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martedì, maggio 08, 2012

Picco? Quale picco? Sta tornando Re Carbone!

Di Ugo Bardi
Pubblicato su "Effetto Cassandra"


Re Carbone potrebbe tornare per salvarci dal picco del petrolio, ma condannandoci ad un peggior destino in termini di riscaldamento globale (immagine dal National Media Museum).


Recentemente, Rembrandt Koppelaar ha pubblicato su the Oil Drum  un riassunto delle tendenze mondiali nella produzione di energia. La relazione ci dice che l'industria del petrolio sta lottando per mantenere l'attuale livello di produzione. Potrebbe non avere ancora raggiunto il picco, ma chiaramente non può riprendere le  passate tendenze ad incrementare. Ciò non sorprende, è stato previsto già nel 1998 da Colin Campbell e Jean Laherrere (link). Ciò che colpisce è il balzo in avanti del carbone. La produzione mondiale complessiva di energia non ha raggiunto il picco e questo a causa della rapida crescita del carbone, come potete vedere qui, dalla relazione di Koppelaar:



Il carbone sembrava aver raggiunto il proprio picco nel 1990, ma era un'illusione. La crescita della produzione di carbone durante il primo decennio del 21mo secolo è stata impressionante: mai vista prima nella storia. Quindi, Re Carbone sta tornando e potrebbe presto reclamare il titolo di sovrano del mondo dell'energia che aveva perso negli anni 60.

domenica, marzo 14, 2010

La rivincita di Cassandra



E' passato poco più di un mese da quando ho scelto il nome di "Effetto Cassandra" per un blog personale che avevo messo sul web un paio di mesi prima. La figura di Cassandra mi è parsa significativa per un blog dedicato a discutere come la società non solo rifiuta il messaggio che arriva dalla scienza ma anche demonizza attivamente il messaggero, ovvero gli scienziati. Questo oggi lo si vede principalmente con la scienza del clima, ma è un comportamento del tutto generale. Lo abbiamo visto nel passato recente, per esempio, con lo studio dei "Limiti dello Sviluppo" del 1972, demonizzato negli anni '80, al punto che ancora oggi molta gente continua a credere che era uno studio "sbagliato". (non lo era). Ma anche Galileo Galilei, in fondo, fu vittima dello stesso meccanismo.

Su "Effetto Cassandra" ho parlato principalmente di clima: l'idea che avevo era ed è di smascherare gli imbroglioni; ovvero i propagandisti di professione che stanno attivamente promuovendo un movimento politico che usa le inevitabili incertezze di un campo scientifico complesso come quello del clima per screditare e demonizzare la scienza in generale.

Gli imbroglioni sono un piccolo gruppo di professionisti pagati dalle lobby del carbone e del petrolio. Non c'è dubbio che sanno fare bene il loro mestiere e hanno avuto molto successo negli ultimi tempi nello screditare la scienza e gli scienziati. Fra le altre cose, hanno generato un intera tribù di persone mentalmente squilibrate che si sono dedicate a sfogare le loro personali frustrazioni insultando gli scienziati e tutti quelli che sostengono l'interpretazione scientifica dei cambiamenti in corso. Il grande polverone ha anche confuso un gran numero di brave persone che si trovano oggi a credere in buona fede che il concetto di riscaldamento globale causato dall'uomo sia un imbroglio ordito da un gruppo di scienziati malvagi.

Da questo ragionamento, è nato il blog "effetto Cassandra", un blog dove si parla principalmente di comunicazione scientifica che cerca di contrapporsi alla marea montante di anti-scienza che sta invadendo tutti gli spazi mediatici. Un blog così, in Italia mi sembra che non ci sia; per ora, a parte l'ottimo climalteranti, che tuttavia è più dedicato alla divulgazione scientifica che a discutere di politica della comunicazione. 

Devo dire che Cassandra è stato un notevole successo. Senza nessuna promozione, sono arrivato a circa 400 visitatori al giorno. Non è tanto in confronto ai blog più consolidati; per esempio ASPOItalia è intorno ai 900, Crisis intorno ai 2500. Ma per arrivare a 400 visite al giorno su "nuove tecnologie energetiche", per esempio, mi ci è voluto un anno! Arrivarci in un mese con Cassandra è un bel risultato.

Il blog Cassandra è stato citato su Climalteranti, su Crisis, su Petrolio, su Ocasapiens e altri. Mi sono avuto pubbliche invettive da Paolo Granzotto su "Il Giornale" e insulti privati per un post relativo a un articolo di Giusebbe De Bellis, su "il Giornale". In più mi sono arrivati tantissimi accidenti e insulti di vario genere sia come commenti al blog o su altri siti, oppure anche come messaggi privati. Per il momento, sono stati insulti raramente violenti e/o volgari e non ho ricevuto minacce di morte (come invece è capitato a Luca Mercalli). Più che altro sono stato accusato di essere una vergogna per la scienza, di non meritarmi il titolo di professore, di essere in preda a una crisi di senilità, di essere un disinformatore pagato da "qualcuno", eccetera, eccetera.... Insomma, ho pestato qualche piede in giro. In effetti, devo dire che avevo dei sassolini nelle scarpe e una certa voglia di levarmeli; e non ho ancora finito.

D'altra parte, devo anche dire che il successo del blog "Cassandra" mi preoccupa un po'. Se la situazione degenera al livello in cui è arrivata negli Stati Uniti e in Inghilterra, c'è da cominciare ad aspettarsi minacce di morte e anche di quelle molto pesanti che cominci a dubitare che qualcuno voglia mettere in pratica.

Devo anche dire che un post al giorno tutti i giorni è un grande stress e non so quanto a lungo riuscirò a tenere questo ritmo, soprattutto perché è una cosa che posso fare soltanto nel mio tempo libero. Lo stress viene anche aumentato dal fatto che ogni volta che pubblico qualcosa su Cassandra faccio andare in bestia un certo numero di persone il cui equilibrio mentale non mi sembra del tutto garantito.

D'altra parte, credo anche che ogni tanto uno deve anche prendere una decisione e dire certe cose che gli sembra giusto dire. E non sono il solo a pensarla così - ho ricevuto anche molti messaggi di incoraggiamento e di supporto. Insomma, io ho cominciato, ma bisogna che qualcuno mi dia una mano. Se non volete vedere la scienza sepolta da un'ondata di anti-scienza e di propaganda politica, vedete di farvi sentire anche voi.

Ecco il link al blog "Effetto Cassandra" Dateci un occhiata e ricordatevi che Cassandra, ai suoi tempi, aveva avuto ragione!

martedì, marzo 02, 2010

ASPO-Italia sul riscaldamento globale

ASPO-Italia è la sezione italiana dell' associazione internazionale ASPO (Association for the Study of Peak Oil), un gruppo di ricercatori che studiano i combustibili fossili e la loro sostituzione con energie rinnovabili.









L'evidenza del riscaldamento globale è ampia e incontrovertibile e i dati disponibili indicano chiaramente che è in gran parte dovuto all'attività umana.

A cura del comitato scientifico di ASPO-Italia -2 Marzo 2010


Abbiamo visto negli ultimi tempi svilupparsi un attacco mediatico contro la ricerca sul cambiamento climatico e contro le persone che se ne occupano. E' un attacco non basato su interpretazioni alternative dei dati, che in se sarebbero legittime, ma su attacchi personali ai ricercatori e alle organizzazioni impegnate nella scienza del clima che sono accusati di aver ordito una cospirazione per lucrare sul concetto di riscaldamento globale causato dall'uomo. Questa accusa non è basata su nessuna evidenza che stia in piedi a un esame condotto con obbiettività.

I membri di ASPO-Italia vedono con grande preoccupazione questi sviluppi. Riteniamo che l'evidenza sperimentale per il riscaldamento globale in atto sia ampia e incontrovertibile. Inoltre, riteniamo che dati e modelli accumulati in decenni di studio indichino chiaramente che il riscaldamento è causato in gran parte dall'attività umana e, in particolare, dall'uso dei combustibili fossili.

I nostri dati e i nostri modelli indicano anche che il progressivo esaurimento dei combustibili fossili sta portando a un uso sempre maggiore di combustibili che emettono quantità maggiori di gas climalteranti a parità di energia prodotta. Ricorrere in modo esteso a questi combustibili, come il carbone e i liquidi estratti dalle sabbie bituminose, potrebbe peggiorare enormemente il problema climatico. 

Invitiamo gli organi scientifici impegnati nella ricerca sul clima a continuare il buon lavoro svolto finora. Invitiamo anche il pubblico e i decisori politici a non farsi disorientare dalla campagna mediatica in corso contro la scienza del clima.

martedì, gennaio 26, 2010

Le leggende di Caserini

Segnaliamo l'iniziativa di domani, Mercoledi' 27 Gennaio, alle 17:30 presso la biblioteca del convento delle Oblate, a Firenze, dove Stefano Caserini presenterà il suo ultimo libro sulle leggende climatiche.
Introduce il modesto sottoscritto, Ugo Bardi.
   


