martedì, dicembre 30, 2008

L'effetto coperta (già effetto serra)


Venere: il miglior esempio che abbiamo dell'effetto riscaldante della CO2. Si può calcolare che, se non ci fosse CO2 nell'atmosfera e se l'albedo di Venere fosse lo stesso dell'attuale, la temperatura di Venere alla superficie sarebbe poco diversa da quella della Terra. Invece, con un'atmosfera quasi completamente formata da CO2, la temperatura media osservata è di circa 480 gradi centigradi.


Quando si va a parlare di riscaldamento globale e di effetto serra, è abbastanza facile fare errori clamorosi. C'è cascato anche Freeman Dyson, che è un fisico di quelli "doc," e sono innumerevoli le fesserie che si leggono continuamente sui giornali e su internet. Un errore classico è quello di non capire come funziona l'effetto riscaldante dei gas serra, e in particolare del biossido di carbonio (CO2). Più di una volta si è potuto leggere che non importa se aggiungiamo altro CO2 all'atmosfera, tanto questa è già "satura". Vi passo un esempio di questa confusione in un messaggio anonimo che è apparso di recente sulla lista "energyresources"


Il fisico svedese Anders Jonas Angstrom (1814-1874) trovò che c'era abbastanza biossido di carbonio nell'atmosfera per ottenere il massimo effetto serra e che aggiungere ulteriore biossido di carbonio sarebbe stato equivalente a rendere più spesso il vetro di una serra (le molecole del vetro nel vetro di una serra bloccano il passaggio di una parte della radiazione. Il vetro potrebbe essere sottile come una molecola di vetro e avere comunque lo stesso effetto)

L'autore di questo testo (molto lungo nell'orginale) racconta di aver cercato di farselo pubblicare e, non essendoci riuscito, si sia lamentato di essere vittima del solito complotto della cricca di scienziati che si sono messi daccordo per spaventare il mondo. Andrebbe però detto a questo signore che se ti capita che molte persone ti dicono che sei un imbecille, può anche darsi che sia un complotto contro di te, ma dovresti considerare anche la possibilità che tu sia VERAMENTE un imbecille.

Questo testo ve l'ho scelto come esempio per i suoi errori marchiani, come parlare di "molecole di vetro". Ma è rappresentativo di una lunga serie di ragionamenti di gente che non ha capito come funziona l'effetto serra. E non avendolo capito, non riescono a capire (o fanno finta di non capire) quale sia la relazione fra la concentrazione di CO2 e il riscaldamente globale. Fra gli ultimi che si sono lanciati in questa direzione, c'è Jeanne Nova che, di recente, ha pubblicato un "manuale dello scettico". Presentato in modo accattivante il pessimo manualetto della Nova è tutto basato sul concetto che "non c'è prova" che il CO2 abbia un effetto sulla temperatura terrestre.

Se si vuol combattere questa forma di scetticismo bisogna avere ben chiara la fisica del riscaldamento globale. Altrimenti, si rischia di trovarsi in difficoltà con gente che, aggressivamente, ti domanda "Dov'è la prova?" In effetti, se il riscaldamento globale è il risultato di qualcosa che funziona come il vetro di una serra, cambia poco se il vetro è più o meno spesso. E allora?

La cosa vi lascia perplessi? Fate un altro test su voi stessi: provate a spiegare quantitativamente perché in cima alle montagne fa più freddo che in pianura. Non è facile e non dite che è perché "la terra irradia dal basso"; non è questa la ragione. L'ho chiesto ai miei studenti di dottorato e nessuno di loro me lo ha saputo spiegare chiaramente. Io stesso ci ci ho dovuto ragionare sopra un po' prima di capirlo bene.

Allora, se non avete avuto problemi con questo piccolo test del freddo che fa in montagna, non avete problemi a demolire gli argomenti degli scettici. Se però la cosa vi fa qualche grattacapo, vi consiglio di continuare a leggere. Vi spiego una volta per tutte come funziona l' "effetto serra" e perché sarebbe meglio chiamarlo "effetto coperta".


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L'effetto coperta: perché i gas serra scaldano la terra
Di Ugo Bardi


Vi è mai capitato di dormire all'aperto, in campeggio al mare per esempio? Se vi siete addormentati senza coperte addosso in una notte serena di Agosto, vi sarete sicuramente svegliati semi-congelati verso le due o le tre di notte. A me è successo, e mi ricordo benissimo di essermi domandato come mai ero così infreddolito quando, mi sembrava, l'aria non era poi così gelida.

