venerdì, ottobre 31, 2008

ENEL, ENI, Scaroni, Conti e il sequestro dell’anidride carbonica: un bidone annunciato.



created by Antonio Zecca
[Dipartimento di Fisica, Università di Trento]


Io non sono molto intelligente, ma quando mi trattano da super-idiota mi irrito.

La CCS (Carbon Capture and Sequestration) è una sola delle decine di "contromisure" proposte negli ultimi 10 anni (dalle multinazionali dell' energia - tramite loro "esperti") per convincerci a consumare ancora petrolio e soprattutto carbone come idioti e in modo inefficiente. Anche chi propone la CCS riconosce ormai che bisogna fare qualcosa per rallentare il riscaldamento globale.

Si può fare "mitigazione" oppure attuare "contromisure". Mitigazione è ciò che è stato proposto dal mondo scientifico: ridurre le emissioni di CO2 rendendo più efficienti gli inefficientissimi processi in cui bruciamo i fossili.

Contromisure è un termine che in italiano si traduce "nascondere l' immondizia sotto il tappeto". Si tratta cioè di trovare un modo per continuare a bruciare i fossili come scemi scaldando di meno il pianeta, è sottinteso: così accontentiamo sia quelli preoccupati per i danni del clima che quelli che vendono combustibili fossili. In verità ai primi si darebbe solo un contentino miserevole e lo dimostreremo più avanti. La CCS è una contromisura.

Occhio!! le contromisure non contentano neanche un poco i "picchisti"; anzi, chi parla di contromisure se ne frega allegramente se tuo nipote non avrà di che scaldarsi. Il picco non esiste per Scaroni e co. E' bene dare una idea sulle contromisure citandone un' altra a caso (non la più fantasiosa!).

E' stato proposto di coprire un decimo delle superfici oceaniche con lastre di polistirolo che, essendo bianche, rifletterebbero i raggi del sole. Se vi state chiedendo che cosa succederebbe a onde, correnti marine, supercorrente oceanica, siete dei retrogradi che non vedono il luminoso sole della crescita economica infinita. Se vi domandate cosa succederebbe dopo dieci anni quando il polistirolo si sbriciola, siete retrogradi. Se poi vi domandate quali pesci mangeremmo........

La CCS è sicuramente la più seria delle contromisure proposte. Due conti da scuole elementari (Scaroni e Conti sono convinti che noi non abbiamo fatto le elementari e, come ho detto, questo mi irrita).

non è possibile sequestrare la CO2 emessa dalle auto

non è possibile sequestrare la CO2 dalla piccola -media industria

non è possibile sequestrare CO2 dagli impianti di riscaldamento
RIMANE la CO2 emessa dai grandi impianti tipo centrali elettriche (diciamo meno del 15% del totale)

è stato proposto di immagazzinare la CO2 sequestrata

4a) nei fondali oceanici: se andate sotto i 3000 metri la pressione è così alta e la temperatura così bassa da trattenere la CO2 come liquido sul fondo. Non si conosce a sufficienza la termodinamica del processo, per cui non si sa dire se a tempi lunghissimi (vogliamo immagazzinare per almeno 2000 anni, altrimenti sarebbe un regalo mortale per i posteri) la CO2 non ritornerebbe lentamente in atmosfera.

4b) non ci sono fondali così profondi nel Mediterraneo, salvo tre (relativamente piccole) zone nel Tirreno, tra Sicilia e Grecia e sotto Creta.
4c) oppure in pozzi di petrolio/gas ormai svuotati. Anche qui bisognerebbe essere sicuri che poi la CO2 rimane imprigionata per almeno 2000 anni e questo non è garantito da nessuno.

Chi era nella prospezione petrolifera sa già di pozzi petroliferi che si sono aperti a causa dei movimenti tettonici e che stanno perdendo il petrolio (uno mi sembra che sia dalle parti delle Tremiti).

si può immagazzinare solo se avete a portata di mano pozzi esauriti o oceani.

quindi la CCS è adatta solo in poche regioni del mondo a meno di prevedere lunghi trasporti dal sito di produzione a quello di immagazzinamento.

conclusione quantitativa: se mettiamo in conto perdite termodinamiche e altre forse si potrebbe sequestrare il 2 o 3 % della CO2 emessa. Se si tiene conto dell’ aumento delle emissioni necessario per le operazioni di cattura, trasporto e immagazzinamento, si scende a 1 o 2%. onfronto: in Italia un serio programma di efficienza energetica ci porterebbe entro pochi anni a ridurre le emissioni di un 20%; ridurre le importazioni di petrolio del 20%; ridurre la nostra dipendenza dall' estero di quasi il 20%.

Il trasporto si può fare con gasdotti ad alta pressione; ma esiste anche la soluzione demenziale: liquefare la CO2, caricarla su autobotti e poi comprimerla nel pozzo. ENI e ENEL hanno scelto la soluzione demenziale.

è demenziale perchè il trasporto con gasdotti è costoso e aumenta il prezzo del kWh, ma quello con autobotti è costosissimo. Le autobotti dovrebbero essere ad alto isolamento termico come quelle utilizzate per l'azoto liquido - non è la stessa cosa che trasportare vino. Una stima conservativa dice che il costo (non so il prezzo all'utente) del kWh prodotto a Brindisi e immagazzinato a Cortemaggiore-Piacenza sarebbe tra due e quattro volte maggiore del costo attuale .

10°
se state pensando all' inquinamento prodotto dai camion siete degli sporchi ambientalisti.

11° anche con la soluzione del gasdotto bisogna calcolare il costo della cattura di CO2, della compressione, del trasporto (cresce con la distanza) della ulteriore compressione per iniettare nel pozzo di deposito. Facile arrivare a un costo doppio di quello attuale. In qualsiasi futuro la CCS è una tecnica che aumenta i costi e aumenta i consumi di fossili e riduce solo in maniera marginale le emissioni. Le incognite sul comportamento della CO2 immagazzinata per 2000 anni sono enormi.

Conclusione: non si capisce perchè vogliono rifilare quest' altra bidonata agli Italiani.

Commento: ritengo che i tecnici ENI + ENEL sappiano fare questi conti e che li abbiano fatti.

Allora esistono due sole spiegazioni: La prima é che Scaroni e Conti vogliano rifilare il bidone all'Europa, cuccare un consistente finanziamento per fare sperimentazione pur avendo la consapevolezza che il risultato sarà negativo al 90%. La seconda è che l'annuncio dell'operazione CCS sia stato principalmente funzionale al tentativo irresponsabile e trogloditico di boicottaggio del piano Europeo 20/20/20 di riduzione delle emissioni fatto dal sig. Berlusconi.

Se qualcuno sa o immagina le vere ragioni per cui il signor Berlusconi ha detto di voler sabotare il piano 20/20/20, per favore me lo faccia sapere.


mercoledì, ottobre 29, 2008

La piramide delle responsabilità

Crollo delle borse, crisi finanziaria, recessione economica. Un terremoto sta scuotendo il sistema economico mondiale. Quando le violente scosse telluriche si saranno assestate, e saranno sgombrate le macerie capiremo le conseguenze della crisi in atto.
Nel frattempo, i cittadini, la politica, le istituzioni economiche e finanziarie si interrogano sulle cause e i possibili rimedi di questo sconvolgimento. Qualcuno se la prende con i manager e gli operatori finanziari corrotti o spregiudicati, altri con l’assenza di regole dei mercati finanziari, o con la preponderanza dell’economia virtuale a scapito di quella reale.
Non c’è dubbio che tutte queste analisi siano corrette, ma colgono solo una parte della verità. In cima alla piramide delle responsabilità c’è qualcosa di più difficile da individuare e combattere perché attiene alla natura stessa delle moderne società industriali e consumistiche: la fede nella crescita economica illimitata. Negli ultimi duecento anni, l’uomo ha cercato con feroce determinazione di eliminare tutti i limiti fisici ed economici che si frapponevano contro questo sogno prometeico. La scoperta e l’uso dei combustibili fossili gli ha dato l’illusione di alimentare perennemente il motore della crescita, ma in alcuni momenti l’espansione economica è stata frenata dai limiti intrinseci del modello produttivo. Questi limiti sono stati cinicamente superati con alcune immani tragedie belliche come le due guerre mondiali, dalle cui tremende distruzioni il sistema ha trovato la linfa per nuove fasi di crescita.
Ma il diffondersi planetario del benessere economico ha gradualmente sottratto il consenso di massa alla violenza rigeneratrice della guerra. Il fascino luciferino del consumismo (Lucifero prima di essere scacciato da Dio era tra gli angeli più belli del Paradiso) ha ammorbidito gli istinti aggressivi dell’umanità.
La guerra fredda si è per fortuna conclusa con la sconfitta quasi incruenta e il dissolvimento dell’Unione Sovietica, consegnandoci un apparentemente incontrastato dominatore economico e culturale, gli Stati Uniti d’America. Tutto sembrava procedere a favore delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità.
I colossi orientali cominciavano a crescere a ritmi impressionanti e le economie occidentali, anche se più lentamente, continuavano a produrre ricchezza. La crescita costante del PIL (Prodotto Interno Lordo), questa sorta di feticcio contemporaneo venerato da schiere di sacerdoti e fedeli, richiedeva però un aumento altrettanto costante del potere d’acquisto dei consumatori. Per superare questo limite interno al sistema, gli Stati nazionali utilizzavano la leva degli investimenti pubblici, indebitandosi, e le famiglie sostenevano i propri consumi attraverso i prestiti bancari. Questa corsa parossistica e irresponsabile al debito per sostenere la crescita economica era guidata dagli Stati Uniti d’America, i cui cittadini continuavano a dissipare e bruciare risorse, sostenuti da quell’ingenuo e ottimistico sogno progressista che fa parte della loro cultura pionieristica.
Ma quanto più si superano e si trascurano i limiti, tanto più le conseguenze sono devastanti. In questa tabella della Banca d’Italia si vede l’enorme differenza tra il debito delle famiglie americane rispetto a quelle europee (con esclusione della Gran Bretagna). L’insolvenza di milioni di americani verso i mutui concessi generosamente dalle banche per l’acquisto delle case, faceva scoppiare una colossale bolla immobiliare che a sua volta innescava una spaventosa reazione a catena nel sistema bancario e finanziario globale i cui effetti distruttivi sono ancora in corso, mentre si avvicina paurosamente lo scoppio di altre bolle finanziarie come quella del credito al consumo.

Se l’umanità sapesse trarre lezione dai propri errori e prendesse atto che al vertice della piramide delle responsabilità dell’attuale crisi economica e delle future crisi ambientali c’è l’idea della crescita economica illimitata, potrebbe cercare di porre rimedio a un modello di sviluppo insensato. L’amara medicina contro questa epidemia planetaria causata dal superamento dei limiti, consisterebbe nell’arrestare la crescita, nel fermare i sostegni artificiali all’economia, nell’impedire l’ulteriore indebitamento degli Stati e delle famiglie, nello scoraggiare il consumismo. Favorendo invece gli investimenti nei settori dei servizi che garantiscano la qualità della vita e il risparmio di risorse.
In altre parole, bisognerebbe operare per giungere a un stato stazionario dell’economia, in cui la felicità individuale non si misura in funzione della produzione e del consumo di merci, ma del soddisfacimento di tutti quei bisogni immateriali che attengono al sistema di relazioni sociali e personali e a un equilibrato rapporto con l’ambiente naturale e culturale in cui viviamo.