Stefano Caserini sta facendo un ottimo lavoro di divulgazione sul riscaldamento globale.
Docente al Politecnico di Milano e studioso di problemi climatici , Caserini non si limita a fare quello che fanno la maggior parte dei ricercatori in questo campo, ovvero a pubblicare il loro lavoro sulle riviste scientifiche. Caserini, invece si lancia attivamente all'attacco dei negazionisti, così come ha fatto nel suo libro precendente "A qualcuno piace caldo" (Edizioni Ambiente, 2008) dove è andato a fare le bucce ai tanti negazionisti della domenica che si sentono in grado di pontificare sulla scienza del clima senza saperne un piffero.

Con questo libro, "Guida alle leggende sul clima che cambia" (edizioni ambiente, 2009), Caserini è andato a fare un'utile opera di sbugiardamento delle tantissime sciocchezze che girano sul clima. Dalla Groenlandia verde al tempo dei vichinghi, al "punto caldo della troposfera" al vino in Inghilterra nel medio evo, Caserini ci offre una guida ragionata delle fesserie dei negazionisti. La storia è ben scritta, sarebbe divertente se non fosse che qui si scherza col fuoco. Ma vale la pena di leggerla, se non altro per capire a quali livelli di idiozia si può arrivare quando si confonde la politica con la scienza.

Caserini è uno dei pochi scienziati italiani che si è reso conto della necessità di scendere in campo e sporcarsi le mani rispondendo anche in modo aggressivo alle campagne propagandistiche dei negazionisti. Purtroppo molti scienziati rimangono confinati nella loro torre d'avorio e la recente vicenda del furto delle email del Climate Research Units dimostra che la torre non è un rifugio sicuro. C'è gente, la fuori, che non si ferma davanti a nulla, neanche ad azioni illegali e infami. Bisogna tenerne conto e agire di conseguenza.

lunedì, dicembre 21, 2009

Quei coraggiosi scienziati che lottano contro l'establishment


Alfred Wegener (1880-1930) fu un grande scienziato, noto oggi soprattutto per la sua teoria della "deriva dei continenti" che è alla base di tutta la geologia moderna. Tuttavia, la teoria fu fortemente osteggiata al tempo in cui fu proposta e soltanto molti anni dopo la morte di Wegener fu completamente accettata. Per questa ragione, la storia di Wegener viene proposta a volte come un esempio di uno scienziato solitario che lotta contro un establishment ottuso e reazionario. Si parla dell'esempio di Wegener a proposito degli oppositori del concetto di riscaldamento globale antropogenico - che starebbero lottando anche loro contro un establishment ottuso e reazionario. Tuttavia, esaminando bene la storia vediamo che ci sono stati dei fattori alquanto eccezionali che hanno portato a una reazione negativa particolarmente forte contro Wegener e la sua teoria. L'idea che la scienza progredisca per mezzo di pochi scienziati coraggiosi che lottano contro l'establishment è attraente, ma infondata.



Praticamente tutti gli scienziati che lavorano nel campo della climatologia sono daccordo sull'interpretazione corrente del riscaldamento globale, ovvero il fatto che è causato principalmente dall'attività umana. C'è qualche eccezione, ma la grande maggioranza degli scettici sono persone che non hanno competenza in climatologia.

Il significato di questo grande accordo fra gli esperti sull'argomento del riscaldamento globale viene spesso contestato: "non è forse vero," si dice, "che tante volte è successo che una teoria appena proposta è stata ridicolizzata da tutti gli esperti, ma poi è riuscita a imporsi come la verità?" Su questo punto, si può forse citare Max Planck che disse che le nuove idee nella scienza riescono a diffondersi soltanto quando i loro oppositori vanno in pensione. Oppure anche Thomas Huxley, che disse "E' destino delle nuove verità nascere come eresie e morire come superstizioni"

L'idea dello scienziato solitario che lotta contro l'establishment sordo alle innovazioni è bella e romantica, ma quanto è veritiera? Se andiamo appena un momento al di là delle frasi un po' risonanti di Planck e Huxley, vediamo che la situazione è molto diversa. La scienza progredisce gradualmente con un metodo che è stato definito 99% di sudore e 1% di ispirazione ("99% perspiration and 1% of inspiration"). Sono rare le grandi scoperte improvvise che cambiano tutto e, spesso, i proclami in proposito che si leggono sui giornali si rivelano infondati.

Se guardiamo la scienza del clima, certamente, gli studi evolvono con il contributo, spesso molto creativo, di scienziati giovani e più di una volta succede che questi contributi creativi siano osteggiati da scienziati anziani piuttosto conservativi. Ma, se esaminiamo il concetto stesso di "cambiamento climatico antropogenico" non troviamo un giovane scienziato coraggioso che combattono contro un complotto di scienziati anziani. Anzi, semmai è il contrario: nella media sono più le persione anziane che tendono a rifiutare il concetto di riscaldamento globale antropogenico (tanto per dirne una, Lindzen, uno dei pochissimi climatologi scettici, e del 1940).

A questo punto, quegli scettici che sono un po' più acculturati della media, tendono a tirar fuori la storia di Alfred Wegener, il primo sostenitore della teoria della "deriva dei continenti" che oggi va sotto il nome di "tettonica a zolle". Non è forse vero che Wegener combattè una solitaria battaglia contro l'establishment? Non è forse vero che la sua teoria fu ridicolizzata? Non è forse vero che, poi, riusci a trionfare ed è oggi sostenuta da tutti? Trovate questa idea comparire occasionalmente nel web, per esempio, nei commenti di un post di Paolo Attivissimo.

La storia di Wegener, in effetti, ha queste caratteristiche, ma è anche una storia molto anomala nella storia della scienza. In effetti, si può sostenere che era troppo avanzata per i suoi tempi e che la ragione per la reazione negativa fosse il fatto che Wegener non poteva portare nessuna prova che giustificasse il movimento dei continenti. Ma c'è di più. Mi è capitato fra le mani in questi giorni il libro di Ted Nield "Supercontinente" (Granta books, 2007) che contiene un capitolo molto interessante su questo argomento. Nield è andato a identificare vari fattori che hanno causato la parabola della teoria di Wegener, da assurdità balzana a verità accettata. Ve li riassumo rapidamente:

1. La teoria di Wegener fu proposta in un periodo in cui gli scienziati erano molto più legati ai loro stati nazionali di quanto non lo siano oggi: c'erano versioni leggermente diverse della scienza "Americana", "Tedesca"; "Francese" eccetera. L'approccio di Wegener - un tedesco - suonava molto male agli scienziati anglosassoni del suo tempo.

2. La teoria di Wegener fu pubblicata in tedesco nel 1915 e tradotta in inglese nel 1925. In quel periodo, il sentimento anti-tedesco era molto forte nei paesi anglosassoni. Il fatto che Wegener avesse combattuto nell'esercito tedesco non era certamente un vantaggio per la sua teoria.

3. La traduzione del 1925 dell'opera di Wegener da parte di J.G.A. Skerl era inaccurata e faceva apparire Wegener molto più dogmatico di quanto non fosse in realtà.

4. Il nome di Wegener suonava un po' agli americani come quello di Werner, un geologo dell''800 creatore di modelli geologici già completamente obsoleti all'epoca.

5. Wegener non era una persona diplomatica, non si occupava di public relations e, in generale, non fece nessun tentativo per addolcire il suo approccio e renderlo appetibile ai suoi contemporanei.

Insomma, il rifiuto della teoria di Wegener fu una cosa molto particolare e anche rara nella storia della scienza. Fu localizzato nel mondo anglosassone e fu generato da una combinazione di nazionalismo esasperato e di errori di presentazione da parte di Wegener stesso. Oggi, prendere Wegener come "modello" per i moderni scettici climatici è completamente sbagliato.

La scienza non è fatta da eroi romantici che combattono da soli contro forze soverchianti. E' fatta da un lento processo di verifica di dati e teorie che, alla fine, porta ad un accordo generale. E' questo accordo che ci ha portato alla conclusione che il riscaldamento globale esiste ed è causato dall'attività umana. Faremmo bene a tenerne conto piuttosto che continuare a cercare scuse per credere a quello che ci fa più comodo credere.

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Nota: questo post l'avevo scritto prima del caso "climategate" ovvero delle email rubate  ai climatologi. Ora che lo rileggo dopo la pubblicazione, noto che è rilevante anche in relazione all'accusa che è stata fatta ai climatologi, ovvero di aver cercato in modo fraudolento di nascondere l'evidenza per impedire a una nuova teoria di affermarsi. Anche  nel caso di Wegener, non c'è mai stato nessun complotto contro di lui - sono cose che non succedono mai nella scienza.

lunedì, dicembre 14, 2009

Climategate: a che punto siamo?



Nel dibattito sul clima, i negazionisti hanno messo in campo tutti i trucchi propagandistici utilizzati in politica. Ne è un esempio questa vignetta che ci mostra un Al Gore dalle fattezze deformate che indica una curva decrescente marcata come "actual temperature" ("temperatura vera"). Purtroppo, non basta disegnare dati immaginari su una lavagna immaginaria per demolire la realtà del riscaldamento globale.


