesse il sequestro del CO2 è infatti una tecnica ancora tutta da realizzare per “catturare e sequestrare” il CO2 emesso dalle centrali a carbone, confinandolo in cavità sotterranee, soprattutto pozzi petroliferi esauriti.
Rossi sta dunque pensando di aprire un dialogo con ENEL per riconvertire le centrali di Livorno e Piombino a carbone? Sarebbe questo il fiore all’occhiello del polo energetico che Rossi dice di voler costruire nella nostra provincia? Non bastavano le centrali a olio combustibile denso altamente inquinanti, il proliferare delle turbogas (due a Livorno, due a Rosignano e due a Piombino, spacciate come centrali pulite e in realtà solo meno inquinanti di quelle a petrolio e a carbone) e delle centrali a biomasse a filiera lunga (già tre centrali autorizzate, due a Livorno e una a Piombino, e una in progetto, a Campiglia), ora si vuol reintrodurre il carbone, contrabbandato come “pulito” grazie ad una tecnologia che anche quando sarà in grado di funzionare (non prima del 2030, se va bene) rimarrà piena di incognite visto che non si sa se esistono sufficienti cavità capaci di garantire lo stoccaggio sicuro (se avvenissero perdite anche solo dell’1% sarebbero vanificati gli effetti positivi sul clima).
Mi auguro che si tratti solo di propaganda elettorale perchè da Rossi ci aspettiamo ben altro: il rilancio  nella nostra provincia delle energie rinnovabili a basso e nullo impatto ambientale: solare e eolico, innanzitutto. Questo è il polo energetico che ci piace, che crei occupazione e rispetti l’ambiente e la salute dei cittadini.

mercoledì, febbraio 24, 2010

Il consumo del territorio


"Il suolo minacciato" Un film di Nicola dall'Olio in distribuzione in questi giorni.


Tempo fa, mi ricordo di aver parlato con l'assessore all'urbanistica di un comune toscano. Gli ho detto "Ma non ti sembra che sia tempo di smettere di fare villette a schiera? Non lo vedi che il mercato immobiliare sta crollando?" Lui mi ha guardato con quel sorriso obliquo che, traslato in parole, vuol dire "io sono più furbo di te!" Poi mi ha risposto, "Lo hanno detto tante volte che il mercato immobiliare doveva crollare e poi è sempre salito."

Questo bravo assessore fa il paio con quello che, una volta, disse pubblicamente a Luca Mercalli che "non posso pensare a un mondo diverso dall'attuale." 

Il caso della cementificazione del territorio è quello forse più evidente della nostra incapacità di guardare il futuro ad appena un centimetro più in la del nostro naso. In altri campi, magari si può anche capire che uno possa essere confuso: per il petrolio sono pochi quelli che seguono i dati della produzione e le stime delle riserve; per il clima ci manca la percezione diretta dei cambiamenti epocali che stanno accadendo su questo pianeta (in effetti, basterebbe un viaggetto a Courmayer per rendersi conto del ritiro dei ghiacciai, ma non tutti lo fanno).

Ma per quanto riguarda il consumo del territorio, ce lo abbiamo tutti davanti agli occhi: ci sono dappertutto capannoni vuoti, appartamenti sfitti, eppure si continua a costruire a ritmo forsennato: le periferie sono piene ovunque di gru e cantieri. Al massimo, c'è chi teorizza che dobbiamo metterci a costruire case "ecologiche". Ma com'è possibile che non ci si renda conto che il territorio non è infinito? Che stiamo distruggendo una risorsa limitata, il suolo fertile, che non sarà poi possibile ripristinare per migliaia di anni almeno?

Il futuro ha un suo modo di impadronirsi della realtà e - sfortunatamente per gli assessori all'urbanistica - il destino delle villette a schiera è segnato. Solo, dovremo sbatterci la testa contro prima di accorgerci che la realtà è molto più dura della fantasia. Per questo, ci vorrà ancora qualche tempo. Non so se si parla di mesi o di anni, ma in un paese in crollo economico verticale come siamo noi, l'industria edilizia deve prima o poi fare la fine di quella delle macchine a vapore e dei regoli calcolatori. 

Tuttavia, c'è chi cerca di anticipare un po' le cose e di provare a vedere se si riesce a fermarsi - o perlomeno a rallentare - prima di andare a sbattere nel muro. Questo lo sta facendo Nicola dall'Olio, geologo e membro di ASPO-Italia, che ha diretto l'ottimo film "il suolo minacciato". 

E' un film-denuncia che prende in considerazione principalmente la cosiddetta "food-valley", la zona dell'Emilia che produce alimentari di qualità e che, ciononostante, viene lo stesso ricoperta di capannoni. E' una visione che ti far venir voglia di gridare "Smettetela di fare capannoni, non lo vedete che state distruggendo la terra che ci da da mangiare?"

Quello che è stato distrutto, purtroppo, è stato distrutto. Ma forse c'è ancora tempo in Italia per una piccola rivoluzione culturale che ci porti a fermare, o perlomeno a rallentare questo disastro. 

Il film è in distribuzione, per informazioni connettetevi al sito http://www.ilsuolominacciato.it/

martedì, febbraio 23, 2010

Scienza della convenienza automobilistica




In alcuni post passati avevo cercato di affrontare tematiche relative all'automobile, sia ripercorrendone brevemente la storia che facendo delle semplici osservazioni su una guida orientata al minimo consumo e alla fluidificazione del traffico. Anche Pippolillo ci aveva passato alcune sue riflessioni sul tema, pubblicate in un recente post . Ugo Bardi ha scritto, appena prima di questo post, un pezzo in cui si calcola una velocità "effettiva" delle automobili.

Ora, vorrei fare un confronto su alcuni livelli di variabili tra due tipi di automobile: un piccolo diesel a elevata capacità di carico, e un diesel di maggiore cilindrata orientato più a una guida "sportiva" e autostradale.

La prima vettura è la mia, non la nomino per evitare pubblicità occulte su vetture ancora in produzione. Dico solo che è una Fiat 1250 cc a gasolio, che pesa circa 1.200 kg e che ha la caratteristica di un'elevata capacità di carico (fino a 800 kg e quasi 3 metri cubi). 85 CV e 200 Nm di coppia.

La seconda, che ho avuto modo di guidare nell'ultima trasferta: BMW 2.000 cc a gasolio, 1.300 kg, assetto ribassato con CX molto favorevole. 150 CV, 300 Nm di coppia.

Esaminiamo ora i livelli di variabili che dicevo prima.

- Variabili fisiche

Entrambe le vetture sono piuttosto risparmiose di gasolio, naturalmente guidate allo stesso modo "fluido". La percorrenza si attesta per entrambe sui 21-22 km/L su strada piana e a medio carico. Per raggiungere questo risultato, per entrambe è necessario accelerare molto progressivamente e utilizzare il freno solo se davvero necessario a sicurezza e stabilità. Entrambe hanno la coppia massima a circa 2.000 rpm, regime in cui la prima auto esprime una velocità di circa 80 km/h in 5° marcia, la seconda di 115 km/h in 6° marcia. In queste condizioni si raggiunge il minimo di consumo citato sopra.

Va da sè che il "terreno" ottimale della Fiat è la strada extraurbana, quello della BMW l'autostrada. Ora, girare al max a 80 km/h su extraurbana significa fisiologicamente fare i 50 km/h di media (tratti cittadini, frazioni, rotonde, semafori etc); mentre fare al massimo i 115 km/h in autostrada corrisponde a una media di circa 70 km/h (caselli autostradali, raccordi, tangenziali trafficate...).

A titolo comparativo, per distanze di raggio 5 km la bicicletta è vincente (affiancata solo da scooter/piccoli veicoli elettrici, che hanno però un maggior costo di implementazione e mantenimento): in tratte cittadine e di vicina periferia, la velocità media del ciclista è di 20-25 km orari, identica a quella raggiungibile con un veicolo motorizzato.

- Variabili economiche

Il piccolo diesel è in fascia di prezzo di 15.000 € ; la sportwagon-berlina sui 30.000. Con queste cifre, vanno in modo pressochè proporzionale anche i costi di gestione.

- Variabili socio-psicologiche

Con il piccolo diesel cargo si ha il vantaggio del grande spazio, capacità di carico di persone e bagagli etc. Questo a discapito di estetica e prestazioni. Per la BMW, le cose si invertono: status symbol, motore grintoso ma scarsa capacità di carico.

Conclusioni

Premetto che nella mia vision aspista immagino un picco dei veicoli a motore endotermico ormai imminente. Quello che cerco di fare, in generale, è di usare l'auto solo se serve veramente, e comunque cerco di massimizzarne il carico (per quanto possibile).
Se si vogliono raggiungere distanze dell'ordine dei 50 km, l'auto elettrica diventerà estremamente competitiva (ipotizzando che questi nuovi modelli vengano commercializzati in modo importante nei prossimi 3-5 anni).
Se vogliamo raggiungere un luogo che dista al massimo 500 km, la cosa può essere realisticamente conveniente con il tradizionale motore a scoppio (affaticamento da guida ancora sostenibile, autonomia, ...)

Quando si parla di distanze dagli 800-900 km in su, un treno veloce o un aereo diventano papabili.

Se ci si accinge a percorrere ad esempio un 200 km con la Fiat su strada normale, si impiegherà 200/50 = 4 ore; con la BMW in autostrada, circa 200/70= meno di 3 ore.

Sopra, ho tirato giù calcoletti semplici, forse un po' ingenui e relativi a situazioni anche troppo teoriche. Ma lo scopo è quello di ragionarci su: vale davvero la pena spendere una barca di soldi per un'auto che fa risparmiare il 30% del tempo di percorrenza a patto di metterla su un'autostrada, e che è limitata nella capacità di carico di persone e bagagli? Non è che forse abbiamo dato troppa importanza a CV, accelerazione ed immagine, e ci ritroviamo sul mercato una miriade di modelli iperaccessoriati e non proprio così necessari?