Ma il pessimismo della ragione e le prime reazioni allo sconquasso economico che stiamo vivendo mi fanno pensare che ciò non avverrà. Agli “uomini di buona volontà” non resta che operare per attutire il più possibile gli effetti delle crisi che si susseguiranno per il progressivo superamento dei limiti.

lunedì, ottobre 27, 2008

Cucinare con il sole


"In tutto il mondo, per i soli bisogni di cucina, un milione di tonnellate di legna vanno in fumo ogni giorno, e due miliardi di persone hanno difficoltà nell'approvvigionamento di combustibile necessario per la preparazione dei loro pasti. Inoltre, la deforestazione provoca catastrofi ecologiche, come la desertificazione del Sahel e le inondazioni del Bangladesh [...]

Roger Bernard, "Cuisson solaire pour débutant", ed. Jouvence

Nell'immagine potete vedere il mio recente investimento culinario. Stimolato da un amico che ha viaggiato in Cina, nonchè da un post dell'ottimo Marco Pagani ho ravanato per qualche sera nel web per trovare quelli che sono, almeno secondo l'idea che mi sono fatto, i prodotti a miglior rapporto qualità-prezzo. Si tratta di un forno solare e di una cucina parabolica.

Devo ammettere che non è stato facile perchè ho trovato venditori papabili in Francia, Svizzera, Germania e Grecia; inoltre, ognuno aveva solo una parte del materiale di mio interesse, non tutti accettavano carte di credito, certi avevano alte spese di spedizione .... arghhh :-) alla fine ne ho setacciati un paio.

Considerando che si tratta di materiale di qualità medio-alta, e che ho speso intorno ai 250 € per articolo, mi ritengo soddisfatto. Realisticamente, la cucina solare oggi è ancora un tantino cara rispetto a quella tradizionale a gas (che mi pesa per meno di 100 € all'anno, per i soli usi culinari), tuttavia viste le possibili evoluzioni dei prezzi del metano e la passione per l'impatto "zero" non ci ho pensato più di tanto. Per la cronaca, sarebbe buona cosa riuscire ad acquistare i materiali direttamente presso i rivenditori, soprattutto se capita di un viaggiare da quelle parti, risparmiando ulteriori decine di euro.

Per una valutazione globale e senza pregiudizi occorre citare i fattori "contro": aleatorietà della performance (impossibile cucinare con cielo coperto e poco prima del tramonto) e scomodità (ci vuole un po' di spazio: un cortile o un balcone con un minimo di esposizione). Quindi, la diffusione di massa nelle metropoli occidentali, con palazzi e grattacieli è oggettivamente difficoltosa. Ma tra le tante cose che i combustibili fossili potrebbero cessare di garantirci, sarà proprio la comodità a buon mercato, quindi ci dovremo ingegnare.

L'efficienza di questi dispositivi solari li rende LA scelta d'elezione per contenere gli usi di altre energie nobili (biomasse, gas), dando loro delle chanches in più per l'autorinnovabilità.

Backup: per cucinare con luce scarsa e con clima freddo, la stufa a legna è perfetta: ci si scalda e si fa cena; per le giornate calde ma nuvolose, si può usare il classico fornello a gas.
Con un po' di organizzazione, la cucina solare potrebbe contribuire per un buon 50%.

Più avanti vi farò sapere se riesco a combinare qualcosa di commestibile ... :-) , e fornirò qualche dettaglio tecnico sulle apparecchiature. Chi fosse interessato ai modelli mi può scrivere (non li vendo io, quindi non ci guadagno!); inoltre, la rete è ricca di schemi per il fai-da-te, che sono essenzialmente forni in legno e riscaldatori (a bassissimo costo) costruiti con cartone & carta alluminata; conto di realizzarne un paio come "fornelli di supporto" ai due acquistati.


PS Grazie a Elisa per l'aiuto nel montaggio! La cucina parabolica per essere assemblata richiede un po' di pazienza, riservarsi una mattinata piena e la fidanzata :-)

domenica, ottobre 26, 2008

Cambiamenti


created by Antonio Zecca

I fenomeni come quello della bolla finanziaria e del riscaldamento globale vanno analizzati con le tecniche di trattamento dei dati: bisogna riuscire a distinguere il "rumore ad alta frequenza" (cioè i cambiamenti da un giorno all'altro) dai cambiamenti lenti - i trends. Il rumore ad alta frequenza ci mostra giorni in cui la borsa crolla e giorni in cui risale.

Non è facile, ma facciamo l' esercizio di cercare di "sfuocare" i grafici come quelli proposti da Ugo Bardi a proposito dell'andamento delle borse. Ancor meno facile è sfuocare sull'immediato futuro: un giorno di calo può far venire l'idea che continuerà a calare; un giorno di ripresa può far venire l' idea che il capitalismo mondiale abbia rinsaldato le fila e che quindi stia riprendendo le posizioni. Queste impressioni sono false. Che il capitalismo "rinsaldi le fila" è ovvio e non potrebbe essere altrimenti: chi ha interessi a 9 zeri farà ancora i suoi interessi. Se invece si riesce a sfuocare il rumore ad alta frequenza è ormai inequivocabile il trend per i prossimi decenni e non ci saranno molte fila da rinsaldare. Il sistema economico capitalistico è crollato (è già crollato - voglio dire) nel 2008 con quindici o venti anni di ritardo rispetto al crollo del *sistema economico* a pianificazione socialista. Il documento ufficiale di morte sarà stilato e controfirmato tra dieci anni.

Il crollo del sistema economico capitalistico era previsto e gli indizi risalgono a prima del 1990. Le ragioni principali che facevano prevedere il crollo sono poche. Per prima cosa la teoria economica corrente non riesce a fornire indicazioni sul punto di equilibrio ottimale tra stato e mercato. Già da più di un secolo erano state annunciate teorie economiche opposte che vedevano come ottimale che l' economia fosse controllata solo dallo stato o solo dal mercato. Qualcuno ha provato a far funzionare il primo modo e ha fallito: l' economia pianificata è crollata da quasi due decenni. Da allora molti ingenui hanno pensato che "il capitalismo avesse vinto" e che quindi la soluzione ottimale fosse l'economia controllata dal mercato. Sappiamo da sempre (ma troppi non lo sanno ancora) che quando una variabile può assumere valori in un certo intervallo, la grandezza controllata da quella variabile è ottimale per un valore intermedio all' intervallo. Esiste cioè una miscela tra stato e mercato che ottimizza il sistema economico. Nel 2008 abbiamo la prova che l'estremo "tutto mercato" è anch'esso fortemente sbagliato; ma la teoria economica attuale non sa dire quale è la miscela ottimale (pochi "eretici" hanno qualche idea in più sull'argomento).

Altri formidabili indizi dell' inadeguatezza della teoria economica che governa i sistemi economici capitalistici e misti erano chiari da almeno due decenni. Il sistema capitalistico non è in grado di (cioè non ha gli strumenti per) funzionare in situazione di "crescita zero". Ancor meno in epoca di risorse decrescenti. Negli ultimi 20 anni è invece cresciuta (anche grazie ad ASPO) la consapevolezza che si stava entrando in una epoca di risorse energetiche decrescenti. Per gli ASPISTI è chiaro il ruolo privilegiato e prioritario che l'energia (nelle sue varie forme) ha in qualsiasi sistema economico. Purtroppo questo concetto è ancora sconosciuto o non accettato tra gli economisti. Il mondo sta andando verso un' epoca di risorse energetiche decrescenti, di risorse minerarie decrescenti, di risorse di territorio, di acqua e probabilmente di cibo anch'esse decrescenti. Il sistema economico capitalistico non ha gli strumenti concettuali né quelli operativi per funzionare in tale situazione.

Tra pochi decenni si presenterà un altro "picco": il picco della popolazione. Popolazione decrescente significa ampiezza decrescente del mercato e questo è impronunciabile in qualsiasi ambiente economico "ortodosso". Sapevamo già da almeno venti anni che il sistema economico capitalistico non è in grado di gestire la crescita dell' inquinamento, sia locale che globale. ASPO ne parla tutte le volte che si fa riferimento al riscaldamento globale - causato dalle emissioni antropogeniche di gas serra. Il collegamento con l'economia è ovvio: per rallentare il riscaldamento globale e contenerlo entro limiti che consentano la sopravvivenza dell' umanità oltre il 2100 - o almeno la sopravvivenza del sistema economico oltre il 2050 - è necessario (è inevitabile) ridurre le nostre emissioni di anidride carbonica e ridurre quindi i nostri consumi di combustibili fossili. Questa ricetta semplice e monolitica scuote dalle fondamenta tutti i pilastri su cui si è basato nell' ultimo secolo lo sviluppo economico (perfino delle economie socialiste). Non c'è via d'uscita: sarà inevitabile ridurre i nostri consumi: lo faremo con certezza, ma gli strumenti concettuali ed operativi del capitalismo non ci indicano nemmeno da dove cominciare.

Infine, negli ultimi due decenni è cresciuto un fattore autodistruttivo interno al sistema capitalistico. Il sistema finanziario è degenerato dalla struttura con cui era stato costruito. Alla economia del "fare", cioè produrre beni e servizi, si è affiancata con dimensioni crescenti l' economia dell' avvoltoio. Non solo nel campo finanziario si è venuta affermando l' economia "creativa", del produrre profitto truffando altri, l'economia del "fare il debito con il futuro - tanto poi qualcuno pagherà". Anche qui branche ben solide delle scienze ci dicevano che quel poi si sarebbe avverato in tempi non geologicamente lontani e che allora l' evoluzione avrebbe seguito un andamento accelerato nel tempo. E' quello a cui stiamo assistendo. Nel 2008 la deriva finanziaria ha rotto gli argini della economia reale. Questo è stato il fattore scatenante che ha portato in evidenza i limiti del sistema economico capitalistico. Le previsioni? Sapete bene che fare previsioni è talvolta impossibile. Ma come nel 1990 erano già chiare alcune linee di tendenza oggi altre sono evidenti. Per primo possiamo essere sicuri che non siamo arrivati al fondo: se anche domani il Dow Jones dovesse guadagnare il 20% sappiamo che è solo rumore ad alta frequenza. Il trend sarà a scendere e quello che non sappiamo è se il fondo sarà tra mesi o tra anni. Per secondo possiamo sperare (questa volta è solo una speranza) che lo shock prodotto in tutta l' umanità da questo evento sia salutare: permetta cioè di raddrizzare la rotta.

Ci sono elementi che permettono l' ottimismo e altri che indicano il pessimismo. E' positivo il fatto che l' Europa abbia trovato una comunione di intenti per affrontare questa crisi. E' positivo che ci sia stata una intesa tra Europa e Stati Uniti. Potrebbe rivelarsi positiva l' osservazione che il crack finanziario generato dagli Stati Uniti verrà pagato per due terzi dal resto del mondo: potrebbe insegnarci a non essere così polli in futuro. Tuttavia sentendo alti prelati della politica e dell' economia dichiarare: "ma ora metteremo delle regole ai mercati finanziari" è inevitablie il pensiero negativo: e finora a cosa stavate pensando? A tempi più lunghi - tolto il rumore ad alta frequenza - il sistema economico capitalistico non potrà esistere nella forma che oggi connota questo nome. Gli storici potranno continuare a chiamare "capitalismo" il nuovo sistema che nascerà in questo decennio, ma sarà qualcosa di molto diverso.
[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

sabato, ottobre 25, 2008

Il grande secchio bucato della finanza mondiale

Il grande crollo della borsa nel 1929. Lo si sarebbe potuto evitare con una forte iniezione di capitali, come si sta cercando di fare adesso? Forse. O forse sarebbe stato come cercare di riempire d'acqua
un secchio bucato.


Avrete certamente sentito parlare del "Secchio Bucato" che Maurizio Pallante usa come una metafora per descrivere come usiamo male l'energia che generiamo. E' un concetto che ha avuto un grandissimo successo fra gli ambientalisti.