Il furto delle email dei climatologi dell'università di East Anglia ("climategate") è ormai vecchio di una quindicina di giorni. Il risultato è che la gente rimane più che altro confusa dalla polemica. In effetti, i dati di google trends indicano che l'interesse nella faccenda potrebbe aver già piccato ed essere in declino:


Non solo il trend è in declino, ma anche il volume di ricerche è rimasto molto basso. Cercando in "tutte le regioni", climategate raggiunge circa 1/20 dell'interesse in "Obama". Notiamo anche una reazione piuttosto energica dei media a sostenere la scienza seria. Per esempio, guardate Andrew Watson, ricercatore di East Anglia che ridicolizza sul clima un imbecille di nome Marc Morano sulla BBC. Istruttivo se masticate bene l'inglese


Ci vuole poco a ridicolizzare gli imbecilli, ma se l'intervistatrice avesse voluto sterzare il dibattito in modo da ridicolizzare Watson invece di Morano, l'avrebbe potuto fare senza problemi. Se non lo ha fatto vuol dire che non è stata sottoposta a pressioni dall'alto per farlo.

In sostanza, la faccenda delle email rubate si potrebbe rivelare un flop per i negazionisti; rivelandone la sostanziale inconsistenza in termini di argomentazioni valide che non siano semplicemente attaccare le persone. Una persona seria che avesse dei dubbi ragionevoli sulla bontà del concetto di "cambiamento climatico causato dall'uomo" (ce ne sono) dovrebbe a questo punto domandarsi che senso ha trovarsi in compagnia con certa gente e se non è piuttosto il caso di rivedere la propria posizione.

Tuttavia, non c'è dubbio che climategate è stata una sconfitta per la scienza. Ha dimostrato, se non altro, che gli scienziati non sono bravi a gestirsi in termini di public relations. Grossa ingenuità da parte di Phil Jones, direttore della Climate Resarch Unit, ma ancora peggiore è stata l'inazione dell'Università di East Anglia nei giorni immediatamente successivi all'evento. Bisognava reagire con ben maggiore forza e con più tempismo. Questa storia sarà probabilmente ricordata come un buon esempio di come NON gestire una cosa del genere.

Se, come diceva Gandhi, in una buona causa non ci sono mai sconfitte, è anche vero che, come diceva Pietro il Grande: (più o meno) è dalla sconfitta che impari come vincere. Qui, abbiamo imparato che la fuori è pieno di gente senza scrupoli che non si ferma davanti a niente pur di imporre la propria visione. Furto; diffusione illegale di dati privati, insinuazioni, accuse non supportate, "character assassination" - tutti i mezzi più oscuri della propaganda sono stati utilizzati contro gli scienziati che, normalmente, non sono abituati a a questo tipo di confronto. Se nella scienza il confronto è aperto ed è ammesso cambiare idea, nella vita reale come dicono nei film polizieschi americani, "tutto quello che dici potrà essere usato contro di te" ed è perfettamente vero.

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Update del 15 Dicembre

Google trends ha appena aggiornato i dati e sembra proprio che l'interesse nella storia del climategate stia cadendo rapidamente. Come era giusto che fosse.

mercoledì, dicembre 09, 2009

Trucchi contabili

Un uomo si ritrova chiuso in una stanza sigillata ermeticamente. Ogni ora produce, respirando, 20 grammi(1) di biossido di carbonio (CO2). Dopo 24 ore il CO2 nella stanza sarà a concentrazioni abbastanza alte da avvelenarlo, e quindi lui è ragionevolmente preoccupato.

Ma il nostro ha un'idea brillante: divide in due la stanza con una tenda, e spinge con un ventilatore il CO2 dall'altro lato della tenda. Si fa un po' di conti e vede che ogni ora il ventilatore sposta 1000 grammi di CO2. Naturalmente ogni ora gli stessi 1000 grammi tornano indietro nella sua mezza stanza, ma il nostro ragiona:

"Sto producendo solo il 2% dell'anidride carbonica(2) che circola tra le due mezze stanze ogni ora. Si tratta sicuramente di una quantità trascurabile, come posso avvelenarmi cambiando solo del 2% i flussi di CO2?"


Lascio a voi immaginare come va a finire.


Lo stesso tipo di ragionamento viene spesso fatto parlando del CO2 che produciamo noi e dell'"effetto serra". Ad esempio (ma non è la prima volta che lo vedo) l'ho trovato in questo articolo su un blog di astronomia.
Nella figura qui sopra vediamo come l'uomo produca 20-30 miliardi di tonnellate (gigatonnellate, abbreviate in Gt) di CO2 l'anno. Ma gli oceani ne producono 330, e la biosfera (suolo, animali e piante) 440. La conclusione, cito testualmente, è:

Vi può sembrare sensato che il 3% dell’1% possa causare un così tragico futuro per la Terra? Ed il resto mostruosamente preponderante su cui non possiamo fare niente? Se quest’ultimo non ha ucciso il nostro pianeta nel passato, lo potrà fare adesso il nostro trascurabile contributo? Non rispondo nemmeno …

I numeri sono tutti corretti. Potete controllarli ad esempio qui. Ad es. gli oceani sono in buona comunicazione con l’atmosfera, e rilasciano annualmente 330 Gt di CO2, ma ne assorbono un po' di più. Il bilancio è di circa 7.5 Gt sequestrati ogni anno.

Poi, come ci insegnano alle scuole medie, il ciclo del carbonio organico fa sì che questo giri avanti ed indietro tra piante ed animali. Complessivamente le piante assorbono ogni anno 440 Gt di CO2, che ritorna in atmosfera quando queste respirano, muoiono, vengono mangiate. Il bilancio netto è di soli 0,7 GT che finiscono sequestrati (nel suolo) ogni anno. Il carbonio organico è quello, per fissarlo serve molto tempo.

La situazione è la stessa della nostra stanza: ci sono dei cicli chiusi, in cui il CO2 circola senza che la quantità totale cambi di molto, e a questi aggiungiamo ulteriore CO2 proveniente dall'esterno (dal carbonio nel sottosuolo).

Rifacendo i conti, noi produciamo 20-30 Gt l'anno di CO2. Di queste 7-8 finiscono negli oceani, che difatti stanno acidificandosi, 0,7 Gt nel suolo, e il resto sono quelle 15-20 Gt che ci si ritrova in più in atmosfera ogni anno. Il risultato è che un quarto abbondante delle 3000 Gt presenti in atmosfera le abbiamo prodotte noi negli ultimi 150 anni, in buona parte negli ultimi 50. Sappiamo che questa quota è antropogenica anche solo guardandoci i rapporti isotopici (una specie di "firma", diversa nel carbonio fossile e in quello organico). Insomma, il nostro contributo non è per niente trascurabile.

Purtroppo quando l'ho fatto notare all'autore questo mi ha risposto: "Nessuno poi dice che la(2) CO2 non salga, ma non vi sono prove che faccia salire la temperatura". Non sono riuscito, con tutta la buona volontà, a capire se ritenga l'uomo responsabile o meno di questo aumento, o come concili quest'affermazione con quella riportata sopra.


Note:
1) Non ho fatto i conti su quanto biossido di carbonio un uomo produca in un'ora. I numeri che cito servono solo per questo esempio.
2) il nostro, come il sottoscritto fino al post precedente, non ha mai letto la nota IUPAC che raccomanda di evitare l'obsoleta denominazione "Anidride carbonica". Per chi non sa la chimica, biossido di carbonio, anidride carbonica e CO2 sono la stessa cosa. Il C02 (con lo zero invece della O) non esiste.

giovedì, novembre 12, 2009

Purtroppo, i negazionisti climatici continuano ad avere torto

Esce in questi giorni su climalteranti un articolo sul cambiamento climatico a firma di Ugo Bardi, Stefano Caserini e Giulio De Leo intitolato "Purtroppo i negazionisti climatici continuano ad avere torto". Qui trovate l'introduzione e dal link potete accedere al testo completo.


In fondo, tutti vorremmo sperare che i negazionisti climatici avessero ragione. Se per caso venisse fuori che, veramente, è stato tutto un abbaglio, che il clima non sta cambiando così velocemente come sembra o che, perlomeno, l’uomo non c’entra nulla… beh, sarebbe come risvegliarsi da un incubo. Sarebbe un sollievo come quando ti svegli e ti accorgi che il mostro che ti stava rincorrendo non è un mostro vero ma qualcosa che è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Sarebbe bello, no?

Ultimamente, poteva venire naturale pensare ad una cosa del genere, leggendo l’intervista di Nicola Scafetta, pubblicata da Il Giornale il 25 ottobre “Se la Terra si surriscalda colpa del Sole: l’uomo non c’entra” . L’articolo sostiene che la nuova teoria proposta da Scafetta avrebbe smascherato “la più colossale bufala del secondo millennio (anche del terzo)” e ci “permetterebbe di vivere tutti felici e contenti”.

