lunedì, aprile 30, 2007

Il Picco dell'Architettura

Jim Kunstler tiene un blog intitolato "clusterfuck nation", un titolo che è un gioco di parole fra il suo nome e un termine volgare in slang americano che indica confusione e caos. Giornalista e autore ("La geografia del nulla") se c'è un catastrofista in giro questo è lui. D'altra parte, quando colpisce, graffia e fa veramente male.

Nell'ultimo post del suo blog, va a esaminare la decadenza della zona suburbana americana. Merita di essere letto, perché alla fine dei conti è tutto vero. Se siete mai stati negli Stati Uniti, riconoscerete gli edifici stile "decorated shed" (capanna decorata) edifici fatti di legno, plastica e allumino; tenuti insieme con pochi chiodi e bulloni. Se non hanno una manutenzione continua, assumono subito l'aria di casa infestata dai fantasmi e vanno a pezzi in tempi brevi.

Questo crollo dell'architettura che Kunstler nota negli Stati Uniti non è ancora così evidente qui da noi. Ma con un po' di attenzione se ne vedono i sintomi. Perché gli architetti non riescono più a fare nulla di buono? Cosa ne è stato degli eredi di Michelucci e Le Corbousier?

Questo che sto scrivendo lo scrivo da un edificio costruito pochi anni fa apposta per ospitare il dipartimento di chimica dell'Università di Firenze. Non ha neanche l'onore di poter essere definito "brutto". E' semplicemente squallido. Una serie di corridoi diritti e tutti uguali; stanze tutte uguali, neanche un tentativo di fare qualcosa, non so, un balcone, una stanza un po' più decente. In più non c'è isolamento di nessun tipo; il sistema di condizionamento è stato mal calibrato. Ci scoppi di caldo o di freddo; è umido. Non è il posto che ti faccia venir voglia di lavorare con entusiasmo. L'architetto aveva in mente un penitenziario, o cosa?

Eppure, solo un paio di settimane fa ero alla facoltà di ingegneria dell'Università di Napoli, un edificio costruito solo quarant'anni fa ma che è splendido - ci vedete il chiaro tentativo di evitare la monotonia per chi ci vive. L'architetto ha variato le dimensioni delle stanze, la forma dei corridoi, i rivestimenti dei muri, ha creato dei chiostri interni e delle terrazze. Insomma, tutto fatto con l'intento che chi ci sta dentro ci viva bene.

E fosse solo un problema di edifici universitari! In confronto all'edilizia pubblica di 40 anni fa, quella di oggi sembra che sia fatta da architetti il cui cervello è stato succhiato dagli alieni. Per non parlare dei vari ecomostri di origine privata.

Sembra che il picco del petrolio non solo ci sta impoverendo materialmente, ma anche spiritualmente.

Ecco l'articolo. Un po' lungo, ma merita leggerlo.

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Compost Nation

di Jim Kunstler

April 30, 2000

At the urging of an editor, I took an anecdote out of my 1993 book, The Geography of Nowhere. It concerned my visit to interview the husband-and-wife "star" architects (starchitects, we now say) Robert Venturi and Denise Scott-Brown. I was in the early information-gathering stage of the book and was unsure which authorities in this-our-nation-under-God might help me understand why America had become such a nightmarish panorama of highway strips and cartoon housing subdivisions. I really wanted to know.

I knew a tiny bit about Venturi and Scott Brown. They had put out a trendy monograph in 1972 titled Learning From Las Vegas that had earned them much esteem on the campuses as architectural metaphysicians. It purported to inform America that the highway strip was here to stay, that it was the new Main Street USA, they said, and that it was pretty much okay. Venturi, solo, was the author of previous book (Complexity and Contradiction) that pretended to thumb its nose at Modernist orthodoxy. So, I figured that a talk with these birds might, at least, begin to shed some light on my subject.


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Una Verità Scomoda



A distanza di un paio di settimane da quando ho visto il film di Al Gore "Una Verità Scomoda", continuo a rimuginarci sopra e, alla fine, mi sono deciso a farci sopra un piccolo commento.

Film indubbiamente ben fatto sotto tutti i punti di vista e nel complesso a tutta prova dal punto di vista scientifico. Però, è anche curioso per certe omissioni che forse non tutti hanno notato.

Gore basa la tesi del suo film su un grafico simile a quello che vedete qui sopra, che esiste su internet in varie versioni. Fa vedere come al momento attuale la concentrazione di CO2 sia enormemente superiore a qualunque valore osservato negli ultimi 600.000 anni circa. Dato che la CO2 è un gas-serra, se ne deduce che possiamo aspettarci un aumento delle temperature planetarie, cosa che in effetti stiamo già osservando.

E' giusto, ma è curioso notare come Gore non spieghi la ragione dell'andamento oscillante della temperatura e della concentrazione della CO2 nel tempo. Notate anche come, ancora più curiosamente, la ragione dell'incremento attuale della concentrazione di CO2 non è mai detta chiaramente nel film. In effetti, parole come "petrolio" o "combustibili fossili" non sono mai nemmeno pronunciate! Si parla solo, piuttosto obliquamente, del carbone cinese (come se in america non si bruciasse carbone!).

L'omissione della menzione del ruolo dei combustibili fossili forse non è tanto curiosa se la vediamo in termini politici. Al Gore, chiaramente, non vuole inimicarsi ne' l'industria petrolifera ne' quella automobilistica, non si sa mai se gli dovesse capitare un'altra volta di candidarsi.

Chiarito questo punto, rimane la questione delle oscillazioni nel passato; a cosa sono dovute? C'era per caso qualcuno che bruciava petrolio 120.000 anni fa? Ovviamente no; allora cosa succedeva? Questo punto è causa di infinita confusione su internet e persino di una critica fatta direttamente a Gore da parte del membro del congresso Barton che ha detto (non lui solo) "non è vero che nel passato l'aumento di concentrazione della CO2 ha causato l'aumento della temperatura, semmai è vero il contrario"

Barton ha ragione, in un certo senso. Le variazioni cicliche di temperatura dell'ultimo milione di anni circa non sono la conseguenza di variazioni della concentrazione di CO2. Sono invece causate dalla variazione della distribuzione dell'irradiazione solare fra oceani e terre emerse, a loro volta generate dai cicli di interazioni fra l'orientazione dell'asse terrestre e l'eccentricità orbitale. E' un effetto noto da svariati decenni con il nome di "cicli di Milankovich". E' un effetto debole, che viene probabilmente amplificato dall'interazione con le emissioni di CO2.

Notate però che, nel film, Al Gore non fa mai l'errore di dire che le variazioni di temperatura del periodo del grafico passato sono causate dalle variazioni della concentrazione di CO2. Semplicemente, tace su questo punto. Barton ha criticato Gore per qualcosa che Gore non ha mai detto (uno dei più vecchi trucchi della propaganda).

Ma perchè Gore tace su questo punto? Difficile a dirsi. Probabilmente nel film hanno deciso che questo punto era troppo difficile da spiegare a un pubblico generico e hanno preferito glissare. D'altra parte, discutendo di questa cosa con altri, ho notato che molti - anche persone che sanno qualcosa della faccenda del riscaldamento globale - non hanno la minima idea di come sta questa faccenda; forse sarebbe stato meglio spiegarla.

Non è certamente una cosa di cui vergognarsi il fatto che i cicli del passato hanno una relazione causa-effetto fra CO2 e temperatura completamente diversa da quella che ci aspettiamo oggi. Nel passato, abbiamo un fenomeno naturale di interazione fra irradiazione solare, temperatura, e concentrazione di CO2. Oggi, abbiamo una variazione artificiale (detta "forcing") in cui grandi quantità di CO2 sono immesse nell'atmosfera dall'attività umana. Nei cicli del passato, la temperatura non è cambiata come conseguenza a variazioni della concentrazione di CO2, però questi cicli dimostrano, se non altro, che il clima è molto sensibile a piccole variazioni di concentrazione di CO2.

Per spiegare meglio la relazione fra CO2 e clima in relazione alla situazione attuale, sarebbe stato probabilmente bene andare a trovare nel passato qualcosa di simile a quello che sta succedendo oggi. In effetti, si ritiene che certi riscaldamenti globali disastrosi del passato siano stati causati dall'immissione improvvisa di grandi quantità di gas serra nell'atmosfera. La grande estinzione del Permiano ne è un esempio, e -probabilmente - anche i dinosauri sono scomparsi a causa di questo effetto. Non è detto però che i consulenti di Gore sapessero queste cose, che sono venute fuori abbastanza di recente. O forse hanno evitato di parlarne per evitare di apparire troppo catastrofisti.

Insomma, la questione del cambiamento climatico è complessa e molto difficile a spiegare chiaramente al pubblico. Diciamo che Gore ha fatto un buon lavoro; forse incompleto, ma nel complesso corretto. Poi, chi a voglia di approfondire, ha modo di farlo partendo dal film, basta solo stare attenti a evitare che la cacofonia di fesserie che infestano internet ci porti fuori strada.









domenica, aprile 29, 2007

Cronache da Halkidiki


Dopo essermi digerito la conferenza di Halkidiki sulla dissalazione (il mondo è vasto e complesso) sto scrivendo un documento che descrive il nostro approccio (il progetto AQUASOLIS) alla produzione di acqua dolce rinnovabile. Ne sta venendo fuori una cosa abbastanza massiccia Intanto che ci lavoro sopra, vi passo la prima parte, quella introduttiva. I commenti sono benvenuti.

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Il "principio aquasolis" per la produzione di acqua dolce rinnovabile.
di Ugo Bardi


Alla recente conferenza di Halkidiki della Società Europea di Dissalazione (22-25 Aprile 2007) circa 500 delegati da tutto il mondo, si sono riuniti per discutere e presentare i loro impianti e le loro ricerche. A una conferenza del genere, ci si rende subito conto di quanto sia importante la dissalazione dell'acqua e quanto sia cresciuta l'industria della dissalazione. E' un business di miliardi di euro che, oggi, produce qualcosa come 10 miliardi di metri cubi di acqua all'anno mediante impianti industriali sparpagliati soprattutto lungo le coste dell'Africa, del Medio Oriente, e dell'Australia.