Bene, sicuramente la situazione del nostro sistema energetico non è così grave in termini di sprechi come lo è quella del sistema finanziario. Ultimamente, i governi ci hanno buttato dentro quantità immense di denaro ma le borse continuano a crollare. Non potrebbe essere che stiano sbagliando tutto e peggiorando le cose? Alla fine, viene proprio in mente il secchio di Pallante: un secchio che non si può riempire non importa quanta acqua ci si butti dentro.

Howard Kunstler ha espresso un concetto simile ma usando un linguaggio più immaginoso (traduzione mia):

Tutte le nazioni che hanno raggiunto il livello di civilizzazione della forchetta e del cucchiaio stanno ora creando una vasta rete di cyber-cavi che connettono direttamente i computer delle loro banche centrali alla Death Star che è sospesa sopra il mondo degli affari finanziari come un gigantesco aspirapolvere cosmico che risucchia dollari, euro, zloty, fiorini, corone e che altro. Altrettanto rapidamente di come le tastiere creano pixel-denaro, le piccole unità di scambio elettroniche sono risucchiate via dall'economia terrestre verso il buco nero della morte elettronica.

venerdì, ottobre 24, 2008

Ma non avranno mica avuto ragione quei catastrofisti del club di Roma?


Guardate questo grafico. E' quello originale dell'edizione del 1972 dei "Limiti dello Sviluppo" di Meadows e altri che era stato sponsorizzato dal Club di Roma. Si, proprio quello studio tanto vituperato e insultato per aver clamorosamente "sbagliato le previsioni"

Guardatelo bene. Vedete il collasso della produzione industriale e della produzione agricola? Interpolate un po' la scala dei tempi e calcolate per quando era atteso. Più o meno, era previsto che saremmo stati in pieno collasso verso il 2020. Ma, ben prima, la crescita economica avrebbe dovuto cominciare ad arrestarsi, diciamo, verso il 2010 o un po' prima.

Ora, come vi aspettate che potrebbe avere inizio la fase di arresto della crescita economica, preludio al successivo declino? Beh, nei termini che usiamo oggi, si parlerebbe di "recessione". Ma per avere una bella recessione bisogna che il meccanismo che finanzia la crescita si inceppi. Ovvero, ci aspetteremmo che l'inizio del collasso fosse una bella crisi finanziaria che rimuova dalla circolazione i capitali necessari per finanziare la crescita. Questa crisi dovrebbe arrivare un po' prima del 2010.

Bene. Siamo nel 2008 e...............


(nota: l'edizione del 2005 de "I limiti alla crescita" continuava a prevedere l'inizio del collasso per il 2010-2020)

La via italiana contro i cambiamenti climatici

«Le stime italiane dei costi del pacchetto U.E. su clima ed energia non sono affatto corrette», afferma in una recente intervista Stavros Dimas, il commissario europeo per l'Ambiente. Nella sua riflessione il commissario europeo prende posizione anche sul rispetto del Protocollo di Kyoto, che l'Esecutivo italiano ha annunciato di voler ridiscutere per rinviarne le scadenze. Anche su questo fronte, le parole di Dimas non sembrano aprire nessuno spiraglio: «Il Protocollo non è un optional, ma un preciso obbligo giuridico il cui mancato rispetto verrebbe sanzionato. Con prezzi pesanti per le imprese».
Alla fine, potrebbe essere proprio questo il vero motivo dell’indegna gazzarra inscenata dal Governo Berlusconi contro i programmi di riduzione dei gas serra dell’Unione Europea: contestare l’obiettivo 20-20-20 per tentare di strappare, con un accordo al ribasso, una proroga degli obiettivi di Kyoto previsti per il 2012, senza la quale lo Stato Italiano si troverà a sborsare un bel po’ di soldi che aggiunti agli aiuti al sistema finanziario e a provvedimenti populistici e demagogici come l’abolizione dell’Ici e il federalismo fiscale, rischiano di far letteralmente saltare gli equilibri di bilancio.

Sia chiaro, la responsabilità di questa situazione non è solo dei governi di centro destra. Anche i governi di centro sinistra non hanno contribuito a ridurre i livelli emissivi di gas serra. Basti pensare alla recente bocciatura da parte dell’Unione Europea del Piano dell’Emission Trading italiano presentato dall’ultimo governo Prodi.
Purtroppo gli italiani sono così, prendono impegni e non li rispettano con la massima disinvoltura e indifferenza.
Quindi, la lotta contro la burocrazia europea che preoccupa tanto Carlo Stagnaro non c’entra proprio nulla con i no di Berlusconi, che invece degli untuosi salamelecchi a George Bush farebbe bene a consolidare il ruolo dell'Italia nell'integrazione europea.
Se poi andiamo ad analizzare i risultati concreti del Protocollo di Kyoto ci accorgiamo che la burocrazia europea qualche risultato lo ha ottenuto. Nella sintesi dell’ultima comunicazione (2007) della Commissione “Progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Kyoto” (a norma della decisione n. 280/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad un meccanismo per monitorare le emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e per attuare il protocollo di Kyoto), leggiamo che, “ai sensi del protocollo di Kyoto, la Comunità europea (CE) si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas serra dell'8% rispetto ai livelli dell'anno di riferimento (1990) entro il 2008-2012. Sulla base dei più recenti dati disponibili ricavati dagli inventari, che risalgono al 2005, le emissioni complessive di gas serra nell’UE-15 erano inferiori del 2% rispetto all’anno di riferimento escluse le attività LULUCF (utilizzo del territorio, variazioni della destinazione d’uso del territorio e silvicoltura). Nel 2005, le emissioni di gas serra dell’UE-15 sono diminuite dello 0,8% rispetto al 2004 a fronte di una crescita economica dell’1,6%. Le proiezioni indicano che la Comunità raggiungerà l’obiettivo di Kyoto a condizione che gli Stati membri istituiscano e attuino al più presto le rispettive politiche e misure supplementari. In questo senso è stato registrato un importante passo avanti con le recenti decisioni sui piani nazionali di assegnazione (PNA) previsti dal sistema UE di scambio delle quote di emissione (sistema ETS) relativi al periodo 2008-2012, che si prevede contribuiranno a ridurre le emissioni del 3,4% nell’UE-15 e del 2,6% nell’UE-255 rispetto ai valori dell’anno di riferimento. Queste riduzioni previste non sono ancora calcolate nelle previsioni qui fornite.”
Quindi, come si vede efficacemente in quest’altro grafico, solo grazie alla palla al piede dell’Italia e di pochi altri paesi, l’U.E. rischia di non conseguire l’obiettivo di Kyoto, ma sono state ottenute innegabili riduzioni complessive delle emissioni.
Ma, dicono i bastian contrari per vocazione, che senso ha fare i primi della classe quando gli Stati Uniti, la Cina e l’India non aderiscono al trattato? oppure, cosa vale impegnarsi per degli obiettivi che sono insufficienti a invertire la tendenza in atto ai cambiamenti climatici?
Secondo me ne vale la pena, non solo perché l’impegno europeo inevitabilmente condiziona le decisioni degli altri Stati e rende strategicamente più competitive le imprese, ma perché consente di adottare misure economiche e interventi tecnologici che indirettamente saranno utili anche in uno scenario futuro di minore disponibilità delle risorse energetiche conseguente al raggiungimento dei limiti fisici di estrazione dei combustibili fossili.

giovedì, ottobre 23, 2008

Prudentemente, attentamente, cautamente esaminando, beh, forse siamo al picco!

Produzione di "tutti i liquidi" escluso i biocombustibili; da Rembrandt Koppelaar su "The Oil Drum"


Nettissima la caduta di produzione petrolifera negli ultimi due mesi, con la curva di produzione che è tornata ai livelli del 2005. Sono ormai 4 anni che non aumenta. Nelle piccole oscillazioni sopra e sotto gli 85 milioni di barili al giorno, alcuni hanno visto il picco globale, altri hanno sostenuto che era l'inizio della ripresa. Nessuna delle due cose sembra vera.

In ogni caso, una stasi così lunga della produzione era inusitata nella storia recente del petrolio. Quindi, prudentemente, attentamente e ccautamente, possiamo anche pensare che la caduta che vediamo in questi ultimi mesi sia, in effetti, l'inizio della discesa del dopo picco. Da verificare, ma ci sta.

In sostanza, si avvera quello che è il meccanismo di base che produce la curva di Hubbert. All'aumentare dei costi di produzione, il mercato reagisce allocando risorse sempre maggiori per l'esplorazione e lo sviluppo dei pozzi. Questo meccanismo si esplicita attraverso l'aumento dei prezzi che attirano gli investimenti. A un certo punto, tuttavia, il sistema economico non ce la fa più a reggere il peso dell'aumento continuo degli investimenti. Le risorse dell'economia mondiale sono quelle che sono: per allocarle alla produzione del petrolio bisogna toglierle da qualche altro settore. Questo è stato fatto, ma il risultato è stato di deprimere e mandare in crisi certi settori, come il trasporto privato. A questo punto, la domanda è diminuita, con essa i prezzi. Questo influisce sugli investimenti e - bang! - la produzione scende.

Le cose sono più complicate di così; il mondo della produzione petrolifera è un groviglio di ditte, governi, investitori, borse, e entità varie. Nella pratica, però, penso che sia una buona approssimazione. Quindi, i prossimi mesi saranno cruciali per capire cosa succede; nel futuro vedremo se "il picco" è stato veramente questa lunga stasi produttiva degli ultimi anni.

Ulteriori note

1. Ho messo i dati per la produzione di "tutti i liquidi escluso i biocombustibili" perché mi sembra il dato più significativo; comunque aggiungendoli al grafico non cambia quasi niente. Da notare, tuttavia, che si producono quasi due milioni di barili al giorno di biofuels, principalmente etanolo. Questo vuol dire che si sprecano altrettanti (o quasi) barili di petrolio "buono" per trasformarli in fertilizzanti, macchinari e combustibili che servono per la coltivazione dei biocombustibili. In più, come danno collaterale, si affamano un bel po' di persone, ma forse è proprio quella la ragione.

2. E' interessante notare che il calo della produzione degli ultimi due mesi è dovuto quasi tutto al crollo dei paesi non-OPEC. L'OPEC, invece, è in netta ascesa. Se riescono a fare cartello e a abbassare la produzione, allora la discesa nei prossimi mesi potrebbe essere molto rapida. (Ma non ci sono quasi mai riusciti)

3. Itemizzando i dati per paese, si vede che alcuni vanno su, per esempio il Qatar, e il Canada, quest'ultimo pestando sulle tar sands. Benino l'Africa. L'Iraq mantiene un certo livello, ma non è più tornato ai livelli di prima della prima guerra del golfo. Il Mare del Nord è al crollo, ma questo si sapeva. La Russia mostra qualche segno di ripresa, ma molto debole. Insomma, una situazione molto difficile ovunque.

mercoledì, ottobre 22, 2008

ASPO-VII a Barcellona - 3

Alla mia presentazione a Barcellona, ho fatto vedere questa foto presa nella Placa de Catalunya il giorno prima. Questo signore, evidentemente, ha trovato un modo creativo per riciclare l'alluminio. Pochi mesi prima, faceva il banchiere da Lehman Brothers.



