mercoledì, febbraio 28, 2007

L'integrazione delle energie rinnovabili nella rete elettrica

Pubblicato su ASPO-Italia un articolo fondamentale di Domenico Coiante per capire la questione delle prospettive reali delle energie rinnovabili.

Coiante esamina in dettaglio il problema dell'integrazione delle fonti energetiche rinnovabili nella rete elettrica. Al momento attuale, impianti di tipo fotovoltaico o eolico forniscono energia intermittente alla rete. Il problema di gestire questa energia in modo tale da permettere uno sviluppo veramente significativo delle rinnovabili non può essere trascurato. L'obbiettivo è realizzabile soltanto mediante lo sviluppo di metodi di immagazzinamento dell'energia che permettano di controllare l'immissione in rete.

Articolo completo su www.aspoitalia.net


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Cronaca da Bruxelles


Su www.aspoitalia.net, Corrado Petri ci fa una cronaca divertente e scanzonata della "Winter School" sull'energia organizzata a Bruxelles nel Febbraio del 2007 dalla sezione italiana del partito socialista europeo. Fra grandi esperti, funzionari noiosi e politici boriosi, ne viene fuori un quadro che dimostra come sia difficile per i leaders capire qualcosa sulla questione energia. Almeno, comunque, ne hanno parlato.


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Si trattava di una “winter school”, una di quelle iniziative che le forze politiche intraprendono a beneficio dei soggetti sui quali reputano meritorio investire, generalmente giovani già attivi in strutture periferiche dei loro apparati. Nel caso particolare l’organizzatore era la sezione italiana del PSE, ed il pubblico era composto da giovani post-stagisti e da amministratori pubblici vicini al centrosinistra. La due giorni in questione, in programma l’1 e 2 febbraio, verteva su argomenti di moda, “energia” e “comunicazioni senza frontiere”; ad invitarci era stato Giulietto Chiesa, noto giornalista e parlamentare europeo eletto con l’Italia dei Valori, di cui incarna attivamente la corrente sostenibilista. Ritenendo sempre utile la catechesi ai politici, soprattutto quelli di domani e qualunque sia il loro colore, non mi posi alcun problema di sponsor e mi dichiarai disposto a farmi la gitarella, se non si offrivano altri volontari. La trovavo un’ottima scusa per allontanarmi dalle asfissianti attività degli ultimi mesi almeno per un paio di giorni, cosa che non mi era riuscita neanche sotto Natale. Fui purtroppo costretto a premettere che avrei trovato, forse, il tempo per andare o per preparare una presentazione, ma non per fare entrambe le cose. Mancando altri volontari, e scemata all’ultimo momento la speranza di condividere l’esperienza con il nostro presidente, manifestai all’organizzazione la mia disponibilità a presenziare ai dibattiti, ma anche l’impossibilità di prepararmi un intervento. Da questo punto di vista non c’erano problemi, non richiedendosi obbligatoriamente che tutti gli “esperti” chiamati ad animare il dibattito si producessero in monologhi programmati.

Fino all’ultimo momento non sapevo se e quando mi sarei liberato. Non avevo fissato né alberghi né aerei, avevo solo trovato due compari disposti a farsi, senza quasi preavviso, una gita che giustificasse energeticamente* l’uso dell’auto per più di 3000 km totali, dei quali ero disposto a finanziare una frazione significativa, grazie al rimborso parziale che veniva promesso ai partecipanti.

Anche mercoledì 31 gennaio, come al solito, dalle sette e mezza ero stato impegnato nei molti cantieri di cui ultimamente pullula l’azienda dove lavoro. Eventuali non improbabili inconvenienti dell’ultimo minuto avrebbero potuto trattenermi, quindi la decisione di partire maturò solo dodici ore dopo, quando prenotai di corsa un alberghetto nella periferia di Bruxelles, e lasciai il lavoro avvertendo i compagni di zingarata.

Non avendo avuto il tempo di dare un’occhiata al tragitto, e non possedendo un navigatore, mi ero raccomandato affinché i compagni di viaggio provvedessero di conseguenza: per questo alla partenza disponevamo di un TOMTOM e di un NAVMAN. Il primo fu molto utile tra le nebbie padane ma giunto in Alsazia, a causa di pesanti mutamenti della viabilità, alle quattro di mattina diede forfait e mi portò dritto dentro un bosco che finiva con uno stabilimento della Osram. Per fortuna c’era il secondo, che però mi tenne in serbo un tiro mancino per il ritorno, quando dalle parti di Strasburgo si piantò contro un muro, al termine di una strada cieca, intimandomi di proseguire. Erano le due di notte, ma fortunatamente l’unico “straniero” nei paraggi era originario del catanese.

Arrivati in Lussemburgo feci il pieno, risparmiando quasi il 30%, mi feci la barba e mi misi il vestito “bono”. Giungemmo a Bruxelles un’oretta in anticipo rispetto all’appuntamento con il collaboratore di Giulietto Chiesa, margine sufficiente a permettermi di pranzare ma non certo di riposare quanto avrei avuto bisogno, trovandomi sostanzialmente sveglio da trenta ore. Nel centro di Bruxelles molti cartelloni pubblicizzavano la “settimana dell’energia” e le iniziative che il Parlamento Europeo aveva promosso, tra cui quella che mi aveva spinto fin lì. L’impatto con il PE fu molto italico, quasi bizantino: l’Ufficio Informazioni, l’Ufficio Accrediti e la Reception non erano in grado di mettermi in contatto con il soggetto che mi aveva convocato, nonostante che ne precisassi qualifica, nome e recapiti telefonici. Non avevo trovato alcun gruppo in attesa perchè, molto semplicemente, all’appuntamento in Rue Wiertz eravamo in pochissimi ad essere arrivati in orario. Tutti i partecipanti, a vario titolo, avevano un accredito nominale già pronto, indispensabile per oltrepassare l’ingresso della struttura, essendo questo protetto con standard simili agli aeroporti.

Per prima cosa fummo condotti in una stanza, dove ci attendeva una presentazione generale a cura di Bruno Marasà, da molti anni funzionario del PE, che ci parlò dei poteri attuali e futuri delle istituzioni dell’Unione Europea e, essendo di sinistra, sottolineò come il gruppo del PSE si distingua per la compattezza dei propri voti, a differenza del PPE ed ancora di più del gruppo liberale. Seguì una carrellata su quanto di buono ed importante gli italiani avevano saputo fare da quelle parti. Appena arrivammo a lambire il tema delle lobby, ed il relatore cominciò ad indugiare alla ricerca mentale di argomenti non ancora toccati, approfittai dell’occasione per chiedere che peso e che visibilità hanno nel PE le lobby in generale e quelle legate all’energia in particolare


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Qualcuno vuol comprare il colosseo?


La persistenza di certe bufale è stupefacente, quelle che hanno a che fare con l'energia sembrano avere una vitalità particolare negli ultimi tempi. Ne fa fede quella dell' "HHO," intesa come una molecola uguale, ma "diversa" dalla normale H2O, ovvero acqua.