Scafetta è un ricercatore della Duke University, una persona con un curriculum scientifico a tutta prova e che pubblica su riviste scientifiche internazionali. Insomma, non è il solito negazionista che ti trovi davanti e che ti spiega che il riscaldamento è tutta colpa del sole dato che “anche Plutone si scalda” (non è un invenzione, è capitato davvero…).

In verità, Scafetta sostiene qualcosa di simile, ovvero che è il sole che causa il cambiamento climatico ma non ti parla di Plutone. Piuttosto fa un’analisi dei dati dell’irradiazione solare che lo porta a quantificare l’effetto del sole come circa due terzi del riscaldamento osservato e non meno del 10% come la maggior parte dei climatologi ritiene. Su questa base, Scafetta sostiene che il riscaldamento dovrebbe arrestarsi perlomeno fino al 2030, in corrispondenza con una fase di minimo dell’attività solare, e ripartire soltanto dopo quella data. Se Scafetta avesse ragione, non sarebbe tanto critico ridurre le emissioni di biossido di carbonio (CO2) e avremmo più tempo per reagire al cambiamento climatico. Sarebbe bello, vero?

Ahimè, dopo aver studiato per un po’ la questione bisogna concludere che, purtroppo, i negazionisti climatici continuano ad avere torto. In questo post e nei prossimi cercheremo di spiegarvi perché.

mercoledì, ottobre 14, 2009

Il futuro comincia a fare paura



Mentre scrivo, quasi a metà Ottobre, l'ondata di calore dell'Estate del 2009 non è ancora passata. A Firenze è ancora caldo umido, quasi tropicale. Ci sono ancora le zanzare, cosa che non mi ricordo di aver mai visto in Ottobre a Firenze. Questa coda di caldo che si propaga in Settembre e in Ottobre ricorda l'estate del 2003, quella dell'ondata di calore che aveva causato 40.000 morti in Europa. In effetti, Secondo la NOAA, questo Agosto ha visto le più alte temperature della superficie oceanica mai misurate. Nella media, è stata la terza estate più calda della storia, con la calotta artica che continua a sciogliersi, a dispetto delle varie leggende che girano. Luca Lombroso, ci dice che in Italia le cose non sono andate diversamente con un'estate che è stata fra le più calde che si ricordino da noi.

A questo punto, non è più questione di un Agosto particolarmente caldo: ormai le estati caldissime si susseguono una dopo l'altra. Se l'ondata di calore del 2003 si poteva vedere come un'anomalia, questa del 2009 comincia a essere parte di una regolarità. E questo comincia a fare paura.

Nel 2003, il futuro ci poteva sembrare molto diverso da come lo vediamo oggi. Si, a quel tempo parlavamo già di picco del petrolio, ma lo vedevamo come un evento che si sarebbe potuto verificare ad almeno cinque anni di distanza nel futuro. Cinque anni sono lunghi e la data del picco ci appariva remota. Allo stesso modo, gli scenari dell'IPCC erano fatti in modo da non spaventare nessuno. Nel rapporto del 2001, il più recente disponibile a quell'epoca, si parlava con estrema prudenza di cose che sarebbero potute avvenire a partire dal 2050 e verso la fine del secolo.

A pochi anni di distanza, il futuro ci è letteralmente saltato al collo. Non siamo ancora sicuri che il picco del petrolio sia stato nel 2008, ma sembra molto probabile e, in ogni caso, la stasi produttiva che dura ormai dal 2003 ha avuto gli stessi effetti sull'economia. Ci aspettavamo che il picco sarebbe stato accompagnato da guerre e crisi economiche gravi. Queste si sono puntualmente verificate. Abbiamo avuto ragione su quasi tutto e, anche questo, comincia a fare paura.

Anche gli scenari dei "Limiti dello Sviluppo", tanto vituperati e screditati negli anni, stanno cominciando a rivelarsi accurati. Prevedevano l'inizio del declino della società industriale verso i primi decenni del ventunesimo secolo. Quello che stiamo vedendo sui mercati sembra essere una prima manifestazione di questa previsione. Può darsi che siamo arrivati sulla cima di un ottovolante economico e che ora vediamo davanti a noi una discesa ripida e ininterrotta. Anche questo, non fa stare tranquilli.

Se siamo stati efficaci nel prevedere il picco del petrolio, vuol dire che le nostre capacità predittive sono buone. Nessuno ha la palla di cristallo sulla scrivania ma, nel complesso, diventa sempre più difficile buttarsi alle spalle i problemi screditando sistematicamente chi fa predizioni. Il futuro è già qui e non lo possiamo ignorare.

Nel 2003, ci poteva ancora sembrare che il picco del petrolio, in qualche modo, ci avrebbe salvato dal riscaldamento globale. In realtà, tuttavia, questa era una di quelle idee che hanno senso qualitativamente, ma non ne anno una volta messe a confronto con la realtà quantitativa. Non basta il picco del petrolio per liberarci dal CO2; ne emetteremo di meno, ma quella che abbiamo emesso rimane a lungo nell'atmosfera ed è già troppo. In più, ci sono degli effetti del picco che aumenteranno il problema climatico. In parte, l'attività industriale ci proteggeva un po' per via del pulviscolo atmosferico e delle scie di condensa (*) degli aerei (NON scie chimiche, per carità!). Ma con la contrazione economica dovuta al picco, si emette meno pulviscolo e gli aerei rimangono a terra. Di conseguenza, perdiamo anche questa piccola barriera difensiva.

E il futuro del cambiamento climatico è molto più ingombrante e pericoloso di ogni altro futuro previsto. Il picco del petrolio, in fondo, è soltanto un episodio nella storia umana. Avremo meno petrolio, certo, ma sopravviveremo anche senza. Troveremo qualche altra cosa, non ci mancano le tecnologie sostitutive. Ma sulla questione del riscaldamento globale, adattarsi sarà molto più difficile. L'evidenza si sta accumulando che non siamo di fronte a quel graduale cambiamento che i primi scenari dell'IPCC prevedevano. No, ci stiamo accorgendo sempre di più che siamo di fronte a un cambiamento accellerato. Un cambiamento dovuto all'accavallarsi di fenomeni che si auto-rinforzano: lo scioglimento dei ghiacci polari, il rilascio degli idrati di metano, gli incendi e la desertificazione, per citarne solo alcune. Una serie di problemi immensi che possono fare danni spaventosi.

Se le cause di riscaldamento si rinforzano fra di loro, allora la crescita della temperatura è rapida - addirittura esponenziale. E le crescite esponenziali ti prendono di sprovvista. Qui siamo a ragionare sul mezzo grado-un grado di aumento che abbiamo visto fino ad oggi. Ma se la cosa prende a salire esponenzialmente, di quanti gradi potrà salire nei prossimi anni? Nessuno lo sa con precisione, ma la cosa fa paura.

Per ora, godiamoci l'inverno che finalmente sembra stia per arrivare. Vedremo poi come andrà l'Estate del 2010. Ma, se abbiamo azzeccato le previsioni, come le abbiamo azzeccate finora, non c'è proprio da stare tranquilli.


(*) Piccola nota esplicativa sulle scie di condensa: queste hanno un doppio effetto; di giorno riflettono un po' la luce solare, di notte trattengono un po' il calore emesso dalla terra. Nel complesso il loro effetto medio sulla temperatura è approssimativamente neutro, ma se le scie diminuiranno vedremo temperature estreme più frequenti.

domenica, settembre 27, 2009

Tutta colpa del Sole?


Che il Sole abbia effetti sul clima non ci piove. Il minimo di Maunder, un periodo tra il 1645 e il 1715 in cui non si osservarono macchie solari, corrisponde molto bene con il momento più rigido della piccola era glaciale. In generale, quando l'attività solare (misurata ad esempio contando le macchie) si è ridotta, la temperatura è diminuita. Periodi freddi corrispondono ad es. al minimo di Dalton (ispiratore di un blog che cerca di dimostrare come sia tutta colpa del Sole), intorno al 1800. Quindi è naturale che si cerchi di capire se e quanto il Sole contribuisca al riscaldamento globale in atto. Ed è comprensibile lo facciano con maggior foga le persone che dubitano, per altri motivi, della tesi per cui è colpa nostra.

Lavorando in un osservatorio che è tuttora molto coinvolto nella fisica solare, ho modo di parlare con i colleghi di queste cose. Il consenso generale è che il Sole contribuisca piuttosto poco, tra il 15 e il 25% del totale, al riscaldamento. Ultimamente una teoria aveva ipotizzato che quando il Sole è quieto arrivino sulla Terra più raggi cosmici, questi producano nuvole e quindi alterino il clima. Si è quindi misurato anche quanti raggi cosmici arrivano effettivamente[1] e ancora le variazioni che si vedono non sono sufficienti a spiegare il recente aumento della temperatura. Se ne è anche parlato in questo blog, facendo notare come l'accordo tra sunspot number e temperatura vada a farsi benedire negli ultimi 15-20 anni.

