Il blog di ASPO-Italia, sezione italiana dell'associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas (ASPO)
giovedì, luglio 19, 2012
Smentito il Picco del Petrolio? Il Meccanismo della Negazione al Lavoro
sabato, luglio 07, 2012
Il picco del petrolio e il ritorno degli abbondantisti
martedì, maggio 08, 2012
Picco? Quale picco? Sta tornando Re Carbone!
Pubblicato su "Effetto Cassandra"
Re Carbone potrebbe tornare per salvarci dal picco del petrolio, ma condannandoci ad un peggior destino in termini di riscaldamento globale (immagine dal National Media Museum).
Il carbone sembrava aver raggiunto il proprio picco nel 1990, ma era un'illusione. La crescita della produzione di carbone durante il primo decennio del 21mo secolo è stata impressionante: mai vista prima nella storia. Quindi, Re Carbone sta tornando e potrebbe presto reclamare il titolo di sovrano del mondo dell'energia che aveva perso negli anni 60.
lunedì, gennaio 30, 2012
La produzione di tempo
giovedì, gennaio 26, 2012
Nature e il picco del petrolio

Ma la scena mi è immediatamente tornata in mente leggendo il numero di oggi di Nature, la più prestigiosa rivista scientifica internazionale. Vi compare un articolo di commento sulla situazione della produzione mondiale di petrolio. La cosa più carina è questo grafico, che mostra come variano i prezzi in funzione della produzione.

Fino al 2004 (punti azzurri) un aumento della produzione, e quindi dei consumi, causava un aumento proporzionale dei prezzi, che all'incirca raddoppiavano per un aumento dei consumi da 64 a 74 milioni di barili al giorno. Da allora la produzione è rimasta sostanzialmente inchiodata a 74 milioni di barili al giorno (è inelastica), con i prezzi che vanno selvaggiamente su e giù (più su che giù), seguendo più che altro l'andamento della crisi economica. C'è una leggera tendenza ad un aumento della produzione con i prezzi, ma per arrivare a 75 milioni di barili il prezzo deve superare i 100-120$. Detto in altre parole il petrolio che possiamo estrarre è quello, fatevelo bastare.
Ma un prezzo del petrolio sopra i 100$ è, a detta di diversi economisti, incompatibile con la nostra economia. Non si tratta solo delle code al distributore, il petrolio entra praticamente in tutto: energia, cibo (fertilizzanti, agricoltura meccanizzata), distribuzione e trasporti (vedi cosa succede per un banale sciopero di un po' di trasportatori), materie plastiche... E quindi stiamo vivendo da alcuni anni in una situazione in cui oscilliamo lungo un ciclo: prezzi del petrolio alti -> crisi economica -> contrazione dei consumi -> calo (relativo) dei prezzi -> timida ripresa di economia e consumi -> prezzi alti. Governo Monti, default greco, crisi dei subprime USA, alla fine tutto è causato ANCHE da quel grafico lì sopra. E per far capire la cosa anche a chi legga distrattamente, un occhiello evidenzia la frase “The price of oil is likely to have been a large contributor to the euro crisis in southern Europe.” Il prezzo del petrolio probabilmente ha dato un grosso contributo alla crisi dell'euro nell'Europa meridionale.
Le brutte notizie però non sono finite. I pozzi di petrolio esistenti stanno calando la produzione di circa il 5% l'anno (4,5%-6,7% secondo diverse fonti). La produzione di 74-75 Mil. di barili viene mantenuta mettendo in produzione nuovi giacimenti, scoperti gli anni passati e sempre più costosi. Ma per mantenere la produzione per tempi lunghi, diciamo fino al 2030, occorrerebbe scoprire un paio di nuove Arabie Saudite. Che semplicemente non esistono. Insomma, il petrolio non è finito, ne avremo ancora per un bel po', ma sempre meno e sempre più caro. Le code ai distributori sono un assaggio di quel che vivremo tra non troppi anni. E di conseguenza questa crisi non finirà mai.