Se vi volete divertire, cercate su internet "aquygen", oppure "gas di brown"; da li' si apre tutto un universo di fesserie in cui vi raccontano che la famigerata HHO è un mirabolante metodo per fare buchi nell'acciaio, per mandare le automobili, e probabilmente anche per mandar via i calcoli al fegato.

La bufala è ricomparsa di recente sul "Daily Telegraph" e quelli di voi che masticano bene l'inglese possono farsi quattro risate guardando il video qui di seguito

http://www.news.com.au/dailytelegraph/story/0,22049,21103512-5011660,00.html

A proposito di HHO, qualcuno vuol comprare il Colosseo? Ottimi prezzi, svendita ancora solo per pochi giorni. Le pietre sono già numerate, si può smontare e rimontare anche in Texas.




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martedì, febbraio 27, 2007

SUV contro ZEV


Immagine cortesia di Pietro Cambi.



Per chi non ha ancora imparato tutte le sigle, "SUV" sta per "sport utility vehicle". Passi per "veicolo" ma non si capisce che cosa c'entri lo sport o l'utilità. Comunque sono detti anche "gipponi" e sono quelle cose mostruose con ruotoni immensi che sembra che chi le guida stia partendo per correre la Parigi-Dakar e invece va a portare il bambino a scuola.

"ZEV" invece sta per "zero emission vehicle", ovvero un veicolo che non emette gas di nessun tipo
. Al momento gli ZEV sono veicoli elettrici a batteria anche se si tende ad applicare la sigla ai cosiddetti veicoli "ibridi" ovvero combinati elettrici e a combustione. Vengono anche detti PHEV (Plug-in hybrid electric vehicle) per distinguere quelli le cui batterie si possono caricare dall'esterno (plug-in) e quelli che invece caricano soltanto col motore.

Complicato, ma alla fine David la vincerà contro Golia




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venerdì, febbraio 23, 2007

Cosa siamo andati a fare in Iraq?


Da Indiatimes. Bush si gratta la testa perplesso davanti a una pannocchia di mais. Dice: "Davvero?...allora vuol dire che siamo andati in Iraq per niente..." Sulla pannocchia c'è un etichetta con scritto "biocombustibili".

Divertente; peccato però che è stato calcolato che tutta l'area coltivabile degli Stati Uniti non potrebbe generare abbastanza biocombustibili per le sole automobili private, e non si dice niente di tutti gli altri usi del petrolio. Come pure non si dice niente del fatto che per coltivare il mais ci vuole talmente tanto petrolio in forma di fertilizzanti, pesticidi e trasporti, che quella pannocchia è praticamente tutta petrolio.

Nessuna preoccupazione. Per andare in Iraq, una ragione c'era!



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giovedì, febbraio 22, 2007

Nuntium

Esce in questi giorni il numero 28 della rivista della Pontificia Università Lateranense. Quasi tutto il numero è dedicato al tema "energia" con un totale di ventisette interventi sui vari aspetti del problema. Fra gli autori, Carlo Rubbia, Herman Scheer, molti esperti internazionali e ben due rappresentanti di ASPO-Italia: Ugo Bardi e Luca Mercalli.

Di questi interventi, sarebbe cosa lunga fare un riassunto o commentarli in dettaglio. Alcuni sono tradizionali, altri più innovativi, ma l'originalità di questo numero di nuntium è più che altro nella linea che lega i vari interventi, ovvero che l'energia è una questione etica. In altre parole, la questione energetica a che fare con la sua equa distribuzione fra tutti gli esseri umani. L'energia è il problema politico per eccellenza.

Non si può parlare di energia soltanto in termini di libero mercato sperando che la "mano invisibile" dell'economia provveda miracolosamente a risolvere tutti i problemi. Forse potrebbe funzionare in un contesto di abbondanza, ma in un contesto di scarsità, verso il quale ci stiamo rapidamente orientando, non si può trascurare il problema etico della distribuzione dell'energia. E' un problema certamente difficile da risolvere, ma almeno certe cose è bene dirle e questo numero di Nuntium rappresenta un primo passo nella giusta direzione


L'articolo di Ugo Bardi su nuntium n. 28 è disponibile anche sul sito aspoitalia.


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domenica, febbraio 18, 2007

Arabia Saudita in declino


La notizia del declino produttivo dell'Arabia Saudita comincia a raggiungere anche il "mainstream" e non è più soltanto patrimonio dei picchisti. In un articolo apparso su Econbrowser vediamo il grafico riportato più sopra.

Per chi ha chiari i meccanismi della dinamica di estrazione, il grafico è chiarissimo: L'Arabia Saudita ha raggiunto il picco di produzione verso la fine del 2005, in corrispondenza con il picco globale del petrolio convenzionale. Da allora, la produzione è in declino. E' un risultato che da ragione in pieno a Matthew Simmons che con il suo "il crepuscolo nel deserto" aveva previsto in anticipo esattamente questo andamento.

Rimane aleggiante l'interpretazione complottista, ovvero che il picco non è dovuto all'esaurimento ma alle decisioni politiche dell'OPEC o del ministro del petrolio dell'Arabia Saudita. Può anche darsi, ma persino un sito come Econbrowser, di taglio piuttosto convenzionale, propende ormai per l'ipotesi del picco.

C'è poco da fare, il più grande produttore planetario è ormai in declino. A questo si aggiungono i venti di guerra sempre più forti. Come nell'antica maledizione cinese, ci aspettano tempi interessanti.


Articolo completo:
http://www.econbrowser.com/archives/2007/02/saudi_oil_produ_1.html



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sabato, febbraio 17, 2007

La strada verso Olduvai


E' uscito in questi giorni un aggiornamento della teoria Olduvai di Richard Duncan . La teoria, che Duncan propone ormai da diversi anni, dice che la società industriale è destinata a svanire entro i prossimi 50-100 anni con l'esaurimento dei combustibili fossili. Il risultato sarà un ritorno alle condizioni di vita pre-industriali, probabilmente addirittura pre-agricole, ovvero l'età della pietra. Questo è il significato di "Olduvai" che è una gola in Tanzania dove sono stati rinvenuti resti di ominidi che usavano primitivi utensili di pietra, probabilmente nostri antenati.

Detta così, la teoria Olduvai sembra sembra semplicemente una visione particolarmente cupa di un catastrofismo estremo. In realtà, l'approccio di Duncan va ben oltre il catastrofismo spicciolo che si trova in giro per internet. Duncan è un sistemista che si rifà al lavoro originale di Jay Forrester e cha parte da assunti difficilmente negabili. Il primo è che la società industriale dipende dai combustibili fossili. Il secondo è che senza combustibili fossili non ci può essere una società industriale. Le conseguenze dell'esaurimento, dunque, sono ovvie. I calcoli di Duncan fanno vedere come le curve di produzione e di popolazione salgono, raggiungono un massimo, e poi calano a dove erano prima.