Per farci un'idea di cosa siano 10 miliardi di metri cubi di acqua, possiamo pensare che si ritiene normalmente che una persona ha bisogno di almeno 500 metri cubi di acqua all'anno per una vita decente. Questo volume include gli usi personali, quelli industriali e municipali, nonché quelli per l'agricoltura. In certi posti, per esempio la striscia di Gaza, la gente se la cava con meno di 200 metri cubi l'anno. I paesi ricchi usano molta più acqua, per esempio in Italia si consumano sui 1500 metri cubi per persona all'anno mentre nei paesi europei del nord se ne consuma molta di più. Con la ricchezza o la povertà di un paese cambia anche l'uso che si fa dell'acqua. Nei paesi poveri, l'80%-90% va per l'agricoltura, in quelli ricchi è spesso l'industria e gli usi domestici e municipali che fanno la parte del leone. I 10 miliardi di metri cubi annuali di acqua dissalata fanno la differenza fra una vita normale e l'emergenza igienica e sanitaria per centinaia di milioni di persone che vivono in aree urbane sulle coste di zone aride e hanno permesso un aumento della popolazione a livelli un tempo impensabili. Per fare un esempio, quando il governo Giolitti dette il via all'invasione della Libia, nel 1911, i libici erano circa 800.000. Oggi, in Libia ci sono più di sei milioni di abitanti e le loro necessità idriche sono assicurate in gran parte da impianti costieri di dissalazione.

Questa situazione è il risultato di uno sviluppo tumultuoso che ha cambiato il mondo negli ultimi decenni. Per millenni, ci eravamo contentati della pioggia come unica sorgente di acqua dolce; ma oggi le cose sono enormemente cambiate. La disponibilità di energia a buon mercato ottenuta con il petrolio e il gas naturale ha reso possibile sfruttare risorse di acqua che prima erano inaccessibili. Una di queste risorse sono gli “acquiferi”, bacini di acqua dolce situati a profondità spesso tali da essere inaccessibili senza costose tecniche di trivellazione e pompaggio. Intere città spuntate nei deserti degli Stati Uniti; per esempio a Tucson in Arizona e nelle zone limitrofe, milioni di persone possono vivere soltanto grazie allo sfruttamento di acquiferi sotterranei. In Libia, il progetto del “Grande Fiume Fatto dall'Uomo” programma lo sfruttamento degli antichi acquiferi Sahariani, residui di migliaia di anni anni fa, quando il Sahara era un'area fertile e ricca d'acqua.

L'altra grande risorsa che l'energia a buon mercato ha reso accessibile è la dissalazione dell'acqua marina, oppure dell'acqua da pozzi di acqua salmastra. In gran parte, la dissalazione industriale si fa con il metodo detto “osmosi inversa.” “Osmosi” è il nome che si da a una pressione che si sviluppa quando due soluzioni a diversa concentrazione di sali entrano in contatto attraverso una membrana. “Osmosi inversa” vuol dire che il processo naturale di diffusione viene invertito usando una pompa per trasformare l'acqua salata in acqua dolce facendola passare attraverso una membrana. Ci sono altri metodi in uso, ma l'osmosi inversa è quello energeticamente più efficiente. Oggi ci sono ditte specializzate che producono dissalatori su tutte le scale. Basta pagare, e ti costruiranno un impianto “chiavi in mano” che si può piazzare sulla riva del mare, oppure dove ci sono pozzi di acqua salmastra (“brackish water” in inglese). Lo sviluppo rapido, a tendenza esponenziale, della produzione industriale di acqua per dissalazione è mostrato per il caso di Abu Dhabi. Una crescita dello stesso tipo si osserva per il Kuwait e si può ritenere che sia il caso generale per la produzione mondiale di acqua dissalata.

Tuttavia, come per tante tecnologie sviluppate negli ultimi decenni, la tecnologia per la produzione di acqua dolce ci sta portando in un vicolo cieco in cui ci troviamo a dipendere sempre di più da risorse insostenibili. Non è sostenibile l'acqua dagli acquiferi sotterranei, che molto spesso è acqua di tipo “fossile”; ovvero si accumula molto più lentamente di quanto non venga estratta. Non è sostenibile l'acqua dissalata dai pozzi salmastri, sia per la quantità finita di acqua disponibile, sia per il problema dei residui di dissalazione (la “salamoia”) che sono terribilmente inquinanti. Neanche è sostenibile l'acqua dissalata industrialmente dal mare, non perché l'acqua di mare sia in quantità finita, ma perché il processo dipende dalla disponibilità di energia elettrica e questa viene dal petrolio o dal gas naturale, entrambe risorse finite. L'acqua è una delle poche risorse che sono veramente rinnovabili, ma se usiamo il petrolio per produrla, diventa non rinnovabile anche quella.

Nulla impone che un impianto di dissalazione debba funzionare per forza usando energia fossile. Potremmo usare energia rinnovabile oppure energia nucleare. In teoria si, ma nella pratica le difficoltà sono enormi. Nel passato, c'è stato chi ha proposto di rinverdire il Sahara usando acqua dissalata con l'energia nucleare. Tuttavia, è abbastanza ovvio che, nella situazione politica attuale, non sarebbe facile sparpagliare decine e decine di reattori nucleari per tutto l'arco dell'Africa del Nord e del Medio Oriente, anche ammesso che si trovi l'uranio per farli funzionare a lungo. Un concetto simile, ma basato sull'energia rinnovabile, è stato riproposto recentemente nella forma del progetto TREC (Trans Mediterranean Renewable Energy Cooperation) che prevede la costruzione di immensi impianti solari a concentrazione nel deserto che dovrebbero fornire l'energia necessaria per dissalare enormi quantità di acqua.

Lo schema del TREC è indubbiamente più fattibile di quello basato sull'energia nucleare, ma anche quello sembra più un esercizio dell'immaginazione che una proposta pratica. Al momento, in tutto l'arco che va dal Marocco all'Iran non si produce neanche un kilowattora di energia da impianti solari a concentrazione. Da qui ad arrivare a produrne le immense quantità previste dal TREC quanti anni devono passare? Gli stessi proponenti si rendono conto che stanno parlando di prospettive di molti decenni nel futuro. Ma il problema di carenza e di altri prezzi del petrolio si sta già ponendo oggi e potrebbe porsi in modo molto grave entro pochi anni.

In teoria, non c'è bisogno di mega-progetti per far funzionare i dissalatori; basta mettere un numero sufficiente di pannelli fotovoltaici o di generatori eolici. Il problema è che, nella pratica, è una cosa che non si può chiedere a chi gestisce i dissalatori. I dissalatori sono impianti industriali pensati e gestiti con l'idea di massimizzare i profitti, cosa che implica minimizzare i costi. Questa minimizzazione è stato ottenuta mediante impianti su grande scala che funzionano 24 ore su 24. Caratteristiche, queste, che mal si sposano con l'energia dei pannelli fotovoltaici o dei generatori eolici che varia nell'arco della giornata e che è tuttora costosa. I gestori degli impianti di dissalazione non hanno avuto, e non hanno tuttora, nessun interesse a investire nell'energia rinnovabile che per loro è soltanto un costo in più. Sarebbero dovuti intervenire i governi che, in principio, sono quelli che dovrebbero proteggere i cittadini da eventi come una crisi idrica. Ma si sa che i governi sono formati da persone il cui orizzonte di preoccupazione non va oltre le prossime elezioni, e quindi quasi niente è stato fatto. Sono proprio i paesi che dipendono più strettamente dai dissalatori che non hanno investito, o hanno investito pochissimo, nell'energia rinnovabile. Alcuni lo hanno fatto perché ritenevano (e probabilmente tuttora ritengono) di avere petrolio in abbondanza; altri per semplice mancanza di risorse economiche. Adesso, siamo in una situazione in cui la produzione di energia rinnovabile in quasi tutti i paesi dove c'è bisogno di acqua è lontanissima da essere sufficiente, se ce ne fosse bisogno, per mantenere i dissalatori in condizioni operative.

Può darsi che, dopotutto, sia una questione di scala. Se i dissalatori attuali sono troppo grossi per poter essere mandati a energia rinnovabile, potrebbe essere il caso di farli più piccoli, a misura di comunità? L'idea non è nuova e in un convegno come quello di Halkidiki ne troverete parecchi esempi. Le membrane per l'osmosi inversa, dopotutto, si possono fare anche piccole e ci sono diversi casi di impianti alimentati da pannelli solari per isole o comunità isolate. D'altra parte, c'è anche la possibilità di fare a meno del tutto dei costosi pannelli fotovoltaici e usare il calore solare direttamente per distillare l'acqua e purificarla. C'è tutta una linea di dissalatori solari a bassa tecnologia che sono detti “solar stills”. Nella sua versione più semplice, il solar still è una scatola con un coperchio di vetro inclinato. Si mette acqua di mare o acqua salmastra nel fondo della scatola; il sole la fa evaporare e il vapore si condensa in goccioline sull'interno del piano di vetro. Per gravità, le goccioline scendono lungo il piano di vetro e l'acqua si raccoglie in un contrnitore. E' un sistema poco efficiente in termini energetici; sicuramente molto meno efficiente dell'osmosi inversa. Tuttavia, ha il grosso vantaggio di non richiedere energia elettrica e nessun tipo di materiali costosi. In principio, l'acqua prodotta con un solar still costa molto poco e il sistema è particolarmente adatto ai paesi poveri.

C'è però un problema che ha impedito la diffusione su larga scala dei solar still, lo stesso che ha spinto al gigantismo degli impianti a osmosi inversa. Il problema è che oltre a dissalare, bisogna anche trasportare l'acqua salmastra al dissalatore, portare l'acqua dolce prodotta agli utenti, nonché liberarsi della salamoia di rifiuto. Queste operazioni possono essere altrettanto costose e energivore della dissalazione vera e propria. Mettendo il dissalatore in riva al mare, costerà poca fatica riempirlo di acqua. Ma se l'acqua prodotta va portata agli agricoltori dell'entroterra ci vorrà comunque un acquedotto e delle pompe che, a loro volta, avranno bisogno di energia elettrica e siamo alle solite. Se c'è una riserva di acqua salmastra, bisogna comunque trivellare per arrivarci e per questo ci vuole energia, come ce ne vuole per pomparla in superficie. Per non parlare poi dei costi di liberarsi della salamoia. Questo tipo di costi si ammortizzano male con i piccoli impianti (di qualsiasi tipo). Per questa ragione gli impianti di dissalazione su piccola scala a energia rinnovabile non sembrano in grado di diffondersi oltre a prototipi dimostrativi e casi particolari di comunità veramente molto piccole in riva al mare, per esempio su certe isole.