Si passa quindi in rassegna le alternative. Petrolio da sabbie bituminose? Ce nìè un sacco, ma è difficile, inquinante (1) da produrre. Il Canada potrebbe arrivare a produrne 4,7 milioni di barili al giorno, il Venezuela altri due. Il carbone? Le stime delle riserve sono state recentemente riviste al ribasso (2), il carbone che si può ragionevolmente pensare di estrarre è solo una piccola parte di quanto si stimasse. Molte speranze sono state poste nel metano, in particolare allo "shale gas"(3), che però sembra molto più difficile (ed inquinante) da estrarre del previsto. A un certo punto il giacimento si rifiuta di produrre, il metano resta intrappolato nelle rocce e la produzione crolla.
Tra le conclusioni mi sembra spicchi "questioning if and how economic growth can continue without an increase in fossil fuels" (chedersi se e come si possa mantenere una crescita economica senza una crescita dei combustibili fossili). E un aumento delle tasse sui consumi petroliferi va nella direzione giusta, perché costringe ad essere più efficienti. Ma qualsiasi cosa vada fatta, va fatta ora.
Note
(1) Ed energivoro. Alla fine diventa un cane che si morde la coda, se devo utilizzare tanta energia quanta poi ne ricavo dal petrolio estratto faccio prima a lasciarlo dov'è. In pratica, considerando tutti gli altri costi energetici, non conviene estrarre petrolio se impiego più di un terzo dell'energia che ne ricavo.
(2) dimezzate rispetto al 2004, ridotte ad un quinto rispetto agli anni '90
(3) Lo "shale gas" è metano intrappolato in una roccia porosa, ma in cui i pori non comunicano tra di loro. Viene estratto fratturando la roccia, ad es. pompandoci dentro acqua in pressione.
giovedì, dicembre 22, 2011
L'irresponsabilità di essere (tecno)ottimisti
Apparso il 19 Aprile 2010 su The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti.
Pubblicato anche su Effetto Cassandra

domenica, novembre 20, 2011
Petrolio e complessità (quasi una recensione)



giovedì, settembre 29, 2011
Aspoitalia e il dibattito italiano sul picco del petrolio
Nell'articolo si riprendono alcune delle opinioni sul Picco del Petrolio del Prof. Vaclav Smil da questi già espresse nel suo recente libro: “Energy Myths and Realities” e in un articolo reperibile in rete [1].
Il Picco del Petrolio sarebbe un falso mito. Nella sostanza l'articolo di Pinna e le pubblicazioni citate non aggiungono nulla di nuovo rispetto alla ricca letteratura meta-scientifica che si occupa di sfatare il mito del Picco del Petrolio.
Pinna, Smil e recentemente Yergin del Cambridge Energy Research Association adottano argomentazioni datate: non è vero che il petrolio è finito, anzi ne abbiamo sempre di più. Con questo essi intendono dire che ne abbiamo sempre di più da annoverare fra le risorse conosciute.
L'affermazione è tanto discutibile quanto inutile e non risolve il problema dell'offerta di combustibili liquidi.
E' infatti essenziale estrarlo quel petrolio, cioè produrlo.
L'impegno delle compagnie petrolifere, tutte le tecnologie dispiegate e il prezzo del barile (che nel decennio 1998-2008 è aumentato di un fattore 10 e oggi oscilla su valori non lontani dai 100 USD/barile) hanno permesso di impedire il declino della produzione di liquidi combustibili, ma lo hanno fatto attingendo a risorse assai più costose energeticamente ed economicamente, bilanciando il calo di produzione del petrolio convenzionale che, come previsto dagli stessi geologi citati nell'articolo di Pinna, ha avuto il suo picco attorno al 2005.
I fatti sono quantitativamente descritti nel seguente grafico tratto da The Oil Drum [2].