Ovviamente, la teoria si basa sull'assunto che non esistono fonti energetiche non fossili comparabili a quelle fossili e nel testo di Duncan si ripete molte volte il concetto che le energie rinnovabili non potranno mai prendere il posto dei combustibili fossili.

Questo punto è cruciale, in effetti, ed è la base di molto dibattito. Come per tutte le cose, la risposta a una domanda dipende da come la domanda è posta. Se pensiamo alle rinnovabili come "energie alternative", ovvero come qualcosa che può sostituire il petrolio in tutti i sensi, allora Duncan ha ragione. Se quello che vogliamo per 9 miliardi di persone (proiezione ONU) sono due macchine in ogni garage, autostrade, svincoli a quattro corsie e centri commerciali, allora non ci siamo proprio. Non lo possiamo fare né con le rinnovabili, né con il nucleare, né con niente che possiamo pensare in questo momento.

Se invece pensiamo alle energie rinnovabili come il modo di mantenere una civilizzazione simile alla nostra, allora si, è possibile; posto che ci decidiamo a rinunciare a un po' dei giocattoli lucenti che ci piacciono tanto, che cominciamo subito a lavorarci sopra e che rinunciamo all'adorazione della sacra crescita a tutti i costi. E' possibile e non è detto che dovremo ritornare per forza alla gola di Olduvai a scheggiare pietre taglienti.




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venerdì, febbraio 16, 2007

Fotovoltaico contro biomassa, chi vince?


Esce su www.aspoitalia.net un articolo di Giulio De Simon dove si confrontano pannelli fotovoltaici e energia da biomassa in termini di efficienza di conversione della luce solare.

Per chi si intende di queste cose, è abbastanza noto che che il fotovoltaico è più efficiente della biomassa. Tuttavia, il risultato finale di De Simon sarà probabilmente sorprendente per molti di noi. Per culture energetiche tipiche come, per esempio Salix, Populus, Alnus, Eucalyptus o Miscanthus, il vantaggio del fotovoltaico è di oltre un fattore 60 (!). Se volessimo utilizzare la biomassa per sostituire i combustibili fossili in Italia, avremmo bisogno del 128% della superficie coltivata italiana.

La scarsa efficienza della biomassa nella conversione della luce solare è dovuta ai limiti intrinseci del processo fotosintetico che si realizza nelle piante. In pratica, la biomassa come fonte di energia è adatta solo per applicazioni di nicchia o come ausilio allo smaltimento di rifiuti. Se facessimo l'errore di affidarci alla biomassa per cercare di sostituire i combustibili fossili, otterremmo soltanto di danneggiare la produzione alimentare agricola senza risolvere il problema.


Link all'articolo completo
http://www.aspoitalia.net/images/stories/desimon/desimonfvbiomasse.pdf




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mercoledì, febbraio 14, 2007

Della sostenibilità delle rinnovabili e del trasporto elettrico

"Automobili azionate da batterie caricate dall'energia del sole sono meno costose sia in termini di scarsa bassa entropia sia per le condizioni sanitarie - una ragione per la quale, io credo, devono arrivare un giorno o l'altro". Nicholas Georgescu-Roegen, "The Entropy Law and the Economic Process", NY 1971, p 306


I miei ragionamenti sull'opportunità di utilizzare la trazione elettrica per i veicoli stradali generano spesso reazioni contrastanti. Se da una parte c'è molto interesse in proposito, dall'altra c'è una reazione che in un mio testo ho definito come quella dei "paleoambientalisti", ovvero il rifiuto a priori di tutto quello che è nuovo; un atteggiamento che è spesso rovinoso e impedisce di trovare vere soluzioni ai problemi che abbiamo.

D'altra parte, la reazione alle mie proposte può essere anche ragionata e basata su serie argomentazioni. Questo è il caso di un messaggio che ho ricevuto da Tommaso Minisgallo che ringrazio per l'opportunità che mi da di discutere un argomento fondamentale.

Per cominciare, ecco il messaggio di Minisgallo che commenta alcuni miei articoli sui veicoli elettrici pubblicati su aspoitalia.net nel novembre dell'anno scorso


Caro Ugo Bardi

Solo in questo momento vagabondando in rete mi è capitato di leggere il tuo articolo in oggetto, anche se da tempo mi erano già note le teorie del Oil Peak e seguo con molto interesse il dibattito sull'argomento. Permettitimi subito di dirti con molta franchezza, che un mondo intasato di veicoli elettrici al posto di veicoli fumanti, non è che mi ecciti particolarmente, ma il mio scetticismo nasce da due questioni fondamentali.

La prima che esso sottotende l' idea che petrolio o non petrolio si potrà continuare comunque all'infinito lo scialo di risorse e la frenesia di consumi, che ha caratterizzato la nostra epoca.Questa idea persevera quella fiducia positivistiva nella scienza che troverà comunque la soluzione ad ogni cosa, se osservi bene non abbiamo fatto altro che sostituire alla Divina Provvidenza la Divina Tecnoscienza, forse tanto valeva lasciare al suo posto la Prima, che avremmo fatto meno danni.

IL secondo punto riguarda la sostenibilità economica di una nuova tecnologia, e quando parlo di sostenibilità economica non la intendo in termini finanziario-monetari ma in termini energetici. Mi spiego meglio, secondo i principi della Bioeconomia di Georgescu-Roegen che faremmo bene a prendere in considerazione, una tecnologia è come un forma vivente, affichè possa crescere e affermarsi deve essere anzitutto vitale, per dirla in breve una tecnologia fondata sul voltaico non dovrebbe essere anzitutto parassitaria di altre fonti di energia, dovrebbe garantire un flusso di energia sufficiente alla sopravvivenza degli stoks da essa dipendenti ovvero dovrebbe fornire energia sufficiente a garantire la sopravvivenza e il funzionamento di tutte le strutture materiali ed umane impegnate nella sua produzione, poi dovrebbe generare un surplus di energia per riprodurre altre strutture materiali ed umane che ne consentano la diffusione su larga scala. Mi pare che da qualche parte si sia tentato l' esperimmento di una piccola comunità che sia autosufficiente solo con l'energia fotovoltaica e non mi pare sia riuscito.

Ho appena letto di recente l'ottimo lavoro,che ti consiglio di Eric Laurent - La verità nascosta sul Petrolio- edito da Nuovi Mondi Media, la straordinaria analisi-indagine sul mondo del petrolio conferma senza ombra di dubbio le teorie dell'Oil Peak, anzi le conclusionei sembrano molto più pessimistiche di quanto sembrasse, in quanto emerge senza dubbio che sia le Compagnie e sia gli Stati porduttori hanno gonfiato artificialmente le riserve stimate, ma le sue conclusioni a proposito delle fonti rinnovabili sono ancora più amare, -... analizzando tutte le fonti rinnovabili, ci si trova nella situazione del giocatore di scacchi che continua ad esaminare tutte le mosse possibili per non ammettere di trovarsi di fronte allo scacco matto! - Così egli dice, io penso meno pessimisticamente che si troveranno delle soluzioni parziali, dei modelli economici su piccola scala più flessibili e meno vulnerabili, ma pensare un modello fatto di consumi frenetici, di movimenti frenetici, di diseguglianze sociali disumanizzanti, onestamente non lo ritengo possibile e forse neppure auspicabile.