Ma (giustamente) uno scienziato non demorde, e si continua a sfornare ipotesi. Qualche anno fa alcuni astronomi hanno osservato che la correlazione con la temperatura era migliore se come indice dell'attività solare si utilizzava il cosiddetto indice di attività geomagnetica AA. In particolare la cosa è molto gettonata sul blog climatemonitor, ma ho ritrovato articoli che ne parlano[2]. Mi sono quindi preso i dati, grazie anche a un lettore di quel blog, e ho fatto il grafico qui sotto.

Tutti questi grafici son fatti nello steso modo, per cui spiego solo il primo. In nero ho graficato l'andamento della temperatura globale, riferita alla media degli anni '50 (uguale in tutti i grafici). In blu ho riportato l'indice che tento di correlare, scalato in modo da riprodurre al meglio la curva di temperatura (regressione lineare, una tecnica statistica standard). In rosso c'è quel che resta, la parte di variazioni di temperatura che non è possibile spiegare con l'indice che ho esaminato. L'ampiezza media della curva rossa è riportata in basso, in questo caso circa 0.12 gradi. Più piccolo è questo numero, tanto meglio ho riprodotto la mia curva di temperatura. Insomma lo scopo del giochino è trovare una curva blu (modello) il più uguale possibile a quella nera (vera), e la curva rossa (residui) mi dice quanto ho sbagliato

L'attività solare oscilla con un periodo di 11 anni e la temperatura no, e per questo ho mediato i dati su 11 anni. Come conseguenza della media ho dovuto scartare i primi e gli ultimi 5 anni, in cui non ho i dati per calcolare una media sensata.

Bene, se non si tiene conto degli ultimi anni l'accordo è impressionante, il coefficiente di correlazione che si ottiene è R=0.84. Ma non c'è verso di far sparire quel picco finale nei residui, quasi mezzo grado che il Sole proprio non spiega.

L'accordo diventa molto migliore se si media su 22 anni (due cicli solari, o un ciclo solare completo), con R=0,9. Ma in questo caso devo buttar via altri 5 anni e gli articoli che trovano questa bella correlazione sono del 2005, altri 4 anni scartati. Alla fine sparisce proprio quel problematico picco finale tra +0,2 e +0,4 gradi nella curva rossa.

Bene, ma la CO2? Se faccio lo stesso lavoro utilizzando come forzante la concentrazione di CO2 in atmosfera ottengo questo:

La CO2 varia molto più regolarmente, con meno bozzi, ma riproduce l'andamento delle temperature osservate molto meglio (R=0,94). I residui sono quasi la metà che nel caso precedente anche se la rampa tra il 1910 e il 1940 è chiaramente dovuto ad altro. Evidentemente la verità sta nel mezzo, ma quanto? Bene, basta provare a utilizzare un mix dei due, e vedere per quale "ricetta" ci riproduce meglio i dati.


Detto fatto, ci vuole un 22% di Sole e un 78% di CO2. Probabilmente c'è dell'altro, e difatti i modelli dell'IPCC non sono così semplici, ma siamo arrivati da qualche parte anche solo con questi semplici conti:


  • L'accordo tra AA-Index e temperatura non è molto migliore di quello tra altri indicatori di attività solare e temperatura. Tutti questi indicatori non spiegano assolutamente l'aumento di temperatura degli ultimi 20 anni, che invece corrisponde benissimo all'incremento di CO2

  • Se confronto una temperatura, una concentrazione di CO2, e un'attività solare che stanno aumentando tutti nel tempo, otterrò comunque buone correlazioni. Per discriminare devo usare periodi in cui un indice aumenta ed uno cala, altrimenti correlo benissimo gli aumenti di temperatura anche con la crescita del pino secolare al Ponte al Pino a Firenze.

  • Per ottenere un buon accordo si media i dati su un periodo lunghissimo. Ma in questo modo si scartano quelli degli ultimi anni, in cui appunto la CO2 sale e l'AA scende

  • Se medio su tempi lunghissimi ho pochi dati (un secolo campionato ogni 22 anni fa circa 5 punti buoni). Con pochi punti un accordo si ottiene più facilmente

  • Devo confrontare le due ipotesi. La bontà di una correlazione da sola dice poco. Meglio se faccio un fit con le due ipotesi, e mi faccio dire dai dati il peso relativo delle due componenti.
Ultima nota: l'attività solare spiega benissimo come mai ultimamente la temperatura non sia cresciuta. Il che significa che se l'attività solare non contasse, le temperature sarebbero un decimo di grado più calde di quanto siano ora.

Qualche riferimento:
[1] A. D. Erlykin, T. Sloan, A. W. Wolfendale: "Solar activity and the mean global temperature" Environmental Research Letters (2009)
[2] K. Georgieva, C. Bianchi, B. Kirov; "Once again about global warming and solar activity", Mem. SAIt 76, 969 (2005)

sabato, settembre 26, 2009

Se non c'è Baresi, Costacurta non sa giocare: ovvero, il riscaldamento globale visto come una partita di calcio


Questo quadro di Guttuso rende bene l'idea dell'atmosfera di quello che poteva essere un bar o una casa del popolo in Toscana all'epoca in cui la briscola regnava sovrana (in effetti, dal numero di carte questi sembrano piuttosto giocare a scopone). Manca il sonoro, incluso il turpiloquio, per il quale vi potete fare un'idea vedendo il film di Roberto Benigni "Berlinguer ti voglio bene"



Poco tempo fa, fermatomi per un caffé in un circolo ARCI di Firenze, mi sono imbattuto in una visione di altri tempi: almeno trenta pensionati in una saletta laterale, impegnati a giocare a carte. Mi è parsa una visione equivalente a quella di ritrovare i dinosauri vivi e vegeti in un'isola remota, come in Jurassic Park.

Nella mia gioventù, a partire dagli anni '60, gli spazi di interazione sociale erano più che altro nelle case del popolo, nei più rari circoli cattolici, e nei bar all'angolo. All'epoca, per un maschio in via di maturazione, inserirsi in questo mondo era una piccola iniziazione non enormemente diversa, immagino, dai vari riti di passaggio in uso nelle varie tribù indiane di una volta. Fra gli indiani, (come si legge in Tex Willer) immagino che si dovesse imparare a cacciare il bisonte, a fumare il calumet e a parlare con cognizione di causa di Manitù o forse della manifattura delle punte di freccia. Nei circoli ARCI dovevi imparare a giocare a carte e a parlare di sport, soprattutto di calcio; il tutto possibilmente condito con adeguate forme di parolacce in dialetto toscano.

Devo dire onestamente che, come giovane iniziato alla casa del popolo sono sempre stato pessimo. Traslato nei termini di una tribù indiana (col dizionario di Tex Willer), penso che mi avrebbero dato il nome di Attah-Katah-Altram ovvero, "quello-che-tossisce-perché-ha-fumato-il-calumet-e-fa-scappare-il-bisonte." Questo non era dovuto alla briscola, dove mi difendevo più che bene, ma piuttosto nella mia incapacità quasi totale di argomentare di calcio (o di sport, in generale).

Mi dispiace dover dire che la logica dell'argomentazione calcistica è sempre stata al di sopra delle mie capacità di comprensione. In disperazione, ho tentato varie tattiche, fra le quali spacciarmi per tifoso di squadre poco conosciute, tipo l'Atalanta. Questo, curiosamente, sembrava darmi quasi un certo prestigio - un po' come i pesci studiati da Konrad Lorenz che riuscivano a conquistarsi un piccolo territorio in un angolo dell'acquario. Ma questo modesto guadagno territoriale spariva rapidamente quando qualcuno andava a scoprirmi le carte chiedendomi, per esempio "ma chi hanno come centravanti?" Mi sembrava di essere una spia straniera che cerca di infiltrarsi nel comando nemico, ma il suo accento lo tradisce.

Anni fa, mi ricordo di essere rimasto assolutamente spiazzato di fronte a uno che si è espresso pubblicamente in totale convinzione dicendo che "Se non c'è Baresi, Costacurta non sa giocare". Mi ha fatto l'effetto di un piccolo satori zen che ti arriva dopo la contemplazione di un koan misterioso, tipo quello dell'oca chiusa in una bottiglia. Quale misteriosa creatura poteva essere questo Costacurta che si cimentava sui campi di serie A (presumo) senza saper giocare? Mi è venuta in mente la scena di questi due sul campo, con quello chiamato Baresi che continua a ripetere a quell'altro, chiamato Costacurta, "Imbecille! Quante volte ti devo ripetere che devi prendere a calci quell'affare tondo!"

Ma non c'è niente da fare: in tutte le società umane ci sono delle regole che devi seguire se vuoi mostrare la tua appartenenza al gruppo e, se sei un maschio, la tua virilità. Se fra gli indiani bisognava saper cacciare il bisonte (sempre secondo Tex Willer), nella società Italiana della seconda metà del ventesimo secolo, queste regole implicavano la capacità di argomentare in modo convinto, e possibilmente condito con adeguate parolacce, sulla bontà delle scelte di questo o quell'allenatore e sulla disposizione di certi giocatori in forma di mediani, terzini, centrocampisti o che diavolo altro.