PS Non è che voglia mettere in luce Fiat ai danni di BMW, è solo un esempio, praticamente quasi tutte le case automobilistiche hanno veicoli di un tipo e dell'altro, in una diversificazione estrema la cui sostenibilità sarà tutta da dimostrare nel momento in cui peak oil darà qualche giro di vite

domenica, febbraio 21, 2010

Una Ferrari va più piano di una bicicletta


Continuo a usare la mia Ax Elettrica che funziona benissimo, ma in questo post vi racconto di un veicolo più convenzionale. 


Quest'anno a Dicembre ho fatto una cosa decisamente poco "post-picco", ovvero mi sono comprato una macchina nuova (*). Pur essendo l'oggetto meno costoso che sono riuscito a trovare che avesse quattro ruote e quattro porte e qualche altro aggeggio necessario, è dotata di un'elettronica che per me è una novità. Una di queste novità è il piccolo computer di bordo che, fra le tante cose, ti da anche la tua velocità media. Nel mio caso, dopo circa un mese di uso, mi ha segnato una media di circa 27 km/h per un uso su tratti urbani e semi-urbani.

Questo mi ha ricordato una cosa che aveva detto Ivan Illich, che aveva calcolato la velocità media di un guidatore "tipico" americano tenendo conto non solo della velocità effettiva, ma anche del tempo necessario per guadagnare i soldi necessari per comprare e mantenere una macchina. Era arrivato a qualcosa come - se mi ricordo bene - 5 miglia/ora, ovvero circa 8 km/ora. Non era molto di più della velocità che uno può fare a piedi.

Con la nuova macchina, mi posso provare a fare lo stesso conto nel mio caso. Per prima cosa, sono andato sul sito dell'ACI, dove è possibile calcolare il costo chilometrico di ogni veicolo. Per la mia macchina (se vi incuriosisce, è una Renault Modus) risulta essere 0.47 Eur/km per una percorrenza di 10.000 km/anno, all'incirca quello che dovrebbe percorrere questa macchina. Il dato è per la benzina, sempre secondo l'ACI se andassi a GPL o a gasolio con la stessa macchina risparmierei circa 3 c a chilometro - non c'è una gran differenza.

Non so quanto siano validi questi dati dell'ACI; ovviamente non ti dicono una parola di come sono calcolati e di quale approssimazioni ci siano. Noto che io spendo molto meno di assicurazione di quanto non assumano loro, ma è anche vero che loro non tengono conto di cose tipo la necessità di andare dal carrozziere dopo aver strusciato una fiancata da qualche parte e neppure delle varie multe che ti arrivano a tradimento, oppure di spese ausiliarie ma necessarie, tipo i parcheggi. Insomma, prendiamo per buoni gli 0.47 Eur/km.

Da questo deduco che spendo circa 0.47*10.000, ovvero 4.700 euro all'anno per avere e utilizzare la mia macchina. Fatti i dovuti conti, con il mio stipendio per mettere insieme 4700 euro devo lavorare circa 250 ore. Considerando ora la media di 27 km/h che avevo calcolato prima, ne consegue che il guidatore di questa macchina ci passerà dentro circa 370 ore per percorrere 10.000 km. In totale sono 620 ore. Il risultato finale non è tanto diverso da quello che aveva trovato Ivan Illich, ovvero una velocità media di 10000/620 = 16 km/ora. (**) E' più o meno la velocità di una bicicletta.

Ovviamente, questi sono conti fatti un po' con l'accetta; però credo che siano giusti come ordine di grandezza. Tenete conto che il mio stipendio di professore universitario con una certa anziantià è più alto di quello medio in Italia e che la mia macchina è - come ho detto -  al limite basso della gamma. C'è gente che si compra macchine molto più costose della mia oppure, al contrario, si compra macchine usate, spendendo meno. Poi, i dati della velocità media sono per Firenze e dintorni, zone notoriamente molto trafficate e lente. E' anche da notare che qui si assume che la macchina porti il solo guidatore. Insomma, ci sono varie cose da considerare, ma nel complesso credo che sia difficile che il guidatore medio in Italia viaggi a più di 20 km/h in media. Velocità, appunto, da bicicletta che però costa molto meno!

E se ti compri una Ferrari, con quello che costa, vai molto più piano di una bicicletta!

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* Comprarmi una macchina nuova non è una cosa che ho fatto volentieri. Avevo resistito a lungo, ma alla fine mi sono deciso a far sparire un arnese che avevo ereditato da un nipote e che aveva pretese "sportive" con motore sovradimensionato, ruote larghe, profilo basso, sedili avvolgenti, eccetera. Consumava in modo bestiale e della manutenzione non vi dico. Lo so che, facendo i dovuti conti, prima di ammortare il costo della macchina nuova mi ci vorranno parecchi anni. Lo so anche che dal punto di vista ecologico è orribile mandare a demolire un arnese che, pur malridotto, era ancora in grado di una locomozione autonoma. Ma non ne potevo più.

** Fatti i conti del caso, andando a GPL o a gasolio farei 16.7 km/h, invece di 16.1 con la benzina verde. Poca consolazione.

*** vi passo anche queste interessanti considerazioni di Lopo su un argomento simile


Cori, cori, ma ‘ndo cori?

Dal blog di Lopo
Un’aggiunta a quanto già calcolato.

Prendiamo una distanza qualsiasi tra quelle elencate: A1 da Orte a Caserta Nord, lunghezza percorso 242,4 km.

Prendiamo una tabella che dia un’idea dei consumi di un’auto di una certa cilindrata, che sia quindi capace di raggiungere i 150 km/h: ad esempio, una berlina da 1800 cc. Leggiamo che il consumo a 130 km/h è di 8,9 km/litro. Non è indicato il consumo a 150 km/h, ma data la dipendenza inversa col quadrato della velocità, lo possiamo quantificare in circa 6,7 km/litro.

Quanto carburante in più spenderai per percorrere quei 242,4 km a 150 invece che a 130 km/h, nell’ipotesi di mantenere tale velocità per l’intera tratta, ovvero il caso ottimo teorico?
  • A 150 km/h si spendono 242,4/6,7 = 36,18 litri di benzina.
  • A 130 km/h si spendono 242,4/8,9 = 27,24 litri di benzina.
Andando a 150 km/h si spendono 8,94 litri di benzina in più. Immaginiamo di pagarla ad un prezzo al momento piuttosto conveniente, ma comunque nella media di questo periodo: 1,3 €/l.

Significa che spenderai 11,62 € di benzina in più.
Immaginiamo che tu guadagni più dignitosamente, per poterti permettere un’auto del genere: 90.000 € l’anno. Netti.

Ipotizziamo 13 mensilità, 40 ore settimanali. Fanno, a spanne, 44 € l’ora. Vale a dire che guadagni 0,73 € al minuto lavorativo.

Per guadagnare gli 11,62 € con cui pagare la benzina aggiuntiva, devi lavorare poco meno di 16 minuti.

Andando a 150 km/h invece che a 130 km/h per 242,4 km, hai risparmiato quasi 15 minuti di tempo. Ma ne dovrai lavorare quasi 16 per pagare il carburante consumato in più.

Benvenuto nel mondo dei ritorni marginali decrescenti, idiota.

giovedì, febbraio 18, 2010

Spettacolo a Milano

Nei giorni delle polveri sottili alle stelle in alcune città italiane, ero andato in treno con mia moglie a Milano per assistere alla prima del “Don Giovanni”, nel tempio della lirica italiana, La Scala. Stretto nella giacca e cravatta di ordinanza e in un pesante cappotto nero, stavo fendendo il freddo pungente della città, quando mi ero imbattuto in alcune donne che distribuivano volantini annuncianti per l’indomani una manifestazione di mamme contro l’inquinamento.

Per un attimo avevo pensato ai polmoni dei poveri bambini italiani, sottoposti quotidianamente all’offesa dei mefitici scarichi, agli studi che attestano contro ogni dubbio l’abnorme crescita delle patologie alle vie respiratorie nei residenti urbani e alla sostanziale indifferenza dei politici e dell’opinione pubblica, ma la folla vociante all’ingresso del Teatro mi aveva distratto, trascinandomi nel clima febbrile dello spettacolo. Mentre gli orchestrali accordavano gli strumenti, avevo fatto scorrere lo sguardo sull’affollato emiciclo, da cui tanti anni fa i milanesi si erano ribellati al dominatore straniero e mi era parso di veder scendere giù dal loggione una pioggia di volantini con la scritta Viva Verdi. Poi il brusio di fondo immediatamente era sparito e fummo immediatamente avvolti dalle splendide note del più grande genio che la musica abbia prodotto e risucchiati nell’intricata trama narrativa di Lorenzo Da Ponte.

Alla fine della rappresentazione, uscendo dalla sala, i melomani avevano espresso, come consuetudine, animatamente le proprie valutazioni. C’era chi esaltava la bravura dei cantanti, chi disapprovava l’allestimento scenico e qualcuno addirittura deplorava la direzione musicale, ma io invece avevo riflettuto sul significato dell’opera. Don Giovanni, con la sua ossessione consumistica di conquiste femminili, splendidamente esemplificata nell’elencazione contenuta nell’aria cantata dal servo Leporello “ma in Ispagna son già mille e tre, mille e tre…”, mi era apparso in tutta evidenza come l’archetipo del superamento dei limiti, con l’inevitabile conclusione dello sprofondamento negli inferi da parte del Convitato di Pietra. Insomma, una sorta di picco ante litteram del collezionismo amatorio.

Avevamo dedicato il giorno successivo alla visita della città, mia moglie più interessata ai musei, io per deformazione professionale, ai trasporti urbani. Mi ero concesso il viaggio su uno dei suggestivi tram storici ancora presenti in città, precisamente del 1928, tutto scintillante nei suoi arredi di legno e portalampade decorati, dimostrazione in terra della consolidata affidabilità e durata di questa tecnologia rispetto agli scatoloni pubblici e scatoline private su gomma a cui erano stati sacrificati in gran parte del nostro paese durante il dopoguerra. Ma a Milano circolano anche lunghi tram di nuova generazione a pianale ribassato, metropolitane e ferrovie regionali ramificate e capillari, insomma un sistema consistente di trasporto pubblico su ferro.