Qui è visibile il “plateau” (l’altopiano disegnato dalla stasi produttiva) nel quale ci troviamo dal 2004 e che viene faticosamente mantenuto a causa delle crescenti difficoltà di individuazione e di estrazione, nonché leg

Dalla prima metà del secolo scorso ad oggi il costo energetico di estrazione (determinato dal rapporto tra la quantità di energia investita e quella che se ne ricava, definito ERoEI), su cui pesano anche le sempre più onerose azioni di ripulitura ambientale (come quelle del Golfo del Messico), è aumentato in media di 10-15 volte. Un processo negativo che riduce di fatto la risorsa netta estraibile e quindi realmente disponibile.
Le nuove tecnologie introdotte possono in realtà solo allungare di qualche anno questo stato di stallo produttivo, dopodiché l'inizio della discesa della disponibilità di greggio sarà inevitabile.
Considerazioni analoghe sono contenute in recenti documenti del JOE (The Joint Operating Environment) del Comando delle Forze Armate USA, del Dipartimento dell’Energia del governo USA (DoE) e del Zentrum für Transformation der Bundeswehr, un Centro di Ricerca dell’esercito tedesco.

Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia nel suo ultimo rapporto colloca nel 2008 il picco della produzione di greggio convenzionale dei giacimenti già in produzione e nel 2015 quello deigiacimenti che si stanno ora sviluppando.
Successivamente il mantenimento del livello di produzione risulterebbe garantito solo da improbabili nuove scoperte che si potessero estrarre tempestivamente.
Le altre energie fossili (gas e carbone) seguono trend ed evoluzioni peggiorative dell’ERoEI analoghe, anche se non temporalmente coincidenti. Possibili processi di sostituzione di una fonte energetica primaria con un’altra non sarebbero comunque in grado di soddisfare una domanda di energia globale tendenzialmente in costante crescita.
Il problema non è la quantità di energia fossile che possiamo contemplare attraverso i sofisticati mezzi della prospezione geologica, ma la quantità di petrolio (o di gas o carbone) che possiamo estrarre a costi che il sistema economico globalizzato (largamente dipendente da un flusso ininterrotto di energia a buon mercato) può permettersi senza andare in tilt come nell'estate del 2008.
Allora, in concomitanza con il picco assoluto del prezzo del barile, il sistema finanziario inciampò nella realtà fisica che è alla base della ricchezza monetaria, piombando in un crisi da cui ancora nessuno sa quando e se si potrà uscire.
[1] Vaclav Smil - Peak oil: A Catastrophist Cult and Complex Realities - http://www.vaclavsmil.com/wpcontent/
uploads/docs/smil-article-2006-worldwatch.pdf
[2] http://www.theoildrum.com/node/8391
lunedì, agosto 22, 2011
Ma quando arriva l'apocalisse?
Allora, arriva o non arriva questo famoso picco del petrolio? Sembra che ci sia gente ormai impaziente in proposito.
La situazione è ancora poco chiara. Continua da cinque anni almento il "pianoro produttivo"; va un po' su, va un po' giù, ma non si decide a prendere una direzione ben precisa. Il picco, in effetti, è qualcosa che potremo vedere soltanto "nello specchio retrovisore". Se vedremo nel prossimo futuro calare nettamente la produzione, e se questa tendenza si manterrà per almeno un anno o due, allora potremo riguardare tutta la curva e dire "Il picco è stato nell'anno x". Ma ancora non possiamo dire niente di preciso.
Quando arriveremo a guardarci alle spalle in questo modo, tuttavia, stabilire l'anno del picco sarà soltanto un dettaglio. Il picco non è un evento particolare; è soltanto un punto su una curva continua. Il cambiamento fra prima e dopo il picco è graduale; non ci sono discontinuità importanti. Quello che è importante sono le conseguenze del graduale aumento dei costi del petrolio; è questo che causa il picco, ma causa anche i problemi che vediamo.