Non è cosa facile. Provatevi ad argomentare in modo convincente (con o senza parolacce) l'affermazione "Se non c'è Baresi, Costacurta non sa giocare". Affermazione probabilmente falsa, quasi certamente indimostrabile, da intendersi forse come un'iperbole. La darei come affine ai paradossi di Zenone, ma credo anche che Protagora e la sua scuola dei sofisti l'avrebbero inclusa nella scienza dell'eristica, ovvero l'abilità di sostenere comtemporaneamente due argomenti contraddittori (tipo: "Costacurta è un giocatore di calcio e allo stesso tempo non è un giocatore di calcio; perché non sa giocare. Allora, chi è Baresi?").

Il problema stava nella mia provenienza da un'educazione scientifica, che già cominciavo a seguire negli anni del liceo. Se avessi voluto esprimere certi concetti secondo le regole della discussione scientifica, avrei dovuto dire qualcosa come "Secondo alcuni autori (Maranz, 1987, Hydraulics 1992) la misura delle prestazioni del giocatore Costacurta mostra un coefficiente di correlazione significativo con la presenza in campo del giocatore Baresi. Tale correlazione è negata da Lopo e Ciaramella (1994), ma può essere attribuita a effetti semantici legati all'interazione verbale, come discusso per esempio da Pippolillo (1993)". Capirete che la cosa non poteva funzionare.

Gli anni sono passati; i giocatori di briscola sono praticamente spariti dai circoli ARCI, spazzati via come i dinosauri da un asteroide chiamato TV. Lo scambio sociale si fa più che altro via internet, ma certe cose non sono tanto cambiate. Lo stile della discussione calcistica rimane in trasmissioni come "Il processo" (che, giuro, non ho mai visto, ma ne ho sentito parlare). Non credo che Aldo Biscardi (la cui biografia ho letto su Wikipedia) regga il confronto con Protagora, ma una certa capacità di confondere l'avversario nell'arte della retorica indubbiamente ce la deve avere. Forse dall'esistenza stessa di Aldo Biscardi possiamo comunque arrivare alla stessa conclusione che i sofisti propugnavano, ovvero la sostanziale inconoscibilità dell'universo.

Rimane il problema della incomunicabilità fra i due mondi, quello calcistico e quello scientifico. Questo pone qualche problema quando si parla di cose importanti, tipo il riscaldamento globale, dove l'uso delle forme retoriche calcistiche (turpiloquio incluso) non porta ad arrivare a una buona comunicazione. Potete trovare, qui un esempio dell'uso del turpiloquio come arma retorica.

Ma il vero problema del dibattito sul riscaldamento globale non è quello del turpiloquio. E' proprio il concetto di base del dibattito calcistico da circolo ARCI (o alla Biscardi se preferite). L'idea è che chiunque può prendere posizione e argomentare su un argomento di cui è totalmente incompetente, posto che sia sufficientemente aggressivo e abile nel confondere le acque nel dibattito. Per un buon esempio di questo squallido dibattito sul clima potete cliccare qui.

Questo è male perché, appunto, dei totali incompetenti di clima si sentono in diritto di dire la loro come se fossero al "Processo" di Biscardi. Se si parla di calcio, niente di male; dopo ognuno torna a casa un po' intontito, ma senza danni. Ma se si parla di qualcosa che può fare dei grossi danni, come il riscaldamento globale, allora si perdono tempo e energie preziose che invece dovremmo utilizzare per cercare dei rimedi. Nessuno vorrebbe volare su un aereo progettato secondo le indicazioni di quelli che partecipano al processo di Biscardi. Anzi, se costoro pretendessero di metter bocca sul calcolo delle portanze alari o dei materiali per le turbine, non solo nessuno gli darebbe retta, ma tutti gli darebbero di pazzi furiosi, come minimo. Invece, quando si parla di riscaldamento globale, curiosamente, in nome della democrazia e della libertà di espressione si ritiene che si debbano pazientemente ascoltare anche gli incompetenti più totali che, tuttavia, pretendono di aver ragione. Il risultato è un dibattito calcistico stile "bar sport", solo che ci può fare dei danni immensi.

Certe volte, in effetti, ti verrebbe la voglia di lasciar perdere e farti una bella partita di briscola con gli amici come ai bei tempi.

lunedì, settembre 21, 2009

La sconfitta dei negazionisti climatici

"Il riscaldamento globale non esiste"
"Il riscaldamento globale è stato inventato dai media!"
"Il riscaldamento globale esiste ma non è colpa nostra!"
"Dobbiamo salvare l'economia, non il pianeta?"

"Come fanno i politici a respirare sott'acqua in quel modo? Hanno enormi riserve di aria fritta"




Abbiamo sentito ripetere fino alla nausea negli ultimi tempi che la terra si starebbe "raffreddando". Bene, gli ultimi dati che arrivano dal NOAA indicano chiaramente che non è così.

Quest'estate ha visto almeno un record assoluto, quello della temperatura media della superficie degli oceani, che ha raggiunto un valore mai misurato in precedenza. L'estate è stata la terza più calda in assoluto.

Un altro record assoluto è stato la temperatura media combinata dell'emisfero sud in Agosto, anche questa la più alta mai misurata. Poi ci sono altri dati, inclusi i ghiacci artici che sono sotto la media di un buon 18%. In Italia, la situazione non è migliore, con un'estate caldissima,. Secondo i dati raccolti dall'Università di Modena, è la seconda più calda mai registrata.

Insomma, chi sosteneva che andavamo verso un raffreddamento globale dovrebbe avere buoni motivi per ricredersi. Ma ce ne sono che non cambieranno idea finché non finiremo tutti bolliti e anche allora continueranno a dire, "Ma è una normale fluttuazione....... aaargh!"

martedì, agosto 11, 2009

La strategia dei Maya: estrarre gas naturale dagli idrati di metano


Sono più di trent'anni che mi occupo di tecnologia e sono tanti anni che mi sento dire che basta un pò più di tecnologia per risolvere tutti i problemi. Petrolio agli sgoccioli? Riscaldamento globale? Che problema c'è? Un po' di ricerca e sviluppo e tutto si sistemerà.

Bene - ultimamente mi sembra di essere un sacerdote Maya che ha passato la vita a fare sacrifici umani e che continua a sentirsi dire "Tutti i problemi si risolveranno se facciamo un po' più di sacrifici umani. Che problema c'è? Basta far contento il Dio sole".




Questo mi è venuto in mente leggendo questo comunicato - che vi passo in fondo. In sostanza, c'è qualcuno che si è messo a fare ricerca e sviluppo sul modo di estrarre gas naturale dagli idrati di metano. Nel caso non lo sapeste, gli idrati (o clatrati) di metano sono formati da gas naturale intrappolato nel ghiaccio ad alta pressione come risultato dell'attività batterica di molto tempo fa. Ci sono grandi quantità di questi idrati sul pianeta ed è da tempo che si pensa di trovare il modo di estrarne gas in quantità commerciali. Sembrerebbe da questo comunicato che la cosa non sia impossibile; anzi, che lo si possa fare con un buon guadagno energetico; perlomeno per un certo tipo di idrati molto concentrati.

Bene; però con gli idrati c'è un piccolo problema. Il fatto è che il metano è un gas serra molto più potente del biossido di carbonio. Che si sfruttino o no gli idrati, il problema è che con l'aumento della temperatura terrestre, gli idrati potrebbero decidere di auto-estrarsi, ovvero liberare il metano nell'atmosfera via via che il ghiaccio si scioglie. Più metano si libera, più l'atmosfera si riscalda e più velocemente il ghiaccio si scioglie; liberando altro metano. Questo meccanismo genera una reazione quasi esplosiva. E' già successo più di una volta nel remoto passato, e il risultato è stato la catastrofe planetaria: estinzioni di massa, anossia atmosferica, surriscaldamento del pianeta e cosette del genere. Per fortuna, non potremo mai estrarre tutti gli idrati di metano che ci sono, ma anche l'estrazione di una piccola parte potrebbe fare grossi danni e mettere in moto un meccanismo spaventoso che poi non sapremmo più come fermare.

Mi immagino che in questo lavoro sull'estrazione degli idrati ci sia stata gente che ha fatto un bel lavoro, ci si è entusiasmata, anche. E tutto questo per peggiorare il problema, e di molto. Andare a stuzzicare gli idrati per risolvere i nostri problemi energetici non è più intelligente dell'idea dei Maya di risolvere i problemi della loro agricoltura con i sacrifici umani.


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Mining "Ice That Burns"

Trapped in molecular cages resembling ice, at the bottom of the ocean and in terrestrial permafrost all over the world, is a supply of natural gas that, by conservative estimates, is equivalent to twice the amount of energy contained in all other fossil fuels remaining in the earth's crust. The question has been whether or not this enormous reserve of energy, known as methane hydrates, existed in nature in a form that was worth pursuing, and whether or not the technology existed to harvest it.