La spiegazione sta nel fatto che non è solo la temperatura dell'aria a far si che uno senta o no freddo. I corpi fisici si riscaldano o si raffreddano a seconda del bilancio di emissioni e ricezioni di radiazioni. Quando uno dorme all'aperto, si trova a scambiare radiazioni infrarosse con un corpo molto freddo: il cielo stellato. Come sapete, lo spazio si trova a una temperatura che si misura come meno di 3 gradi Kelvin, ovvero circa 270 gradi centigradi sotto lo zero. Questo è molto più freddo di quasi qualsiasi cosa che vi potrebbe capitare di trovare su questo pianeta. Allora, mentre uno dorme sotto le stelle, il proprio corpo cerca di mettersi in equilibrio con il cielo irradiando infrarossi in quella direzione. Quello che può succedere in una sera d'estate che la temperatura dell'atmosfera si abbassa, l'umidità si condensa e - a questo punto - si apre una "finestra" di trasmissione nell'infrarosso che prima era bloccata dal vapore acqueo. A questo punto, il corpo della persona addormentata ha maggiori poissibilità di cercare di mettersi in equilibrio con i 3 K dello spazio profondo. Non che ci arrivi, ovviamente, ma non c'è da stupirsi per la sensazione di freddo che si prova.

Così, svegliatosi infreddolito, il campeggiatore si affretterà a infilarsi nel sacco a pelo, sentendosi subito molto meglio. L'effetto del sacco a pelo è di intercettare le radiazioni infrarosse emesse dal corpo del campeggiatore. In parte, queste radiazioni saranno riemesse all'indietro verso il campeggiatore; in parte verso l'esterno. Il punto è che la coperta non sarà mai alla stessa gelida temperatura dello spazio siderale. Dal punto di vista del campeggiatore, è molto più confortevole cercare di equilibrarsi con la coperta che ha addosso che con lo spazio profondo. A questo punto, sarà la coperta a irradiare verso lo spazio esterno, ma il campeggiatore sta molto più al caldo.

Può darsi che una coperta sottile non sia sufficiente. Due coperte sottili, o una più spessa, avranno più effetto. Più coperte si impilano una sull'altra, maggiore e l'effetto. Notate che la persona sotto le coperte interagisce direttamente soltanto con la coperta più vicina, mentre è soltanto la coperta più esterna che irradia verso l'esterno. La coperta più vicina ha "saturato" l'assorbimento di radiazioni, ma questo non vuol dire che aggiungendo altre coperte un non stia più al caldo.

Allora, trasferiamo questo concetto all'atmosfera della terra. L'effetto di uno strato di gas serra è molto simile a quello di una coperta. Una differenza sta che i gas serra assorbono soltanto in una specifica "finestra" di radiazioni, ma entro quella finestra assorbono le radiazioni emesse dalla superficie terrestre e le riemette sia verso l'esterno come verso la superficie stessa. Notate che uno strato sufficientemente spesso di gas serra assorbe tutta la radiazione emessa dal suolo, esattamente come fa una coperta per il corpo del campeggiatore (sempre ricordandoci che questo avviene solo in certe lunghezze d'onda).

In particolare, dobbiamo considerare la CO2 che è il gas più importante nell'effetto di riscaldamento globale causato dall'attività umana. E' vero che la bassa atmosfera è "satura" di CO2 in termini di assorbimento ottico nella sua finestra. Quello che cambia è negli strati dell'alta atmosfera, la zona "non satura", dove la CO2 può irradiare verso lo spazio esterno. Aumentando la concentrazione di CO2, la zona non satura si sposta verso l'alto. Ovvero, aumentando la concentrazione della CO2 è come aggiungere delle coperte alla terra. E' sempre l'ultimo strato, come l'ultima coperta, che fa il possibile per equilibrarsi con la bassa temperatura dell'universo. Ma dal punto di vista della superficie terrestre, l'effetto è un maggior riscaldamento per via del maggior spessore di "coperte".

La relazione fra la concentrazione di CO2 e l'effetto riscaldante non è lineare, è logaritmica. Ma, sulla Terra, siamo ancora ben lontani dalla saturazione dell'effetto della CO2; ovvero una condizione in cui aggiungere altra CO2 non cambia le cose. Se ci fossimo arrivati, saremmo nella condizione di Venere, con qualche centinaio di gradi di temperatura alla superficie del pianeta.