Con lo sviluppo dell'energia rinnovabile, nel futuro si potrà sperabilmente procedere a solarizzare gli impianti esistenti di dissalazione, come pure i sistemi di distribuzione di acqua. Al momento, tuttavia, sembra poco realistico pensare che una transizione dolce dai combustibili fossili alle rinnovabili si possa fare in tempi brevi. E' probabile che si cerchi piuttosto di tirare avanti il più a lungo possibile con le infrastrutture esistenti, ma questo è solamente un rimandare il problema. Ci troviamo in una situazione di dipendenza dai combustibili fossili che si sta facendo sempre più critica. Un'interruzione della fornitura che fosse più che episodica potrebbe portare a conseguenze sanitarie inimmaginabili in paesi che dipendono dai dissalatori industriali per la loro fornitura di acqua.

E' proprio il concetto di dissalazione su larga scala che ci ha portato in un vicolo cieco. Non possiamo uscirne se continuiamo a pensare in termini di una continua espansione sia della produzione come della popolazione. Occorre pensare in termini di gestione di sistema, ovvero dell'inserimento della produzione di acqua dolce all'interno di un'economia. Questo è quello che il progetto AQUASOLIS ha cercato di fare, identificando alcuni metodi che generano un'interazione positiva fra energia rinnovabile e produzione di acqua potabile. Il trattamento delle acque reflue e l'estrazione di acqua dall'umidità atmosferica sembrano più promettenti in questo senso delle tecnologie classiche di dissalazione. Descriveremo questi concetti nel seguito di questo documento (a seguire)



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venerdì, aprile 27, 2007

Iraq: raddoppio delle riserve?

Secondo un articolo apparso sul Financial Times, uno studio recente ha indicato che le riserve petrolifere dell'Iraq potrebbero essere maggiori di quelle ufficiali di almeno 100 miliardi di barili.
Le riserve ufficiali dell'Iraq sono attualmente 116 milioni di barili. L'aggiunta di altri 100 milioni le porterebbe a 216, ovvero circa quanto sono le riserve ufficiali dell'Arabia Saudita. Considerato che le riserve petrolifere mondiali rimanenti sono stimate a circa 1000 miliardi di barili, 100 miliardi in più farebbe una grossa differenza sulle prospettive future.

Ma tutti questi numeri sono sospetti. Secondo alcune stime (da TOD) le risorse saudite reali potrebbero essere circa un quarto di quelle dichiarate. Anche quelle dichiarate dall'Iraq potrebbero essere assai minori, specialmente considerando i danni della guerra e il sovrasfruttamento dovuto all'embargo precedente.

Quindi, come dobbiamo prendere questi 100 milioni di barili apparsi improvvisamente dal nulla in Iraq? Lo studio è stato eseguito da IHS, una ditta internazionale di consulenza che si occupa di un po' di tutto, automobili, aerei, difesa, eccetera. Si occupano anche di petrolio, ma non sono specialisti. In principio, avrebbero potuto senz'altro mettere insieme un team di esperti petroliferi capaci di fare un buon lavoro sui dati geologici dell'Iraq. Ma il fatto che l'annuncio dei mitici 100 miliardi di barili non arrivi da specialisti nel campo suona senz'altro un po' sospetto.

Qualche tempo fa, avevo chiesto a Colin Campbell, presidente onorario di ASPO (lui si che è un vero esperto di petrolio!) che cosa pensava della possibilità di trovare petrolio nella zona dell'Ovest dell'Iraq che, secondo quanto si sa, è stata poco esplorata. Mi ha risposto che quella zona è geologicamente inadatta alla produzione di petrolio. A questo proposito, c'è un particolare che forse è utile considerare. La Giordania, che confina con l'Iraq e che quindi ha una geologia molto simile, ha fatto dei grossissimi sforzi per trovare petrolio. Bene se andate a cercare sui vari siti, troverete che la Giordania produce 40 barili al giorno (non è un errore di stampa, sono proprio 40, non 40.000!!). Un po' pochino, considerando che la produzione mondiale è oltre 80 milioni di barili al giorno.

Nulla è impossibile, e non è escluso che esplorando la vasta zona che è l'Iraq dell'Ovest si trovi qualcosa. Ma questo tipo di notizie suonano un po' come i comunicati di vittoria dell'armata italiana in Russia nel 1943.



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Acqua dal Sole

Il blog di ASPO-Italia è stato silenzioso per qualche giorno. Insieme a Toufic el Asmar e Alessandro Scrivani siamo stati impegnati a presentare il nostro progetto "AQUASOLIS" (acqua dal sole) alla conferenza della Società Europea per la Desalinazione che si è tenuta a Halkidiki, in Grecia, in questi giorni.

Fra breve, vi passerò una relazione su AQUASOLIS e la desalinazione; argomento strettamente correlato con l'energia e i combustibili fossili. Nel frattempo, vi posso relazionare su Halkidiki, che mi è apparso come la zona più devastata dall'attività umana che mi sia capitata davanti agli occhi negli ultimi anni. Non so se da quelle parti ci sia un piano regolatore, se si quello che lo ha fatto doveva essere sotto l'effetto di droghe pesanti, mentre quelli che l'hanno approvato devono essere dei criminali pericolosi. Non è una cosa che si possa descrivere a parole, provate ad andarci e poi mi direte (e non basatevi sulle foto che trovate su internet, le cose brutte non le hanno fotografate!!!).

Vi posso anche raccontare che quello che ha costruito l'albergo dove si è svolto il convegno ha fatto un bel danno cementificando un discreto tratto di spiaggia (lo vedete nella foto in alto a sinistra). In compenso, ha avuto il buon gusto di lasciare nidificare le rondini sotto i tetti dell'albergo; mentre qui da noi distruggono i nidi perché "fanno sudicio". Il risultato è un cielo pieno di rondini, anche quello ormai raro a vedersi.



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venerdì, aprile 20, 2007

La Cina in difficoltà con il carbone



Arriva da "mineweb" una notizia che è una vera bomba. La Cina potrebbe diventare un importatore di carbone dall'anno prossimo.

Per spiegare l'importanza di questa notizia, ricordiamoci come una delle idee che si sentono esprimere comunemente come una soluzione al problema energetico è quella di passare al carbone. "Si, va bene, è vero che inquina molto," si dice, "ma è abbondante e durerà ancora per secoli, risolvendoci tutti i problemi."

In realtà, sembra proprio che il carbone non sia così abbondante come sembra. La Cina era ed è considerata comunemente come uno dei massimi produttori mondiali, un paese la cui produzione era destinata a continuare a soddisfare le esigenze nazionali ancora per decenni. Ma, evidentemente, la Cina non ce la fa a sostenere la sua economia le risorse nazionali.

Per la Cina non è ancora il picco del carbone, ma è un segnale preoccupante che la produzione è in difficoltà. L'ingresso della Cina come importatore sul mercato internazionale del carbone potrebbe avere effetti pesantissimi, paragonabili a quelli che ebbe nel 1971 l'ingresso degli Stati Uniti come importatore sul mercato internazionale del petrolio. Questo ingresso fu la causa principale della "grande crisi del petrolio" che ebbe inizio ufficialmente nel 1973 e durò più di dieci anni con prezzi altissimi, scarsità sul mercato, instabilità geopolitiche, eccetera.

Ora, potremmo trovarci di fronte alla "grande crisi del carbone" che potrebbe avere effetti altrettanto pesanti di quella del petrolio degli anni '70 in un mondo che si sta basando sempre di più sul carbone per la produzione di energia elettrica. Su "mineweb" parlano di un'aumento dei prezzi del carbone del 42% l'anno prossimo, ma potrebbero essere molto ottimisti. Il carbone è più abbondante, in teoria, del petrolio e del gas, ma non è immune alla dura legge di Hubbert. Il picco del carbone non sarà per Agosto, e nemmeno per Settembre, ma è una promessa per il futuro.


Incidentalmente, la situazione che si sta prospettando è particolarmente disgraziata per l'Italia, sia perché non abbiamo carbone sul territorio nazionale (a parte piccole quantità in Sardegna), sia perché ci sono politici e tecnici che continuano a sostenere che il modo di risolvere i nostri problemi energetici è di passare al carbone. Ma da dove lo dovremo importare ?

Tutti i tradizionali produttori europei di carbone sono in declino, Inghilterra, Germania e Polonia; la Francia, addirittura, ha chiuso le sue ultime miniere nel 2005, dopo oltre due secoli di sfruttamento. Lo dovremmo allora importare da molto lontano ma, con la Cina come concorrente, la cosa si potrebbe rivelare difficile, o comunque costosetta.............



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China could become net importer of thermal coal by 2008

Articolo originale su mineweb

For the first time in history, China could buy more coal than it exports
in 2008, three years earlier than originally forecast. Coal prices may
surge 42% in five years as China could buy more than it exports in 2008
for the first time in history.

Mark Mobius of Templeton Asset Management told Bloomberg the coal sector
in China has undergone change and a steep rise in coal prices would
boost coal companies China Shenhua Energy Co., China Coal Energy and
Yanzhou Coal Mining. Mobius said prices might reach US$78/t by 2012,
surpassing the record $63.10/t spot price of June 25, 2004, when China
restricted coal exports due to shortages.

Deutsche Bank also said in a report the outlook for coal has improved
significantly on the back of the prospect of China becoming a net
importer of thermal coal as soon as 2008.

Rising prices for coal will drive global power costs higher, and benefit
mining companies Xstrata, Rio Tinto and BHP Billiton, said Bloomberg.
Goldman Sachs forecast that higher coal prices would cause a 22 percent
gain in the shares of Xstrata, the world's largest exporter of coal used
in power plants. The stock may rise to 33.65 pounds (US$66.87) from
27.66 pounds as of last week, analysts of the securities firm said.