Last Friday, the United States Geological Survey (USGS) announced the discovery of suitable conditions for mining methane hydrates 1,000 meters beneath the seabed in the Gulf of Mexico. Together with Chevron and the U.S. Department of Energy, the USGS discovered the reserve of hydrates in high concentrations in 15-to-30-meter-thick beds of sand--conditions very much like terrestrial methane hydrate reserves, which have already yielded commercially useful flow rates. These deposits are substantially different from the gas hydrates that have previously been discovered in U.S. coastal waters, which exist in relatively shallow waters at the surface of the seabed and have become a concern for climate scientists because of their potential to melt rapidly and release large quantities of methane into the atmosphere.

In the spring of 2008, a joint Canadian-Japanese expedition in Mallik in the Northwest Territories, Canada, established that methane hydrates could be harvested by using a water pump to depressurize a well already drilled into the reserve. This involved lowering the pressure pumping out the water that naturally accumulates in the well. Crucially, it required only 10 to 15 percent of the energy represented by the gas that flowed out of the well, making it a much more viable approach than earlier methods used to harvest hydrates, which involved melting them with warm water. Standard oil and gas drilling equipment was used to reenter an old well drilled to a depth of 3,500 feet and then "refurbish" it by casing the entire well with lengths of steel tubing that cemented into place in order to prevent it from collapsing.

Hydrates require both cold temperatures and high pressure to form; eliminating either condition frees the gas from its icy cage, but past attempts to do this by heating the hydrates proved prohibitively difficult. The Canadian-Japanese expedition successfully produced up to 4,000 cubic meters of gas a day during a six-day trial in 2008 using depressurization.

"I think [the Gulf of Mexico find] and Mallik are two revolutionary events," says Timothy Collett, a geologist with the USGS and one of the world's foremost authorities on gas hydrates.

While no one believes that all of the world's methane hydrates will be recoverable, the scale of global reserves has been described by the U.S. Department of Energy as "staggering." They occur anywhere that water, methane, low temperatures, and high pressure co-occur--in other words, in the 23 percent of the world's land area covered by permafrost and at the bottom of the ocean, particularly the continental shelf.

Increased interest in naturally occurring methane hydrates has been driven by the desire for energy independence from the Middle East and Russia and by the need to find energy sources with less of a potential impact on the climate than coal. (Natural gas produces half as much carbon as coal per unit of energy.) This is reflected by an exponential growth in the number of scientific papers published on the subject per year, according to Carolyn Koh, codirector of the Center for Hydrate Research at the Colorado School of Mines. More than a dozen expeditions designed to harvest or sample terrestrial and marine hydrate reserves have been launched since 2001, not only in the United States and Canada, but also in Japan, Korea, China, and India, according to Collett.

While the USGS has not yet calculated the total size of the potential methane hydrate reserve in the Gulf of Mexico, Collett and his colleagues have calculated the scale of another much more accessible reserve where they hope to perfect the technology required for long-term production of methane hydrates: Alaska's North Slope.

The North Slope is already home to a great deal of conventional oil and natural gas extraction (it's the northern terminus of the trans-Alaska pipeline), and it is, not coincidentally, just a few hundred miles west of Mallik.

The USGS used sophisticated three-dimensional modeling and assessment techniques to estimate the probable amount of recoverable gas from Alaska's North Slope: the median yield was calculated to be 85.4 trillion cubic feet, or four times as much natural gas as the United States uses in a year. The model was built using seismometers that peer into the earth like sonar, listening for the propagation of sound waves generated by a controlled source; recordings of that data can be turned into a complete picture of the size and shape of the hydrate reserves.

"This would be the single largest assessed volume of gas resources in the U.S.," says Collett, who cautions that his calculations reflect only what is technically producible from the field but don't take into account whether or not it will be economical to do so.

Mallik has taught scientists how to produce gas from methane hydrates, and the reservoirs in Alaska's North Slope and the Gulf of Mexico suggest that Mallik is not a unique case. The real challenge, however, will be figuring out how to extract sufficient gas economically. This depends on the proximity of the hydrates to existing pipelines and the price and availability of natural gas: no one will pay to develop new resources, after all, until the old ones have become sufficiently expensive.

To date, none of the world's extraction or assessment attempts have been primarily funded by industry. Companies that have participated in methane hydrate field research in North America include Chevron, ConocoPhilips, and BP.

"The question is, does the industry have the ability to stand on its own without government support?" says Collett. "At some point, they will be, and we think we're now nearing that breaking point."

The United States is not the only country with plans to attempt long-term production tests of methane hydrates. Japan is spending by far the most money on methane hydrate research; it provided most of the funding for the Mallik tests, which were sponsored by the Japan Oil, Gas and Metals National Corporation and by Natural Resources Canada, with field operations by Aurora College/Aurora Research Institute and support from Inuvialuit Oilfield Services.

According to the Center for Hydrate Research's Koh, Japan is investing heavily in attempts to harvest deep-sea hydrate reserves discovered off the southern coast of Japan in the Nankai Trough.

"The Japanese are planning commercial production from the Nankai Trough by 2017," says Koh. If they succeed, Japan will tap the first domestic fossil-fuel reserves the country has ever known.

mercoledì, giugno 24, 2009

James Hansen arrestato in Virginia


James Hansen, climatologo della NASA


Sta facendo il giro del mondo la notizia dell'arresto - ieri, 23 Giugno - di James Hansen, climatologo della NASA, mentre protestava contro una miniera di carbone in Virginia. Hansen è uno dei climatologi più attivi e più noti nel campo degli studi sul riscaldamento globale.

Sono stato in contatto più di una volta con Hansen e i suoi collaboratori. La senzazione che hai parlando con loro è chiarissima: chi lavora seriamente sulla questione del riscaldamento globale si rende conto sempre di più che siamo nei guai. Eppure, mentre gli scienziati raccolgono dati, il pubblico e i politici si perdono in polemiche sciocche e senza costrutto.

E' la frustrazione nei riguardi dell'inazione e all'ignoranza che circonda il problema del riscaldamento globale che ha spinto Hansen al gesto clamoroso di una pubblica protesta come quella di ieri. Non basta certamente questo, ma se Hansen l'ha fatto vuol dire che ci vuol dare una scossa a tutti quanti: fare qualcosa contro il riscaldamento globale è urgentissimo.

Rischiamo seriamente quella "transizione verso un pianeta diverso" di cui Hansen ha parlato spesso. Non so cosa ne pensate voi, ma a me il pianeta piace così com'è, e non ne vorrei un altro.


Piu' informazioni a:

http://dotearth.blogs.nytimes.com/2009/06/23/hansen-of-nasa-arrested-in-coal-country/?hp

martedì, maggio 19, 2009

La bufala del raffreddamento globale

Il riscaldamento globale? E' una bufala, infatti negli anni '70 gli scienziati prevedevano un'imminente era glaciale. Allora si temeva che la Terra si stesse raffreddando, ora si teme che si riscaldi troppo, in realtà sono solo fisime di persone che scambiano oscillazioni casuali per tendenze a lungo termine.
Quante volte abbiamo sentito o letto queste frasi (ad es. qui)? Molto citato un articolo del Newsweek, che si rifà ad un articolo di Science News del 1975 in cui si paventava l'arrivo imminente di una nuova era glaciale. L'articolo esiste veramente, e si intitola "Climate change: chilling possibilities".

Ma come stanno le cose? Cosa pensava davvero il mondo scientifico nel 1975?

Mi è appena arrivato l'ultimo numero di "Skeptical Inquirer", il giornale del Committe for Scientific Inquiry, l'analogo statunitense del nostro CICAP. Dentro ben due articoli sul riscaldamento globale, affrontati cercando di riportare su un terreno scientifico bufale che di scientifico han poco. Uno dei due affronta proprio il "grande mito del raffreddamento globale".

L'autore parte dalla storia delle ricerche sul clima. Che l'anidride carbonica prodotta dall'uomo potesse produrre un riscaldamento globale lo si sapeva già dai lavori di Arrhenius del 1896. Che il rischio fosse concreto lo si sospettava almeno dal secondo dopoguerra. Nei primi anni 70 cominciano ad essere utilizzabili le serie storiche di temperature medie globali, e con una discreta sorpresa gli scienziati scoprirono, contrariamente alle attese, che era in atto un raffreddamento. La questione è evidentemente molto più complessa, c'entrano gli aerosol atmosferici (no, non quelli delle scie chimiche), l'attività solare, eccetera. E durante gli anni '70 gli scienziati mettono insieme tutti questi pezzi, valutano gli effetti di queste cose, arrivando rapidamente ad avere un quadro del problema non distante dall'attuale.


L'autore passa quindi in rassegna gli articoli sul tema pubblicati in riviste scientifiche tra il 1965 e il 1979, trovando che la stragrande maggioranza (44 su 71) considerava probabile un riscaldamento globale nel prossimo futuro. Solo 7 ipotizzavano un possibile raffreddamento. Anche l'articolo di Science News del 1975 è in realtà molto cauto, parla di una possibilità ma evidenzia tutte le incertezze del caso, e nota come il riscaldamento globale antropico sia comunque dietro l'angolo e possa rovesciare la tendenza al raffreddamento (come è successo).