Da notare che spesso si sente la critica che la concentrazione di acqua nell'atmosfera è molto più alta di quella della CO2 e che l'acqua è un gas serra anche quello: allora perché dare tanta importanza alla CO2? La ragione sta nei tempi di residenza. La CO2 che emettiamo oggi rimarrà nell'atmosfera per parecchie decine di anni come minimo, forse ci rimarrà per millenni o milioni di anni. L'acqua, invece, è in equilibrio quasi immediato - tempi dell'ordine di qualche giorno, con gli oceani. Potremmo decuplicare la concentrazione di H2O nell'atmosfera, e in qualche giorno ritornerebbe al valore normale. Per questo si dice che la CO2 è una "forzante" climatica, mentre l'acqua non lo è.

Arrivati a questo punto, potete capire molte cosette interessanti. Per esempio, perché in montagna fa più freddo che in pianura? Questa è una cosa che non si spiega se non avete capito bene come funziona l'effetto serra (o effetto coperta). Ma, se lo avete capito, vi rendete conto subito del fatto che le montagne hanno meno "coperte" addosso di quante ne abbia la pianura. Ovvero, vedono uno strato di CO2 (e altri gas serra) meno spesso.

Mi affretto a dire a questo punto che le cose sono più complicate di come le si possono descrivere con un modello semplice come questo. L'atmosfera terrestre non ha una densità costante, c'è l'effetto della separazione fra troposfera e stratosfera, i vari "feedback" con gli altri gas serra come il vapore acqueo, gli effetti della convezione, insomma tante cose che si possono descrivere soltanto con modelli abbastanza complessi. Ma, perlomeno, possiamo capire qual'è la fisica che sta alla base di quello che chiamiamo "effetto serra" è che forse sarebbe meglio chiamare "effetto coperta". Alla fine dei conti, è fondamentale renderci conto del perché continuare a immettere CO2 nell'atmosfera è estremamente pericoloso. L'ignoranza, si sa, uccide.

Ma state sicuri che comunque ci sarà sempre qualche scettico che - per ignoranza o per partito preso - continuerà a dire che non è vero niente.



Una spiegazione più dettagliata del meccanismo di riscaldamento dovuto alla CO2 si trova su "Real Climate" (in inglese). Ringrazio Antonio Zecca per la sua consulenza su questo articolo.


lunedì, dicembre 29, 2008

Abitudini, inerzie e altre patologie / 4 : paranoie da lavapiatti



Chi non ricorda le pubblicità televisive dei detersivi anni '70 e '80, in cui si esortavano i "consumatori" a irrorare le stoviglie da lavare con cucchiaiate di detersivo liquido? Al tempo, l'idea di abbondanza era sinonimo di benessere e qualità del risultato.
In realtà, ancora oggi in molte famiglie la tendenza a "iperdosare" il detersivo è abbastanza diffusa. Avere più concentrazione di tensioattivi rende in effetti lo sgrassaggio molto più rapido e completo; tuttavia, un eccesso di detersivo si traduce semplicemente in uno spreco (analogamente a quanto succede per la concimazione, von Liebig docet).

La molecola più popolare, il sodio lauril solfato, è un tensioattivo anionico (con cariche "meno" nella parte che "lega" con l'acqua) che dal secondo dopoguerra è anche un affezionato discendente della petrolchimica. Come possiamo ridurne considerevolmente il fabbisogno, favorendo così un ritorno di detersivi ottenuti a partire dagli oli vegetali? Alcune idee ...

- non lasciare piatti ultra-unti (più c'è olio, più ci vuole detersivo ...). Con un po' di pane e con tecniche al limite del galateo si possono fare miracoli
- piatti e padelle con molto olio riscaldato, che è bene non ingerire: "asciugare" con carta assorbente, che può bruciare in buone condizioni in stufa ad alta temperatura (procurarsi un "putagé")
- residui di cibo semisolidi: buoni per il compost
- frequenza di lavaggio: non sta scritto da nessuna parte di dover riempire un lavandino di 15 L di acqua, con la quantità consigliata sull'etichetta del prodotto ogni volta che si ha una tazza e un cucchiaio da lavare. Si può lavare una volta al giorno in modo cumulato, magari dopo pranzo, così si usa anche l'acqua calda da energia solare (e poi va beh, si fa un po' come si può :-D ).
Le stoviglie in "attesa" se ne possono stare tranquille 10 ore con dell'acqua dentro, che agevolerà il lavaggio. Va anche considerato che esagerando con il detersivo il risciacquo risulta più difficoltoso, dunque si sprecherà più acqua e si aumenta il rischio di allergie / afte.