In sostanza, qui nessuno fa profezie; nessuno prevede l'apocalisse, nessuno parla di fine del mondo. A partire dai dati che abbiamo, facciamo delle ragionevoli interpretazioni. Via via che nuovi dati arrivano, le predizioni possono cambiare un po'; ma raramente vengono stravolte. Nel complesso, direi che la capacità predittiva di ASPO continua a rivelarsi più che buona.
Per fare un esempio delle previsioni del passato, questo è quello che scrivevo nel mio libro "La Fine del Petrolio" del 2003.
Ci si aspetta che il picco del petrolio «convenzionale», il petrolio greggio, potrebbe registrarsi entro i primi anni del 2000. Il picco per tutti gli idrocarburi liquidi avverrà piú tardi, verso il 2010. Come abbiamo detto, i vari esperti danno valori diversi per i punti di picco, ma in sostanza dai dati disponibili vediamo come la «transizione petrolifera» potrebbe essere imminente. Nessuno ha voglia di rischiare una figuraccia gridando troppo presto «al lupo!» e non bisogna, evidentemente, mettersi a fare i profeti di sventura. Anzi, è il caso di dire con chiarezza che arrivare al picco di produzione non significa l’esaurimento delle riserve di combustibili. In primo luogo, abbiamo ancora gas naturale che, sempre secondo C. Campbell non dovrebbe raggiungere il picco fino al 2030-2040. Inoltre, al momento del picco avremo ancora notevoli riserve di petrolio.Bisogna però anche dire con chiarezza che arrivare al picco vuol dire affrontare dei cambiamenti radicali di tipo economico, ovvero principalmente un aumento dei prezzi. Il picco di produzione corrisponde al punto in cui il progressivo declino delle riserve farà sí che la domanda superi le capacità di produzione. Dopo la transizione, gli incrementi nella domanda non potranno piú essere assorbiti da aumenti di produzione. Ci aspettiamo di conseguenza che i costi del petrolio aumenteranno, sia per ridurre la domanda, sia per finanziare nuovi pozzi o lo sviluppo di nuove fonti di energia. Le conseguenze che potrebbero derivare sono note dall’esperienza passata degli anni settanta e ottanta: crisi economica, disoccupazione, recessione e inflazione.
giovedì, aprile 28, 2011
ASPO-9 a Brussels: la seconda giornata
Entra nel vivo oggi il convegno ASPO di Bruxelles. Va detto che per molti di noi certe cose sono già note, quindi tralascio di relazionare su molte presentazioni - come quella di Dave Murphy sull'EROEI - che sono cose che conosciamo bene. Magari le conoscessero bene anche i politici e gli economisti, ma si sa, ormai, che questa è una pia speranza.
Invece, oggi c'erano proprio loro: gli economisti. Il primo è stato Jeff Rubin - economista canadese molto noto. Ha parlato per un'ora di cose orribili, bancarotta imminente della Grecia e del Portogallo, fine dell'Unione Europea entro un anno e mezzo, cosette del genere. Ma sempre in modo obliquo; dicendo e non dicendo. Non ha mai menzionato il picco, se non preceduto dalla parola “cosiddetto”. Alla fine, si è limitato a dire “fine della crescita”; ma ha indorato la pillola dicendo che non è la fine del mondo. Sembrava un prete dal pulpito. Sembrava un po' che dicesse , "si, siete dei peccatori e rischiate le fiamme dell'inferno, ma ora confessatevi e pentitevi, che poi tutto andrà bene."
Poi è arrivato Doug Reynolds, economista americano basato in Alaska. Reynolds lo conosciamo bene in ASPO; è stato anche in Italia su mio invito qualche anno fa. Lui ha sparato giù di brutto: altro che “no growth”. Ha fatto l'esempio dell'Unione Sovietica e parlato di iperinflazione, collasso del sistema, collasso del sistema sanitario, collasso del sistema militare. Suggerisce di fare scorta di cose come alcool e sigarette, che saranno la moneta del futuro.