Saluti sinceri

Tommaso Minisgallo


La mia risposta

Ci sono due elementi correlati nel problema che viene qui sollevato da Minisgallo; quella delle fonti rinnovabili e quella dei veicoli elettrici. Entrambe sono questioni importanti e che vanno approfondite. Evidentemente, i veicoli elettrici non hanno senso senza fonti rinnovabili; la domanda è se le fonti rinnovabili hanno senso.

Georgescu Roegen si era posto la domanda correttamente già ai suoi tempi; negli anni '70, ovvero: possono le fonti rinnovabili riprodurre se stesse come fanno le forme di vita biologiche? In tempi più recenti, il problema è stato definito in termini di "energia ottenuta per energia investita" (EROEI o EROI). Se un impianto di energia rinnovabile non produce più energia di quanta ne sia necessaria per costruirlo, manutenzionarlo e smantellarlo, allora evidentemente non ha senso.

Ai suoi tempi, Georgescu Roegen non aveva dati sufficienti per rispondere alla domanda; l'energia rinnovabile era ancora nella sua infanzia. Più tardi, negli anni '80, Odum dette una prima risposta negativa; era una risposta valida per la tecnologia dei suoi tempi, non per quella odierna. Oggi, l'analisi delle tecnologie esistenti ha permesso di dimostrare senza ombra di dubbio che le rinnovabili, intese come energia eolica, fotovoltaica e idraulica, sono autosufficienti, ovvero producono più energia nel corso della loro vita utile di quanta ne consumino. Questa conclusione non è necessariamente valida per le biomasse in tutte le condizioni. Questo è un argomento molto dibattuto ma il fatto che la resa energetica delle biomasse sia comunque molto bassa in confronto alle altre rinnovabili è un forte fattore in favore della trazione elettrica in contrasto con i biocombustibili.

La resa energetica (EROEI) di un impianto fotovoltaico è oggi dell'ordine di 8-10; quella di un impianto eolico intorno a 20-40, quella di impianti idraulici anche più grande. Nuove tecnologie all'orizzonte, come il kitegen o il fotovoltaico a film sottile, promettono valori anche molto superiori. E' possibile dunque concepire un mondo in cui le rinnovabili sono la fonte energetica principale, o anche l'unica. Il limite ultimo di energia che potrebbe essere prodotta con le rinnovabili è parecchie volte quello attuale; forse anche oltre 10 volte superiore. Un mondo del genere utilizzerebbe la trazione elettrica come la tecnologia naturale per tutto il trasporto. Incidentalmente, questo è un punto che Georgescu-Roegen stesso ha detto esplicitamente.

Va detto comunque che un limite c'è. La superficie disponibile per raccogliere la luce solare è limitata e non possiamo pavimentare tutto il pianeta con celle solari e neppure fermare i venti a furia di generatori eolici. Per questa ragione, un mondo basato sulle rinnovabili sarebbe molto diverso dal nostro. In particolare dovrebbe confrontarsi con i limiti minerali che ci troviamo davanti. Stiamo esaurendo le fonti minerali a basso costo energetico e questo ci porta ad avere la necessità di utilizzare sempre maggiori quantità di energia per l'estrazione ma, come abbiamo detto, ci sono dei limiti. Un mondo basato sulle rinnovabili è un mondo "magro", anche se meno magro di qualsiasi alternativa pensabile attualmente. E' comunque un mondo dove è vitale utilizzare le risorse con parsimonia e riciclare tutto in modo addirittura feroce.

Curiosamente, queste caratteristiche delle rinnovabili fanno si che siano oggetto di critiche dai due estremi dello spettro politico-ambientalistico. Il fatto che siano una sorgente di energia abbondante scatena la reazione negativa dei ruralisti, dei doppiovetristi e dei secchiobuchisti (quelli che sostengono che l'unica priorita sia "tappare i buchi del secchio") che hanno paura che le rinnovabili siano un puntello per il mondo consumista-plutocapitalista-centrocommercialista che detestano profondamente.

Dall'altra parte, il fatto che le rinnovabili siano una tecnologia che porterà comunque a dei cambiamenti profondi scatena le ire dei dinofossilisti (dinosauri dei combustibili fossili) quattroruotisti e autostradisti che non concepiscono cambiamenti a un mondo basato sulle autostrade e sulle automobili. Vorrebbero che rimanesse esattamente com'è e si rendono conto pefettamente che le rinnovabili non possono sostenerlo.

Ma non saranno le nostre sciocche diatribe a cambiare le cose. A lungo andare, il mondo follemente sprecone attuale non può essere sostenuto da nessuna tecnologia; è destinato a sparire. Un mondo basato sulle rinnovabili è perfettamente possibile. Sarà molto diverso dal nostro, ma, io credo, sia una cosa a cui possiamo mirare concretamente e, se riusciamo ad arrivarci, potrebbe essere un bel mondo in cui vivere. Non sarebbe un ritorno al mondo rurale dei nostri antenati, ma ne avrebbe alcune delle caratteristiche, quali il basarsi sulla produzione di energia sparsa sul territorio.

Non è detto però che ci arriveremo. E' altrettanto possibile che ci troveremo di fronte a un declino talmente rapido dei combustibili fossili che non saremo in grado di investire a sufficienza nelle rinnovabili, il che ci porterebbe a un declino traumatico con sofferenze terribili per tutta l'umanità. Qui si innesta il discorso dei veicoli elettrici come un "ponte" per ridurre il trauma della transizione. Ci sono diversi fattori che rendono i veicoli elettrici interessanti in questo senso; uno è quello di essere dei naturali serbatoi di energia per le rinnovabili attuali, che hanno scarse possibilità di immagazzinamento. Trazione elettrica e energie rinnovabili possono innestare un circolo virtuoso economico che darebbe un ulteriore spinta al decollo delle rinnovabili.

Un altro punto in favore della trazione elettrica è la capacità di sostenere un minimo di trasporto in una situazione di carenza di combustibili. A breve scadenza rischiamo di trovarci di fronte a una condizione in cui il trasporto su strada diventerà una prerogativa dei militari, delle emergenze, e di chi se lo può permettere. Molti di noi rischiano di trovarsi tagliati fuori anche dalla possibilità di fare la spesa. Il trasporto elettrico in questo caso non va inteso come lasciare tutto come sta, con le SUV e gli ingorghi stradali, ma come un modo di mantenere un po' di mobilità a costo ragionevole per i poveri cristi che, perlomeno in una fase transitoria, non possono farne a meno e che non potranno più permettersi veicoli a combustione interna.