Eppure, favoriti dal freddo e dall’inversione termica, continuavano ad esserci quegli enormi superamenti dei limiti di legge per le polveri sottili che pesano come un macigno sulla salute dei milanesi, grandi e piccini. Mumble, mumble, mi ci stavo arrovellando, quando incontrai di nuovo le mamme milanesi del giorno prima con i bimbi nelle carrozzine e i palloncini colorati. E tutto intorno signori panciuti in bicicletta, podisti della Domenica e ragazzi con i pattini. Incuriosito, mi ero fermato a chiacchierare con una delle mamme, scoprendo che il Sindaco aveva deciso un’inutile, perché saltuaria, chiusura alle auto della città e il Presidente della Regione aveva continuato a fare lo spiritoso (leggete il mio precedente articolo), affermando che i milanesi non sono baluba e hanno livelli di inquinamento simili ad altre città europee.

Ma stavolta le mamme lo avevano sbugiardato, spulciando i dati dell’inquinamento urbano disponibili sul sito della Comunità Europea. Avevo solidarizzato con le giovani donne, ricordando che la situazione sanitaria è ancora più grave di quanto appaia perché l’Unione Europea ha rinunciato ad applicare dal 2010 i limiti più bassi richiesti dalle organizzazioni sanitarie internazionali (in questo mio articolo trovate un approfondimento della questione), poi a malincuore le avevo lasciate per intraprendere il viaggio di ritorno su un inaspettatamente comodo e puntuale treno delle ferrovie di Stato. Nella campagna attraversata dai binari c’erano ancora chiazze biancastre delle abbondanti nevicate dei giorni precedenti, sulla vicina autostrada sfrecciavano le auto e arrancavano i camion. Guardando sconsolatamente lo scompartimento occupato solo da me e mia moglie avevo finalmente capito che non basta avere un sistema efficace di trasporti pubblici, ma anche superare il maniacale attaccamento al trasporto privato, tipico dell’individualismo italiano.

martedì, febbraio 16, 2010

La scarsità idrica non sarà necessariamente la sorgente di guerre future

Fonte: Scienceblogs.com

In Medio Oriente, l’acqua è sempre stata una scarsa risorsa; la crescita demografica ha incrementato ulteriormente la domanda e quindi la pressione sull’acqua. Le continue rivendicazioni sui diritti di tale risorsa potrebbero portare secondo alcuni osservatori, nel breve – medio periodo, a nuovi conflitti tra i vari Paesi dell’area. Paesi arabi più ricchi come Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e pochi altri hanno ancora la possibilità di coprire i loro fabbisogni mediante la desalinazione dell’acqua di mare. Questo è valido finché potranno sfruttare un'altra risorsa limitata, ossia il Petrolio. Dal momento che l’estrazione di Petrolio in quei Paesi inizierà a diventare più costosa e difficile, l’uso dell’acqua del mare sarà ancora più difficile e costosa, portando a grossi cambiamenti interni e regionali. Per quanto riguarda i Paesi meno “ricchi” dell’area, la desalinazione dell’acqua marina è improponibile sia perché è troppo costosa e quindi insostenibile, sia perché questi Paesi hanno ancora delle riserve idriche utilizzabili oppure perché sfruttano oppure riciclano (depurano) la maggior parte delle acque reflue. Tuttavia rimane che in molti di questi Paesi la ricerca dell’acqua si basa su perforazioni sempre più profonde che tenderanno a acutizzare la gravità del problema della limitatezza dell’acqua.

Da qualche anno è subentrato un nuovo concetto nell’ambito della gestione delle risorse idriche, e che è oggetto d’intenso dibattito nella comunità scientifica, cioè il concetto dell’“Acqua Virtuale”: ad esempio la coltivazione del grano richiede importanti quantitativi di acqua (per produrre 1kg di Cereali sono necessari in media circa 1500 litri di acqua); se un paese con scarse quantità di acqua, importasse il grano invece di coltivarlo, e concentrasse la produzione, su specie che richiedono minore quantità di acqua, allora acquisirebbe la cosiddetta “acqua virtuale” e di conseguenza, utilizzerebbe le poche risorse esistenti in modo più efficiente.

Alcuni dati su quantità acqua consumata per produzione agricola:

· Per 1 kg di manzo servono15000 litri d'acqua

· Per 1 kg di pollo servono 1000 litri d'acqua

· Per 1 kg di agrumi servono 1000 litri d'acqua

· Per 1 kg di patate servono 1000 litri d'acqua

· Per 1 litro di bioetanolo servono 1.560 litri d'acqua

· Per produrre 1 kg di riso servono 2.000 alle 5.000 litri d'acqua

· …………………

Secondo molti autori, l’attuazione del concetto di “acqua virtuale” dovrebbe contribuire alla stabilizzazione politica delle aree caratterizzate da una certa forma di aridità, come lo sono quelle del Medio Oriente (salvo altri fattori di tipo geopolitico) al miglioramento delle scelte agricole e della produzione agricola optando verso l’uso di specie più resistenti all’aridità (meglio se autoctone) e produttive, quindi con vantaggi economici e ambientali.

Il Professor Tony Allan del Water Issues Group, School of Oriental & African Studies, University of London, nella sua pubblicazione “Virtual water: a long term solution for water short Middle Eastern economies?” ha tentato di dimostrare perché non si sono ancora scatenate delle guerre per l’acqua, quando molte economie delle aree aride hanno soltanto la metà dell’acqua necessaria ai loro fabbisogni; eppure molte personalità importanti come il re Hussein di Giordania, e l’ex segretario della Liga Araba, Boutros Boutros Ghali, avevano varie volte avvertito che nel futuro ci potrebbe scatenare una guerra per l’acqua.

Allan ha voluto dimostrare che la regione del Medio Oriente è stata capace, ad avere accesso all’acqua potabile nel sistema globale mediante il commercio delle derrate alimentari. I sistemi economici, e non evidentemente gli inadeguati sistemi idrogeologici, hanno contribuito a risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico della regione. L’acqua nell’ambito del commercio globale è conosciuta come “Acqua virtuale”. E’ quella acqua che è racchiusa all’interno di quelle materie prime (commodities) come il grano. Citando Abare (1989) e LeHeron (1995), Allan dimostra che il sistema di commercio internazionale del grano è un sistema di commercio globale molto effettivo e fortemente incentivato che opera a vantaggio della gestione dei Paesi caratterizzati da deficit idrici e alimentari.

Allan conclude il suo lavoro in modo inusuale, scrivendo: “E’ un paradosso che i pessimisti dell’acqua abbiano torto, ma il loro pessimismo è uno strumento politico molto utile che potrebbe aiutare a fare delle scelte innovative nella gestione dell’acqua e dell’agricoltura in condizioni di scarsa disponibilità di acqua (Acqua virtuale). Gli ottimisti dell’acqua hanno ragione ma il loro ottimismo è pericoloso perché potrebbero portare i politici a trattare o considerare il problema dell’acqua come una priorità politica marginale e quindi ad affrontare il problema nel modo più tradizionale possibile. Inoltre, gli ottimisti portano storie sempre più sensazionali per i media e l’opinione pubblica, mentre le versioni offerte dai ottimisti portano buone notizie ma non sensazionali. Una buona notizia è complicata, indigesta ed anche non sensazionale”.

Rimedi apparenti





Già in altre occasioni si era discusso della moda delle cure palliative. La cura palliativa per eccellenza, lo slogan mediatico nei mesi passati: "C'è la crisi? La gente non compra? Bene! Basterà rilanciare i consumi!". Non mi dilungo su questa frase che si commenta da sola, e che è fuori tempo di circa 40 anni.


Tra le difficoltà che gli Stati si trovano ad affrontare, vi è quella dell'invecchiamento della popolazione, con le ripercussioni sui sistemi pensionistici e socio-assistenziali. Il Giappone ha recentemente proposto un sistema di incentivazione alla natalità, e sembra intenzionato a proseguire su questa via. In un paese a densità 340 ab/km2 (in Italia il valore è di circa 200) la cosa può far riflettere.


Queste proposte non mi danno per nulla l'impressione che si stia capendo la portata dello "scricchiolio" dei sistemi che stiamo vivendo (la "crisi" ipercitata sa un po' troppo di attacco epilettico momentaneo).


Se uno ha una forte allergia che gli provoca prurito, tra le cose più sbagliate che può fare è grattarsi. Il rimedio risulterà peggiore del male, in quanto aggraverà i sintomi.


Nel caso della natalità, non sarebbe meglio non imporre vincoli (nè "contro", nè "pro"), ma costruire infrastrutture che puntino all'efficienza, al riuso e alla rinnovabilità, e fare in modo che ciascuna coppia, forte di una buona istruzione e di una corretta informazione possa fare le proprie scelte?

sabato, febbraio 13, 2010

Il picco del suolo fertile



Esce oggi su "The Oil Drum" un commento di Ugo Bardi sul libro di  David R. Montgomery "Dirt - the erosion of civilizations."

Il libro di Montgomery è un altro di quelli che vanno a colpire quelle che alle volte ci erano parse certezze; ovvero che l'agricoltura sia una tecnologia rinnovabile. Non lo è. Non si può continuare a produrre per sempre dalla stessa area a meno che non si prendano delle precauzioni estremamente rigorose che in ben pochi periodi storici sono state prese; meno che mai nel nostro. Il suolo si rinnova, si, ma in tempi molto lunghi e se viene sovrasfruttato oltre un certo limite sparisce per sempre - perlomeno sulla scala umana dei tempi.

Montgomery dimostra, per esempio, come una delle concause della caduta dell'Impero Romano sia stata l'erosione e la distruzione del suolo fertile, un argomento che avevo discusso anche in un mio post precedente sull'impero romano, "Peak Civilization".

Vediamo dal libro che la storia dell'agricoltura non è molto diversa da quella dell'industria petrolifera. In entrambe i casi vediamo la progressiva sparizione di una risorsa che aveva impiegato millenni (suolo) o milioni di anni (petrolio) per formarsi. Il ciclo del petrolio dura da un secolo e mezzo, quello del suolo fertile da alcuni millenni. Ma in tutti e due i casi siamo al limite della capacità di incrementare ancora la produzione. Da ora in poi, saremo in discesa.