C'è poi chi ha la lavastoviglie, che pure offre buone possibilità di ottimizzazione. Attenzione, però: come ci insegna Marco Pagani in questo post, per renderla efficiente come un sobrio lavaggio a mano occorre riempirla bene, accumulando le stoviglie di 4 pasti successivi (con le difficoltà del caso). Inoltre, le lavastoviglie attuali non sono studiate per interfacciarsi direttamente al circuito di acqua calda sanitaria, pertanto utilizzano l'inefficientissimo riscaldamento elettrico.

domenica, dicembre 28, 2008

La rivoluzione dimenticata



Riflessioni ispirate da “La rivoluzione dimenticata –
il pensiero scientifico greco e la scienza moderna” di Lucio Russo


created by Enrico Battocchi



“La rivoluzione dimenticata” è un libro uscito 12 anni or sono (novembre 1996) che ha dato il via ad un certo dibattito tra gli storici della scienza: la tesi del prof. Russo è che, a dispetto della vulgata corrente e dei pregiudizi calcificati nell'insegnamento scolastico e universitario, il pensiero scientifico ellenistico avesse raggiunto livelli, sia nel metodo che nei risultati, tanto maturi da non essere pareggiati dalla nascente scienza moderna non solo prima di Galileo e Newton, ma in certi casi persino prima del XIX secolo.
Il prof. Russo argomenta con la competenza scientifica propria della sua formazione fisicomatematica, abbinata ad una perizia filologica e ad un “senso del tempo” proprio degli storici, con cui mette continuamente in guardia contro i pericoli del comprimere in un amalgama indifferenziato quasi un millennio di pensiero antico, da Talete a Tolomeo: una combinazione rara da trovare e che posiziona il libro tra le importanti opere multidisciplinari della saggistica recente, quali ad esempio quelle di Jared Diamond.

Se cito il famoso biologoantropologobiogeografo (troncando abbastanza presto la lista degli appellativi che potrebbero essergli attribuiti), e se parlo del libro del prof. Russo in questo ambito, è perché col tempo “La rivoluzione dimenticata” ha acquisito altre implicazioni oltre a quelle, più immediate, dibattute tra gli epistemologi e gli storici della scienza. Col senno di poi, quello in cui certi concetti e vocaboli sono diventati ricorrenti e certe categorie fondamentali, ci si accorge che il libro del prof. Russo parla di un picco della conoscenza, di un brusco stop ad un sistema scientificotecnologico che andava formandosi e di un lento declino seguito dai primi segnali di una ripresa almeno altrettanto lenta.

Non ho le competenze per una trattazione organica delle riflessioni ispirate dalla lettura, né ci sarebbe spazio a sufficienza. Mi limito quindi ad elencare alcuni spunti.

A dispetto della visione tradizionale degli ultimi tre secoli a. C. come un periodo di passaggio, in parte anche di decadenza, dalla Grecia classica verso la sintesi grecoromana dell'età imperiale, il prof. Russo puntualizza costantemente il netto scarto culturale tra la fase ellenistica propriamente detta e il periodo della dominazione romana sul Mediterraneo, ponendo come data non solo simbolica la persecuzione della classe dirigente greca ad Alessandria da parte di Tolomeo VIII detto Evergete II, nel biennio 145-144 a. C.: una netta cesura dell'attività scientifica del principale centro di produzione del sapere, con una motivazione politica (la vendetta contro gli oppositori) che richiama alla mente l'interruzione delle esplorazioni navali da parte dell'imperatore Ming al tempo di Zheng He (un fatto che Diamond porta ad esempio di come le decisioni di un forte potere centralizzato riescano ad avere influenze anche a lungo termine sullo sviluppo di una civiltà), a cui si associa il probabile appoggio, se non ispirazione, da parte della Repubblica romana in piena fase espansionistica è di questi stessi anni la distruzione di Cartagine e la conquista della penisola greca. È evidente come i romani temessero una dirigenza quasi tecnocratica che aveva fatto la fortuna, politicamente ed economicamente, dell'Egitto tolemaico.