Infine, anche su orizzonti temporali immediati, la trazione elettrica ci offre una capacità concreta di ridurre l'inquinamento da polveri nelle nostre città. Questo è un problema sanitario gravissimo che sta facendo danni immensi a tutti noi. Abbiamo una soluzione per risolverlo, il trasporto elettrico, che funziona e che possiamo adottare adesso. Non farlo è semplicemente follia criminale.

In sostanza, parlare di veicoli elettrici non ha nulla della fuga in avanti di quelli che cercano disperatamente qualcosa per mantenere le cose come stanno. Idrogeno, etanolo, biodiesel, qualsiasi cosa che possa bruciare in qualche modo, che ci permetta di continuare a dipendere dalle nostre tanto beneamate scatolette di ferro su ruote come abbiamo sempre fatto. Ma niente rimane mai come era prima; il mondo cambia a velocità folle e il nostro tentativo di piantare i piedi per terra per tenerlo fermo è destinato all'insuccesso. La corsa della regina rossa è persa in partenza, per quanto si affanni non riuscirà a rimanere ferma dov'è. Sarà spazzata via - l'unica incertezza è in quanto tempo.

Parlare di veicoli elettrici vuol dire parlare di un cambio di paradigma e di qualità che ci avvicina a un mondo veramente sostenibile. Non sappiamo se riusciremo ad arrivarci, ma almeno facciamo il tentativo.




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martedì, febbraio 13, 2007

L'Attacco all'Iran

Le dichiarazioni sul ruolo iraniano in Iraq fatte da Robert Gates, direttore della CIA, sembrano aver dato inizio al bombardamento mediatico che, secondo molte fonti, dovrebbe precedere e preparare il bombardamento fisico dell'Iran. Le fonti ufficiali negano, ma si sente ripetere che l'attacco dovrebbe essere per questa primavera oppure, si dice, potrebbe essere rimandato all'anno prossimo.

Se a noi comuni mortali non è dato sapere cosa è stato deciso nelle stanze del potere; possiamo perlomeno domandarci che cosa ci potremmo ragionevolmente aspettare. Le opzioni e le implicazioni dell'attacco sono state descritte e analizzate in dettaglio da Cordesman e Al Rhodan nel loro studio pubblicato sul sito del Center for Strategic and International Studies.

Si parla di quattro opzioni possibili. Di queste, le prime due sono più che altro dimostrative. L'opzione 3 parla di 500-600 attacchi da eseguirsi su un periodo di circa 10 giorni, principalmente su obbiettivi militari. L'opzione 4 parla invece di attacchi generalizzati contro le infrastrutture militari e civili con circa 2500 sortite da eseguirsi in parecchie settimane di campagna. La descrizione dettagliata dei tipi di missione, bersagli, eccetera è una lettura affascinante (e agghiacciante) e la si trova nell'articolo citato del CSIS.

C'è un interessante commento che si trova su Econbrowser dove Menzie Chinn, da bravo economista, si domanda quanto ci costera tutto l'ambaradan. Curiosamente, la conclusione è che in confronto ai costi della guerra in Iraq, in principio attaccare l'Iran secondo l'opzione 3 è quasi un affare: costerebbe meno di un miliardo di dollari. In confronto, la guerra in Iraq costa ai contribuenti americani 9-10 miliardi di dollari al mese.

Questi conti non considerano quanto costa (o costerà) la guerra ai contribuenti iracheni e iraniani. Neppure è chiaro quanti miliardi di dollari di danni possono fare un miliardo di dollari di bombe. Il problema, comunque, non è nemmeno questo. La storia ci insegna che chi comincia una guerra è sempre sicuro di vincerla e anche di vincerla alla svelta. Ma la storia ci insegna anche che molte sono state le amare delusioni in questo senso.

Su questo punto, sia Menzie Chinn che Cordesman e Al Rhodan sono piuttosto preoccupati. Secondo gli strateghi, come risposta agli attacchi, l'Iran è perfettamente in grado di chiudere, almeno in parte, lo stretto di Hormuz e di bloccare il flusso di petrolio dagli stati del golfo all'Occidente. Le conseguenze per le economie occidentali sarebbero devastanti. Secondo Chinn, uno scenario del genere costerebbe all'economia americana più di 5 punti di PIL, una cosetta da un migliaio di miliardi di dollari, qualcosa come tutto il PIL italiano di un anno. Sempre Menzie Chinn ci dice che di fronte a una situazione del genere i costi per la guerra all'Iraq (meno di un punto di PIL) ci sembrerebbero uno scherzetto al confronto.

A parte il disastro umano di una guerra del genere, forse la conseguenza peggiore a lungo termine sarebbe l'effetto sulla percezione dell'opinione pubblica delle ragioni della crisi. Molto probabilmente, si farebbe lo stesso errore che fu fatto all'epoca della prima crisi del petrolio, negli anni 1970, ovvero di attribuire a cause politiche quella che invece era una crisi strutturale. A quel tempo, si dette tutta la colpa ai cattivi sceicchi dell'OPEC, dimenticandosi del picco produttivo degli Stati Uniti, vera causa della crisi. Nel caso attuale, tutta la colpa del petrolio a 250 dollari al barile (stima di Chinn) sarebbe data all'Iran, dimenticandosi del picco di produzione globale, vera causa della situazione in cui ci troviamo.

L'interpretazione politica della crisi ci porterebbe a sprecare le risorse che restano in spese militari, trascurando la cruciale necessità di costruire ora le infrastrutture necessarie per uscire dalla dipendenza dal petrolio. Di errori, nella nostra storia di esseri umani ne abbiamo fatti tanti, questo sarebbe uno dei peggiori, forse quello finale.




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lunedì, febbraio 12, 2007

Storia Petrolifera del Bel Paese

"La Storia Petrolifera del Bel Paese" di Giovanni Pancani e Ugo Bardi sarà presentata dagli autori Sabato 17 Febbraio 2007 a partire dalle 17:30 presso il distributore IES (quale posto più adatto per un libro del genere?) di via Senese, frazione di Galluzzo, comune di Firenze. Introduce Adolfo Vannucci, Amministratore delegato di IES-Italia.