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giovedì, aprile 19, 2007

L'insostenibile insensatezza di Scheer?


Leggiamo sul sito "Huffingtonpost" un articolo interessante di Vinod Khosla. Ve lo segnalo; se masticate bene l'inglese vale la pena leggerlo per vari motivi.

In primo luogo, per imparare come delle idee interessanti possano essere messe in cattiva luce dall'inutile polemica. In questo caso l'inutile polemica la fa Khosla contro Herman Scheer e "gli ambientalisti idealisti". Scheer avrà i suoi difetti - come tutti noi - e gli "ambientalisti idealisti" hanno i loro; ma l'attacco ideologico è sempre controproducente per chi lo fa, che perde credibilità agli occhi dei lettori.

Ma, se riuscite ad ignorare la polemica senza scopo, l'articolo merita di essere letto. Vinod Khosla è, apparentemente, un venture capitalist che cerca investimenti nell'energia rinnovabile, ponendosi anche interrogativi etici; per esempio rifiutandosi di investire nel biodiesel che giudica distruttivo per l'ambiente.

La polemica di Khosla si rivolge in particolare contro il fotovoltaico, e va detto che ha dei punti interessanti. Per esempio, dice che mentre è perfettamente possibile mettere dei tetti fotovoltaici per la "middle class" in Germania, questo è praticamente impossibile in India e in Cina, nel secondo caso dove si costruisce una nuova centrale a carbone (per niente pulito) ogni settimana. Non si può dire che Khosla non abbia centrato il problema; però qual'è la soluzione?

Khosla è un entusiasta del "solar thermal power", ovvero dell'approccio di mettere grandi impianti nel deserto del Sahara e trasmettere l'energia in Europa via linee ad alta tensione. Il concetto è affascinante, ma va detto che richiede investimenti immensi e che la tecnologia non è affatto così ovvia come i suoi sostenitori (incluso il nostro Rubbia) dicono.

L'articolo di Khosla mette bene in luce il dibattito attuale, che si basa sulla contrapposizione fra due possibili strategie su come investire le magre risorse disponibili. Vale la pena fare energia distribuita nei paesi europei usando il fotovoltaico, oppure piuttosto lanciarsi su grandi impianti nel deserto (magari a concentrazione, ma potrebbero anche essere FV)? Questi ultimi sarebbero più costosi come investimento iniziale, ma anche più efficienti per via della maggiore insolazione e quindi di maggior resa a lungo andare.

Ai posteri l'ardua sentenza; l'unica cosa sicura è che le risorse disponibili sono, invero, assai magre e che se non facciamo in modo di aumentarle seriamente, (il che implica rinunciare a qualche giocattolo, tipo le SUV) finirà che non riusciremo a fare nè l'una ne' l'altra cosa in tempo per opporsi all'esaurimento dei fossili e al cambiamento climatico.

L'articolo di Khosla è criticabile per parecchie cose, non solo per la polemica. Ma contiene diversi spunti interessanti. Dateci un'occhiata - è utile per una riflessione. (incidentalmente, l'immagine all'inizio di questo post è il "powerspar" un curioso ibrido di fotovoltaico e concentratori - forse le due cose potrebbero essere compatibili, dopotutto)



04.11.2007

"Scheer Nonsense" -- The Damage Idealistic Environmentalists Can Do

Recently, I was on a panel with Dr. Herman Scheer, a member of the German parliament and the president of EUROSOLAR (The European Association for Renewable Energy) and a much honored "environmentalist". Suffice it to say that there was great commonality of goals but significant disagreement about "how". From my admittedly biased point of view, his views sounded great but were ineffective and inefficient ways to reduce carbon emission and achieve sustainability.

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mercoledì, aprile 18, 2007

Uranio per 10.000 anni?


Nell'opinione dei fautori dell'energia nucleare, è un fatto assodato che le risorse di uranio sono abbondanti. Si fa notare come, se è vero che le "riserve provate" sono molto limitate, la quantità di uranio contenuta nella crosta terrestre è immensa e potrebbe bastare per molti millenni. Certo, costerà di più estrarre uranio da minerali a bassa concentrazione, ma che importa? Tanto il costo dell'uranio è soltanto una piccola frazione del costo dell'energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari.

Qualche anno fa, quando l'uranio costava 7 dollari la libbra, una frase che si sentiva dire comunemente a questo proposito era "anche se il costo dell'uranio raddoppiasse...." per indicare una cosa vista come quasi assurda ma, che se veramente si fosse verificata, non avrebbe avuto nessun effetto sul costo del kWh nucleare e, anzi, avrebbe aperto alla sfruttabilità nuove e vaste riserve. Certo, ora che il costo dell'uranio è aumentato di oltre un fattore 10 - siamo a circa 100 dollari la libbra - quella vecchia frase suona quantomeno un po' strana. Ma a che punto veramente il costo dell'uranio comincerà a incidere pesantemente sul costo del kWh nucleare?

Su questo punto, c'è un commento interessante di Miguel Torres su "The Oil Drum". Torres si basa sui dati IEA per calcolare l'incidenza del costo dell'uranio sul kWh prodotto dalle centrali nucleari e trova che è - oggi - intorno al 3%. Da questo deduce correttamente che le riserve attuali, calcolate in ragione di prezzi intorno ai 100 dollari/libbra, sono sufficienti per mantenere in operazione l'attuale parco di centrali per tutto il presente secolo.

Le cose cambiano radicalmente se volessimo sostituire una frazione importante dell'attuale produzione di energia primaria dai fossili al nucleare. Questo implicherebbe un aumento (come minimo) di almeno un fattore 10 del numero di centrali attuali. Non sappiamo esattamente quale andamento dei prezzi possiamo aspettarci se dovessimo andare a espandere la produzione ai livelli necessari sfruttando riserve uranifere molto diluite. Comunque, secondo Torres, se i prezzi dell'uranio dovessero salire di un altro fattore 10, ovvero andare intorno ai 1000 dollari per libbra, questo renderebbe l'energia nucleare nettamente più costosa dell'eolico e dell'ordine del costo del fotovoltaico attuale (e - sicuramente - il fotovoltaico del futuro sarà molto meno costoso di quello attuale)

Ci sono delle grandi incertezze in questo tipo di considerazioni, incluso quelle relative alle nuove tecnologie nucleari. Pertanto, la nota di Torres non può certamente essere considerata come niente di definitivo. Tuttavia possiamo dire con sicurezza che la comune credenza che il prezzo dell'uranio è ininfluente sul prezzo dell'energia nucleare è sbagliata. Se veramente si decidesse nel futuro di puntare a un'espansione della produzione di energia nucleare, l'aumento dei prezzi dell'uranio potrebbe mandare rapidamente l'energia nucleare fuori mercato.

"Opinioni" energetiche?

Post ricevuto da Franco Galvagno

Ieri ho avuto il piacere di confrontarmi via mail con il prof. Franco Battaglia, attivo autore del sito Galileo 2001 .
Viste le sue recenti esternazioni sul tema energetico (che ho visto riportate sul sito di Debora Billi "Petrolio"), ho voluto approfondire su <http://www.galileo2001.it>www.galileo2001.it.

Da qui, se seguiamo il percoso Materiali (Archivio documenti), sotto "BATTAGLIA Franco " possiamo cliccare sull'articolo "PERCHÉ È INUTILE RISPARMIARE ENERGIA " (pubblicato su Il Giornale, 15 Febbraio 2007), fortemente rappresentativo.
[per il link diretto all'archivio documenti, interessante nella sua interezza: <http://www.galileo2001.it/materiali/archivio.php>http://www.galileo2001.it/materiali/archivio.php].

ll punto centrale dell'articolo è che "è inutile risparmiare energia".

Nel caso del Petrolio, con due passaggi aritmetici Battaglia dimostra che anche riducendo fortemente dall'oggi al domani i consumi mondiali, la "fine del petrolio" (concetto in sè bizzarro) avverrebbe, ad esempio, tra 55 anni invece che tra 50.

Il calcoletto è giusto, ma il modello è semplicistico: invece di una curva a campana (ben nota ai Peakoilers) si assume una situazione detta tecnicamente "a gradino". Questa approssimazione sarebbe contestata da un attento macroeconomista, abituato a trattare i "cicli di vita" dei Prodotti, che prevedono una fase di crescita, una di stabilizzazione e una di decrescita... pertanto non rende conto di alcun fenomeno di inflazione, contrazione di produzione e di scambi, e di transizioni Energetiche. Conduce in modo deterministico al collasso della Civiltà Industriale.

Nel suo invito a "sperperare" Petrolio, perchè "tanto non cambia nulla" il Chimico dimentica però che, senza Oil, sarà "un po' " più complicato produrre plastiche, gomme, vernici, tessuti, farmaci (e per essere sintetici, qualunque cosa).

Però - continua Battaglia qualcosa ci aiuterà prima della fine del secondo ed ultimo gradino, quello del collasso... l'Energia da fissione nucleare.

Secondo Battaglia, il Pianeta ha riserve di Uranio e Torio tali da mantenere gli attuali flussi di Energia elettrica per decine di migliaia di anni. Purtroppo, alcuni Geologi non la pensano così e - tanto per cambiare ci indicano che siamo in prossimità del picco dei Materiali fissili (coerentemente, il prezzo dell'Uranio aumenta esponenzialmente). Se le stime fossero realmente ultra-abbondanti come rassicura Battaglia, avremmo assistito da tempo a un superamento delle centrali nucleari, a discapito del termoelettrico tradizionale.

Un'altro concetto, già ben spiegato dal prof. Bardi in un post specifico, è che l'EROEI del Nucleare è inferiore a quello delle Energie Rinnovabili (studio di scienziati australiani). Questo può sorprendere i non-addetti, ma è come fare il confronto tra bicicletta e autovettura (la prima "rende" energeticamente almeno 5 volte la seconda, anche se è meno "potente". Inoltre, ha emissioni zero).