Qualche nota sparsa da ASPO-VII. Un po' come si fa per le olimpiadi, possiamo parlare della presenza italiana al convegno; che è stata abbastanza massiva. Vi ho già raccontato delle presentazioni di Luca Barillaro e di Mario Giampietro. La mia è stata Lunedi' pomeriggio ed è stata sulle riserve minerali mondiali, il lavoro che ho fatto in collaborazione con Marco Pagani e che è pubblicato in gran parte su The Oil Drum. Non è stato facile condensare tutta la questione del futuro delle risorse minerali in venti minuti, ma mi sembra di esserci riuscito. Mi sembra anche che la gente abbia capito cosa ho detto a giudicare dal numero di richieste di contatti e di biglietti da visita che ho avuto dopo aver parlato. Ma, ancora, se per caso organizzate una conferenza nel futuro, ricordatevi che gli speakers hanno bisogno di almeno mezz'ora, possibilmente 45 minuti, per sviluppare un tema seriamente. Con venti minuti, non si fa un favore ne a loro ne all'udienza.

Altre note sparse. di ASPO-Italia erano presenti, oltre a me, Giovanni Marocchi, uno dei fondatori di ASPO-Italia, e Flavia Petrimpol, il nostro membro più nordico (sta a Lugano). Notevole anche la presenza dei ragazzi di "The Oil Drum" che rappresentavano anche ASPO-UK e ASPO-Netherlands.

L'anno prossimo il convegno ASPO si farà molto probabilmente a Denver, USA, insieme al convegno di ASPO-USA. La cosa non mi trova molto daccordo in linea di principio; in un certo senso è una sconfitta per l'anima "Europea" di ASPO. Ma, visto come è andata quest'anno, non c'erano molte alternative.

Credo comunque che dobbiamo cominciare a pensare a nuovi metodi di comunicazione. Io uno l'ho pensato e l'ho proposto: un "joint meeting" informale di ASPO e TOD da farsi a casa di Jean Laherrere nella Francia centrale. Il formato potrebbe essere tipo "bar camp". L'idea è ancora embrionale, ma tutti quelli a cui l'ho detto mi sono parsi entusiasti. Ne riparleremo

martedì, ottobre 21, 2008

ASPO-VII a Barcellona - 2



Pedro Prieto (a sinistra nella foto) e Daniel Gomez (a destra), gli organizzatori di ASPO-VII.


Si è conclusa oggi pomeriggio ASPO-VII, organizzata da ASPO-Spagna a Barcellona. Dispiace dire che questa conferenza non è stata un successo. Nonostante la qualità delle presentazioni e l'impegno degli organizzatori, l'attenzione del mondo non era in questo momento puntata sul petrolio.

Per la maggior parte della gente, il fatto che i prezzi del petrolio siano crollati da 147 dollari al barile a circa 70 è stata presa come l'indicazione che il petrolio non è più - e forse non era mai stato - un problema. Quasi nessuno si rende conto di come l'abbassamento dei prezzi è proprio l'indice del raggiungimento del picco. Finché i prezzi erano in crescita esponenziale, gli investimenti arrivavano a pioggia e si poteva pensare di mettere in produzione qualsiasi prospettiva, anche le meno probabili. Ma ora, le cose sono cambiate radicalmente. Già l'anno scorso l'IEA riportava che estrarre petrolio offshore in Alaska costava più di 80 dollari al barile. Adesso, chi si va a mettere in imprese difficili e costosissime come le tar sands o il petrolio artico senza essere sicuro che quando arriverà a produrre ne avrà un profitto?

Come ho detto più di una volta, il prezzo più alto è quello che non ti puoi permettere di pagare. Ma la gente già una volta si è dimenticata di quanto siano importanti i picchi di produzione: questo è successo con il picco degli Stati Uniti nel 1970, un evento epocale che ha cambiato il mondo, ma che nessuno conosce, a parte chi si interessa di queste cose.

Così, ASPO-VII non ha lasciato praticamente traccia nei media internazionali. Un vero peccato, che va direttamente in contrasto con il successo di ASPO-USA 2 in Settembre che aveva beneficiato degli aumenti dei prezzi, ancora recenti nella testa della gente. Ma in questo momento, si è visto chiaramente che non c'è interesse sui media sulle nostre tematiche.

In se, il fallimento di ASPO-VII non è cosa grave: le conferenze vanno e vengono ma non cambiano il mondo. Può anche darsi, comunque, che ASPO-VII sia da vedere come un'indicazione che ASPO ha raggiunto il suo picco. La nostra "mission" era di allertare il mondo sull'arrivo del picco del petrolio. Ora che è arrivato (o quasi, cambia poco se arriva l'anno prossimo o fra due anni) non c'è più molto da allertare. Questo è quello che ha sempre detto Colin Campbell, e io sono abbastanza daccordo.

Credo che abbiamo fatto bene il nostro mestiere e abbiamo molto mosso le acque portando la questione del "picco" all'attenzione di molta gente. A questo punto, sarà difficile ignorare la caduta della produzione quando sarà evidente dai dati; cosa che credo avverrà in tempi dell'ordine di qualche anno. Più che altro, tuttavia, abbiamo accumulato una serie di strumenti di analisi e di interpretazione che saranno preziosissimi nell'era del post-picco. Non è più tempo di accapigliarsi sulle riserve; è tempo di pensare a costruire cose nuove. Cosa che, del resto, tutti stiamo facendo.

Quindi, direi che il ruolo di ASPO non solo rimane, ma anche diventa più importante. Però dobbiamo continuare a rinnovarci e a pensare a cose nuove. Lavorare sugli argomenti sui quali abbiamo lavorato vuol dire rendersi conto di come sia importante il cambiamento e come ci prenda sempre di sorpresa. ASPO ha avuto fino ad oggi questa capacità quasi incredibile di prevedere i cambiamenti che si stanno verificando in questo mondo. L'ha avuta per l'originalità del pensiero dei suoi membri fondatori che sono stati capaci di pensare oltre gli schemi. Per continuare con questa capacità, bisogna continuare a pensare oltre gli schemi. Come minimo, per l'anno prossimo dobbiamo pensare a formati di comunicazione diversi. Il formato attuale delle conferenze ASPO è chiaramente obsoleto. D'altra parte, non saremmo ASPO se ci facesse paura cambiare!

Qui, vi passo ora i messaggi che ho mandato alla mailing list dei soci ASPO a caldo, durante la conferenza. Gradualmente, le presentazioni saranno disponibili sul sito di ASPO-VII

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In diretta dal convegno

Ancora qualche nota volante dal congresso ASPO-VII. Oggi ha parlato Colin Campbell. Come sempre, Campbell è a un livello irraggiungibile da noi comuni mortali. Ha il dono sia della semplicità come della profondità e allo stesso tempo riesce a parlarti degli eventi del Giurassico di 100 milioni di anni fa come di quelli ai vertici dell'IEA il mese scorso. Per una mezz'ora, la platea è rimasta affascinata ad ascoltarlo. Secondo Colin, il picco del petrolio totale si sta verificando in questi anni, 2007, 2008 o 2009, poco importa. Quello che importa è che l'attuale produzione corrisponde al lavoro di 22 miliardi di schiavi. Nel prossimo futuro, vedremo un declino che lui stima al 2.7% all'anno. Nel 2030, la produzione di energia mondiale non sarà in grado di supportare molto più di 2 miliardi di persone e questo ci pone qualche piccolo problema dato che siamo 6.6 miliardi. Campbell conclude il suo talk con le parole "buona fortuna".

L'altro talk interessante della mattinata è stato quello di Luca Barillaro; il nostro amico trader di Modena. Luca è un oratore affascinante che racconta le cose come stanno senza peli sulla lingua. Ha detto chiaramente che essere degli esperti di petrolio non aiuta chi fa il trader nei mercati. Anzi, chi fa il trader non legge i giornali, non studia le riserve, è uno "spirito animale" che "sente" l'aumento o la caduta dei prezzi. Non è un mestiere per gente che ragiona sui fondamentali. Ha ragione - se io dovessi fare il trader avrei già mandato in fumo qualche milione di dollari. Nella situazione attuale, se ho capito bene, l'effetto dei mercati finanziari è di aumentare l'incertezza dei mercati - chi specula lo fa sulla volatilità dei prezzi e questo rende molto difficile gestire la situazione per chi usa veramente petrolio; come le compagnie aeree. il "greed" degli speculatori fa si che i mercati raggiungano dei tipping points; crollano periodicamente. Ora c'è la pausa caffé. Passo e chiudo.

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Seconda sessione della mattinata. Il convegno è un po' organizzato "alla
spagnola" (inteso come "all'italiana") ovvero siamo indietro sul
programma di almeno un'ora.

Cronaca in tempo reale: in questo momento sta parlando Charles Hall, che
conosciamo come economista-ecologista della scuola di Odum, Forrester e
Hubbert, forse il proponente principale del concetto e dell'importanza
del ritorno energetico "EROI".

Charlie ha la caratteristica di una voce tonante che rimbomba nella sala
anche senza microfono. Ci fa vedere una cosa che avevo pensato già io:
le predizioni dei "limiti alla crescita" del 1972 si stanno avverando
alla perfezione!! Tutto si sta avverando, siamo dei profeti! Invece, gli
economisti hanno sbagliato tutto in modo veramente spettacolare. Però,
Charles, come economista fuori dal coro si trova in difficoltà a trovare
fondi per la sua ricerca mentre viene sostanzialmente ingnorato dal
mainstream di quello che si fa in economia. Il concetto fondamentale che
Charles Hall propone, e che mi trova completamente daccordo, è che
quello che chiamiamo "progresso" viene spesso attribuito alle virtu'
della tecnologia, ma in realtà è principalmente dovuto all'incremento
della produzione di energia. Cominciate a ridurre l'energia, e addio
progresso.

Charles anche lui parla un po' "all'italiana," ovvero ha preparato
troppe figure, sta andando fuori tempo, sta facendo vedere una figura
dopo l'altra e nessuno sta capendo più niente. Peccato, perché il talk
era molto interessante - aveva bisogno di almeno 45 minuti, invece glie
ne hanno dati 20. Queste cose non succedono solo in Italia; ma sembrano
tipiche dei paesi latini. Va a finire che non andiamo più a pranzo....
Finisce alle 12:20; 55 minuti di ritardo sul programma. Ora vediamo che
succede...

Continua.....

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Sempre cronaca in tempo reale. Parla ora Jerome Guillet, noto anche come
"Jerome a Paris", economista catastrofista noto in vari blog e liste,
soprattuto su "The Oil Drum". Jerome è un peak-oiler, micidialmente
catastrofista. Ma oggi ha fatto un talk veramente da economista
illustrando le opportunità di investimento in Europa nell'energia
eolica. Ottimo approccio: è inutile parlare di catastrofi ai
catastrofisti (come sembra che si stia facendo parecchio oggi). Ci vuole
una visione positiva: cosa si può fare? Che cosa è entro le nostre
possibilità pratiche? Jerome ha l'approccio giusto; è la cosa che cerco
di fare anch'io; non focalizziamoci troppo sui problemi, ma piuttosto
sulle soluzioni.


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Ore 12:50; sempre intempo reale da Barcellona. Parla ora Mario
Giampietro, ricercatore della scuola di Odum e Ulgiati; attualmente
lavora all'università autonoma, qui di Barcellona. Hot topics: biofuels

Giampietro lo conoscevo da un convegno a Porto Venere di un paio di anni
fa. Che fosse bravo, lo sapevo, questo suo talk di oggi me lo conferma
in pieno. L'inizio è "Cosa è successo del buonesenso?" Stupendo!!

Comincia dicendo che, idiozia per idiozia, nel complesso è meglio
bruciare il mais direttamente nella stufa che trasformarlo in
biocarburante. Ma, idiozia per idiozia, ce ne sono di molto peggiori;
come quella di mandare le automobili con il grasso umano ottenuto per
liposuzione. Cita anche l'idiozia attribuita a Maria Antonietta, quella
delle Brioches. Che i biocombustibili siano una pessima idea è noto già
dal 1945, e Giampietro continuano a chiedersi perché la gente sia tanto
entusiasta del concetto.