Il Libro si può comprare su ASPOITALIA STORE




Presentazione da ANSA

LIBRI: DAL PETROLIO ALLE RINNOVABILI, LA STORIA ITALIANA (ANSA) - ROMA, 29 gen - Anche l'Italia ha una sua storia petrolifera. A ripercorrere le tappe e a illustrare le tappe del futuro energetico del nostro Paese il libro ''Storia Petrolifera del Bel Paese'' di Ugo Bardi e Giovanni Pancani (Editore Le Balze, 2006, 103 pagg.). Il problema energetico e' ritornato prepotentemente all' attenzione dei media negli ultimi tempi. Radio, tv e giornali danno numeri, fanno prospettive e lanciano allarmi. Ma, nella grande confusione, spesso si perde la prospettiva generale della situazione. Certe domande fondamentali rimangono nell'ombra. A queste vuole dare risposta il nuovo lavoro di Ugo Bardi, noto per il suo precedente ''La Fine del Petrolio''. Ugo Bardi, presidente di ASPO-Italia e il suo collaboratore Giovanni Pancani, riprendono la tematica del petrolio e del suo esaurimento focalizzandosi sulla situazione nazionale. Gli autori ripercorrono prima la storia geologica italiana, poi quella economica, quindi discutono sulle prospettive future per l'energia in Italia. Non era mai accaduto prima, sottolineano gli autori, che una risorsa cosi' critica come il petrolio iniziasse il suo declino a causa del naturale esaurimento senza che fosse ancora in vista un sostituto migliore e tutto questo annuncia che, presto, avverra' un cambiamento fondamentale nella condizione umana. Gli autori puntano anche il dito sull'inazione dei governi, che si sono succeduti negli ultimi decenni ''che non hanno attuato nessuna strategia per contenere la dipendenza dalle materie prime importate dall'estero''. ''Al momento - dicono gli autori - oltre ad essere estremamente vulnerabili a qualunque problema si dovesse verificare nella fornitura di energia, dobbiamo anche pagare una 'bolletta' per l'importazione di materie prime che pesa enormemente sulla nostra economia''. Il libro conclude che la produzione petrolifera nazionale, pur non trascurabile, ''ha ormai raggiunto i suoi limiti e l'energia italiana del futuro non puo' che venire dalle rinnovabili''. Ugo Bardi e' docente dal 1990 presso il Dipartimento di Chimica dell'Universita' di Firenze, e' membro dell'associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio (ASPO) e fondatore e presidente di ASPO-Italia. Giovanni Pancani e' laureando in Filosofia presso l'Universita' di Firenze, membro dell'ASPO e collabora con Ugo Bardi. (ANSA). Y72-GU



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domenica, febbraio 11, 2007

L'eterno petrolio


Questa immagine di Spencer Platt da Beirut bombardata è emblematica del mondo attuale.

Senza petrolio nulla è concepibile. Può crollare il mondo, ma ci sarà sempre gente che va in automobile.


(foto da "photo district news")

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sabato, febbraio 10, 2007

I cavalli dei cosacchi e l'uranio russo

A volte, avvengono fatti che cambiano la prospettiva del futuro. Raramente sono spettacolari e quasi mai se ne legge sui giornali. Qualcosa del genere sembra essere successo in questi giorni con l'energia nucleare russa, e nessuno ancora se n'è accorto.

Leggiamo sulla versione in inglese di Ria Novosti che il presidente Putin ha recentemente firmato un decreto che rivoluziona l'industria nucleare russa. La sezione militare rimane come prima, ma quella civile viene nazionalizzata in toto e trasformata in un entità che si chiamerà Atomenergoprom o Atomprom. Possiamo supporre che questo ente controllerà totalmente tutte le operazioni dell'industria nucleare russa, incluso le esportazioni di uranio. Sempre nell'articolo di RIA-Novosti si parla di un "balzo in avanti" del programma nucleare russo, con 40 nuovi impianti programmati.

A questo punto, la Russia si trova di fronte a un aumento considerevole della sua domanda interna di uranio, cosa che non può non riflettersi sulle esportazioni e, di conseguenza, sul mercato mondiale dell'uranio. Canada e Australia, gli altri grandi produttori di uranio mondiale, stanno facendo grossi sforzi per aumentare la loro produzione, ma questa continua ad essere insufficiente per soddisfare la domanda e il prezzo dell'uranio continua ad aumentare vertiginosamente. La figura a lato (da UxC) fa vedere come i prezzi dell'uranio siano quasi raddoppiati da gennaio dell'anno scorso. Ma nel 2003, l'uranio costava ancora meno di 9 dollari alla libbra. In poco più di 3 anni c'è stato un aumento di prezzo di quasi un fattore 10 a indicazione di un mercato sotto uno stress fortissimo. Se la Russia riduce, o addirittura elimina, le proprie esportazioni per far fronte alla domanda interna, beh, non abbiamo ancora visto niente.

Tutto questo ha una forte rilevanza sul fato energetico dell'Europa occidentale, dove le centrali nucleari esistenti sono dipendenti quasi completamente da uranio importato. L'uranio è un materiale che si trasporta facilmente e quindi arriva in Europa da diverse regioni; soltanto in parte dalla Russia. Tuttavia, la produzione russa rimane essenziale, tenendo conto anche che le centrali francesi viaggiano oggi quasi interamente usando uranio ottenuto dallo smantellamento di vecchie bombe nucleari russe.

Come per il petrolio e per il gas, non è facile per l'Europa Occidentale fare a meno della Russia.
Ma il governo russo ha già dimostrato di essere perfettamente intenzionato a fare gli interessi della Russia e di non essere facilmente impressionabile con discorsi sulla bellezza del libero mercato. Non è probabile che sacrifichi la propria industria nucleare per fare un piacere a nessuno e può darsi che decida che l'uranio ottenuto dalle vecchie testate serve più alle centrali russe che a quelle francesi.

Ora, c'è chi vocifera anche da noi che "dobbiamo tornare al nucleare." Geniale. Già ci troviamo a dipendere dal petrolio e dal gas russo, non ci rimane ora che affidarci anche all'uranio russo. Vi ricordate la vecchia storia dei cavalli dei cosacchi che si sarebbero abbeverati alle acquesantiere di San Pietro a Roma? Beh, non è che siamo proprio a quel punto, ma la direzione è quella.



link all'articolo originale da RIA Novosti





Ringrazio Emilio Martines per i suoi suggerimenti per migliorare questo post.

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venerdì, febbraio 09, 2007

Il barile solare


Ancora un'immagine da una presentazione Alex Sorokin. Utile da far vedere a quelli che tuttora sostengono che l'energia rinnovabile "non potrà mai" soddisfare la richiesta energetica
italiana.

In effetti, siamo inondati di energia. Ce ne arrivano addosso quantità centinaia di volte maggiori di quelle che ci servono. Ogni metro quadro di terreno raccoglie in un anno altrettanta energia di quanta ce n'è in un barile di petrolio. Se volete dati un po' più precisi, un barile di petrolio (159 litri) corrisponde a 1600 kWh, che è per l'appunto l'insolazione media in Italia per metro quadro all'anno. Sempre per avere dati più precisi, in italia si utilizza un'energia primaria equivalente a circa 1.4 miliardi di barili di petrolio all'anno. Ma la superficie italiana è di 300 miliardi di metri quadrati, quindi in effetti c'è circa un fattore 200 fra l'energia solare che arriva e quella primaria prodotta.

Abbiamo delle tecnologie già efficienti al 15%-20% per trasformare questa energia in forma utilizzabile. La trasformazione fotovoltaica dell'energia solare in energia elettrica è solo di poco meno efficiente di quella dei motori termici che trasformano il petrolio in energia elettrica. Basterebbe poco in termini di territorio, qualche percento al massimo dell'esistente, per avere energia in abbondanza, senza bisogno di petrolio.