Un' altra frequente citazione riguarda un rapporto del National Science Board del 1974, in cui si diceva che "A giudicare dalle misure storiche delle ere interglaciali passate la situazione attuale di clima mite terminerà ... e ci condurrà alla prossima era glaciale". La citazione appare anche nell'appello del sen. Inhofe (quello dei 700 scienziati che negano il riscaldamento globale), ma non cita la frase successiva del rapporto, che colloca l'imminente era glaciale "nei prossimi 20.000 anni".

In conclusione anche la storia degli scienziati che 30 anni fa ci minacciavano un'era glaciale imminente è un mito. Con un grano di verità, allora i modelli climatici erano ai primordi e il riscaldamento era molto meno evidente di ora, mascherato da altri effetti. Ma anche allora l'idea diffusa tra gli scienziati era quella di un riscaldamento globale dovuto all'anidride carbonica che produciamo.

Un po' come la storia della verde Groenlandia, di Marte, Giove e Nettuno che si riscaldano, dei ghiacci artici tornati ai livelli del 1979, e dei tanti miti che alimentano il negazionismo climatico.

Riferimenti:


  • J. Fleck: "The Great Global Cooling Myth and the Politics of Science", Skeptic Inquirer, 33(3), pag. 20 (2009)

  • J. Douglas, "Climate change, chilling possibilities", Science News 107(9), pag. 138 (1975)

  • T. Peterson, T. Connolley, J. Fleck "The myth of the 1970s Global Cooling scientific consensus", Bulletin of the American Meteorological Society, 89(9), pag. 1325-1337

  • La voce "Global cooling" della wikipedia contiene una buona rassegna delle posizioni sull'argomento negli anni '70.

sabato, marzo 07, 2009

Fuoco e Ghiaccio

Fuoco e ghiaccio: immagine da "purplebliss"


Esce oggi su "The Oil Drum" un mio post intitolato "Fuoco e ghiaccio, l'effetto del picco dei combustibili fossili sui modelli climatici. " Nel post discuto i risultati di un certo numero di articoli apparsi recentemente nella letteratura scientifica e su internet a proposito di come il picco del petrolio e dei combustibili fossili modifica le conclusioni dei modelli climatici.

Non ci sono molti articoli in questo campo: è stato un review molto facile a farsi. Ma quelli che ci sono sono molto interessanti perché concordano sul fatto che lo scenario "business as usual" (bau) dell'IPCC non sara veramente bau. Ovvero, con tutta la buona volontà, non riusciremo mai ad arrivare ai livelli di oltre 1000 parti per milione (ppm) di CO2 nell'atmosfera che lo scenario prevede se non si prende nessun provvedimento per ridurre le emissioni. I modelli che tengono conto del picco indicano che ci dovremmo attestare fra 450 e 550 ppm, circa, per il solo effetto del graduale esaurimento delle risorse.

Un respiro di sollievo? Forse si; però c'è poco da stare tranquilli. Le incertezze sono immense e anche entro questi livelli di concentrazione di CO2 la temperatura potrebbe salire di oltre un grado e mezzo. Le conseguenze sarebbero molto pesanti sull'agricoltura e sul modo di vivere degli abitanti delle regioni tropicali e temperate. Da notare che, se il picco del petrolio può evitare certi estremi di temperatura, rende anche difficile adattarsi per via della minore disponibilità di energia. Per esempio ci sarà difficile rispondere con aria condizionata negli edifici e con il trasporto di generi alimentari verso le regioni danneggiate dal cambiamento. Su tutto questo, poi, aleggia la spada di Damocle degli idrati di metano che potrebbero partire a far danni per conto loro, indipendentemente dal picco o non picco.

Insomma, una situazione molto difficile; nel mio post su TOD concludo che non è detto che ci troveremo davanti a una scelta fra fuoco (riscaldamento globale) e ghiaccio (esaurimento dei combustibili). Piuttosto, ci potrebbero arrivare addosso tutte e due le cose: fuoco e ghiaccio.

martedì, febbraio 17, 2009

Gli allarmisti di Katrina



Anni fa, mio zio è morto di un tumore ai polmoni. Era lo zio ingegnere che sapeva un po' tutto di tutto. Da lui avevo imparato tante cose: come costruire una radio a galena, come sparare col fucile da caccia, come trovare i pianeti nel cielo e guardarli con il telescopio. Se ho studiato scienza all'università e ho fatto la carriera che ho fatto, è stato molto per via dalla sua influenza.

C'era una cosa, però, che da lui non ho imparato: fumare. Non ho mai fumato una sigaretta in vita mia, se non per scherzo e facendo finta ogni volta di soffocare. Invece, mio zio era sempre stato un fumatore incallito e uno dei ricordi che ho di lui quando ero piccolo erano le sue dita gialle di tabacco. Quando è morto, aveva poco più di cinquant'anni e lasciava cinque figli, di cui uno di sei anni. Mi ricordo che maledissi le sigarette e chi le vendeva.

Anni dopo, mi ricordo che raccontai questa storia a un collega; anche lui accanito fumatore. Volevo fargli capire che avrebbe dovuto smettere. Ma lui mi rispose: "ma come fai a dire che tuo zio è morto per colpa delle sigarette? Tanta gente muore di cancro ai polmoni, anche chi non fuma." E se andò in una nuvola di fumo azzurrino.

Questa storia mi è ritornata in mente discutendo con Carlo Stagnaro nei commenti di un post precedente, intitolato "ghiaccio agghiacciante". La ragione del contendere era il confronto fra gli opposti estremismi nella questione climatica: da una parte la compiacenza di chi trascura il problema dall'altra l'allarmismo di chi lo ingigantisce.

Io sostenevo che non c'è veramente un problema di allarmismo. Al massimo, secondo me, si trova sui vari blog e commenti qualche ingenuo che vede il global warming in ogni giornata di sole. Stagnaro, invece, sosteneva che anche i sostenitori del Global Warming Antropogenico fanno spesso dell'allarmismo, citando sia i ghiacci polari come l'uragano Katrina del 2005.

Vale la pena di ragionare su questo punto, specialmente a proposito della questione Katrina dove, effettivamente, si può sostenere che c'è chi ha un po' esagerato con la relazione con il riscaldamento globale. Mi ricordo, infatti, di aver sentito Sharon Stone a un convegno dire a proposito di Katrina che "non vi sembra che la Terra stia cercando di scrollarsi di dosso gli esseri umani?" Frase a effetto, indubbiamente, ma non proprio esatta. Ma è allarmismo, questo? E che differenza c'è fra "allarmismo" e "allarme"? A questo punto, credo che abbiate capito perchè sono partito in questo post raccontandovi la storia della morte di mio zio. Sarebbe stato allarmismo dire a mio zio che avrebbe fatto bene a smettere di fumare? Oppure sarebbe stato un allarme giustificato?

I fabbricanti di sigarette avrebbero certamente parlato di allarmismo, specialmente al tempo in cui mio zio fumava un pacchetto di sigarette dopo l'altro, negli gli anni 1960 e 1970. A quel tempo, cercavano ancora di convincere la gente che il fumo non faveva male. Ma il primo studio statistico che correlava fumo e tumori risale al 1929 e già nel 1964 l'evidenza era talmente chiara che il "Surgeon General" degli Stati Uniti aveva dichiarato ufficialmente che il fumo era pericoloso per la salute. Queste cose, mio zio non poteva non saperle. Doveva anche essergli chiaro il principio di precauzione, dato che lavorava come ispettore della sicurezza degli edifici. Eppure, ha continuato a fumare fino all'ultimo. Con tutta l'ammirazione che avevo, e ho tuttora, per mio zio, devo dire che si è comportato da irresponsabile.

Ora, tornando all'uragano Katrina e al riscaldamento globale, quello che possiamo dire è che un uragano è il risultato di una catena di eventi molto complessi; masse d'aria che si scaldano, venti che soffiano, temperature dell'oceano che variano. Per trovare un legame diretto e casuale con il riscaldamento globale dovremmo seguire tutti questi eventi complessi e alla fine non arriveremmo a provare niente. Ma quello che possiamo dire è basato sulla statistica: la frequenza degli eventi estremi come gli uragani è molto aumentata in funzione dell'aumento di temperatura degli oceani. Così come la probabilità di un tumore ai polmoni aumenta se uno fuma, la probabilità di un evento come Katrina è maggiore a causa del global warming.

Così, chi vive in zone soggette agli uragani può anche non aver capito bene i dettagli e le correlazioni statistiche - ma non è allarmismo se gli diciamo che farà bene a non sentirsi troppo tranquillo e a prendere delle precauzioni per una possibile emergenza. Sarebbe da irresponsabili ignorare il problema. Lo stesso vale per tutte le altre manifestazioni del riscaldamento globale; dalla siccità alle ondate di calore. Non è allarmismo parlarne e neppure prendere delle precauzioni. E se fumate, pensateci sopra: sarà allarmismo, ma se smettete è meglio per la vostra salute.

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(ah.... se vi incuriosisce, quel collega che avevo cercato di convincere a non fumare oggi ha quasi settant'anni e, per quanto ne so, sta benissimo!