Giampietro ci ha dato una belllissima sintesi del sistema economico
visto in termini biofisici, incluso il ruolo dei biocombustibili coma
una delle cause dell'attuale crisi alimentare. Non ve la posso
riassumere in poche righe, anche lui alla fine è caduto nella trappola
di voler dire troppe cose in poco tempo e di far vedere decine di
diapositive troppo alla svelta, senza che nessuno in platea capisca più
un bastone. Però vi posso dire che se organizzate un convegno,
invitatelo! Ma dategli almeno mezz'ora - 45 minuti se possibile perché
queste cose sono fondamentali e qualcuno bisogna che le dica.

Purtroppo, uno dei problemi dei nostri tempi è che nessuno da retta a
chi dice le cose di buonsenso e che continuamente ci lanciamo alla
ricerca di soluzioni che peggiorano il problema. In altre occasioni,
avevo fatto l'esempio della balena spiaggiata che usa le sue ultime
forze per trascinarsi penosamente nella direzione opposta a quella
dell'acqua

Continua. Sono le 13:10. Non so se ora andiamo a pranzo (e mi stanno
finendo le batterie.....)

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La sessione pomeridiana comincia con 45 minuti di ritardo. Poteva essere
peggio considerando l'esempio che avevo fatto del treno regionale.

Continuo con la mia cronaca in tempo reale, anche se le batterie stanno
dando segni di sofferenza. Sta parlando Bob Loyd che è venuto dalla
Nuova Zelanda apposta. Mi ha detto ieri sera che ha calcolato di aver
consumato circa 15 barili di petrolio per venire a Barcellona. Lloyd ci
ha fatto una presentazione piuttosto filosica, cercando di correlare
quello che sta succedendo al mondo con la struttura del cervello umano.
Interessante, ma non mi è parsa portare elementi particolarmente nuovi.

Batterie vicine all'ultimo respiro.....

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A questo punto, sono finite le batterie del computer e non solo quelle. Quando il conferenziere che è venuto dopo ha cominciato a classificare l'energia nucleare fra le "rinnovabili", anche le mie batterie son finite e sono dovuto andare a prendere un po' d'aria. Sono ritornato più tardi a sentire qualche spezzone della conferenza, ma non mi sembra che ci siano state altre presentazioni veramente degne di nota

Passo e chiudo!!





lunedì, ottobre 20, 2008

ASPO-VII a Barcellona



Barcellona è la città più turistica che abbia mai visto. Anche più di Firenze, il che è tutto dire (!!). Nonostante le masse di turisti, tuttavia, la città sembra abbastanza ben tenuta. Ho visto solo la parte centrale e non so che scassi abbiano fatto sulle colline, ma da quello che mi dicono, anche qui il partito del cemento ha fatto il suo lavoro. Comunque, ci sono alcuni elementi simpatici, per esempio il noleggio pubblico di biciclette gestito dal comune. Ci sono migliaia di biciclette e la gente le usa per davvero!


Il convegno ASPO-VII si sta rivelando un impegno notevole, fra comitati, discussioni e il convegno vero e proprio. Speravo di potervi fare una cronaca in diretta, come ho fatto per il convegno sui rifiuti di Granada, ma non ce la faccio. Qui di seguito, vi passo una lettera che sono riuscito a spedire di straforo alla mailing list dei soci ASPO. Spero di potervi raccontare qualcosa di più domani.

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Cari amici,

vi scrivo qualche nota "a caldo" dal convegno ASPO VII di Barcellona. Sto scrivendo dalla platea del convegno dove, ome vi dicevo, si respira una certa nettissima aria di post-picco il che sembra rendere certe disquisizioni teoriche piuttosto poco interessanti. Qualche anno fa, accapigliarsi su un picco lontano parecchi anni nel futuro era divertente; oggi sembra un po' fuori luogo. Così, le presentazioni più interessanti sono quelle che hanno esaminato i dati storici e ci hanno detto esattamente dove stiamo. Queste sono state quelle di Jean Laherrere e quella di Louis de Souza.

Jean, come al solito, ha a disposizione tonnellate di dati. L'analisi che ha fatto quest'anno è stata in collaborazione con Jean-Luc Wingert; più elaborata e dettagliata di quelle precedenti. In sostanza, via via che ci avviciniamo al picco, curiosamente la predizione diventa più difficile perché ci troviamo a seguire qualcosa che oscilla e cambia tutto il tempo. Sembra chiaro che da Settembre del 2008 siamo in discesa; ma è questo veramente il picco globale? Secondo i due Jean, ci potrebbero essere delle oscillazioni produttive su un arco di parecchi anni non molto diverse da quelle che ci furono al tempo della grande crisi degli anni '70. Se la crisi finanziaria fa crollare la produzione, non è impossibile vederla rimbalzare in alto, perlomeno parzialmente, qualche anno dopo. Se ci saranno oscillazioni del genere, ci sarà chi grida "picco, picco!!" e chi grida "non era il picco! Non era il picco!" L'incertezza ci farà sicuramente prendere degli abbagli clamorosi, sia in temini di eccessivo ottimismo come di pessimismo.

D'altra parte, l'analisi più interessante di oggi è stata senz'altro quella di Louis de Souza. Non è tanto la produzione globale che conta, ma sono le esportazioni. Come avevo notato anch'io in alcuni post, Louis ha fatto vedere che gli alti prezzi ingenerano un circolo vizioso di stimolo delle economie dei paesi produttori che consumano sempre più petrolio a spese dei consumi degli importatori. In pratica, i dati fanno vedere come il picco delle esportazioni sia stato nel 2005. Da allora, siamo in chiaro declino. Come paesi importatori, stiamo già facendo i conti con il post-picco e questo spiega molte cose di quello che ci sta succedendo. Louis non ha fatto vedere dati sul gas, ma sembra che lì non siamo ancora al declino, ma come minimo siamo piatti, con probabile declino delle esportazioni imminente. Qui, ovviamente, non si può parlare di dati globali perché il gas è una risorsa sostanzialmente locale.

Ha detto anche Louis che probabilmente l'UE otterrà il 202020 senza colpo ferire per via del declino già in atto. Può anche darsi che abbia ragione.

Questo è tutto per ora da Barcellona. Fra mezz'ora c'è la mia presentazione. Passo e chiudo.

UB

Biologia e economia


Riportiamo in questo post un articolo del prof. Giorgio Nebbia, pubblicato su "La Gazzetta del Mezzogiorno" di giovedì 16 ottobre 2008, e che ha gentilmente messo a disposizione per il blog di ASPO. In esso emergono in modo molto chiaro gli insegnamenti che la natura può dare all'economia sul tema della limitatezza delle risorse, non solo in termini di scarsità di combustibili fossili e di qualunque risorsa "esauribile", ma anche di "capacità recettiva" degli ecosistemi, persino di spazio fisico disponibile. Per paragone, allora, perchè sovvenzionare l'iperproduzione di autoveicoli se già ora non sappiamo dove parcheggiarli, e ben sapendo che per "piazzarli" bisognerà guidare forzosamente i mercati per obbligare la loro sostituzione (anche se la generazione (n+1) sarà sostanzialmente identica in termini di efficienza)?

Nel grafico è rappresentato il tipico andamento oscillante di un sistema preda-predatore supposto perfettamente rinnovabile. Dapprima le lepri (in blu) si riproducono, ed essendo sempre più numerose, creano le condizioni per la proliferazione delle volpi (in violetto), che proprio delle lepri si nutrono. Quindi, le volpi arrivano ad essere "molte" e costringono la popolazione di lepri a diminuire (a "piccare"), e tuttavia continuano ad aumentare in numero. Poi, l'esubero delle volpi determina una scarsità di cibo e anche queste sono costrette a piccare e a subire la riduzione della loro popolazione. Quando arriveranno di nuovo le condizioni iniziali, le lepri torneranno a proliferare, riaprendo un nuovo ciclo (FG)


Biologia e economia


created by Giorgio Nebbia




Stiamo vivendo in un periodo turbolento dell’economia; i prezzi di molte merci, fra cui petrolio, grano, rame, eccetera, sono saliti molto, poi sono diminuiti; molte persone hanno acquistato beni e servizi chiedendo prestiti alle banche e alcuni non sono stati in grado di pagare i debiti; molte persone rinunciano ad acquistare beni e servizi e i venditori si sono trovati con magazzini pieni di merci invendute; alcuni fabbricanti sono stati costretti a licenziare i lavoratori che, senza salario, sono entrati nella spirale di debiti non pagati e di rinuncia ad alcuni acquisti. Per evitare ulteriore disoccupazione lo Stato, con i soldi di tutti, risarcisce le banche in perdita o i produttori che non riescono a vendere. Un quadro che si è ripetuto più volte nella storia degli ultimi duecento anni. C’è una “legge” che descrive questi fenomeni ?

Propongo una parabola. Uno studente universitario del primo o secondo anno di biologia impara che le popolazioni animali seguono dei cicli di crescita e declino non molto diversi da quelli dell’economia. Immaginiamo una popolazione di animali che vive in un territorio grande e ricco di alimenti e di acqua, ma non infinito: un pascolo, un bosco, un lago. Dapprima gli animali sono pochi e crescono di numero perché hanno spazio disponibile e cibo abbondante e si riproducono facilmente. A poco a poco lo spazio comincia d essere affollato da molti animali e il cibo comincia a scarseggiare e il numero di figli diminuisce e, ad un certo punto, il numero dei nati uguaglia il numero dei morti e la popolazione non aumenta e diventa stazionaria. Le cose sembrerebbero in equilibrio, ma non è così perché la vita di questa popolazione altera le condizioni dell’ecosistema e il cibo e l’acqua che sembravano sufficienti per una popolazione stazionaria, cominciano a diminuire.

Pensate ad un pascolo in cui l’erba è pestata dagli animali presenti e il terreno si indurisce e si inaridisce; inoltre il metabolismo, cioè il processo di trasformazione del cibo, degli animali presenti genera degli escrementi che si fermano nel terreno e lo rendono ancora meno fertile, e finiscono nell’acqua che diventa meno bevibile e anzi dannosa. La popolazione animale allora diminuisce perché, con la propria stessa vita, ha impoverito le fonti di cibo e di acqua. I biologi dicono che la diminuzione è dovuta alla intossicazione del mezzo ambiente; il fenomeno è stato osservato in molte popolazioni animali e la trattazione matematica della crescita e del declino delle popolazioni è stata fatta da una multinazionale di illustri matematici e biologi negli anni trenta del Novecento: l’italiano Vito Volterra (1860-1940), l’americano Alfred Lotka (1880-1949), il sovietico Giorgi Gause (1910-1986), il russo-francese Vladimir Kostitzin. (1886-1963). Poiché peraltro la vita vince sempre, quando la popolazione di animali che occupano il nostro immaginario pascolo è diminuita, diminuisce anche il disturbo dell’ecosistema, l’erba ricomincia a crescere e l’acqua ritorna abbastanza pulita e il numero di animali del pascolo ricomincia ad aumentare, almeno fino ad un certo punto, almeno finché il loro numero non diventa eccessivo rispetto alla capacità ricettiva del pascolo, dell’ecosistema.