Certo, il suolo potrebbe essere protetto e gestito in modo tale da rinnovarsi. E' possibile, ma non lo stiamo facendo; anzi, lo stiamo sovrasfruttando sempre di più. Il libro di Montgomery ci da un quadro agghiacciante della rovina del territorio agricolo degli Stati Uniti che oggi continua a produrre soltanto con l'impiego massiccio di fertilizzanti che derivano dai combustibili fossili. Per quanto ancora l'America potrà essere il "granaio del mondo" è difficile dire, ma sicuramente non per molto a lungo ancora. L'ultima rovina che si è abbattuta sull'agricoltura americana è stata la coltivazione distruttiva di quello che chiamiamo "biocombustibili" che alcuni si ostinano a considerare risorse "rinnovabili".

(per un ulteriore discussione sull'agricoltura romana, si veda questo post di Eugenio Saraceno)

venerdì, febbraio 12, 2010

La questione mediorientale




created by Toufic El Asmar


L'acqua è una delle risorse oggetto dei tanti conflitti in corso; Israele si trova in un'area particolarmente sensibile priva di acqua "in abbondanza". Il Mar Morto è calato di brutto in questi ultimi 10 anni, e già nel 2007 quando andammo io ed Ugo in Giordania, constatammo di persona quanto l'area sia vulnerabile. Basta considerare inoltre che la Giordania sfrutta le sue acque reflue per ricavarne acqua per irrigazione e da bere, dopo costosissime depurazioni; La Siria non vive meglio il problema dell'acqua. Nemmeno il Libano che è sempre stato considerato ed è ancora tuttora il serbatoio (se non l'unico serbatoio) di acque nel Medio Oriente. Recenti studi di colleghi miei Libanesi hanno dimostrato un netto inquinamento delle falde sotterranee, per eccesso sovrauso e quindi abbassamento della falda e penetrazione dell'acqua di mare.
Esiste un conflitto sull'acqua del Libano sia da parte Siriana che da parte Israeliana; noi cerchiamo di accontentare tutti ma con la crescita demografica e l'aumento della domanda, mi chiedo se sarò possibile evitare nuovi conflitti.....
                                                                                                    Toufic



Da Libanese e da Medio-orientale che subisce la questione Palestinese, detta anche conflitto Arabo - Israeliano da quando è nato, dissento dal meccanismo mentale (in termine politico e geo-politico) che guida spesso le discussioni e le analisi del conflitto Medio-orientale (e non solo). Cercherò di spiegarmi con un pò di ordine.

1- Obama e premio Nobel: francamente la nomina non mi ha affatto sorpreso, figuriamoci era stato dato il premio Nobel a Yasser Arafat (Abou Ammar) e a Shimon Perez; perché? Perché avevano firmato un trattato farsa che tutti avevano chiamato trattato di Pace. Ma intanto non c'era mai stata Pace, anzi, ad Israele facevo comodo una specie di soluzione per togliersi dalle spalle il controllo di un territorio sempre più incontrollabile e soprattutto costosissimo per il bilancio della sicurezza e della difesa israeliana; inoltre faceva fare bella figura ad Israele, dato che dopo un pò sia l'economia che il turismo avevano registrato un salto di qualità finché non era saltato di nuovo l'equilibrio.
Il trattato andava benissimo anche ad Arafat; rifugiatosi in Tunisia a metà anni ottanta dopo l'invasione Israeliana del Libano, Arafat fu cacciato da Beirut e si rifugiò a Tripoli (Libano), che era sotto l'influenza Siriana; Arafat si mise contro la Siria e dopo un annetto circa fu cacciato via anche da lì e si rifugiò, con la sua cricca di assassini e mafiosi, a Tunisi.
Quello che è successo dopo è solo storia. Obama, probabilmente, ha ottime intenzioni per risolvere il cosiddetto problema Palestinese. Ma è davvero "un problema Palestinese?" Siamo sicuri che è Obama da solo a decidere la strategia internazionale degli Stati Uniti? Siamo sicuri che Obama abbia carta bianca su tutte le questioni che riguardano gli interessi degli Stati Uniti nel Mondo, in particolare quelli Energetici?Secondo me la nomina di Obama non è niente altro che una specie di incoraggiamento ad un uomo che sta portando un cambiamento (in primis) culturale negli USA. Un presidente nero- Afro-Americano (come dire un Papa nero a Roma) e per giunta progressista.

2- Guerra in Afghanistan: Ci sbagliamo tutti se crediamo o pensiamo che questa guerra sia iniziata con George W. Bush; la guerra in Afghanistan è iniziata quando nel pieno della guerra fredda, Americani e Russi capirono l'importanza dei giacimenti di Gas nel Mar Caspio. L'ex URSS occupò l'Afganistan, per il semplice motivo che non poteva permettere un controllo USA dell'area ed anche perché il suo meccanismo economico monopolista iniziava a dimostrare le crepe (e tutti sappiamo che quando una Nazione "forte" inizia a soffrire seriamente i suoi problemi economici, cerca altre aree o regioni per assicurarsi le risorse delle quali ha bisogno).
La resistenza Afghana era riuscita a vincere perché fortemente appoggiata dagli USA ma anche dai petrodollari dell'Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo. Dai rimasugli di tale appoggio nasce Al Quaeda; successivamente arrivano i Talebani che prendono in mano il potere in Afghanistan, perché i cosiddetti "resistenti" non facevano altro che scannarsi "tra l'altro ammazzando altri musulmani, uomini donne e bambini".
Posto che veramentel'attentato 9/11 alle Torri gemelle di New York, sia stato opera di AlQuaeda, gli strateghi USA hanno colto l'occasione per rafforzare la loropresenza e quindi la loro pressione nell'ambito delle trattative incorso per il passaggio del Gasdotto dal Mar Caspio attraverso l'Afghanistan (ricordiamoci delle trattative Amministrazione USA e Talebani, ricordiamoci di quelli con l'Iran o tra Iran e Talebani, e cosi via).
Questa situazione oggi non è cambiata, anzi è di strategica importanza per USA, Iran, Russia, Europa. Quindi Obama non può e nonpotrà mai cambiare strategia in Afghanistan finché una soluzione -accordo non sarà raggiunta su come, quanto, quando, a che costi e a quanti guadagni ci saranno dal Gas del Mar Caspio. Di seguito passo un link preso dalla rete, che fa capire l'importanza strategica dell'intera regione e delle risorse energetiche per tutto il Mondo Industrializzato:
http://temi.repubblica.it/UserFiles/Image/limes/Carte/gas_tre_mari800.jpg

3- IRAN - USA: dal primo giorno di successo della "rivoluzione" di Khomeini, due linee geopolitiche si erano delineate in modo estremamente chiare:
- la volontà Iraniana di egemonia sull'intera Area che va dal Mar Caspio al Golfo di Aden, al Medio-Oriente
- la volontà USA di contrastare le politiche dei Mullah Iraniani, mantenendo e rafforzando il controllo e quindi la sua egemonia sulla stessa area.
Da lì nascono nuovi conflitti: l'invasione dell'Iran da parte di Saddam Hussein e la conseguente guerra-carneficina; la nascita di Hezbollah in Libano (in concomitanza con l'invasione Israeliana e la cacciata dei Palestinesi da Beirut verso Tunisi); e molto dopo la nascita di Hamas (fortemente appoggiata all'inizio da Yasser Arafat) e l'attuale conflitto inter-Palestinese; la guerra settaria tra Sunniti e Sciiti in Iraq; la guerra Israele-Hezbollah nel 2006; l'attacco di Hezbollah ai Sunniti di Beirut (quindi agli interessi dell'Arabia Saudita e degli USA in Libano) nel 2007; l'attacco a Hamas (con il beneplacito di OLP, Egitto, Arabia Saudita ed altri Paesi del Golfo, ...), e infine l'attuale conflitto interno nello Yemen trail governo Sunnita e la minoranza Houti vicina agli Sciiti.
A quanto pare il massacro dei musulmani non è solo opera di americani, europei e Israeliani, ma è anche un "bel" lavoro inter-musulmano. Leggendo le statistiche vi potete rendere conto di quanto i musulmani stessi delle diverse confessioni sono incredibilmente bravi a mietere più vittime (tra uomini, donne e bambini) in un giorno di quanto potesse fare un semplice pilota Top-Cretin americano.
Infine, non ci dimentichiamo che questo conflitto USA - Iran si è trasformato in un conflitto settario regionale tra i Sunniti Wahabiti dell'Arabia Saudita ed i Sciiiti dell'intera area Mediterranea che si ricordano ancora ad oggi in modo tragico dell'assassinio di Hossein e di Ali a Karbala, nel 680 D.C.
Forse vale la pena parlare un pochino anche del "Wilayat Al Faqih" ossia la nazione del Mahdi, dove esiste un solo rappresentante del Mahdi (in sua assenza, dato che è atteso il suo ritorno), e che unisce tutti gli Sciiti del Mondo. Secondo il dogma Khomeinista, in tale Nazione, tutte le confessioni e le popolazioni saranno protette eguidate non solo dalla Shari'a, ma anche dalle decisioni "sagge e giuste" del Wali o del Mahdi stesso. Hezbollah, è il braccio armato del "Wilyat al Faquih" in Libano, ma anche questa è un altra storia. A tale dogma si oppongono gli Sciiti seguaci di Al-Sistani (Iraq equalcuno in Libano), i Sunniti del Mondo Arabo (Hamas rimane sempre unmovimento Sunnita, che per semplice opportunismo è alleato all'Iran).
La questione nucleare non si basa sul fatto se l'Iran ha o non ha armi nucleari; essa è un capitolo del conflitto IRAN - USA per il controllo e la gestione della Sicurezza della aree citate prima. Ovviamente nessuno può assicurare in modo assolutamente netto se l'Iran ha o non ha la possibilità di svilupparsi armi "atomiche" come India e Pachistan o "Nucleari" come Israele.