A questo punto, ho chiesto ai "distinguished economists of the panel" una cosa che mi ero sempre domandato: Come mai negli anni '70 l'inflazione era tanto più alta che oggi? Devo dire che Rubin mi ha dato un'ottima risposta. In primo luogo, ha detto che c'è inflazione in paesi come Cina e India - dove le economie continuano a crescerre. Ma il punto fondamentale è che nei paesi occidentali non la vediamo per via dalla globalizzazione. Ovvero, l'inflazione ha lo scopo di distruggere il potere d'acquisto dei salari. In un regime di globalizzazione, questo si può ottenere altrettanto bene mediante lo "outsourcing", ovvero mettendo i lavoratori occidentali in diretta competizione con quelli dei paesi poveri. Hey, non vi ci arrabbiate: è così che funziona il mondo, baby!
Reynolds ha confermato, citando ancora l'Unione Sovietica e dicendo che l'iperinflazione esploderà non appena vedremo il petrolio toccare i 200 dollari al barile. A quel punto, aspettatevi di accendere la stufa con i biglietti da cento euro. Il moderatore ha ringraziato per l'ottimismo; ma in platea c'è stato un momento di gelo.
Più tardi. Eric Townsend ha dato un altro talk molto interessante su come gli investitori vedono il peak oil – semplicemente non lo vedono. Ha fatto vedere come il mercato dei Brent future sia tutto in backwardation – ovvero gli investitori non si aspettano di vedere un aumento dei prezzi; anzi. Dice townsend che quando dice ai traders “picco del petrolio” loro rispondono “picco cosa?” Una cosa veramente orribile che ha detto è che i “traders” sono gente che si crede di essere il top solo perché hanno trovato il modo di fare un sacco di soldi, ritengono che il concetto di “peak oil” sia stato completamente demolito dal crollo dei prezzi del petrolio che si è verificato nel 2008. Ahimé.
Anche Townsend si aspetta un “big crunch” nel futuro prossimo con iperinflazione e disastri vari. Si aspetta che ci sia un altro crollo dei prezzi a breve scadenza, con il dovuto collasso delle varie economie. Insomma, questa cosa gira.
Insomma, dopo questa panoramica credo che si rischia che non ci sia mai un ASPO-10, perché saremo tutti troppo occupati a coltivare patate.
Comunque, la conferenza è continuata con vari talk. Il più interessante credo sia stato quello di Euan Mearns, che è tornato al fantasma che aleggia sulla conferenza: quello della relazione fra peak oil e climate change. Euan Mearns – si sa – è un negazionista climatico, ma o ha cambiato idea oppure non lo ha dato a vedere; saggiamente. Ha fatto un discorso giusto: se aumentiamo l'efficienza energetica saremo in grado di permetterci risorse più costose – questo vuol dire che potremo continuare a estrarre risorse sporche come tar sands e shale gas. E questo vuol dire che la maggiore efficienza energetica ci potrebbe portare a emettere ancora più CO2.
Alla mia domanda se secondo lui è veramente possibile sequestrare la CO2 – Mearns risponde che secondo lui si può forse fare dal punto di vista geologico, ma è probabilmente impossibile dal punto di vista finanziario.
Domani ultimo giorno di conferenza. Relazione a seguire
martedì, gennaio 25, 2011
Roma: la fine del mondo!