Nella vita reale le cose sono più complicate perché spesso arrivano nello stesso territorio animali che fanno concorrenza ai primi e si verificano conflitti; gli animali di una popolazione si nutrono (li chiamano predatori) di quelli di un’altra specie; talvolta una specie collabora con l’altra. I fenomeni economici si svolgono, più o meno nella stessa maniera e non c’è da meravigliarsi perché l’economia si basa sulla occupazione, mediante merci --- i frigoriferi, le automobili, i mobili, i vestiti --- di un territorio, quello degli acquirenti umani che rappresentano il “mercato”, non illimitato perché gli acquirenti sono in numero limitato ed è limitata la loro disponibilità di spesa; in un certo senso le merci sono gli animali della parabola e i consumatori sono la fonte del loro nutrimento.

Prendiamo il caso dei frigoriferi: una famiglia possiede un frigorifero, magari ne ha due, ma i venditori di frigoriferi hanno bisogno di vendere altri frigoriferi; per dar retta all’invito dei venditori una famiglia può comprare un altro frigorifero, forse altri due, ma se continua a comprare frigoriferi finirà per doverli mettere nella camera da letto. In altre parole la “popolazione” di frigoriferi in una economia, in un mercato, non può aumentare al di là della capacità ricettiva delle case. I venditori possono convincere i consumatori a gettare via, a “rottamare” (magari con incentivi statali) i vecchi frigoriferi, ma la massa dei rottami e il loro smaltimento finiscono per provocare danni e costi che inducono il mercato a “non” comprare nuovi frigoriferi. Per farla breve, se i fabbricanti producono frigoriferi illudendosi di venderli, devono fare i conti con un mercato limitato, che non ha soldi (il cibo della parabola) o che non sa dove metterli, finiscono per fallire e devono licenziare i lavoratori, il che restringe ulteriormente il mercato.

Un discorso simile vale per la “merce” automobile; in questo caso la crescita della popolazione di automobili che può entrare e occupare il mercato, il “pascolo” della parabola, è frenata sia dalla dimensione limitata del mercato (arriva un punto in cui una nuova automobile può essere messa soltanto nella camera da letto), sia dall’intossicazione dell’ambiente dovuta alla mancanza di parcheggi, di strade in cui circolare liberamente, dall’inquinamento. Col curioso paradosso che lo stesso “Stato” che da una parte incoraggia l’acquisto di nuove automobili, per far lavorare i fabbricanti, dall’altra parte deve limitarne la diffusione e circolazione per motivi ambientali. La parabola suggerisce che una economia “reale” può sopravvivere soltanto se i fabbricanti producono tenendo conto che la capacità ricettiva del mercato è limitata e che, al di là di un limite, devono smettere di produrre una certa merce, che ha saturato e inquina un mercato, e devono cercare di produrne un’altra. La parabola contiene perciò anche un messaggio di speranza: la produzione e l’acquisto delle merci possono ricominciare ad aumentare se saranno identificati i reali bisogni dei consumatori e i mezzi per soddisfarli con merci opportune, se si eviterà che la produzione e il metabolismo delle merci sovraffollino e avvelenino l’ambiente in cui si svolge la vita umana, l’unica cosa che conta.

sabato, ottobre 18, 2008

Il picco della burocrazia

Credo che la maggior parte dei lettori di questo blog non sarà molto daccordo con il titolo ("Bravo Cav.") di questo post di Carlo Stagnaro pubblicato su "realismo energetico" e che riproduciamo più in basso.

Non vedo, francamente, le ragioni di tutto questo entusiasmo da parte di Stagnaro nei riguardi di Berlusconi ma, a parte questo, Stagnaro ha centrato un punto fondamentale. Nonostante le buone intenzioni, l'Unione Europea sta sbagliando tutto sul clima (e non solo su questo) costruendo un immenso castello burocratico che - alla fine dei conti - non combina niente di buono.

Ne so qualcosa a livello personale quando ho installato il mio impianto fotovoltaico. Con la serie di regole e fogliacci vari che mi è toccato fare, è andata a finire che l'impianto è nato con almeno tre anni di ritardo - e tutto per via delle buone intenzioni (o forse no, forse fanno apposta.....). Questo, ovviamente, è stato dovuto alla iperburocrazia dello stato italiano, e non a quella dell'Unione Europea. Ma le burocrazie, alla fine dei conti, sono tutte uguali e quella europea comincia a rivaleggiare per pesantezza e involuzione con quella, già pessima, del nostro paese.

Cosa dovrebbe fare, allora, la commissione europea per mettere in piedi una politica realistica? Beh, se ci fosse un minimo di logica, invece di blaterare su obbiettivi tipo "20-20-20" che sono, alla fine dei conti, pura propaganda, se mettesse una bella carbon tax otterrebbe di più di quello che ottiene ora. Favorirebbe le rinnovabili, ridurrebbe le importazioni di fossili e le emissioni e basterebbe mezza pagina per scrivere la legge. Ma la probabilità che facciano una cosa del genere è praticamente zero.

Comunque, leggetevi il post di Stagnaro e vedete voi cosa ne pensate.

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Bravo Cav.

Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, ha minacciato il veto italiano sulla politica climatica europea. La Polonia sarebbe sulle stesse posizioni, e almeno altri otto Stati membri sarebbero pronti a sostenere il siluro contro Bruxelles. Non posso che essere felice di questo impeto realistico da parte del premier. La politica europea sul clima è, semplicemente, sbagliata. Sbagliata perché inattuabile, anzitutto; e poi sbagliata perché estremamente costosa (rispetto ai benefici) e incoerente con altre politiche comunitarie, a partire dalla promozione delle liberalizzazioni. Che senso ha tentare, faticosamente, di creare un mercato, per poi tornare a colonizzarlo con sussidi e regole?

Detto questo, vedo un problema, che avevo evidenziato un paio di giorni fa. In che modo il 20-20-20 verrà emendato? Infatti, a questo punto l'Italia è andata troppo avanti per fare marcia indietro senza perdere la faccia, e l'Europa non può non tenerne conto. Al di là delle parole dure che i leader europei si scambiano sui giornali, sotto traccia gli sherpa si stanno già muovendo per trovare un accomodamento. Dove sarà il punto di caduta di questo processo? Il mio timore, se non certezza, è che alla fine non verranno messi in discussione gli obiettivi, ma il modo di raggiungerli. Nella pratica, questo vuol dire due cose: le burocrazie, nazionali o europea, potranno distribuire esenzioni e aiuti, e gli obiettivi stessi diverranno "flessibili", cioè incerti. Questo sarebbe (quasi) peggio del sistema attuale, perché a tutti i suoi difetti ne aggiungerebbe due: una spinta lobbistica enormemente potenziata e una incertezza di fondo che è il peggior nemico degli investimenti (se gli investimenti hanno payoff lontani nel tempo). Tra l'altro, rendere "flessibile" il piano Ue significa necessariamente anche renderlo ancor più complesso. C'è un grafico che mi piace sempre mostrare. Eccolo:

Questo grafico, realizzato da Federchimica alcuni anni fa, mostra la crescita di norme ambientali nell'Unione europea tra il 1990 e la metà 2003. Non conosco versioni aggiornate del grafico - se qualcuno le ha, le segnali per favore. Esso dimostra più e meglio di ogni discorso quale sia uno dei difetti della politica ambientale europea (non solo sul clima, beninteso): la moltiplicazione, e quindi instabilità, e quindi imprevedibilità, delle regole. Questo è un grosso problema non solo sotto il profilo economico o finanziario, ma anche sotto quello ambientale, perché l'incertezza disincentiva gli investimenti (compresi quelli "politically correct": vi siete mai chiesti perché in Italia, che ha i sussidi più alti d'Europa, si investa relativamente poco in rinnovabili?). Ora, il mio timore è che la "flessibilità" della politica climatica voglia dire un'intensificazione del flusso regolatorio, uno spostamento del corpo delle regole ancor più lontano dalla natura generale e astratta e sempre più verso un ordinamento "feudale", dove ciascuna azienda deve negoziare le sue regole con n burocrazie. Questo sarebbe un esito beffardo, per un processo che doveva cominciare - ed è scandaloso che sia iniziato solo ora. In ogni caso, ora non è il momento delle pedanterie. Silvio Berlusconi ha il merito di aver messo, per primo, seriamente in discussione la politica climatica europea, e per oggi ci accontentiamo e gliene siamo grati. Chi mi conosce sa che non ho particolare simpatia per il presidente del consiglio, ma questa volta, in tutta sincerità, se lo merita: Bravo Cav.

giovedì, ottobre 16, 2008

L’Eolico dove non c’è il vento: il picco del carbone in Polonia



created by Marco Ferrara


Questo settembre, come quasi ogni anno, mi sono recato in Polonia a trovare i miei suoceri. Questa volta ho avuto occasione di visitare il parco eolico di Kamieńsk, tra Łódź e Częstochowa.
Sorprende il fatto che un parco eolico di dimensioni importanti (sul sito della Wind Energy Polish Association dicono 30 MW ma io ho contato solo 14 Enercon E70) si trovi in un area, quella del centro-sud della Polonia, dove non sussistono generalmente condizioni di vento particolarmente favorevoli. Per la verità bisogna dire che il parco eolico è situato in sulla cima di una vasta e boscosa collina alta non più di 300 metri, il che naturalmente crea condizioni più favorevoli, ma non per questo scontate.
Insieme al parco eolico è stata costruita un’area di divertimenti; una moderna seggiovia quadriposto con tanto di illuminazione e cannoni spara neve per sciate notturne nel periodo 1 gennaio-31 marzo oltre ad una divertentissima rotaia (non ho resistito, ho dovuto provarla…) dove durante tutto l’anno è possibile lanciarsi in discesa a folle velocità con macchinine monoposto (dotate anche di cintura e freno, assolutamente necessari) in un percorso tutt’altro che monotono.
(perdonate le calze ma ero senza fantasmini….)

Le reazioni della gente credo siano significative, perché relative ad un qualcosa di nuovo, ad una cultura assolutamente non diffusa in quell’area; ovviamente queste non potevano che essere positive: gli impianti sono oggetto di esodo da parte di famiglie e turisti, sembrano veramente apprezzate. A pochi metri da una delle torri ho iniziato a discutere (con il mio polacco mixato italiano) a riguardo dei problemi relativi all’approvazione di questo tipo d’impianti in Italia: appena ho provato ad accennare “all’inquinamento visivo” sono stato ridicolizzato e deriso, e non a caso.
Ricordo un titolo di repubblica di qualche tempo fa: “Allarme inquinamento (con riferimento alle PM10): a parte alcune zone del sud della Polonia, Milano e Torino città più inquinate d’Europa”.
La regione al confine con Kamiensk è la ricca regione mineraria della Silesia che industrialmente parlando sta alla Polonia come il Veneto + la Lombardia stanno all’Italia. Lì si prendono i contributi ecologici per la caldaia a carbone; e il carbone che finisce in caldaia non è quello di legna che noi usiamo per i barbecue ma carbone fossile della qualità più pregiata (antracite-litantrace). Credo che pochi italiani abbiano avuto l’esperienza di prenderne un pezzo in mano: beh credetemi ha la consistenza del marmo!!
Nella stessa regione tra l’altro oltre ad una lunga serie di centrali minori è presente a Rybnik, non distante dal confine con la Repubblica Ceca E.R. (Elektrownia Rybnik), un mostro a carbone di proprietà EDF con una potenza di 1,8 GWe, che moltiplicata per le dovute ore di funzionamento corrisponde a circa il 7% del fabbisogno di tutta la Polonia.
Parlando sempre con i miei parenti (che in quanto a miniere sono parecchio navigati) mi spiegavano che non è più come un tempo.
Alcune miniere hanno chiuso, altre vengono tenute in piedi solo grazie ad incentivi statali. Inoltre per aprire nuove vie di tanto in tanto vengono minate sottoterra alcune zone. Uno dei risultati più spiacevoli è che qualche abitazione finisce per creparsi di brutta maniera, a volte irreversibilmente. E mentre in passato le compagnie minerarie erano parecchio solerte nei pagamenti, ora la faccenda inizia a farsi più complessa.