4- La questione Palestinese : lo Stato di Israele è nato dopo un conflitto mondiale durante il quale gli Europei si sono dimostrati maestri di genocidi e assassini di massa; ha dichiarato la sua indipendenza nel pieno del primo conflitto arabo-israeliano durante il quale molti Palestinesi furono spinti dagli attuali regimi arabi a lasciare la Palestina per rientrarci da trionfatori. Certo gli ebrei in quel conflitto hanno fatto la loro parte ... dovessimo ricordarci del massacro di Dei Yassin (9 Aprile del 1948) ad opera dell'Irgun comandati da Menachem Begin (primo ministro Israeliano dal 1977 al 1983, in concomitanza dei massacri di Sabra e Chatila in Libano); Israele da quei tempi non ha smesso di sentisi minacciata dagli Arabi (Gamal Abdel Nasser, per pura propaganda diceva sempre: "getteremo Israele nel mare") e quindi attaccava o si difendeva dagli arabi; oggi Israele si sente ancora più minacciata di prima per tanti motivi:
- l'incremento demografico della popolazione palestinese, motivo principale che aveva spinto Ariel Sharon a ritirarsi dalla striscia di Gaza;
- l'incremento delle minacce anche se a parole da parte dell'Iran; Ahmadinejad non smette mai di dire ciò che diceva Abdel Nasser "Israele sarà distrutta, sarà buttata nel mare" ecc...
- l'incremento delle minacce armate da parte di gruppi sempre più agguerriti, meglio addestrati e fortemente armati come Hezbollah sulla frontiera Nord con il Libano o (una volta) Hamas alla frontiera Sud con la Striscia di Gaza
- l'incremento delle capacità di Paesi Islamici non moderati come Pachistan e Iran nell'avere le conoscenze tecnologiche e scientifiche(almeno) per costruirsi armi atomiche o nucleari.

Oggi lo stato di Israele sta portando avanti una politica estremamente aggressiva:
- rafforzare la sua struttura militare di deterrenza e di attacco (una prossima guerra di Hezbollah contro Israele sarà o potrebbe essere estremamente devastante soprattutto per il Libano, perché questa volta Israele è decisa a farla finita e a rendere tale guerra ... l'ultima guerra. Questo distruggerà non solo gli Hezbollah ma tutto il Libano)
- rafforzare i suoi confini (anche con il muro, che sembra abbia dato i risultati sperati ossia fermare al 99% qualsiasi tentativo di attacco Kamikase)
- migliorare le sue condizioni demografiche (nel senso di distribuzione etnica) e delle sue carte nell'ambito delle trattative di Pace: coprire tutte le aree di interesse strategico militare-religioso, con l'insediamento dei coloni; incrementare e consolidare il controllo su Gerusalemme mediante l'occupazione forzata di molti quartieri Arabi (sono mesi che gli abitanti arabo cristiani emusulmani vengono cacciati dalle loro case mediante l'uso di strumentie decisioni dei tribunali).

Non si può dare la colpa solo ad Israele, sarebbe del becero idealismo. Arafat nell'ultimo anno della sua vita aveva liberato tuttigli assassini dalle sue carceri, aveva rifiutato l'offerta di Clinton e di Ehud Barak (avere metà Gerusalemme come capitale della Palestina), aveva aizzato di nuovo la rivolta, non aveva mai controllato i suoi che erano diventati deri veri corrotti e corruttori; lui chiedeva l'impossibile ossia il ritorno della diaspora in Palestina (quasi due milioni di persone da mettere in un fazzoletto di terra).
L'OLP post - Arafat, non ha fatto di meglio e la sua guerra con Hamas è devastante per la popolazione Palestinese ... qualcuno di voi ha mai visto i massacri che si sono commessi i palestinesi (musulmani) gli uni contro gli altri? Youtube ne è piena ... videofatti dagli stessi militanti mentre si ammazzavano.Oggi esiste un problema del quale nessuno parla, la Diaspora Palestinese, presente in quasi tutti i Paesi confinanti con Israele, e che si trovano confinati in campi miseri, senza strutture, servizi e possibilità di lavoro e futuro. Cosa fare di questa popolazione? Sono quasi 2 milioni, solo in Libano ce ne sono circa 400.000.
Nessun Paese arabo è disposto a dare loro la cittadinanza ossia "Nazionalizzarli".
Cosa fare di questa bomba ad orologeria? Può un Paese fragile come il Libano sostenere una "Nazionalizzazione" di 300.000 - 400.000 nuovi Musulmani? Quanti di questi 2.000.000 accetterebbero di andare in Palestina sapendo che farebbero una vita più misera di quella dove vivono oggi?

Non è assolutamente facile parlare di Medio-Oriente, tanto meno quando si tratta di Palestina. Prima di spendersi in parole come "Palestina Libera", "Morte ad Israele", "giusto o non giusto dare il premio a Obama" ecc... sarebbe tempo di iniziare a proporre soluzioni più serie, per qui i casi sono due la fine di Israele o la fine dei Palestinesi come entità geopolitica indipendente. Non sarebbe meglio capire e affrontare il problema nel suo insieme e proporre il compromesso? Per il bene di tutti gli uomini, donne e bambini.

mercoledì, febbraio 10, 2010

Ciò che scarseggia non è l'energia ma il pensiero



Questo libro di Luigi Sertorio è talmente bello e interessante che non mi sento di scrivervi un commento - se lo dovessi scrivere, sarebbe più lungo del libro e non sarebbe altrettanto bello. Vi consiglio soltanto di leggere il libro, sono soltanto 80 pagine di una rara densità.

Vi passo qui di seguito il commento che ne ha fatto Luigi Ceronetti, anche questo molto bello e centrato sulla stessa citazione di Sertorio che ho scelto io, ovvero, "non è l'energia che scarseggia ma il pensiero".

Da un fisico, Luigi Sertorio, viene – anche su questa superflua e nodale parata ecologica di Copenaghen – una luce. Se trovi un pensiero che vale férmati, ricordati che non sei un bruto! Il libretto di Sertorio da cercare e da meditare, se si abbia qualche inclinazione a riflettere, s’intitola La Natura e le macchine, l’editore (SEB 27) non è certo tra i noti. L’autore è torinese e ha anche insegnato a Torino. 

Ne stralcio qualche punto luminoso: «Da bambino, la notte, Torino era buia e guardavo dalla finestra le stelle e le Alpi lontane. Ora dalla casa in collina guardo laggiù Torino tutta illuminata di lampadine, ci saranno molti megawatt di fotoni spediti nel cosmo, e non mi danno nessun senso di benessere». Quanto a me, mi domando a quale ingordo Moloch sacrifichino le città tanti inferociti megawatt e tanti torrenti di denaro per inondare di accecanti illuminazioni artificiali un flusso ormai quasi ininterrotto di partite notturne! Attenzione, quello spreco insensato di energia, non cessa di far male col fischio finale dell’arbitro: va a nutrire un oscuro cannibale che un giorno, ad un segnale, sgranocchierà i vostri figli. Come il minotauro di Creta e il lupo di Perrault – evocabili con profitto anche in un dopocena danese decembrino. Il libretto è tutto aureo. 

Nella prefazione, Nanni Salio ricorda la profezia gandhiana: che se l’India (che allora contava trecento milioni: oggi, col Pakistan, tocca il miliardo e mezzo) si fosse industrializzata al modo dell’Occidente «avrebbe denudato il mondo come le locuste». Conclude Sertorio (per forza ne limito le citazioni): «Ciò che scarseggia non è l’energia ma il pensiero, la futura vittima non è la Terra, ma è la mente umana, il consumo produce denaro, ma genera povertà (aggiungo: mentale) nelle nazioni». Sottolineo: la mente umana, con lacrime e rabbia. Nient’altro che pensiero atrofico o non-pensiero leggi nelle ceneri anche di questa eco-adunata mondiale. 

Ripiglio dall’India, tritagonista di questa scena tragica smisurata, insieme a Cina e America (le Americhe, bisogna dire: un unico personaggio policefalo). Ma la Russia, l’Europa, l’Iran, dove li metti? Tuttavia la demografia miliardaria è la più incosciente nel delirio industrialista, e ha uno specifico accecamento arrivistico – mostruosità psicologica che su scala di impero demografico (raggiungere-imitare-superare in potere-che-dà-potenza) oggi non culmina in traguardi stolti, ma in miserabile, scellerata distruttività del vivente, vicino e lontano, presente e futuro. La via dello Sviluppo è la via della morte. Paradosso dei paradossi: la sovrapopolazione planetaria, che affligge gli enormi spazi del sud-est asiatico, Cina e India in testa, e anche gli Stati Uniti – le regioni più responsabili dell’Inquinamento – e che altresì affligge l’Africa e Gaza e il Cairo… neppure stavolta la si è vista nell’agenda dei lavori!! Magicamente rimossa… Misteriosamente tenuta fuori… Perché manca il gradimento del Papa? Dei paesi islamici? Per paura dell’Insolubile? Ma se non osiamo confessare la nostra impotenza, allora perché stendere relazioni e fingere di avere a cuore un problema di essere o non essere, di vita e di morte? Perché incontrarsi e tenere discorsi su soluzioni possibili la cui caratteristica essenziale è l’impossibilità a coagularsi in una catena antincendio di severe e punibili concordanze? Non ci sono percentuali in meno o in più che valgano. Esiste soltanto il convergere di tutte le strade verso la distruttività crescente, nella folle idea fissa del tempo lineare e della sua conseguente Crescita illimitata, col suo sterminio di risorse per contrastare le grandi povertà che vengono, le catastrofi finali che nessuna filosofia politica è in grado di fermare. Perché la storia umana è iscritta in un ciclo sansarico, è parte di una ruota che la fa, nella luce e nell’ombra, ora essere ora non essere; perché nel Divenire in perpetuo qualsiasi vivere perde il suo stesso nome. Come misura di Ragione Pratica puoi fare la raccolta differenziata e l’orticello biologico in Piazza Navona o alla Casa Bianca: una condotta etica è bene per chi la tenga – ma non commuoverà mai la maschera di pietra di quel che è predestinato, di quel che è, da sempre e per sempre, Destino. E anche il Destino abbiamo visto tenuto fuori, malvisto cane sciolto, da questa conferenza di percentuali tristi e di egoismi irriducibili. Il clima out of joint può aiutare, per quanto cosa ahi molto dura, a capire. Può essere una freccia per andare, a occhi aperti almeno, incontro allo sguardo della testa inguardabile di Medusa.

lunedì, febbraio 08, 2010

Verso l'autosufficienza... vincoli, azioni e risultati: il mio primo restyling energetico



Nella foto potete vedere come si presenta la falda sud del tetto della casetta dove oggi vivo con mia madre. I moduli solari che vedete, sia termici che fotovoltaici, sono stati piazzati in novembre dello scorso anno: circa 5 metri quadri di superficie dedicata al solare termico totalmente integrato, e circa 14 per il solare fotovoltaico parzialmente integrato.