Nel computo dell'EROEI teniamo conto di tutto: costruzione dell'Impianto, approvvigionamento (estrazione, trasporto) della Materia Prima, il suo trattamento (concentrazione/arricchimento), gestione dell'Impianto, sicurezza, dismissione delle scorie.

Alla luce di questi dati, come possiamo reputare promettente l'attuale tecnologia Nucleare?

Tra 20 anni, costerà di più l'Energia Rinnovabile o quella Atomica?

Battaglia dà anche un cenno alla definizione di Rinnovabile ma per... "liquidare" Eolico, Fotovoltaico, Idroelettrico catalogandoli come "colossale illusione", in quanto non in grado di assicurare l'attuale fabbisogno energetico. In poche parole, per dirla alla Bush... "il nostro tenore di vita non è sindacabile".

Insomma il problema viene ridotto a una partita ... Privazionisti contro Abbondantisti.

Ma, ahimè, il problema dell'Energia è qualcosa di più di un incontro di calcio, in cui ci si può rivolgere (a giochi fatti) ad opinionisti per speculare con congiuntivi e condizionali !

Le argomentazioni sopra riportate riprendono quelle che ho inviato a Battaglia via mail.
Il professore mi ha risposto gentilmente, ma invece di confutare (dati alla mano) quanto gli ho scritto, si è limitato a dire che "siamo su posizioni differenti".


Franco Galvagno


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domenica, aprile 15, 2007

Assurdità energetiche ed economiche

Guest post di Leonardo Libero, direttore di "Energia dal Sole"


351 MILIARDI DI kWh E 143 MILIARDI DI EURO,
fra persi e spesi, per sostituire le auto


Nel numero 6/2006 (pagina 7) si "Energia dal Sole", avevo esposto il mio parere negativo sulle rottamazioni generalizzate di auto vecchie, ma non per questo fuori uso, praticamente imposte – più che indotte – dalla Legge Finanziaria 2007.

Lo spunto per “fare un po’ di conti” sulla materia mi è stato offerto da "il Giornale" del 3 febbraio che, riportando dati di "Quattroruote", ha calcolato quante auto saranno rottamate, e sostituite con altre più recenti, in seguito alle norme antismog emanate dallo stato e dalle amministrazioni locali (di ogni colore politico, aggiungo io); e lo ha fatto limitandosi a quelle immatricolate prima del 1997, cioè le euro 0 ed euro 1 (ma con la mia Skoda Octavia del 2.000, che pure è “euro 2”, a Torino non posso già più andare in centro). Ebbene, le rottamande euro 0 ed euro 1 sono 13.000.000

Credo di poter dare per scontato che, con quello che costa mantenere un'auto, anche solo di spese fisse e obbligatorie come bollo, assicurazione, revisioni e controlli vari, quelle che sono in circolazione devono essere mediamente in ordine, perché se no verrebbero rottamate dai proprietari di loro iniziativa. Mi sembra prudenziale far conto che siano in media alla metà della loro vita presunta, che è ragionevole considerare in almeno 200.000.chilometri (in Italia è ancora diffusa la credenza, ritengo alimentata da produttori e commercianti di auto, che una vettura sia da buttare quando ha raggiunto i 100.000 km, ma non è affatto vero).

Il costo energetico della costruzione di un'auto media è stato calcolato in 18.000 kWh. Questo diversi anni fa ma, mentre da allora le auto sono diventate molto più complicate, sono di certo stati fatti anche miglioramenti di processo e le due cose dovrebbero essersi all'incirca reciprocamente compensate agli effetti del costo energetico. Ebbene, la metà di quel costo è 9.000 kWh, che moltiplicati per 13.000.000 fanno 117.000.000.000 di kWh - pari ad oltre un terzo del fabbisogno elettrico totale annuo italiano - letteralmente buttati via con la rottamazione anticipata delle auto. Si aggiunga l'anticipata - di diversi anni e in una volta sola anzichè scaglionata - spesa del costo energetico delle auto sostitutive; pari a 13.000.000 x 18.000 = 234.000.000.000 kWh , pari ad oltre i due terzi del fabbisogno totale elettrico annuo italiano. Consumati questi su scala planetaria, d'accordo, perchè solo meno di un terzo delle nuove auto vendute in Italia è di costruzione nazionale, ma anche il problema energetico-ambientale è planetario, visto che l’80 per cento dell’elettricità mondiale è di fonte inquinante.

Sotto l'aspetto economico, ammesso che il valore di mercato delle auto da rottamare fosse in media, prima dei provvedimenti restrittivi, anche solo di 2000 euro (davvero pochi) ciascuna, l'impoverimento patrimoniale dei proprietari sarà di 13.000.000 x 2.000 = 26 000.000.000 di euro, importo quasi pari ai tre quarti (74,28%) della Finanziaria 2007. Quanto alla spesa complessiva di acquisto delle auto sostitutive - o meglio, alla capacità di spesa complessivamente impegnata in esse - ammettendo che il loro prezzo medio unitario sia anche solo di 10.000 euro (davvero basso), essa ammonterà a 13.000.000 x 10.000 = 130.000.000.000 di euro, che sommati ai.26.000.000.000 di cui sopra fanno 156.000.000.000 di euro

Gli esempi possibili di come molto meglio si potrebbero impiegare a fini energetici ed ambientali anche soltanto i 130.000.000.000 di euro della capacità di spesa popolare impegnata dalla sostituzione delle auto sono molti, ma ne cito soltanto uno: con quei soldi le famiglie italiane, senza bisogno di un solo euro di incentivazione pubblica, potrebbero dotarsi di collettori solari termici della migliore qualità, pagandoli mediamente 1.100 euro al metro quadro, per una superficie complessiva di 130.000.000.000 : 1.100 = 118.181.182 mq. Il che porterebbe l’Italia, che oggi ne ha 500.000, ad averne 118.182.318, cioè 2.073 mq ogni 1000 abitanti (cioè circa dieci volte gli attuali paesi leader, Grecia e Austria) contro i miseri 8 (otto) che ne ha ora. E questo farebbe risparmiare ogni anno il consumo di circa 106.360.000.000 kWh di elettricità (pari a circa un terzo del fabbisogno nazionale) ed eviterebbe l’immissione in atmosfera, ogni anno, di circa 147.727.897 tonnellate di CO2 (senza dire dei gas inquinanti e del particolato).

Certo, se si fossero indotti gli italiani ad investire in questo diverso modo una somma tanto ingente, si sarebbe dato un grosso dispiacere alla lobby dell’auto e ancor di più a quella del petrolio. E mi è francamente difficile non sospettare che sia proprio questo il vero motivo della scelta di indurli invece alla rottamazione indiscriminata delle auto “vecchie”, ma non per questo fuori uso (siamo pur sempre uno dei paesi più corrotti del mondo progredito e non per caso questo tipo di operazioni radicali ha cittadinanza solo qui).

Ah, dimenticavo un piccolo particolare: le nuove norme stabiliscono che “Chi sostituisce autovetture Euro 0 ed Euro 1 con altre di categoria Euro 4 ed Euro 5“…….ha diritto ad un bonus di 800 Euro e all’esenzione dalla tassa automobilistica per (almeno) due anni (nella maggioranza dei casi saranno tre, ma contiamone pure solo due). Quindi lo Stato pagherà – coi nostri soldi – bonus per 13.000.000 x 800 = 10.400.000.000 Euro. Inoltre, poiché l’importo del “bollo” 2007 è di 1,90 Euro/CV, stimando una potenza media molto prudenziale della nuove auto di 60 CV, la mano pubblica (Stato e Regioni) rinuncerà a riscuotere almeno (13.000.000 x 1,90 Euro x 60 x 2 anni) = 2.964.000.000 di Euro, che sommati a quelli da spendere fanno 13.364.000.000 di Euro, pari ad oltre un terzo della manovra Finanziaria 2007.

NE VALEVA LA PENA ? - In proposito, consiglio la lettura della memoria pubblicata alla pagina successiva, memoria che è stata inviata a Energia dal Sole, come a tutte le testate giornalistiche italiane, dal Coordinamento dei Comitati dei Medici del Comprensorio di Civitavecchia per l’Ambiente e la Salute. Essa attiene soprattutto ai problemi ambientali posti dalla centrale a carbone di Civitavecchia, ma una tabella che contiene dimostra che il traffico stradale contribuisce all’immissione di micropolveri nell’ atmosfera per una quota inferiore al 30 per cento. Una quota che, per le auto, scende addirittura all’8 per cento secondo dati del Centro Studi Sistemi di Trasporto, pubblicati sul numero di febbraio de “l’Automobile”. rivista dell’ACI, che indica come inquinatori da micropolveri ben peggiori: fabbriche e centrali termiche (25%), altre forme di trasporto (15%), riscaldamenti (11%), processi produttivi (10%), combustioni naturali (10%). Ovvia difesa d’ufficio da parte dell’ACI? Sarà, però le fonti dei dati sono l’APAT – Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, l’ARPA – Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente della Lombardia e illustri studiosi dell’atmosfera fra cui l’americano Don Lenschow.


Leonardo Libero
21 febbraio 2007

sabato, aprile 14, 2007

Arrivano questi Moduli? £%/&@!!!


Ecco una foto dell'impianto fotovoltaico sul tetto di casa mia. Bello nuovo, pronto ormai da un mese.

Volete sapere quanta energia ha prodotto in questo mese? Bene, ve lo dico: nulla, niente, nada, zero, un piffero.

La cosa ha a che vedere con i moduli che servono per chiedere la connessione alla rete, e sono questi che generano l'espressione fumettistica £"&/$%&U%!! Ora vi spiego perché.

L'impianto fotovoltaico produce energia elettrica in continua (DC) e questa deve essere trasformata in corrente alternata (AC) per essere utilizzabile. Per questo ci vuole un aggeggio chiamato "inverter". Ci sono molti tipi di inverter, ma se uno vuole connettere il proprio impianto alla rete in modo da scambiare energia con la rete stessa, l'l'ENEL richiede che l'inverter sia a norma, ovvero che "stacchi" disconnettendo l'impianto quando la rete perde tensione, come potrebbe essere in caso di un black out.