Costa caro avere il fotovoltaico? Si, certo. Ma fate un po' il conto di quanto costa NON averlo!



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martedì, febbraio 06, 2007

Il Pianeta dei Minatori



Pubblicato su www.aspoitalia.net "Il Pianeta dei minatori" dove Ugo Bardi esamina le prospettive globali dell'estrazione dei minerali. Gli esseri umani, i nuovi minatori del pianeta, riescono a estrarre quantità più grandi di minerali di quanto non facciano le piante, tradizionali minatori planetari. Questa rapida estrazione, tuttavia, è ottenuta a spese di depositi concentrati che si sono formati nel corso di ere geologiche.


Via via che i minatori umani si trovano a dover estrarre da depositi sempre più diluiti, necessitano di più energia. Dato che anche questa energia deriva dall'estrazione di risorse minerali (petrolio, carbone e altri fossili) l'estrazione diventa sempre più difficile. A lungo andare, tutta l'attività industriale umana (la "tecnosfera") rischia di sparire a meno che gli umani non trovino il modo di chiudere i cicli di estrazione e produzione, così come fanno le piante da centinaia di milioni di anni.
Il documento è disponibile in formato pdf




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Il Cammello davanti al Colosseo



Sul "Corriere Economia" di questi giorni appare un'amena intervista a Indur Goklany, intitolata "Con 2 gradi in più il mondo va in attivo" Goklany è un degno allievo di quella linea di pensiero che si rifà a Julian Simon e a Bjorn Lomborg, con in più che è anche politicamente impegnato con i "neocon" americani; una bella combinazione.

In questo articolo, sostiene che, si, il mondo si riscalderà di un paio di gradi ma che questo sarà vantaggioso. Magari non per tutti ma, in fondo, chi si troverà un po' in svantaggio si adatterà, cosa mai potrà essere di tanto difficile?

Per capire quanto sia la necessità di "adattarsi" vediamo qui sopra una figura tratta da uno studio della commissione Europea uscito nel Gennaio 2007. Ci sono le previsioni riguardo al cambiamento climatico in Europa nei prossimi decenni in termini di riduzione della produttività agricola del suolo. La mappa a destra si riferisce al 2020 e prevede “soltanto” il 10%-15% di riduzione. Le mappe a sinistra sono per il 2080 e prevedono riduzioni della produttività intorno al 30% .

Quello che abbiamo di fronte è la predizione della desertificazione di tutti i paesi Mediterranei. Spagna, Grecia e Italia diventerebbero come sono oggi l’Algeria, la Libia e l’Egitto. In fondo, perché no? E' questione di adattarsi. Magari, se i turisti si possono far fotografare in groppa a un cammello davanti al Colosseo, è un'attrazione in più.


Immagine gentilmente fornita da Alex Sorokin, tratta da “Accompanying document to the Communication from the Commission to the Council, The EU parliament, … Limiting Global Climate Change to 2 degrees Celsius, The way ahead for 2020 and beyond - Impact Assessment- Brussels, 10 January 2007” Ringrazio "Coqui_Mi" per la segnalazione dell'articolo di Goklany


lunedì, febbraio 05, 2007

Il Grande Imbroglio


L'immagine qui sopra mostra il confronto fra le politiche di sostegno alle rinnovabili in Germania e in Italia (gentilmente fornita da Alex Sorokin).

Come sapete, un po’ in tutti i paesi europei i governi sostiengono le energie rinnovabili facendo pagare una sovrattassa sulle tariffe elettriche. Come vedete nella figura, la Germania fa pagare circa 0.2 centesimi in più agli utenti per chilowattora, meno del 2% del costo dell'energia, e tutti i proventi vanno alle “vere” rinnovabili, ovvero eolico, fotovoltaico e altre. In Italia, il ricarico è quasi tre volte maggiore, il 5% del costo dell'energia, ovvero circa 0.6 centesimi per chilowattora. Ma, qui da noi, i proventi di questa tassa vanno per la maggior parte alle cosiddette “assimilate”, ovvero all’incenerimento dei rifiuti.

Questo è il grande scandalo detto del “CIP6” uno dei peggiori imbrogli che la storia ricorda essere stati perpetrati ai danni dei cittadini italiani. In Germania, con questa piccola sovrattassa sono ora all’avanguardia europea nel campo delle rinnovabili, con 180.000 posti di lavoro nel settore. In Italia, abbiamo sprecato un sacco di soldi (si parla di oltre tre miliardi di euro nel solo 2005) e siamo ancora all’anno zero, con buoni dieci anni di ritardo rispetto alla Germania. Potremo importare pannelli solari tedeschi, ma non riusciremo mai più a riprendere il terreno perduto.

Quando si dice “il genio italico”. Poveri noi.





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Risparmiare energia - risparmiare polemiche



Tempo fa, mi è capitato di chiedere a Dennis Meadows come mai lui e gli altri membri del suo gruppo non avessero mai risposto alle tante critiche che avevano ricevuto a proposito del loro famoso libro del 1972, “I Limiti dello Sviluppo”. Meadows mi ha risposto che avevano fatto il possibile per rispondere alle critiche serie, ma che avevano scelto di ignorare le critiche politiche e ideologiche. Avevano preferito dedicarsi al loro lavoro piuttosto che disperdere le loro energie nelle polemiche. Non so se sia stata la scelta perfetta, ma mi pare perlomeno saggia. Meadows e gli altri hanno tenuto duro nonostante la valanga di insulti che gli sono piovuti addosso. Oggi, il loro lavoro sta riemergendo come una delle pietre miliari del pensiero del ventesimo secolo.

Certo, alle volte la distinzione fra attacchi politici e critiche scientifiche non è del tutto evidente. L’ideologia si maschera da scienza per confondere le acque, ma con un minimo di attenzione è facile accorgersene. La tattica tipica dell'approccio ideologico consiste nel selezionare e presentare soltanto i dati che sono in accordo con certe tesi preesistenti. Per esempio, il lavoro dei “Limiti dello Sviluppo” è stato rifiutato in blocco sulla base di cinque o sei numeri presi da una delle decine di tavole presenti nel libro. Oppure, quando si parla di cambiamento climatico spesso ci si trova di fronte a critiche del tipo “Se il mondo si sta riscaldando, come mai a “X” fa più freddo?” dove “X” può essere Città del Capo, Vladivostok, o Caltanissetta. Questi sono solo due dei tanti esempi, ma una vera miniera di casi in cui dati parziali vengono utilizzati per distorcere l’evidenza si trova nei libri di Julian Simon e del suo degno allievo Bjorn Lomborg.