Dal grafico è desumibile il picco negli anni 87-89. E’ sicuramente un picco che ha una forte connotazione politica (coincidendo con il crollo del muro). E’ probabile che l’economia di mercato abbia tagliato alcuni siti di produzione non proprio convenienti. Certo è che se successivamente ne fossero sussistite le condizioni la produzione avrebbe subito un rimbalzo tecnico, cosa che non è avvenuta: a quasi 20 anni dal picco, la produzione di carbone in Polonia si è praticamente dimezzata.
Sempre più in basso, sempre più giù: il carbone a elio che sale da solo in superficie non è ancora stato trovato: insomma anche qui l’EROI la fa da protagonista.
Sull’eolico la Polonia sta marciando abbastanza velocemente rispetto agli altri paesi Est-Europa, soprattutto al nord tra Danzica e Stettino dove sussistono condizioni anemometriche davvero interessanti. La marcia è diversa se paragonata anche solo al bel Paese, ma le premesse sono tutt’altro che negative.
Certo è che raccogliendo tante opinioni tra amici e conoscenti (che sapendo del mio lavoro mi tartassano di domande) “10-100 mila gigantesche ventole infilate ovunque saranno sempre meglio di tutto quel carbone, anzi sono pure belle a vedersi”: per ora tanti degli assurdi ostacoli sollevati da alcuni improbabili enti/associazioni della nostra cara penisola, lì ancora non sussistono e forse (speriamo) non sussisteranno mai.

mercoledì, ottobre 15, 2008

Guidiamo come cani?



Recita una recente pubblicità di un noto costruttore di dispositivi di sicurezza dei veicoli, a proposito del sistema ESP:
"A fronte della crescente densità di traffico in tutto il mondo, il tema della sicurezza stradale assume un significato sempre maggiore"

Sezionando un po' questa frase e speculando su argomenti collegati, vengono fuori alcune cose interessanti. Emerge il concetto della "grande" densità di traffico; questo è vero più che mai in Italia. Tuttavia, l'aggettivo "crescente" mi lascia perplesso: secondo i dati, pare che i paesi sviluppati siano a un picco di traffico e che sia già cominciato il declino.

L'idea generale della pubblicità (che non riporto per intero) è quella di trasmettere ai guidatori un enorme bisogno di sicurezza; viene presentata come possibilissima una situazione-limite in cui il veicolo procede in sovrasterzo. Solo in un punto seminascosto si spiega che l'ESP non può fare magie e nemmeno può violare certi limiti della fisica; per cui, l'appassionato dell'alta velocità può tranquillamente sentirsi autorizzato a perseverare di fronte a questa meraviglia dell'elettronica che pensa a tutto.
Quello che secondo me manca, sia a livello di Stato, che di scuole guida, che di Costruttori è la volontà di proporre nuovi paradigmi: la diffusione di automobili che non possono superare i limiti di velocità, e l'insegnamento di uno stile di guida morbido e fluido. Su quest'ultimo punto avevo approfondito in un post. Ora, non possiamo pretendere di avere fluidità da un novantacinquenne che si approssima a uno stop, tuttavia assistiamo a una bella fetta di guidatori che se ne infischia altamente della "gestione attiva del traffico". In particolare:

1. Alle rotonde (quelle sì che stanno aumentando in densità), quanti arrivano sparati per poi frenare di brutto, senza peraltro mettere la freccia, provocando una foresta di ulteriori, inutili frenate ?
2. Quanti, all'atto di una svolta a sinistra, si piazzano in modo da bloccare per minuti il traffico dietro?

Già solo con questi due handicap ci giochiamo punti percentuali sui consumi, sulle emissioni, sul tempo e sulla sicurezza. Ben vengano gli ESP & Exy allora, ma prima, magari, lavoriamo su di noi.

martedì, ottobre 14, 2008

Ridurre o differenziare i rifiuti?

Nei dibattiti sullo smaltimento dei rifiuti capita spesso di ascoltare animate discussioni tra “riduzionisti”, cioè coloro che ritengono più importante prevenire la produzione dei rifiuti, diminuendo e riusando gli imballaggi, e “differenziatori” che invece considerano prioritaria la raccolta differenziata dei rifiuti presso gli utenti finali. A un certo punto, immancabilmente, interviene il ragionevole di turno che mette d’accordo tutti, affermando che le due strategie non sono in contraddizione, ma che bisogna operare per integrarle in un’ottica di minimizzazione dello smaltimento finale.

Per evitare però una diatriba “ideologica” tra princìpi, a cui gli italiani sono particolarmente inclini, e dare una risposta razionale al problema, non resta che affidarsi alla forza incontrovertibile dei numeri. Le fonti di dati sulla produzione e smaltimento dei rifiuti in Italia sono due, l’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA ex APAT). Due enti che fanno la stessa cosa, peraltro con leggere differenze numeriche sui dati è un’anomalia tipicamente italiana, ma questo esula dagli scopi di questo articolo. Dal sito dell’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti ho ricavato i dati sui consumi di imballaggi dal 1998 al 2005. Osserviamo innanzitutto che siamo in presenza di un picco, parziale o totale lo vedremo nei prossimi anni (nel 2005 c’è stato un immesso al consumo di circa 11,9 milioni di tonnellate, inferiore dello 0,8% rispetto al 2004). Una parte degli imballaggi, secondo quanto risulta dal sito dell’APAT, circa 3,4 milioni di tonnellate, viene attualmente riusata. Quindi, nel 2005 gli imballaggi che hanno determinato una produzione di rifiuti sono stati circa 8,5 milioni di tonnellate. Supponiamo ora cautelativamente che questi rifiuti confluiscano in un anno interamente nel circuito dei rifiuti solidi urbani e confrontiamo questa quantità con la produzione totale di rifiuti solidi urbani, nel 2005 di 31,6 milioni di tonnellate. Quindi, approssimativamente per eccesso, si può affermare che gli imballaggi contribuiscono per circa il 27% alla produzione dei rifiuti. Il restante 73% è costituito da organico e carta, che insieme rappresentano le componenti principali degli RSU, per circa il 55%, e da altre tipologie di rifiuti.
Immaginiamo ora di riuscire a diminuire del 70% il consumo di imballaggi con opportune e auspicabili politiche di riduzione e riuso, come l’uso del vuoto a rendere, la vendita di prodotti sfusi, la riduzione delle confezioni ecc. Avremmo determinato una minore produzione di rifiuti di circa il 20%. Per il restante 80% ipotizziamo ora di ottenere con l’adozione dei moderni sistemi integrati di raccolta domiciliare una differenziazione e riciclaggio pari al 70%. Il risultato sarebbe quello di evitare lo smaltimento di circa il 55% dei rifiuti prodotti. Conclusione, la raccolta differenziata è in grado di incidere quantitativamente molto di più (quasi tre volte) della riduzione degli imballaggi alla soluzione del problema. Questa considerazione è inoltre rafforzata dal fatto che nelle realtà dove si effettuano politiche di raccolta differenziata porta a porta con l’applicazione della tariffa al posto della tassa, si determina anche una riduzione della produzione procapite dei rifiuti, dovuta anche alla maggiore attenzione dell’utente all'uso di prodotti che generino minori scarti.

Tornando quindi alla discussione animata dell’inizio articolo, io potrei definirmi un ragionevole differenziatore, cioè darei priorità alla gestione della raccolta differenziata, ma con un’attenzione non marginale agli interventi di prevenzione volti a ridurre gli sprechi determinati da un uso eccessivo degli imballaggi.

lunedì, ottobre 13, 2008

L'oro di carta



Vi ripropongo un post che avevo pubblicato il 20 Settembre sul blog di Debora Billi e Pietro Cambi "Crisis". In poche settimane, si sta rivelando assai più profetico di quanto io stesso non pensassi


L'oro di carta
Di Ugo Bardi
20 Settembre 2008


Uscendo l'altro giorno dal ristorante, mia moglie mi ha domandato, "ma non ti è parso un po' caro?" "Direi di no," ho risposto, " ci hanno dato da mangiare e in cambio hanno voluto soltanto dei pezzetti di carta colorata". Avrei potuto aggiungere che in certi posti si contentano di avere in cambio un quadratino di plastica, e dopo te lo rendono anche.

Il fatto che si possano ottenere beni e servizi in cambio di pezzetti di carta o di plastica colorata (che poi ti rendono anche) è uno dei tanti misteri di questo pianeta. Una volta, i pezzetti di carta avevano valore in quanto - teoricamente - erano convertibili in oro. Dal 1971, tutto è cambiato quando gli Stati Uniti dichiararono ufficialmente che abbandonavano la convertibilità del dollaro in oro. Da allora, la non convertibilità si è estesa a tutte le monete mondiali anche se, fino a non molto tempo fa, sulle banconote in lire, c'era scritto "pagabili a vista al portatore". Pagabili con cosa? Presumibilmente, con altri pezzi di carta di colore diverso. Oro di carta, evidentemente.

Sembra che il valore reale di una banconota, ovvero costo di produrla, sia di circa 0.3 eurocent; decisamente l'oro di carta è un buon affare per le banche centrali che lo stampano. Ancora meno costa la moneta virtuale; quella delle carte di credito e dei conti in banca che esiste solo in forma di bit; entità magnetiche situate nella memoria di qualche computer che non si sa nemmeno dove sia. L'oro di plastica è un affare ancora migliore per le banche.

In compenso, le monete hanno un certo valore intrinseco. Le micromonetine da 1, 2 e 5 centesimi di euro sembrano di rame, ma sono di acciaio placcato e non valgono quasi niente. Più interessanti sono le monete da 10, 20 e 50 centesimi, sono fatte di "nordic gold", ovvero una lega che contiene circa il 90% di rame. La moneta da 10 centesimi contiene circa 4 grammi di rame, al prezzo attuale di circa 3 euro al kg, vale un po' più di un centesimo. Quelle più grosse, da due euro, contengono circa otto grammi e mezzo di una lega di rame-nickel. Ai prezzi attuali, il metallo vale poco più di un paio di centesimi. In tutti i casi, il valore nominale della moneta è enormemente superiore a quello del metallo.

Allora, come mai possiamo ottenere tante cose con dei pezzetti di metallo sopravvalutati, con dei pezzetti di carta colorati, o addirittura con dei bit, entità puramente virtuali che stanno dentro un computer? Forse vi sembra normale che l'oro sia di carta o di plastica.

Ma pensateci un attimo. Nella storia, la gente si scambiava merci e servizi, ma quasi sempre in cambio di qualcosa di reale, beni o servizi. Ti do un cammello in cambio di tre pecore, oppure potevi assumere dei mercenari in cambio di un sacchetto d'oro. Un tempo, in Giappone, gli Shogun coniavano moneta indicizzata in koku un'unità di misura del volume di riso. Si racconta che in certi posti si usassero conchiglie come moneta, ma ho un po' il dubbio che questa sia una storiella che gli indigeni hanno inventato per prendere in giro l'antropologo. Può anche darsi che fosse vero ma, se è vero, le conchiglie dovevano avere un valore di scambio garantito dal capoccia locale in forma di capre, pelli di pescecane, o che altro.

Certo, governi, zecche e falsari hanno sempre teso a imbrogliare "svalutando" la moneta, ovvero producendo monete che valevano meno del loro valore nominale; per esempio usando leghe che contenevano meno oro. Ma quello si sapeva che era un imbroglio. Non credo che sia mai successo nella storia che si stampasse carta dichiarando esplicitamente che non aveva nessun controvalore reale e che la gente la accettasse per moneta "buona". Certo, la propaganda moderna è potente, ma che riesca a far credere alla gente che l'oro è fatto di carta sembra veramente un po' troppo.