Ne consegue che perché l'inverter funzioni, bisogna che ci sia la connessione alla rete. Se la rete non c'è, l'inverter se ne accorge e si stacca. Cosi' fa il mio inverter, che è rigorsamente a norma, controlla che ci sia la connessione alla rete; si accorge che non c'è, e stacca immediatamente.

Ora, come si fa a ottenere la connessione alla rete? Bisogna chiederlo all'ENEL. Per chiederglielo, bisogna riempire un modulo. Questo modulo non c'è; non ancora. Senza modulo, niente connessione; senza connessione, niente energia dall'impianto fotovoltaico. Ecco dunque la ragione del $£&/%&/!!

Ho chiesto se si poteva usare il vecchio modulo, quello che serviva per la versione precedente del "conto energia". Hanno risposto di no; bisogna aspettare il nuovo. Non riesco a immaginarmi la potenza intellettuale che l'ENEL sta facendo convergere sulla preparazione di questo importantissimo pezzo di carta che ti chiede cose quali il tuo nome, cognome, indirizzo e potenza dell'impianto. Un errore su una casellina potrebbe portare a un black-out nazionale! Immagino che stiano sentendo anche l'opinione di Carlo Rubbia, premio Nobel e consulente del ministero dell'Ambiente...........

Pare che i nuovi moduli arriveranno verso fine Aprile (forse). Considerato che il decreto sul nuovo conto energia è uscito il 19 Febbraio, uno potrebbe forse anche pensare che due mesi e mezzo di tempo siano un po' tanti per l'ENEL per fare un paio di pagine di modulistica dove tutte le informazioni richieste all'utente stanno in due paragrafi (o così perlomeno era il caso del vecchio modulo). E poi, una volta compilato il modulo e spedito all'ENEL, quanto tempo ci vorrà per avere l'allacciamento? Si parla di 60 giorni..... £"(&$=)"/%!!!

Non sono solo io in questa condizione, mi dicono che ci sono decine, centinaia, o forse più impianti installati e pronti a funzionare che sono fermi in attesa dei moduli. Ora, uno può pensare a volte di essere paranoico, ma ho l'impressione in questo caso di non soffrire di questa sindrome, ovvero qualcuno ci sta VERAMENTE sabotando.


$£"&%//%$!!!




Per vostra curiosità, il vecchio modulo lo trovate, per esempio, sul sito visurnet.

venerdì, aprile 13, 2007

Picco del petrolio? Roba vecchia


Google ha un servizio che si chiama "google trends" che vi dice quante volte un certo termine è stato cercato. E' una cosa molto interessante perché vi fa vedere che cosa gira mediamente nella testa della gente nel mondo.

Allora, ovviamente ho cercato "peak oil" è i risultati li vedete nella figura. In alto ci sono le ricerche fatte su google, in basso le menzioni sulla stampa. Peccato che non ci sia la scala verticale, mi sembra di capire che sia perché la cosa è ancora un po' sperimentale.

Comunque i dati sono davanti a noi: c'è stato un "picco di interesse" fra il 2005 e il 2006, quando la gente si è accorta che stava succedendo "qualcosa" con il petrolio. Oggi, dopo l'ultima fiammata dei prezzi di Agosto dell'anno scorso, credo che si possa dire con tranquillità che della faccenda del picco non glie ne frega più niente a nessuno.

Questi dati di google mi confermano quello che mi pareva di capire parlando con molta gente, sia massaie di Voghera, come pure alcuni parlamentari della repubblica. Tutti li ho sentito dire; più o meno, "si c'è stato qualche problema l'anno scorso, ma ora tutto è tornato a posto".

Se non altro, questo ci fa vedere come sia labile la memoria umana e fragile la capacità di valutare quantitativamente. Quando il prezzo del petrolio saliva da 30 dollari al barile a 50, tutti si preoccupavano. Quando scendeva da 70 dollari al barile a 50, tutti respiravano di sollievo. Oggi è a 64 dollari al barile e tutto è tranquillo. Se arriva a 100, qualcuno si preoccuperà per un po', ma quando tornerà a 80, tutti daranno il problema per risolto.

Bene, ho detto più di una volta che il primo passo per risolvere un problema è di rendersi conto che esiste. Da questi dati di google, sembrerebbe proprio che non siamo ancora nemmeno al primo passo. Per ora contentiamoci, potremmo anche fare qualche grosso passo indietro (per esempio una bella guerra)



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giovedì, aprile 12, 2007

il petrolio per lo spazio, lo spazio per il petrolio


Da Blogeko, arriva una segnalazione di un recente articolo apparso su Foxnews
a proposito del concetto di "space solar power", ovvero l'idea di mettere pannelli fotovoltaici su dei satelliti artificiali e inviare l'energia sulla terra.

Mi ha ricordato i vecchi tempi della prima crisi energetica, quella degli anni '70; quando si cominciò a parlare si "solar power satellites", SPS. L'idea, in se, non era male. I pannelli fotovoltaici in orbita non hanno problemi di nuvole, e neanche di giorno e di notte se sono abbastanza in alto. L'energia si può poi inviare sulla terra mediante un fascio di microonde o un raggio laser.

Si parlava, all'epoca, di metterli in orbita geostazionaria e di usare materiali presi dalla superficie lunare per costruirli. Gerard O'Neill, fisico di Princeton, aveva inventato il concetto di "colonia spaziale" e aveva proposto di piazzare in orbita grandi habitat spaziali (li vedete nella figura qui sopra, di quell'epoca) che avrebbero ospitato le attrezzature e il personale per fabbricare e montare i grandi satelliti che avrebbero risolto il problema della crisi del petrolio.

Erano tempi di ottimismo, c'era persino chi aveva rifatto i conti dei "Limiti dello Sviluppo" tenendo conto delle colonie spaziali e aveva trovato che potevamo continuare a espanderci nel sistema solare ancora per qualche secolo. Purtroppo, la cosa era talmente costosa che rimase solo un'idea, destinata a sparire insieme con altre idee dell'epoca, tipo le macchine volanti e l'energia nucleare talmente a buon mercato che ce l'avrebbero data gratis


Ahimé, le cose sono cambiate, e non esattamente in bene. La giustificazione per i satelliti solari è, oggi, indovinate, di tipo militare. Indovinate anche chi l'ha proposta: il Pentagono. Guardate la figura qui accanto. Hanno talmente tanti soldi che forse potrebbero veramente costruire le colonie spaziali che ai loro tempi erano state giudicate talmente costose da essere impensabili.

Peccato che lo scopo del Pentagono sia un'altro. Qui, hanno detto su Foxnews che i satelliti solari sarebbero un modo "per fornire energia alle nostre truppe sul campo di battaglia". Certo, però, uno si domanda che se è vero che le truppe sono sul campo di battaglia per difendere gli interessi strategici degli Stati Uniti correlati alle forniture di petrolio (non me lo invento io, lo ha detto Richard Cheney nel National Energy Plan del 2000), allora se i satelliti consentono di fare a meno del petrolio, non c'è bisogno nemmeno delle truppe sul campo di battaglia!

Perlomeno, quelli del Pentagono lo dicono chiaramente che il problema è la "riduzione della disponibilità di risorse naturali": la faccenda del picco, ce l'hanno perfettamente chiara.




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lunedì, aprile 09, 2007

La terribile ipotesi di Ruddiman



Molto del dibattito in corso sul cambiamento climatico è sull'importanza dell'effetto umano. Sparito ormai (ma continua a fare capolino) il diniego che il cambiamento esista, una certa linea di pensiero è che, si è vero che il clima si sta riscaldando, ma questo non ha nessuna relazione col fatto che gli esseri umani immettono CO2 e altri gas-serra nell'atmosfera. Il dibattito fra negatori e fautori dell'opportunità di prendere provvedimenti per la riduzione delle emissioni si basa, al momento, proprio su questo punto.

Ora, cosa succederebbe se venisse fuori che l'influenza umana sul clima non solo c'è, ma è anche enormemente superiore di quanto sia negatori che fautori ritengano al momento? Questa è quella che possiamo chiamare l' "ipotesi Ruddiman;"apparsa negli ultimi anni dovuta a William F. Ruddiman, ricercatore americano.

Ruddiman si basa sul concetto che il clima terrestre è ciclico. E' un'idea che risale al ricercatore yugoslavo Milankovich che aveva esaminato fra i primi gli effetti climatici delle variazioni periodiche dell'orientazione dell'asse terrestre in relazione all'eccentricità orbitale della terra. Siccome la distribuzione dei continenti sul pianeta non è uniforme, queste variazioni hanno effetti climatici importanti e sono correlabili alle avanzate e alle ritirate dei ghiacci che avvengono con una ciclicità dell'ordine dei 10-20 mila anni.

Ora, secondo la teoria di Milankovich - così come viene interpretata da Ruddiman - le attuali condizioni di insolazione della massa continentale dell'emisfero nord sono tali che dovremmo trovarci in un'era glaciale; o perlomeno un'era glaciale dovrebbe essere alle porte (per "alle porte" si intendono tempi dell'ordine delle migliaia di anni!). Viceversa, non c'è traccia di era glaciale, anzi i ghiacci si stanno sciogliendo un po' dappertutto. Questa non è solo una tendenza degli ultimi tempi, ma è qualcosa di anomalo che si verifica dagli ultimi 10.000 anni circa.

Nelle figure riportate più sopra, Ruddiman fa vedere come le concentrazioni di CO2 e di metano dell'atmosfera non abbiano seguito la tendenza "normale", correlata al raffreddamento che ci si aspetta dalla graduale riduzione dell'irradiazione solare che arriva sulla superficie dell'emisfero nord. Dovrebbero diminuire, invece aumentano. Dato che ambedue sono "gas serra", la loro presenza spiega come mai il pianeta sia rimasto caldo negli ultimi 10.000 anni, invece di avviarsi gradualmente verso una nuova era glaciale.

Ruddiman spiega questa anomalia come un'effetto dell'agricoltura umana. Le civiltà agricole sono nate nel Medio Oriente circa 12.000 anni fa e si sono gradualmente espanse in tutto il mondo. Hanno portato una serie di cambiamenti; per esempio è noto che le risaie causano un incremento delle emissioni di metano, mentre la deforestazione causa un aumento delle emissioni di CO2. Secondo Ruddiman, esiste una correlazione evidente fra lo sviluppo dell'agricoltura e le emissioni di gas-serra e, di conseguenza, la temperatura. Addirittura, ipotizza che la "piccola era glaciale" del Medio Evo sia da correlarsi alla riduzione in popolazione dovuta all'epidemia di peste che spazzò tutta l'Eurasia a quei tempi.