L'idea di sostituire la vecchia caldaia a gas (33 anni di onorato servizio) e il non più giovane boiler a gas  (20 anni) è nata poco più di un anno fa quando, già bazzicante in ASPO, sentivo fortemente il "richiamo" a fare qualcosa di concreto in prima persona, oltre a constatazioni sull'insostenibilità del mondo e a dialoghi sopra i massimi sistemi dell'universo, per limitare il consumo di risorse fossili.

Quando si è trattato di valutare la sostituzione dell'impianto, mia madre si era subito trovata d'accordo con l'idraulico nell'installare una caldaia a condensazione che facesse riscaldamento e acqua sanitaria, soprattutto per motivi pratici: spesso la fiammella pilota del riscaldamento si spegneva, mentre il bollitore richiedeva una manutenzione quasi ogni anno per la formazione di incrostazioni calcaree; l'insieme dei due costituiva un' importante fonte di inefficienza.
L'idea piaceva anche a me, ma gli scambi di idee sulle liste Aspo (e un po' di sano buonsenso) mi portavano a pensare che era assurdo lasciare "incolta" quella falda di tetto così ghiotta per intercettare l'energia dal Sole.

Quando ho proposto a mia madre l'idea di installare i pannelli termici (ed eventualmente fotovoltaici), ha iniziato a tremare il nucleo della Terra.
"I pannelli sono cari, non te li ripaghi", "solo per 1 o 2 persone non servono", "non li ha nessuno, se funzionassero tutti li avrebbero sui tetti", "poi ci nevica sopra", "la grandine li rompe", "poi ci piove in casa", "d'estate scaldano il soffitto della stanza da letto", "per montarli sul tetto spacchi tutti i coppi", "sono brutti", "il nostro vicino che se ne intende di lavori li sconsiglia", " ci sono le ombre delle case dei vicini, mica siamo in campagna" ...

Sono sicuro di dimenticare altre forze frenanti, ma credo che basti. Probabilmente il mio è stato un caso disperato, con innumerevoli vincoli soprattutto psicologici, ho dovuto davvero lottare per mesi e a volte litigare per procedere. Ma alla fine ce l'ho fatta.

Nel frattempo, non pago di tutto questo, mi sono messo in testa di non installare la caldaia a condensazione, che pure avevamo valutato, ma di mettere una pompa di calore, supportata da pannelli fotovoltaici. Anche qui è stata molto dura l'opera di convincimento, ma alla fine è andata :-)
Ho avuto anche modo di riuscire a partecipare a buona parte delle operazioni generali di installazione, prendendo così contatto con tecnicismi che ignoravo.
Tra l'altro, avendo realizzato con il nuovo impianto una riduzione dell'impiego di energia primaria (circa il 50%), ho richiesto al GSE una maggiorazione della tariffa incentivante del 30%, richiesta che deve ancora essere accettata formalmente.

Per avere un bilancio energetico completo occorrerà attendere novembre 2010; comunque, visto il trend è probabile che la casa autosoddisferà circa il 90% dei suoi bisogni, nonostante sia un edificio anni '70, a cui ho fatto solo interventi di isolamento molto semplici (sottotetto, doppi vetri, chiusura spifferi, isolamento tapparelle,  parte del sottopavimento isolato).
Per arrivare al 100% o più, occorrerà fare ulteriori interventi, sia singoli che combinati: passare al riscaldamento a pavimento e realizzare un cappotto perimetrale. Questi lavori non sono stati fatti subito per motivi pratici: rifare i pavimenti di una casa in cui ci si vive, e realizzare un cappotto con spostamento in avanti di infissi (che a questo punto verrebbero sostituiti) e tenendo conto della vicinanza di altri edifici sono cose un po' più delicate, sia da un punto di vista economico che psicologico, non so se mia madre avrebbe retto.
Per il momento sarà più semplice dotare la casa di una ministufa a pellet/legna, in modo da "rilassare" la pompa di calore (che diventa energivora per basse temperature dell'aria) nelle prime ore del mattino e alla sera, per i 2 mesi più freddi dell'anno. Inoltre, quando la lavatrice tirerà le cuoia (ha 20 anni pure lei) sarà sostituita con una a doppio ingresso, che sfrutti il surplus termico dell'accumulo solare (500 litri) e scaldi l'acqua per effetto Joule solo quando necessario.

Ora mia madre potrà godersi, anche se non so quanto consapevolmente, la raggiunta quasi-autosufficienza energetica. E dopo aver compiuto questa missione, direi quasi eroica :-) , sono pronto per perdere lo status di "bamboccione" e andare a caccia di nuove sfide rinnovabili ... 

Alla prossima puntata!

PS Se tra i lettori c'è chi ha fatto esperienze analoghe e ha voglia di raccontarle può inviarci una mail, si potrà fare un nuovo post della saga dell'autosufficienza

domenica, febbraio 07, 2010

La patata come arma di distruzione di massa

Il crollo della popolazione irlandese al tempo della grande carestia della metà dell'800: 2 milioni di vittime in pochi anni e il dimezzamento della popolazione nell'arco di qualche decennio. La patata, introdotta nel diciassettesimo secolo, si è rivelata una trappola mortale per gli irlandesi, consentendo prima l'aumento incontrollato della popolazione e poi causando il suo crollo.


La grande carestia irlandese della metà dell'800 è un evento ancora oggi poco capito e che suscita forti reazioni emotive. Eppure, è un esempio classico dell'incapacità umana di pensare e agire verso obbiettivi a lungo termine.

Tutto comincia con l'introduzione della patata in Irlanda, sembra nel diciassettesimo secolo. La patata è una pianta che origina nel continente americano. E' robusta, da una buona resa ed è specialmente adatta a climi umidi, come è quello irlandese. Per l'Irlanda, fu una vera rivoluzione.

Guardate sul grafico più sopra come è cresciuta la popolazione con l'introduzione della patata: triplicata in meno di un secolo, da circa un milione a tre milioni di persone. La patata era la meraviglia agricola del suo tempo, comparabile alla nostra "rivoluzione verde" della seconda metà del ventesimo secolo.

Eppure, la patata portava con se il germe della distruzione. Si era instaurato un meccanismo perverso che era diventato impossibile interrompere. Più patate si coltivavano, più la popolazione cresceva. Più la popolazione cresceva, più si coltivavano patate. Ma il suolo irlandese è fragile e più patate si coltivavano più si accellerava l'erosione. Era una corsa verso la distruzione, accompagnata da un'alternanza di fasi di abbondanza e di carestia.

Il disastro prese la forma di una malattia della patata, il "potato blight", che distrusse il raccolto per tre anni di seguito. Ma non era che un sintomo di una situazione che era comunque disperata: l'erosione e la deforestazione avevano portato al sovrasfruttamento del terreno. Se non ci fosse statoil potato blight, la produzione e la popolazione avrebbero potuto continuare a crescere - forse - per qualche anno ma il crollo che ne sarebbe seguito sarebbe stato ancora peggiore. La popolazione non poteva continuare a crescere per sempre. Qualcosa doveva cedere.

La cosa strana della vicenda irlandese è il ruolo della patata. E' stata la patata che ha consentito la crescita della popolazione ben oltre i limiti della sostenibilità. In un certo senso, la patata è stata un'arma di distruzione di massa che ha sterminato quattro milioni di irlandesi. Eppure, le patate in Irlanda non potevano essere viste che come una cosa buona: le patate sfamavano la gente - sembrava ovvio cercare di produrne sempre di più!

Questo ruolo perverso di una risorsa apparentemente abbondante - la patata - ha a che fare con quelli che Jay Forrester ha chiamato i "punti critici" del sistema. Forrester, l'ispiratore del lavoro dei "Limiti dello Sviluppo" nel 1972, aveva trovato che i sistemi complessi tendono a reagire amplificando piccole perturbazioni. Andando a identificare dove queste perturbazioni agiscono (i "punti critici") è possibile cambiare radicalmente il comportamento di un sistema con mezzi apparentemente infinitesimali. La patata è stata una di questi elementi critici per il sistema irlandese. E' bastato un sacchetto di patate portato dalle Americhe nel '600 per cambiare radicalmente l'irlanda generando quell'esplosione di popolazione di cui abbiamo parlato.

Ci dice anche Forrester che di solito la gente capisce benissimo quali sono gli elementi critici di un sistema complesso ma che, spesso, agisce su questi elementi "al contrario", ovvero in modo da generare cambiamenti dannosi e non voluti. La patata è un classico esempio di questa tendenza. Sicuramente, in Irlanda la gente si rendeva conto del problema delle carestie e della sovrappopolazione. Si rendevano anche conto che la patata era un elemento critico nella faccenda. Ma non avevano capito il ruolo perverso della patata nel creare più problemi di quanti ne potesse risolvere. Cercando di coltivare sempre più patate stavano spingendo il punto critico al contrario.

Sicuramente, il ragionamento degli irlandesi era semplice: "più patate coltiviamo, più gente possiamo sfamare". La patata gli sembrava un arma contro la carestia. Non si rendevano conto che più patate si coltivavano, più la popolazione cresceva. La patata peggiorava il problema che si pensava potesse risolvere. La patata era una vera arma di distruzione di massa.

Seguendo la linea di ragionamento di Forrester, invece, si doveva fare esattamente il contrario: ovvero coltivare MENO patate. Questo era spingere il bottone critico del sistema nella direzione giusta. Avrebbe causato un certo livello di sofferenza a breve termine, ma a lungo termine avrebbe stabilizzato la popolazione su livelli sostenibili dal suolo irlandese. Certamente, gli Irlandesi erano perfettamente capaci di stabilizzare la loro popolazione in funzione delle risorse disponibili: è quello che hanno fatto dopo la carestia usando il classico metodo di tutte le società del tempo. Hanno ritardato l'età del matrimonio in modo da ridurre il numero di figli per coppia. Avrebbero potuto farlo benissimo anche prima della carestia. Ma hanno dovuto scontrarsi duramente con la realtà prima di arrivarci.