Gli organizzatori del convegno di quest'anno della serie "Il festival della scienza" hanno avuto un certo coraggio a intitolarlo "La fine del mondo: istruzioni per l'uso". Il rischio era di farsi dare di catastrofisti, allarmisti, distruzionisti, disumanisti e chissà che altro. Però, se l'idea è di spettacolarizzare un po' la scienza per renderla interessante per il grande pubblico, allora bisogna un tantino calcare la mano. Il titolo serve per attirare l'attenzione, l'importante è che i contenuti siano corretti.
giovedì, dicembre 09, 2010
L'Italia dopo il picco del petrolio

La storia del nostro paese ha determinato la natura di questa anomalia. Dopo la disfatta della seconda guerra mondiale, il quadro nazionale fu monopolizzato da due partiti molto lontani dagli orientamenti politici europei: la Democrazia Cristiana, espressione politica delle masse cattoliche escluse fino a quel momento dal “non expedit” di Pio IX e il Partito Comunista strettamente collegato al regime stalinista.
In conseguenza di questa situazione, l’Italia divenne di fatto uno snodo cruciale tra i due blocchi contrapposti facenti capo agli Stati Uniti e all’Unione Sovietica. Ciò determinò da una parte la subordinazione degli interessi nazionali alle potenze dominanti, dall’altra sancì una tutela politica extra istituzionale da parte dello Stato Vaticano e del movimento comunista internazionale.
Queste condizioni storiche consentirono la cristallizzazione per circa cinquant’anni del quadro politico nazionale e solo dopo il crollo del muro di Berlino il sistema implose, deflagrando rapidamente e rovinosamente sulla spinta di Tangentopoli.
Da allora, e sono passati vent’anni, assistiamo a una lunga serie di scosse di assestamento che stanno modificando radicalmente il sistema politico senza però condurlo ancora verso una configurazione moderna di tipo europeo. Le ragioni di una perdurante anomalia sono da ricondurre al processo contraddittorio di trasformazione della sinistra italiana, per ora materializzatosi in un Partito Democratico dall’incerta identità, alla discesa in campo di un partito legato agli interessi personali di un imprenditore privato, all’emergere di una forza politica nel nord del paese che propone addirittura la rottura dell’Unità nazionale.
Come un fenomeno carsico riemergono in superficie tendenze e pulsioni distruttive presenti nel corpo sociale del paese sin dalla sua costituzione, tenuti compressi durante la guerra fredda: le conseguenze di un processo unitario incompleto, la carenza di senso dello Stato, l’immaturità democratica che spesso sfocia nel populismo e nel desiderio dell’uomo forte.
Ma si tratta a mio parere solo di un passaggio di fase che dovrebbe condurre in breve tempo a una configurazione più stabile, favorita dalle particolari condizioni storiche, economiche ed ambientali.
La crisi economica strutturale che stiamo vivendo e il sopraggiungere del picco del petrolio accentueranno le differenze sociali e, conseguentemente, l’evoluzione del Partito Democratico verso una formazione politica di tipo socialdemocratico in grado di rappresentare adeguatamente la spinta verso una redistribuzione del reddito tra le classi sociali.
Le sempre maggiori esigenze di autosufficienza economica ed alimentare sbaraglieranno le residue velleità secessioniste della Lega, in favore di una maggiore integrazione delle aree del paese. L’inevitabile declino del berlusconismo, se non altro per ragioni anagrafiche, favorirà l’aggregazione di nuove forze politiche di ispirazione cattolica e di una nuova destra di stampo liberale.
In definitiva potremmo avere, invece della temuta disgregazione del paese, una maturazione politica e culturale in una situazione di declino economico. Molto affascinante come tema di studio.
lunedì, novembre 15, 2010
300 anni di storia del petrolio in 5 minuti
Questo video di Tod Brilliant è in inglese, ma è facilmente comprensibile e vale decisamente la pena di perderci i 5 minuti che richiede. L'originale è qui.
giovedì, settembre 16, 2010
Picco del petrolio e trasporti

Da tempo alcuni governi e le imprese fanno fare degli studi di previsioni sull’entità delle riserve di petrolio nel mondo. Nei giorni scorsi un articolo del settimanale tedesco “Der Spiegel”, generalmente bene informato, riferisce che una speciale sezione di studi sul futuro del Zentrum für Transformation (il centro per l’analisi delle trasformazioni) dell’esercito tedesco avrebbe redatto un rapporto, ancora riservato, destinato al governo tedesco, in cui sono indicati alcuni scenari di mutamenti della politica sia diplomatica sia militare necessari nel caso in cui si verifichi davvero una diminuzione della disponibilità del petrolio nel mondo. Il fatto che se ne occupino i militari fa pensare che la cosa sia seria.