Questa di Ruddiman non la possiamo chiamare una vera e propria "teoria" per via delle tante incertezze che rimangono. La possiamo chiamare "ipotesi" e come tale valutarla. Il dibattito è in corso, con argomentazioni pro e contro. Sicuramente non è un'ipotesi da ignorare e, se risultasse confermata, avrebbe delle enormi implicazioni sul dibattito attuale.

C'è chi si è subito lanciato a prendere al contrario le conseguenze dell'ipotesi di Ruddiman. Se l'agricoltura, hanno detto, ha evitato un'era glaciale, allora ne consegue che facciamo bene a buttare gas-serra nell'atmosfera bruciando combustibili fossili. Questa è una pura fesseria; le scale dei tempi sono enormemente diverse. L'agricoltura può averci evitato l'era glaciale, ma l'effetto dell'attività industriale è enormemente superiore e anche enormemente più rapido. E' decisamente un caso di "troppa grazia Sant'Antonio" che ci scaraventerebbe invece in una fase di surriscaldamento globale del tipo osservato nel remoto passato e noto come "bagno turco planetario"

Le conseguenze dell'ipotesi di Ruddiman sono invece molto preoccupanti. Se l'effetto umano sul clima è talmente importante che un'attività che normalmente riteniamo "benigna" ha cambiato profondamente l'evoluzione naturale del clima; immaginiamoci quali saranno a breve scadenza gli effetti dell'attività industriale che hanno immesso in tempi brevi quantità enormemente superiori di gas-serra nell'atmosfera.

L'evidenza si sta accumulando che il clima terrestre è fragile e che gli effetti della nostra attività possono sbilanciarlo profondamente; forse molto più profondamente di quanto non ci siamo immaginati finora. Gestire il clima è una responsabilità che prima o poi dovremo accettare di prenderci. Indipendentemente dalla validità dell'ipotesi di Ruddiman, se non altro è bene piantare alberi


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Lettera a Varvelli

Riceviamo da Franco Galvagno, e pubblichiamo con il suo permesso, questa lettera che ha scritto a Riccardo Varvelli a proposito del recente libro "Petrolio e dopo?"

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Gentile prof. Varvelli,

sono uno studente lavoratore interessato alle problematiche ambientali. Ho letto sul sito del Politecnico del suo corso di

Sistemi produttivi e fabbisogni energetici (01LGBIZ)

Obiettivi dell'insegnamento


Finalita' del corso: Mettere il partecipante in condizioni di affrontare le eventuali prossime e probabili crisi energetiche che possono mettere in difficoltà qualunque sistema produttivo. Sviluppare nel partecipante la coscienza e la conoscenza dell'importanza prioritaria del risparmio energetico.


Quello che Le chiedo è un aiuto per individuare il trait-d'union tra i contenuti di questo corso con quelli del libro "Petrolio e dopo?".

Da una parte si intende "affrontare le eventuali prossime e probabili crisi energetiche "; dall'altra si sdrammatizza sul picco del petrolio e degli idrocarburi, sostenendo che il modello di sviluppo attuale continuerà come tale ancora per tutto il XXI secolo e per diversi decenni del XXII, per poi cedere il testimone alle energie rinnovabili.

In base alle più accreditate (e imparziali) notizie sui giacimenti di idrocarburi, si evince che la crescente domanda sarà disattesa già nei prossimi anni (orizzonte 2012), in quanto la velocità di sviluppo dei nuovi giacimenti è sempre minore (per le ragioni tecnico-economiche che conosce).

Alcuni concetti da Lei enunciati letteralmente:

- "approccio esageratamente ideologico e pessimistico con il quale si affronta questo importante problema"

L'approccio dominante è, invece, indifferente o iperpositivista, e inneggia all'impossibile (nel senso matematico del termine) modello di "crescita infinita"

- "le brutte notizie rendono (dal punto di vista delle copie vendute) più delle belle"

FALSO. L'uomo medio si spaventa facilmente e tende ad evitare/rimuovere ciò che mette in dubbio stili e comportamenti cui è abituato

- "Sono un vecchio professore del Politecnico di Torino"

FALSO. Ad essere vecchio non è Lei ma le idee che espone nel suo libro

- "mi sono stancato di sentir fare incredibili affermazioni da presunti esperti petroliferi, ritenendomi anche io un esperto della materia presunto perlomeno quanto loro"

Se ritiene Marion King Hubbert, Colin Campbell, Ali Morteza Bakhtiari dei "presunti" esperti petroliferi, potrebbe proficuamente leggere le loro biografie. Lei a mio avviso è più un esperto di "management" e "gestione del potenziale dirigenziale", argomenti fortementi disaccoppiati dalla questione Peak Oil.


Dalla recensione dell'Editore:

- "Per tutto il XX secolo gli allarmi sulla fine del petrolio sono stati lanciati con cadenza regolare: già negli anni '50 e poi negli anni '70 numerose voci si sono levate a sostenere che la fine era vicina"

IMPRECISO. Negli anni '50 Hubbert ha previsto (a distanza di 25 anni) la crisi petrolifera degli anni '70, legata al peak oil Usa. Il picco del 2006, anch'esse previsto decenni prima ed osservato attualmente, comporterà un'altra crisi (dalle implicazioni più incerte e sfumate, essendo ora un problema globale). Non si parla di "fine del petrolio", non è interessante pronosticare quando e se l'ultima goccia verrà estratta.


- "da una parte coloro che prevedono un rapido esaurimento del petrolio - e quindi la necessità di iniziare da subito a sostituirlo con fonti energetiche rinnovabili - e dall'altra coloro che ritengono che ci sia ancora tempo e che la transizione alle altre fonti sarà lenta e progressiva"

Il concetto di "esaurimento" non è interessante, come scritto sopra. Sul fatto che ci sia molto tempo ci sono forti dubbi; finchè ci si riferisce a criteri di pura convenienza economica il risultato sarà di continuare a usare pesantemente i combustibili fossili, fino a trovarsi (ad un certo punto) nella situazione opposta, in cui si dovrà "switchare" in poco tempo su un forte contributo rinnovabile, ma la fattibilità sarà difficile o compromessa

- "grazie alle nuove tecnologie di estrazione - che rendono possibile lo sfruttamento dei giacimenti più difficili da raggiungere - di petrolio ce n'é e ce ne sarà ancora per tutto il XXI secolo e per una buona parte del XXII. Nel frattempo esso sarà sostituito progressivamente dal gas naturale prima ancora che dalle fonti energetiche rinnovabili"

BIZZARRO. Il petrolio da scisti bituminosi e compagnia ha un EROEI molto più basso... come risultato il picco sarà di poco perturbato, con leggero scodamento a dx. Ancora: di petrolio ce ne sarà anche nel 2500, ma l'effetto della diminuzione dei flussi, combinato con la crescente richiesta sta per farsi sentire ora. Il picco del gas naturale è posticipato rispetto a quello del petrolio, ma non di 100 o 200 anni, bensì di 1 o 2. Il passaggio fossile ==> rinnovabile non sarà un gioco da ragazzi, in qualunque modo si configurerà.


Come Lei dice dobbiamo tenerci lontani dallo sterile catastrofismo per affrontare il problema energetico.

Allo stesso modo dobbiamo sfuggire al puerile facilismo e infantilismo. Questo può avere la sua "giustificazione" solo nella paura che l'uomo ha di cambiare i suoi stili di vita, qualunque sia la sua "classe sociale". Più la classe è alta, più cresce la paura di perdere le "facilities" e più si getta acqua sul fuoco.

Per le classi medio-basse, si tende più a ignorare il tutto e a lasciarsi "coccolare" dalle rassicurazioni dei media.


Cordiali saluti,

Franco Galvagno




giovedì, aprile 05, 2007

La grande fumata viola dell'inceneritore


Ecco la grande fumata color viola emessa per qualche ora dall'inceneritore di Ospedaletto (Pisa) il 29 Marzo (cliccate sulla foto per ingrandire). Dalle analisi eseguite poco dopo, sembra certo che si sia trattato di iodio. Per fortuna, lo iodio è meno tossico di altri inquinanti che potenzialmente possono venir fuori dalla combustione di rifiuti; anche se è comunque tossico se in dosi relativamente elevate. Non è stato ritenuto necessario evacuare la popolazione della zona, ma l'inceneritore è stato comunque spento per precauzione.

Rimangono comunque molte perplessità sull'evento. Dal camino dell'inceneritore non dovrebbe uscire niente di inquinante, se non in quantità infinitesimali. Questo non è certamente il caso dello iodio se ne è uscito abbastanza da essere così chiaramente visibile a occhio nudo. Da dove è arrivato tutto questo iodio? Come è andata che i filtri in uscita non sono riusciti a bloccarlo? Al momento, possiamo ipotizzare che lo iodio emesso derivi dall'incenerimento di un carico di medicinali scaduti. Comunque sia andata, i filtri dell'inceneritore - evidentemente - non erano previsti per filtrare queste grandi quantità di iodio.

La fuoriuscita di iodio, di per se, non vuol dire che l'inceneritore non funzionasse bene in condizioni normali. Semmai, possiamo parlare di "conferimento improprio", quello che succede quando un impianto di trattamento rifiuti riceve materiale per il quale non era stato costruito - per esempio un barattolo di vernice che finisce in un impianto di compostaggio. Alcuni impianti sono più "robusti" di altri; l'inceneritore ha fama di essere una macchina onnivora che brucia più o meno tutto quello che riceve. Però, ha dei limiti, come si è visto in questo caso.