Era possibile evitare il disastro irlandese? Con quello che sappiamo oggi, ci sembra abbastanza chiaro che cosa di doveva fare. Ma immaginatevi di essere in Irlanda prima della carestia. Immaginatevi di essere preveggenti a sufficienza per capire cosa stava succedendo e cosa sarebbe successo. Avreste subito capito che era poco utile mettersi a predicare l'abbassamento della natalità in un paese agricolo dove, come in tutti le società agricole, più figli significano più ricchezza. Allora, avreste fatto tesoro delle raccomandazioni di Forrester che raccomandava di operare in modo giusto sui punti critici. Ma immaginatevi di andare a dire in giro nell'Irlanda dei primi dell'800: "stiamo coltivando troppe patate, dobbiamo coltivarne di meno!" Come minimo, vi affogavano nella cisterna della birra Guinness.

La storia della carestia irlandese ci fa capire quale è, in fondo, il nostro problema. Non è la mancanza di preveggenza, ma l'incapacità di agire su problemi a lungo termine. Gli irlandesi erano perfettamente in grado di prevedere che cosa gli stava per arrivare addosso e che la patata che li stava nutrendo sarebbe stata l'arma che li avrebbe sterminati (e qualcuno l'aveva anche previsto). Ma non furono in grado di agire in proposito. Questo ci insegna molte cose sul nostro tempo e su quello che ci sta per succedere.

Per approfondire, vedere il mio post sulla carestia irlandese su "The Oil Drum"

venerdì, febbraio 05, 2010

Petrolio e mammut


created by Massimo Nicolazzi


Resta il dubbio se sia genetica, oppure Berlusconi. Per miseria che sia a perdita d’occhio, dalla necropoli del Cairo all’ultima favela, in principio è antenna; e spesso neanche dopo è acqua, per non dire di frigoriferi. Malnutrito e denutrito è meglio che scollegato. Non è la parabola della televisione. E’ quella del nostro consumare. Esagerare è giusto; e astenersene contronatura.

Forse è solo corteccia e neuroni, e dunque fisiologia del cerebro. Fino a ieri eri giusto cacciatore, ed il cibo da cacciatore te lo conquisti giorno per giorno. Nel lungo processo che ci ha infine reso (anche) agricoltori il cerebro ci è enormemente ingrossato. Il fenomeno, unito all’abilità di piegare il pollice, ci ha dato un notevole vantaggio competitivo su tacchini e leoni; vantaggio usato però sempre e (quasi) solo per risolvere il problema del quotidiano e del suo cibo. Se non sei sicuro di mangiare oggi, è duretta pensare che tu ti prepari il domani. Lo stimolo ad adattarsi alla necessità di pensare lungo tende allo zero o meno; e nel dubbio tra risparmiare e consumare potendo si esagera.

Forse invece è il modello velina, e dunque corruzione del cerebro. Al mondo ci sono meno cose di quel che voglio; e comunque le voglio tutte. Oggi lei ha più scarpe che giorni un anno e lui in SUV magnum si beve in un metro il petrolio che gli basterebbe a farne cento. L’esagerazione del moderno. Già tante decine di secoli prima però l’ava e l’avo per conquistare cibo i mammut nel burrone ce li facevano cascare a branchi interi. Cibo ogni volta per un anno; e però proteicamente inutile dopo poco più di un giorno e destinato a rivertere indigerito a cenere se non lo sapevi conservare. La tecnologia non sempre assiste tempestiva. La capacità di conservare, insomma il congelatore, ce la siamo inventata solo tanti millenni dopo; e nel frattempo l’esagerazione ha estinto il mammut.

Dice che il consumare è figlio del capitalismo, e la sua patologia estrema e globale si alimenta di media e pubblicità. Fosse del tutto vero, il mammut ne sarebbe stato felicissimo. Il capitalismo è un potentissimo coadiuvante ed anche carburante di proprio; però il mammut potrebbe spiegarti e forse anche convincerti che a farti esagerare basta l’abbondanza del presente, se non anche solo la sua percezione.

La storia moderna dell’energia si è in qualche modo sempre intrecciata con la storia dell’esagerazione. All’inizio è giusto storia dei nostri muscoli. Il senso di ogni giornata del tuo passaggio in terra si conchiude nel trovare abbastanza cibo da alimentarli. Però non solo per alimentare i tuoi. Devi alimentare anche quelli dei tuoi cuccioli. Più mammut si ammazzano e più bambini mangiano. Oggi, che del domani non c’è certezza. E così ti sviluppi da subito, come specie, ammazzando biodiversità. Ogni tanto adesso ti dicono che erano i tempi felici della parsimonia e dello stato di natura. In realtà era parsimonia solo quando (ed era la regola) non c’era trippa per esagerare e sembrava natura perchè a parità di Terra in sessantamila che si era allora ne ammazzavi per esagerato che tu fossi sempre meno che in sei miliardi e mezzo adesso. Però in pochi si era già abbastanza da cancellare per intero i mammut e qualche altra specie incauta.

Poi siamo diventati agricoli. Prima la sovrabbondanza era occasionale (un branco di mammut non è roba di tutti i giorni); però in fondo “comunitaria” (mangiava e sprecava l’intera tribù). Adesso ti diventa quotidiana però elitaria. E’ nato il surplus, che è roba per quelli che comandano. Dalla sovrabbondanza naturale (un mammut lo consumi in forma di mammut, o comunque dei suoi pezzi) a quella artificiale. Quella per cui si compie via surplus la trasformazione del frumento in eserciti, e burocrazia, e monili per la Faraona. E’ la nuova forma dell’esagerazione; questa volta socialmente organizzata. Fino adesso potevi dire che estinguevi il mammut per carenza di tue connessioni neurali, insomma per genetica. Da adesso c’entra anche Nabuccodonosor/Berlusconi, insomma la “cultura” e tutto quel che si accompagna al complicarsi dell’organizzazione sociale. Però l’esagerazione sembra piacere ad entrambe. Il surplus non è determinato dalle necessità del sociale. Sono i bisogni delle élites ad essere definiti dal surplus. Siamo al dispotismo orientale (per dirla con Wittfogel), e ancora lontani poco meno di duemila anni dall’Occidente capitalistico. Però al netto del sistema economico la regola del consumo, per i beneficiari del surplus, è quella di sempre. The more the better.

L’energia nel frattempo oltre che i muscoli nostri ce la davano anche quelli degli animali che con qualche millennio di pratica ci era riuscito di domesticare. E (inaudito!) ci riusciva anche di imbrigliare qualche forza e risorsa della natura. La legna, anzitutto; e poi vento ed acqua, che tra le tante ti fanno anche girare le pale dei mulini. Adesso insieme le chiamano anche alternative; ma carbone e petrolio, quando arrivarono, furono alternativi a loro.

Per secoli e secoli il “progresso” tecnologico fu una paziente ottimizzazione di quel che c’era. Come far spingere meglio cavallo e bue, e come far girare di più la ruota. La descrizione dell’evoluzione di gioghi, basti ed aratri e quella dell’evoluzione parallela delle razze bovine ed equine prende quasi un capitolo intero della Storia dell’Energia di Smil. Non è precisamente il capitolo più emozionante; ma non è il caso di prendersela con l’Autore. L’energia non è né arte né bellezza. E’ giusto un mezzo. Potere calorifico trasformato in lavoro. L’unità di misura dell’energia è il lavoro; e non c’è unità di lavoro senza energia. L’energia di cui disponi detta il limite del tuo fare; e perciò e per inclusione anche del tuo produrre. Dopo qualche decina di migliaia d’anni di avventure, il moderno homo sapiens è arrivato a trecento anni fa che aveva messo assieme come fonti legna,cibo, aria ed acqua; e come “macchine” per produrne lavoro le pale dei mulini, ed il corpo suo e quello degli animali amici. Poco per garantire l’esagerazione di massa. Il surplus che riesci a produrre resta per pochi; ed il cibo che riesci a produrre è poco per molti.

Poi è l’esplosione. Di nuove fonti e di nuove macchine. Carbone e petrolio e gas. Macchina a vapore e motore e turbina. Lavoro a volontà. Nasce l’elettricità, e sono industrialmente poco più di cento anni e però già da tempo non ne trovi più uno che si capaciti del come si possa vivere senza. Nasce il trattore, e ne basta uno per fare il lavoro di quindici contadini pur dotati di proprio di buoi e cavalli; e succede in pochi anni in qualche punto d’ Occidente che si passi dal 70 al 2% di popolazione impiegata in agricoltura, e però insieme dal deficit al surplus agricolo. Nasce l’automobile, e con lei camion e corriera, e persino aereo, e la mobilità di qualunque persona e di qualunque merce tra qualunque due punti nel mondo. Prova a togliere il petrolio dalla globalizzazione; e se ti va benissimo ti ritrovi i Granducati. Nasciamo infine anche noi. E tanti. Da meno di un miliardo a più di sei in un solo secolo. Dicono nove e mezzo a metà di questo. Cominciate a stringervi.

Un’esagerazione di lavoro. Un’esagerazione di fertilità. Un’esagerazione di consumi. Tutte scatenate dall’esagerazione primaria. L’esagerazione di energia. Che poi coincide perfettamente con lo sbarco dei combustibili fossili. Carbone, gas e petrolio. Pronunciati tutti assieme adesso quasi scatenano l’esorcismo, per quanto puzzano e sporcano e scaldano (l’atmosfera). Però toglili e della nostra moderna civiltà non (ri)conosci più nulla. Non c’è mai stata fonte così poco costosa e così efficiente; ed altro non si vede che la eguagli. Al lordo di petrolchimica e fertilizzanti per l’agricoltura,la combinazione delle fonti fossili e delle loro macchine ci ha modellato il novecento. Se non ci credete, provate giusto a staccare la corrente, rinunciare alla vostra mobilità privata ed eliminare tutte le componenti plastiche di casa. Mio nonno ci è sopravvissuto per buona parte della sua vita. Noi tanti auguri.