Io un'ideuzza ce l'avrei per spiegare l'esistenza dell'oro di carta. Ovvero che i foglietti di carta colorata, in realtà, un controvalore reale ce l'hanno, anche se non viene dichiarato esplicitamente. Pensate un attimo a cosa è successo nell'agosto del 1971, quando Richard Nixon dichiarò ufficialmente la non convertibilità del dollaro in oro. Beh, pochi mesi prima, nel Dicembre del 1970, c'era stato un evento epocale. Talmente epocale che nessuno, o quasi, se ne era accorto: il picco del petrolio degli Stati Uniti. Era epocale perché da allora gli Stati Uniti cessavano di essere energeticamente indipendenti e diventavano importatori di petrolio. Per gestire questa nuova situazione, fu necessario costruire nuove strutture economiche. Fu a quel tempo che nacque quel regime economico che noi chiamiamo "globalizzazione".

Bene, io credo che quello che Nixon non disse, ma che era sottinteso, era che da allora il dollaro era convertibile in petrolio e che questa conversione era garantita militarmente dagli Stati Uniti che assicuravano a tutti l'accesso al mercato globale del petrolio; purché lo si pagasse in dollari. E' per questo che mettiamo tanta attenzione su quanti dollari vale un barile. Sembrerebbe che sulle banconote da un dollaro ci dovrebbe essere scritto, più o meno, "pagabile a vista al portatore in petrolio". C'è una ragione per la quale si parla tanto di "oro nero".

Legare la moneta all'oro nero, al petrolio, si presta allo stesso imbroglio che tutti quelli che hanno stampato o coniato moneta hanno fatto, ovvero svalutarla. In questo caso, svalutare la moneta vuol dire aumentare la massa monetaria; cosa che si sta facendo da molti anni. Fino ad oggi, questo non ha avuto effetti particolarmente drammatici dato che l'aumento della massa monetaria in circolazione è avvenuto in corrispondenza con aumenti paralleli della produzione petrolifera. Il petrolio ci ha arricchiti, e a questo arricchimento reale ha corrisposto un arricchimento virtuale in termini di una maggior disponibilità monetaria. Ma qui sta cominciando a nascere un problema: il fatto che la base monetaria è esauribile. Negli ultimi anni abbiamo visto una la stasi produttiva mentre la massa monetaria ha continuato a crescere. Di conseguenza, stiamo vedendo una tremenda impennata dell'inflazione che neanche gli imbrogli contabili dei vari istituti di statistica riescono più a mascherare. Con l'imminente declino della produzione petrolifera, vedremo anche il declino rapido e irreversibile del nostro curioso oro di carta.

La moneta virtuale in forma di bit è destinata a scomparire senza lasciare traccia, cancellata dalla memoria dei computer. Le banconote si potranno sempre usare per accendere il camino o la stufa, come si faceva con i marchi tedeschi negli ultimi anni della repubblica di Weimar. Per le carte di credito, non vedo molti usi a parte come sottobicchieri o per pareggiare qualche tavolo traballante. Quelle più pacchiane, quelle dorate o platinate, le si potrebbero forse usare per farne paillettes per i vestiti delle signore. Per le monete, il destino potrebbe essere diverso. Le monetine in acciaio potrebbero essere ottimi bottoni, mentre quelle che contengono rame e nichel potrebbero essere fuse per recuperarne il metallo. Oppure, le monete potrebbero rinascere in una loro vita post-petrolifera circolando con il loro valore reale, in peso di metallo, ben diverso da quello nominale.

Comunque vada, non c'è troppo da prendersela. Il denaro, alla fine dei conti è fatto "della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni". E i sogni, si sa, non durano a lungo.

domenica, ottobre 12, 2008

L'effetto combinato della crisi energetica ed economica sulla domanda petrolifera




created by Eugenio Saraceno


Da alcuni mesi sembra che il mondo sviluppato, dopo un’era di prosperità e crescita economica mai vista prima, passi da una crisi all’altra; la percezione del futuro economico non è mai stata tanto fosca. Intuitivamente si potrebbe cercare di dare una spiegazione guardando la catena degli eventi che si è succeduta dalla fine degli anni ’90 ad oggi.
L’affermazione prepotente della globalizzazione finanziaria, con l’ingresso dei nuovi giganti asiatici, dopo il crollo dell’Unione Sovietica ha provocato una notevole crescita economica che ha portato anche alla creazione di “bolle”, eccessi di investimenti in determinati settori (new economy, immobiliare, energetico e materie prime) che sono poi esplose in sequenza provocando crisi finanziarie sempre più gravi, l’ultima che stiamo vedendo in questo momento sembra essere catastrofica e sembra essere stata innescata da due bolle esplose in stretta sequenza in quanto correlate, i mutui e l’energia; alcuni analisti vedono una correlazione nel fatto che i proprietari di immobili (con mutui ipotecari) nelle immense suburbs prive di servizi di trasporto pubblico che la crescita del settore immobiliare ha disseminato per il mondo, abbiano dato default per via dei crescenti costi energetici che tali fabbricati, per la loro distanza dai centri economici o posti di lavoro e per la leggerezza con cui sono stati progettati i sistemi di riscaldamento e climatizzazione, hanno comportato. Ciò ha provocato difficoltà nel comparto del credito che si sono acuite per altri fattori dovuti alla struttura dei mercati finanziari, una crisi dei consumi, in particolare energetici e lo scoppio delle bolle di energia e materie prime legate appunto a questi consumi. Cerchiamo qualche conferma di questo ragionamento esaminando l’evoluzione dell’ultima bolla, quella energetica, che sembra aver originato (o in ogni caso ne rappresenta un evidente sintomo) la catastrofe finanziaria di questi giorni, quello che è stato definito da poco più di una settimana “il nuovo 1929” (dopo che ancora un paio di settimane fa le entità governative dichiaravano che “l’economia è solida”).
Dal sito della EIA http://www.eia.doe.gov/emeu/ipsr/t21.xls ente governativo USA per l'informazione sull'energia è possibile esaminare l’andamento della produzione e della domanda mondiale di petrolio. Dai dati disponibili è possibile effettuare una semplice analisi basata sull’elementare concetto di domanda e offerta.



Tab.1 produzione mondiale giornaliera media di greggio+NGL+altri liquidi+ guadagni di raffineria (All Liquids escluso biocarburanti) in milioni di barili al giorno




Tab.2 domanda mondiale giornaliera media di greggio+NGL+altri liquidi+ guadagni di raffineria (in pratica gli All Liquids escluso biocerburanti) in milioni di barili al giorno



Si osserva, dalle due tabelle seguenti, che fino al 2005 la produzione è aumentata tenendo testa all’aumento della domanda; nel 2006 la domanda ha continuato a salire mentre la produzione è stata stagnante, in leggero calo. Nel 2006 le difficoltà di aumentare la produzione sono evidenti anche dal fatto che la domanda è stata superiore all’offerta benchè i prezzi fossero considerati già allora troppo alti da molti analisti. Tale situazione permaneva e peggiorava nel 2007 mentre gli alti prezzi già deprimevano anche la domanda che aumentò meno che negli anni precedenti. Nel 2008, primo semestre, la produzione media è risalita notevolmente (oltre 1 milione di barili al giorno) mentre la domanda è stata, per la prima volta da molti anni, distrutta; non solo la domanda non è cresciuta come negli anni precedenti, ma è diminuita in modo abbastanza sensibile riportando l’equilibrio con l’offerta intorno agli 85,5 milioni di barili al giorno.
Da questa analisi possiamo trarre alcune sommarie conclusioni; ovvio che la domanda è stata strettamente influenzata da due fattori, la crescita economica ed il livello dei prezzi. L’entrata in recessione di molte economie nel 2008 ha provocato una notevole distruzione di domanda già a metà anno, a questa possono essere in parte attribuiti i recenti cali del prezzo; nel periodo 2004-2007, quando la crisi economica non sussisteva è possibile ipotizzare che il rallentamento della velocità con cui la domanda è aumentata possa essere attribuita quasi esclusivamente alla crescita dei prezzi petroliferi, cresciuti di oltre il 300% in tale intervallo temporale.


Si potrebbe concludere con una ovvia previsione: se la domanda continuerà a calare, dato che la fase di recessione che si prospetta sarà biennale od oltre, anche l’offerta si adeguerà al ribasso; alcune qualità di greggi ad alto costo di produzione usciranno dal mercato, alcuni dei megaprojects da cui si attendevano milioni di barili giornalieri aggiuntivi rallenteranno, la progettazione e la costruzione di nuovi impianti per il trattamento di olii non convenzionali come quelli canadesi o venezuelani si arresterà. Se tutto ciò avverrà, in estrema sintesi, si tratterà di un picco di Hubbert della produzione petrolifera a tutti gli effetti. Se infatti la domanda nel 2009 e 2010 calasse ad esempio a 85 mbd e poi 84 trascinando in basso l’offerta, osservando un grafico della produzione prolungato al 2010 vedremmo un picco sul 2008. Ciò non esclude che una successiva ripresa possa far ripartire al domanda e far risalire la produzione ma possiamo essere abbastanza sicuri che in tal caso i prezzi ricominceranno a salire provocando una nuova recessione ed un nuovo picco che potrebbe essere anche a livelli di produzione più alti di quello odierno.

Certamente questo ragionamento può aiutare a capire più profondamente la natura del concetto di picco. Il picco di una risorsa non è esclusivamente una questione di prezzi (finanza), né di produzione (geologia), né di domanda (economia reale) ma un combinato disposto di questi tre fattori che si influenzano e limitano a vicenda. Non vi sarà picco perché non si riesce a produrre di più, i megaprojects avrebbero consentito di aumentare la produzione a patto che il prezzo del petrolio rimanesse alto (tutti i nuovi progetti hanno costi di estrazione alti, altrimenti sarebnbero stati sfruttati prima), ma al prezzo di 150$ al barile qualcosa nell’economia si è rotto. L’inflazione creata dall’aumento dei prezzi energetici ha costretto le banche centrali a far salire i tassi di interesse, questi hanno messo in difficoltà i consumatori che si erano indebitati, costoro hanno ridotto i consumi, molti non hanno più potuto pagare il mutuo, il settore immobiliare è entrato in crisi perché poteva reggersi solo se i prezzi fossero stati in costante aumento.


L’edilizia ha rallentato, i trasporti e tutte le attività produttive si ridimensioneranno. Il consumo di energia e materie prime è stato ridotto e la bolla speculativa si sta sgonfiando; se i consumi petroliferi medi giornalieri scendessero di alcuni milioni di barili i prezzi potrebbero tornare quelli di alcuni anni or sono; ciò nonostante, il picco del 2008 ci sarà stato e nessun barile a 80 o 60$ e nemmeno a 40$ potrà smuoverlo da dove si è manifestato finchè non sarà possibile ripartire con la ri-crescita economica dopo il disastro. Ri-crescita che potrebbe portare solamente, presto o tardi, ad un nuovo disastro. Ma è proprio in occasione di una catastrofe che è opportuno ripensare alle cause e cercare di evitarne una nuova. I governi si stanno muovendo per assicurare che lo stesso meccanismo che tanti danni economici sta provocando riparta tra due o più anni, dopo una crisi che si prospetta lunga e penosa, sulle stesse basi, magari con qualche regola in più e un maggiore controllo dello stato, ma se è il momento di riflettere, voglio terminare con una riflessione: che la crescita economica ad ogni costo non sia la soluzione ma il problema stesso?