Nel mio piccolo, cerco di imitare Meadows e gli altri, ovvero cerco di evitare di lanciarmi nella polemica con chi mescola politica e scienza. Di solito ci riesco, ma non sempre; deve essere per via della mia origine; si sa che i fiorentini hanno la lingua tagliente. Fatto sta che poco tempo fa mi è capitato fra le mani un testo di Carlo Cerofolini dove l’autore si lanciava in un pesante attacco contro l’energia rinnovabile sostenendo, fra le altre cose, che le emissioni di gas serra dagli impianti eolici sono superiori a quelle degli impianti a combustibili convenzionali. Mi era parso un ragionamento talmente fuori dal seminato da non poterlo lasciar passare impunemente. Così, ho scritto una rispostaa Cerofolini, anche quella un po' pesantina. Come è ovvio, Cerofolini non ha gradito il mio commento e mi ha fatto pervenire i suoi controcommenti.

Potrei fare dei contro-controcommenti; ma credo che sarà meglio seguire il consiglio di Meadows, ovvero non impegnarsi in una polemica che sarebbe solo un inutile dispendio di energia. Mi limito a notare come sull’argomento delle emissioni di gas serra dalle rinnovabili esistono molti studi specifici della letteratura internazionale. Una bibliografia completa sarebbe fuori luogo qui, ma posso citare i nomi di Charles Hall, Cutler Cleveland, David Pimentel, Luc Gagnon, e molti altri che hanno lavorato sull’argomento. Sfortunatamente, i loro lavori sono tutti in inglese ma possiamo riassumerne le conclusioni in poche parole: le rinnovabili, e in particolare l'energia eolica, emettono meno gas serra dei combustibili fossili a parità di energia prodotta, come del resto è ovvio che sia. Per quanto mi riguarda, i dati disponibili sono ampiamente sufficienti per considerare chiusa la questione. Se qualche lettore volesse delucidazioni o avesse domande specifiche, mi scriva pure a ugo.bardi@unifi.it.


Incidentalmente, Cerofolini cita a sostegno delle sue tesi un paragrafo preso dall’ultimo libro di James Lovelock “La Vendetta di Gaia” e “sfida” ASPO-Italia a pubblicarlo (!). Non c’è bisogno di nessuna sfida del genere, infatti il libro di Lovelock era gia stato
commentato sul sito di aspoitalia. In questo libro, Lovelock si scaglia contro le rinnovabili senza giustificazioni e senza portare dati, o portandone solo di obsoleti. E' un libro non gli fa onore, peccato, perché è stato un grande scienziato e un pioniere, ma al tempo in cui ha scritto questo libro era molto anziano (87 anni) e non aveva più la lucidità che sarebbe stata necessaria .



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venerdì, febbraio 02, 2007

Qualcuno capisce qualcosa, finalmente!


A fare il mestiere che mi sono messo a fare, ovvero girare per convegni a parlare di crisi energetica, se ne vedono e se ne sentono un po' di tutte. La cosa che si nota spesso è la crassa ignoranza e l'irresponsabilità di esperti e amministratori allo stesso tempo. Vi potrei raccontare qualche aneddoto interessante, tipo un sindaco (che non nomino, ma era un DS) che ha commentato sulla necessità di fare qualcosa contro il riscaldamento globale parlando di "buoni sentimenti." Ma non insisto oltre.

Invece, vi posso raccontare di un bel convegno dove sono stato ieri a Parma, che mi ha abbastanza rinfrancato lo spirito. Sarà che era organizzato anche da un membro di ASPO-Italia (Nicola dall'Olio), sarà stata la presenza di Alex Sorokin, che è uno che ha capito tutto della situazione, o forse qualche piccolo intevento divino. Comunque; per una volta ho sentito esperti e amministratori parlare con serietà, riconoscere l'urgenza dei problemi, parlare di interventi concreti. Diciamo che tuttora si tende a considerare il riscaldamento globale come l'unico problema, mentre non si riesce a tirar fuori veramente che esiste anche quello dell'esaurimento delle risorse. E' una tradizione che credo persista più per inerzia che per altro. Ma le soluzioni all'uno e all'altro problema sono le stesse, quindi non c'è troppo da lamentarsi. Certe idee passeranno piano piano.

Al convegno era presente anche Ermete Realacci, deputato dell'Ulivo e presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Nel suo intervento, inizialmente ha gelato un po' tutti commentando il mio intervento precedente al suo e dicendo che non era daccordo con me sul problema dell'esaurimento. In due frasi, ha sparato la classica bordata dell'artiglieria pesante dell'abbondantismo, ovvero che "ci sono state tante previsioni sbagliate nel passato" "per esempio quelle del Club di Roma". Ahimé, certe leggende sono ben dure a morire.

Tuttavia, nel seguito del suo discorso, Realacci si è abbondantemente redento dicendo tutte le cose giuste. Ha detto il CIP6 è uno scandalo e che farà tutto il possibile per eliminare i sussidi agli inceneritori. Sulla questione, ha detto che se questa storia l'andassimo a raccontare in Burundi, i Burundesi ci prenderebbero per scemi. Sulle biomasse ha detto che bisogna stare molto attenti, perché se ci mettiamo a importare biodiesel dalla Malesia distruggiamo la foresta tropicale e in più l'energia necessaria per il trasporto via mare lo rende una risorsa non realmente rinnovabile. Ha anche citato la rivolta delle tortillas in Messico (chissà che non legga il blog di Debora Billi?) per dire che bisogna stare attenti che la coltivazione di biocombustibili non danneggi la coltivazione di sostanze alimentari. Infine, con mia personale delizia, ha detto male di Rifkin ("è inutile pagarlo un sacco di soldi perché venga a farci una lezioncina").

Da vari altri commenti, sia da esperti come da amministratori, mi ha colpito come il concetto di "resa energetica" (EROEI) stia passando, anche se non ancora esplicitamente. Noto anche che alla sparata di Realacci, l'udienza ha chiaramente reagito con incredulità e scetticismo (lo si vede dal body language) e, finito il convegno, molti dell'udienza sono venuti a dirmi che avevo ragione io. Magari qualcuno avrà anche fatto il contrario, ovvero sarà andato a dire a Realacci che aveva ragione lui. Ma comunque mi è parso che Realacci se n'è accorto anche lui che aveva mancato il bersaglio (ancora, body language suo quando ci siamo salutati)

Forse questo era un convegno eccezionalmente di alto livello, (incidentalmente, nessuno ha parlato di idrogeno se non il sottoscritto e Realacci, entrambi per dirne male). Speriamo che non rimanga un'eccezione.

L'unico difetto di questi e altri convegni è che non si lascia spazio al pubblico, invece era chiaro che c'era gente a sentire che aveva gran voglia di dire qualcosa. Bisognerebbe pensare anche a questo, queste cose sono sempre fatte troppo di fretta. Ma comunque contentiamoci.



Per la cronaca, il convegno era intitolato “Verso il piano provinciale per il risparmio energetico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili”. Era organizzato dalla Provincia di Parma e lo si è tenuto il 2 febbraio 2007. Ringrazio Nicola dall'Olio per avermi invitato a partecipare.




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