(Ri)adattarsi non sarebbe e non è semplice. Il surplus diffuso del novecento ci resta attaccato dentro, quasi fosse lui ad essersi trasformato in pochi decenni da cultura in genetica. E’ successo che il petrolio al posto della legna e il trattore al posto del bue e il modello T al posto del calesse, insomma l’energia facile e le sue manifestazioni siano sembrate togliere ogni limite alla capacità di lavoro, e dunque al fare e al produrre. L’illimitatezza dello sviluppo delle forze produttive. Togli dalla Storia i combustibili fossili, e neanche ti passava per la mente.

Dalla produzione illimitabile al consumo illimitato. Amavamo esagerare già ai tempi del mammut. Figurarsi nel secolo dell’embarras de richesse. Astenersi moralisti. L’uno e’ alimento necessario dell’altro, e viceversa. Non puoi lodare il produrre e bandire l’illimitatezza del consumare. Eppure in un pezzo della sinistra del ‘900, e altrove, andava di moda. Me lo spiegate come si sviluppano le forze produttive (o anche solo, vulgariter, il PIL) se non si sviluppano i consumi? Adesso sembra quasi banale, ma se la scrivevo trent’anni fa mi bandivano con disonore.

Dicono oggi dei fossili, tra le tante, due cose. Una è che dobbiamo starne lontano o comunque ridurli in fretta perché ci surriscaldano il pianeta. L’altra è che stanno per finirci. Premessa.Il processo di formazione di un idrocarburo dura da uno a qualche milione di anni. Abbastanza, se raffrontato alla nostra aspettativa media di vita, per farcelo considerare una risorsa “finita”; e che perciò se prodotta prima o poi “finisce”. Il problema però non è se “finisce”. Il problema è se ci riesce di metterci ad usare qualcos’altro prima che ci scarseggi, e che perciò il suo prezzo ci aumenti al punto da forzarci a cambiare abitudini e modello di vita. Il problema è insomma se la sostituzione sarà traumatica, o dolce. L’esplosione è stata una combinazione di fossile e di tecnologia. Fonte e macchina. Nella storia hanno sempre progredito in parallelo. Dal muscolo alla turbina, e dalla legna all’idrocarburo. Però (storicamente) rivelano un’asimmetria. La macchina è cultura, insomma roba umana. La fonte sino ad oggi è stata prevalentemente natura, e dunque uso umano di quel che abbiamo trovato nella e sulla terra. Noi non sappiamo quale nuova macchina (o financo fonte...) ci regalerà la tecnologia di domani. Però sappiamo che oggi, a parità di condizioni, siamo lontani dall’aver trovato in terra e dintorni un credibile sostituto dell’idrocarburo. In giro non si vede se non marginalmente nulla che costi meno e/o renda di più. Nel futuro non vi è nulla di usuale, ed è persino possibile che fonti di domani travolgano l’asimmetria e siano infine frutto d’ invenzione anziché di natura ; però è certo che oggi e nella presente condizione del sapere la sostituzione sarebbe traumatica.

Fine dell’intervallo felix della sovrabbondanza. Meno consumi. Più basso tenore di vita. Per qualcuno decrescita, se ben gestita, è pure bello. Ma il tema è anzitutto tema di consenso, e di tenuta sociale. Dai mammut al Suv, la propensione all’esagerare pare maggioritaria. Il modello San Francesco può andare bene alle feste comandate; ma se fai un referendum ti stravince Nabuccodonosor. Bello per pochi può essere rivoluzione, e violenta, per molti.

Clima. E consenso. Bandire l’idrocarburo a tappe forzate, per evitare di stravolgere il clima della terra, e la terra stessa. Kyoto. Copenhagen. Mi astengo dal merito. Nel metodo, e cioè in punto di consenso, sin qui è storia di obiettivi clamorosamente falliti dalla politica e che forse raggiungeremo malgré nous per cinicità del destino. E’ la dannazione del nesso tra energia (fossile) e sviluppo in forma di PIL. Sino ad oggi non ti è riuscito, checchè te ne scrivano, di trovare il modo di essere drastico coi fossili senza toccare (anche) lo sviluppo. Ci siamo dati “politicamente” degli obiettivi (da Kyoto al 20-20-20 europeo); e poi “politicamente” ce ne siamo di regola allontanati in corso d’opera. Il che, se la politica è (anche) consenso, sembra suggerirti che il consenso sia predicato sull’ambiente quando si parla, e tutt’ora sull’idrocarburo quando si va a fare spesa. Poi comunque sono arrivati Lehman, ed il tentativo (men che riuscitissimo) di rimandare in onda la Grande Depressione. Recessione, e brutale, è comunque stata. E non senza un qualche (perdurante) sommovimento sociale. Però la dannazione del nesso se rigiri la frittata è anche benedizione (?). Sono venuti giù alla grande i consumi di combustibili fossili , e alla grandissima le emissioni di anidride carbonica. La crisi ci condanna alla virtù, e forse grazie a lei raggiungeremo gli obiettivi della parola politica. Che è come dire che sino ad oggi non c’è riuscito di frenare significativamente la strage dei mammut per via di consenso; ma solo per via di recessione.

Dice che adesso però cambia. Il limite sta diventando cultura, e perciò consenso. Basta esagerazione demografica. A metà secolo ci fermiamo. Saremo solo nove miliardi e mezzo. Buon appetito a tutti. Poi dice che cambia anche il sentire. Basta esagerazione dei consumi. Sempre più qualità della vita, e sempre meno PIL. Un nuovo Occidente. Colto, bucolico e affettivo. Voglioso insomma del limite. A Stuart Mill sarebbe piaciuto, e io mi ci riconosco appieno. Il dubbio è se sia cultura, o non giusto la sindrome del sazio che vorrebbe evitare l’obesità. Quanto si riconoscono in questo sentire tre miliardi di cinesi e a ruota tutti gli africani potrebbe essere un buon test. Per male che vada, ci dovrebbero essere grati d’aver scelto le alghe lasciandogli i mammut.

L’esagerazione del lavoro, almeno in qualche versione, invece resta. Il vecchio tabù dello sviluppo illimitato. Tradotto col dire che il produrre rinnovabili ed alternative genererà più nuova occupazione; e che le alternative in quanto rinnovabili possono produrre per definizione lavoro illimitato. I numeri sarebbero lunghi. E la mia formazione provinciale qualche dubbio me lo impone. Che l’industria eolica possa generare occupazione comparabile a quella automobilistica, ad esempio. O che il futuro rovesci la storia, e si metta a produrre a intensità di lavoro crescente per unità di prodotto. O che in queste condizioni e contro ogni evidenza il lavoro generato oltre che illimitato possa essere anche efficiente. Se è questo quello che vogliono fargli dire, il tabù praticato in versione rinnovabile c’e’ rischio che degradi. Non piu’ cultura, e neanche mito del progresso; ma solo tecnica di consenso. Per limitare l’esagerazione dell’energia fossile ti tocca promettere l’immortalità dell’esagerazione tout-court. Energia, consenso e demagogia. Quasi il titolo di una tesi di laurea.

Per centocinquant’anni abbiamo trattato il petrolio allo stesso modo dei mammut. Della cui strage, peraltro, non abbiamo avuto occasione di pentimento. Estinti loro, siamo riusciti a domesticare bestiame in quantità più che copiose; e il mammut magari sarebbe finito estinto dalla concorrenza del manzo argentino. Con il petrolio ci dicono che non è lo stesso. La Terra non ha altre fonti di esagerazione da offrirci, oltre a quelle che andiamo esaurendo. Il Sole è lontano. L’invenzione ritarda. Dovremmo - dicono – riuscire perciò ad andare contro genetica e Berlusconi, e ad adattare le nostre connessioni neurali e la nostra cultura alla bellezza del limitarsi. Non possiamo abbandonarci e affidarci interamente all’idea che il futuro ci riservi un’esagerazione compensativa di energia alternativa, e magari anche pulita. Sarebbe follia. In gioco sono (sarebbero?)l’equilibrio climatico del Pianeta; e la possibilita’ di fuoruscire in forme non violente dalla civiltà a propulsione fossile.

Questo se Stern vi ha convinto (a proposito di consenso e sue tecniche...), e se non vi fidate dell’idea che il futuro magari in forma di mercato ci riservi comunque abbondanza di chianine e scottone più buone e soprattutto più nutrienti del mammut ( e qui mi metto tra quelli che non si fidano). Non stiamo climaticamente parlando dell’imminente estinzione della specie umana . Che si possa sopravvivere con qualche previdente adattamento all’innalzarsi delle acque ce lo ha già testimoniato Noè. Stiamo però parlando del rischio di un potenziale altissimo di sconvolgimento sociale ; e del se ci convenga investire e nel caso in che misura nella prevenzione, nell’adattamento o in una misura/mistura di entrambi. Ci stiamo interrogando (Costi/benefici? O vi pare metodo troppo poco religioso?) sul se convenga investire per prevenire conflitti tra umani; e non (almeno immediatamente) la fine stessa degli umani.

Attorno all’idea che il petrolio finisca stiamo discettando della stessa cosa. C’e’ il rischio, se non lo sostituiamo in tempo, che ci scompaia non solo un modello sociale basato sulla mobilità; ma anche che ci scompaia, assieme all’efficienza ed al costo irrisorio del suo combustibile, buona parte del surplus che ci si accompagnava. Genetica e Nabuccodonosor continuano a compellere al tutto, subito ed esagerato . Pero’ rimanca la trippa su cui sfogare la compulsione. Mentre diventi nove miliardi e mezzo, che il surplus possa ridiventarti roba riservata in proporzioni sumero-babilonesi a chi comanda è ipotesi cruenta. Difficile che ci si rassegni a non esagerare senza combattere. Se la civiltà fossile ci agonizzasse male ci sarebbe il rischio di scoprire di botto, e dopo un secolo di intervallo felix, che un conflitto globale può essere più devastante di un conflitto mondiale. Di nuovo niente a che vedere con la sopravvivenza della specie. Solo con quella del nostro modello sociale, e con l’opportunità (o meno) di investire nell’eutanasia di una civiltà.