Mancandoci ancora dati precisi, non è il caso di usare questo incidente per lanciarsi a demonizzare questo inceneritore o tutti gli inceneritori. La grande fumata viola di Pisa rimane comunque abbastanza preoccupante. Serve a poco mettere filtri e controllare le emissioni a valle - ovvero controllare cosa esce - se poi non si controlla che cosa entra. Gli inceneritori moderni sono costruiti usando le migliori tecnologie possibili, ma nessun impianto è sicuro se non è gestito correttamente. In questo caso, sembra che non sia successo niente di grave, ma rimane aperto il problema dei controlli che, evidentemente, devono essere migliorati per evitare simili incidenti nel futuro. Non si può fare a meno di notare che se fosse stato emesso un inquinante incolore, qualcosa che non fosse iodio, nessuno se ne sarebbe accorto.

In ogni caso, il problema dei rifiuti, e in particolare quello dei rifiuti solidi urbani, è qualcosa che tendiamo a ignorare finché qualche evento spettacolare, come la fiammata viola di Pisa, ci scuote dal nostro torpore. Ma la questione è molto complessa e non si può basare su eventi occasionali. E' possibile essere contrari agli inceneritori sulla base di argomenti assai più solidi (vedi per esempio questo articolo di Ugo Bardi). E' anche probabile che dovremo continuare a bruciare rifiuti per molto tempo, ma potremo anche utilizzare tecnologie meno drastiche di quelle dell'inceneritore classico.

Comunque la si voglia vedere, una corretta gestione dei rifiuti che parta da una riduzione alla fonte riduce la necessità di trattamenti finali ad alta temperatura e riduce pertanto il rischio di incidenti con qualsiasi tipo di impianto. Per gestire correttamente i rifiuti, però, non si può ignorare il problema come si tende a fare di solito; bisogna lavorarci sopra.



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mercoledì, aprile 04, 2007

"Grano, grano non ti carbonchiare" Super-malattia in arrivo?


Arrivano notizie abbastanza preoccupanti dal "New Scientist". In un articolo che esce oggi sul loro sito internet (www.newscientist. com) si parla di un "super-blight", una malattia del grano portata da un fungo denominato Ug99 (Puccinia graminis). Secondo Norman Borlaug, premio Nobel nel 1970 e persona nota come "il padre della rivoluzione verde", questo fungo potrebbe nullificare gli effetti degli ultimi venti o trent'anni di progresso nell'aumento della resa delle coltivazioni. Secondo Borlaug questo fungo "ha immense possibilità di distruzione sociale e umana"

Prima di gridare "arriva la peste nera" bisogna pensarci un attimo: per il momento l'avvertimento arriva soltanto da Norman Borlaug che, sia pure premio nobel, potrebbe anche aver esagerato. Ma il New Scientist è una rivista seria e se pubblicano una cosa del genere in prima pagina, vuol dire che qualcosa dietro c'è.

In ogni caso, la notizia del fungo che distrugge il grano si inserisce in una serie di altre notizie preoccupanti che indicano che la produzione alimentare mondiale non ce la fa a tener dietro con la popolazione; anzi, mostra segni preoccupanti di un prossimo calo. Se a questa tendenza aggiungiamo anche queste nuove malattie per le quali, come dice l'articolo, non abbiamo le risorse per trovare rimedi in tempi brevi, ebbene, la situazione potrebbe veramente mettere a rischio la vita di miliardi di esseri umani, come dicono nel titolo del New Scientist.

I nostri bisnonni facevano grandi falò al tempo del raccolto cantando "grano, grano non ti carbonchiare." Chissà che non ci riduciamo anche noi alla stessa cosa?


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lunedì, aprile 02, 2007

Il Grande Fiume Fatto dall'Uomo


Fra le risorse che chiamiamo "fossili" non c'è solo il petrolio e gli altri combustibili. La definizione di fossile si può estendere a qualunque risorsa che si è accumulata nel remoto passato e, oggi, viene estratta enormemente più in fretta di quanto si possa riformare. Fra queste, c'è l'acqua.

Molta dell'acqua in uso oggi in ogni parte del mondo viene estratta da giacimenti sotterranei chiamati "acquiferi." In alcuni casi, l'acquifero si rinnova continuamente con l'apporto di acqua da fiumi e precipitazioni. In altri casi, l'acqua sotterranea è veramente fossile, ovvero si è accumulata decine o anche centinaia di migliaia di anni fa. Una volta estratta, quest'acqua non ritorna più nell'acquifero, se non in tempi lunghissimi.

Gli acquiferi delle aree desertiche contengono spesso acqua fossile. Ce ne sono molti nel deserto del Sahara. Si sono formati oltre 10000 anni fa; quando il Sahara era un'area verde, distrutta poi, secondo alcuni, dalla deforestazione umana. Le piante sono sparite, ma molta acqua è rimasta sotto la sabbia. Quest'acqua è l'origine delle oasi; zone dove l'acquifero sotterraneo è abbastanza vicino alla superficie da generare pozze d'acqua superficiali, o permettere di scavare pozzi a piccole profondità.

Gli aquiferi sahariani sono completamente fossili, ovvero non si rinnovano a velocità percettibile. In teoria, le oasi del Sahara sono insostenibili; a lungo andare finiranno per esaurire l'acquifero dal quale attingono acqua. In pratica, fino a non molto tempo fa, il problema non si poneva. La capacità umana di scavare pozzi era molto limitata sia in termini di profondità come di portata e pertanto la quantità di acqua che si poteva estrarre dagli acquiferi era infinitesimale rispetto alla quantità totale. Oggi, però, le cose sono molto cambiate.

Con la disponibilità di energia abbondante e a buon mercato che viene dai combustibili fossili, è possibile trivellare a profondità impensabili nel passato e pompare acqua in quantità, anche quelle, impensabili una volta. Questo consente di sfruttare gli acquiferi a ritmi enormemente più rapidi di quanto non si facesse nel passato. In queste condizioni, gli acquiferi si esauriscono in tempi brevi. Tutti gli acquiferi costieri del Nord Africa, come pure quelli della penisola arabica, mostrano sintomi preoccupanti di esaurimento dopo che sono stati sfruttati con metodi industriali negli ultimi decenni. Questo è un grosso problema.

Per risolverlo, in Libia, hanno deciso di imbarcarsi in un impresa grandiosa il Grande Fiume Fatto dall'Uomo. L'idea è di estrarre acqua dai grandi acquiferi sahariani, ancora intatti, e trasportarla agli insiediamenti abitati sulla costa. E' un progetto immenso che prevede di sfruttare quattro grandi bacini sotterranei: il bacino dell'oasi di Kufra, il bacino della Sirte, il bacino di Murzuq e il bacino dell'Hammada. Secondo quanto si può leggere dalle fonti, si parla di una riserva totale di circa 35000 km cubi; c'è chi dice anche di più.

Per rendersi conto delle quantità in gioco, facciamo un po' di conti. Per una persona, la mera sopravvivenza vuol dire almeno 500 metri cubi d'acqua all'anno; un valore che include l'acqua usata in agricoltura. Effettivamente, in molti paesi poveri la gente vive con quantità del genere e anche meno. Nei paesi ricchi, invece, si consuma ben più acqua. In Italia, per esempio, ogni anno ognuno di noi ne consuma circa 1700 metri cubi ogni anno. Paesi più ricchi come la Svizzera ne possono consumare molta di più.

Su questa base, possiamo farci un'idea della massa di acqua che sta negli acquiferi libici. La Libia ha circa 6 milioni di abitanti; se questi consumassero acqua come un paese ricco (> 2000 m3/anno) consumerebbero oltre 10 km cubici l'anno. A questo ritmo, gli acquiferi sahariani potrebbero durare duemila anni, o anche di più. Questo giustifica quello che si legge nei siti libici, ovvero "risorse quasi illimitate"?

Ahmé, le cose non sono mai semplici come sembra. Chi si è occupato di petrolio sa quanto le le stime delle risorse minerali vadano prese con cautela. E' probabile che le stesse cautele siano necessarie per le dichiarazioni sull'acqua. Ci saranno veramente 35.000 km cubi di acqua sotto il deserto libico? Tutta quest'acqua è veramente estraibile? Ovvero, la si può tirar fuori fino all'ultima goccia a costi ragionevoli? Inoltre, l'estrazione di acqua dipende dalla disponibilità di energia per il pompaggio e la manutenzione delle condutture. In Libia, questa energia viene quasi tutta dal petrolio e questo non durerà certamente 2000 anni.

Ma il problema principale è, piuttosto, che non si può estrapolare nel futuro il consumo d'acqua attuale assumendolo costante, esattamente come non lo si può fare per il petrolio. Se la Libia avrà a disposizione acqua in abbondanza dal Fiume Fatto dall'Uomo, la popolazione aumenterà e questo porterà a consumare più acqua. Se la popolazione della Libia crescesse al livello di quella Italiana, l'acquifero sahariano durerebbe solo qualche secolo al massimo.

Come il petrolio, l'acqua fossile è soggetta alla "maledizione dei fossili". L'abbondanza iniziale di una risorsa porta a un'espansione sia della popolazione come dell'economia. Questa espansione porta a una pressione sempre maggiore verso lo sfruttamento della risorsa, il che accellera il suo esaurimento. A un certo punto, le richieste diventano troppo grandi per le capacità della risorsa di soddsifarle; inizia il declino, che può essere anche molto doloroso. E' la dura legge del ciclo di Hubbert che vale per il petrolio, per l'acqua e per tutti i minerali.

Per quanto tempo potrà scorrere in Grande Fiume Fatto dall'Uomo? Millenni? Secoli? O forse solo decenni? Nessuno lo sa con esattezza. Sappiamo solo che un giorno inizierà il declino e avremo visto ancora un esempio della tendenza umana di cambiare in modo irreversibile il mondo in cui vivono. Per riempire di nuovo gli acquiferi sahariani esauriti ci vorranno almeno ventimila anni.

Ma, a differenza del petrolio, l'acqua non scompare una volta utilizzata. Se abbiamo energia rinnovabile a sufficienza, possiamo desalinare l'acqua di mare o, se necessario, condensare acqua dall'atmosfera: questa è acqua che non si esaurisce mai.

L'abbondanza o la scarsità di una risorsa dipende solo dall'uso che ne facciamo. In fondo, il mondo intero è un'unica, immensa, oasi blu e verde nel deserto dello spazio. Di acqua ce n'è; sta a noi usarla con saggezza.



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