Il petrolio è indispensabile e per ora non sostituibile: con l’elettricità si possono far funzionare le industrie, scaldare le abitazioni, assicurare alcuni trasporti, e l’elettricità può essere ottenuta anche senza petrolio, utilizzando il carbone, il gas naturale, con il moto delle acque e con le forze del Sole, del vento, eccetera, ricorrendo, se si vogliono accettarne i rischi ambientali, i costi e i pericoli, all’energia nucleare. Ma il settore dei trasporti stradali di persone e merci, basato sui motori a combustione interna, quelli degli attuali camion e automobili, richiede un carburante liquido che può essere ottenuto soltanto dal petrolio (i carburanti derivati dall’agricoltura hanno per ora soltanto un uso e prospettive marginali), e che rappresenta circa un terzo di tutta l’energia prodotta e consumata nel mondo.
Qui non si tratta di discutere sui mutamenti climatici, sull’inquinamento dell’atmosfera, sulla salute, sui costi monetari dell’energia, dei trasporti, delle merci; si tratta di discutere di dove e di come andare a prendere il petrolio. Chi possiede il petrolio è padrone del mondo; possono essere musulmani o cristiani, dittatori o buoni governanti. Esclusa, come hanno dimostrato le guerre perdute in Irak, Afghanistan Asia centrale, Somalia, la conquista militare dei pozzi petroliferi o degli oleodotti altrui, chi ha bisogno di petrolio dovrà trattare con i padroni del petrolio e baciargli le mani. Il gesto del presidente del consiglio dell’Italia (che dipende quasi totalmente dalle importazioni del petrolio) nei confronti di Gheddafi, può aver anticipato quello che tanti altri governanti dovranno fare adottando un nuovo stile di diplomazia.
Bisognerà diventare amici dei padroni del petrolio e nemici dei loro nemici; si profilano nuovi rapporti con Israele e gli stati arabi, fra paesi cristiani e quelli musulmani. Chi possiede il petrolio diventerà ricchissimo, il che porterà ad una nuova stratificazione di classe; oggi i nuovi ricchissimi sono arabi, musulmani, asiatici, russi e li ammireremo e adoreremo, al loro arrivo, con le loro favolose barche e ville, magari dimenticando che fanno i generosi spreconi con i soldi portati via a noi assetati di petrolio, destinati a diventare più poveri. Bisognerà andare a cercare petrolio da qualsiasi parte: nei mari profondi, negli scisti bituminosi, nelle distese ghiacciate dell’Artico, nelle paludi dei fiumi africani, in mezzo alle foreste tropicali. Altro che salvaguardia delle pantere e conservazione della natura.
Quanto meno accessibili saranno le riserve, tanto maggiore sarà la devastazione ambientale; lo si è visto nel Golfo del Messico, perché i giornali ne hanno parlato, ma i giornali non parlano delle diecine di sversamenti e inquinamenti del petrolio che ogni anno si verificano in qualche parte nel mondo, negli oceani e nei porti dalle petroliere. Pochi numeri indicano quanto sia grande la dipendenza dai padroni del petrolio ormai non solo dell’Europa e Nord America, ma anche dei nuovi giganti industriali asiatici. Ogni autoveicolo nel mondo consuma ogni anno, in media, duemila litri di benzina o gasolio e per produrre 1000 litri di carburante occorrono circa due tonnellate di petrolio. In Italia i circa 40 milioni di autoveicoli circolanti richiedono ogni anno circa 40 miliardi di litri di carburanti.
Solo una piccola frazione di questi carburanti potrebbe essere sostituita da alcol etilico o biodiesel di origine agricola, necessari, certamente, ma non risolutivi. I veicoli elettrici o quelli con minori consumi di carburanti, fanno diminuire solo di poco la richiesta di petrolio. Se i governi, soprattutto nei paesi industriali, non avranno il doloroso coraggio di proporre di comprare meno automobili, di avviare una nuova pianificazione energetica e radicali cambiamenti nella mobilità delle persone e delle merci, nella struttura delle città, nella localizzazione delle abitazioni e dei posti di lavoro, nei processi produttivi, in modo da rallentare la crescente richiesta di petrolio, dovranno essere preparati non solo a maggiori costi monetari pubblici e privati, ma a gravi forme di dipendenza politica e di instabilità e insicurezza.
Dovranno essere preparati a devoti rapporti con capi politici e religiosi oggi considerati impresentabili, solo per sfuggire al ricatto della chiusura degli oleodotti che portano nelle nostre strade il petrolio indispensabile per muoverci e vivere. E chi volesse fare lo schizzinoso, come Pinocchio quando si è rifiutato di spingere il carretto di carbone, può sentirsi dire: “Mangiati due belle fette della tua superbia e bada di non prendere un’indigestione”.
domenica, agosto 01, 2010
Aspo censurata

Mi preme sottolineare che ASPO non viene mai nominata direttamente, anche se nell’articolo si fa esplicitamente riferimento alle sue previsioni in materia di picco. Così, se “organismi molto influenti” come AIE ed EIA avevano previsto il picco dopo il 2030, “altri l’avevano già previsto per questi anni”. Inoltre, “oggi, all’improvviso, si parla del 2014 – 2015 non da parte di scienziati militanti (?) e no global”.
Ma il colmo di questa strana censura si raggiunge nella pubblicazione, a margine dell'articolo, del grafico (riportato anche sul sito di Aspoitalia) corrispondente alle previsioni di ASPO internazionale relative alla produzione mondiale di greggio e gas, dove la fonte viene completamente omessa.
Speriamo che si tratti solo di un refuso e non di un tentativo inutile quanto maldestro di occultamento del merito innegabile della nostra associazione di aver previsto e denunciato da tempo quello che altri si ostinavano a negare.
mercoledì, luglio 21, 2010
Petrolio: sembra confermato il picco nel 2008
lunedì, luglio 19, 2010
Un pozzo di petrolio “rovesciato”
Semplici soluzioni che accomunano tanti lettori del blog
La questione del picco del petrolio e degli idrocarburi in genere (HC) è, per sua natura, molto difficile da afferrare in tutte le sue molteplici implicazioni.
Tra l'altro, il recente incidente alla piattaforma off-shore della BP è un chiaro indicatore del proliferare di punti di estrazione che vanno ad avventurarsi in zone sempre più estreme, tanta è la fame di greggio; questo argomento è stato eccellentemente esposto in questo pezzo pubblicato da Debora Billi su Petrolio.
Quando si parla di disoccupazione diffusa, sovraproduzione industriale, aumenti a fiotti dei costi dei carburanti e delle materie prime in genere, difficoltà delle banche a sostenere il credito, Stati a rischio default (Grecia e non solo), tutto ciò può essere giustificato solo con la diminuzione della velocità di “offerta” da parte della fonte di energia primaria, gli idrocarburi appunto.
Sarebbe meglio impiegare quella potenza elettrica per far girare una pompa di calore, che garantirebbe una produzione termica di 3-4 volte superiore. Piuttosto, a meno di un disperato bisogno di acqua calda (non è indispensabile fare 3 docce al giorno), è meglio fermare le pompe. In ogni caso, una classica resistenza elettrica in questo contesto garantirebbe la stessa prestazione, con il massimo della semplicità in componenti.