Questo ruolo determinante di un'élite scientifica contrasta con l'immagine di un sapere avanzato ma del tutto disinteressato alle applicazioni pratiche e tecnologiche. È un ritratto figlio in parte della mancanza di testimonianze e della lacunosità delle ricerche in merito, in parte del fallimento del dialogo tra la storiografia, la filologia e le scienze, in parte del senso di eccezionalità dell'uomo moderno che si sente parte di un progresso necessario ed in continuo avanzamento. Ritrovamenti come il meccanismo di Anticitera, però, mostrano quanto le nostre conoscenze su quel periodo siano tutto sommato scarse, se un oggetto così complesso risulta tanto fuori posto da essere stato accusato di essere una falsificazione. Il prof. Russo mostra come sia avvenuto un appiattimento di prospettiva che ci ha portato a ritenere che l'eolipila, il giocattolo a vapore di Erone, uno studioso molto inferiore per caratura rispetto ad Archimede, Euclide e Ipparco, e ad essi successivo almeno di 3 secoli (quanto noi rispetto a Newton), potesse essere “l'ultimo ritrovato della tecnica” di una civiltà capace di ben altri risultati in tutti i campi limitrofi del sapere. Il punto cruciale è nella credenza quasi teologica che i testi rimasti dalla selezione millenaria e multicausale siano i più rappresentativi della cultura antica, quasi che una mano invisibile guidi la combinazione tra le innumerevoli manifestazioni del caso e le molteplici vie percorse dalla memoria collettiva.
Il prof. Russo evidenzia questa fallacia, e dimostra come già dall'inizio dell'era imperiale fosse iniziata una selezione sui testi e soprattutto sui risultati dovuta principalmente alla perdita del concetto di teoria scientifica che era stato alla base di tali scoperte. Intellettuali noti come Plinio o Seneca appaiono nani al confronto coi predecessori che citano senza evidentemente comprendere, da una parte aprendo la via alla riscossa della superstizione e delle discipline magiche, dall'altra portando sulla scena il fattore di selezione principale, l'utilità. Vengono così tramandate, paradossalmente con l'assunto dell'avversione per le applicazioni pratiche delle scoperte scientifiche, proprio quelle scoperte che le hanno più immediate, a portata di un mondo più rozzo e decisamente prescientifico come quello romano: e qui sta il doppio volto della fallacia suddetta, ovvero il pretendere che il parametro dell'utilità sia universale e di fatto astorico, e che la favoletta di questi greci così dannatamente nerd spieghi la presunta assenza di macchine complesse nell'antichità meglio dei tentativi di ricostruire un percorso storico in cui tali macchine siano state, ad un certo punto, relegate al rango di curiosità da luna park imperiali, quando non dimenticate prima di tornare in Europa grazie agli arabi. La continuità fra la scienza ellenistica e quella moderna dei secoli XVI, XVII e XVIII è però dimostrata più volte, si potrebbe dire, al di là di ogni ragionevole dubbio, puntualizzando come da Copernico, a Keplero, a Galileo, a Newton, si cercasse esplicitamente di recuperare le fila e ricostruire un sapere che era giunto solo in modo parziale: il prof. Russo evidenzia, a costo di cadere nella lesa maestà, come talvolta i padri della scienza moderna citino direttamente i grandi scienziati antichi senza peraltro arrivare a capirli fino in fondo, restando cioè un passo indietro rispetto ad essi.

Questa prospettiva ha delle conseguenze di rilievo. La prima è che nella ricerca di confronti con le civiltà passate, alla ricerca di similitudini e dinamiche ricorrenti che possano spiegare meglio l'evoluzione della nostra, ci si è forse concentrati troppo poco su quella ellenistica, distinta da quella dominatrice di Roma e dal suo appetibile e paradigmatico crollo di gibboniana memoria. La cultura greca successiva all'impresa di Alessandro Magno associa elementi moderni quali un pensiero scientifico maturo e, secondo Russo, al centro dell'evoluzione politicoeconomica, alle dinamiche di fusione tra culture ed etnie diverse in un modo ben più virtuoso delle spintecentrifughe tardoimperiali a cui, per analogia, si è usato spesso accostare la relazione tra l'impero SA e il mondo, limitandosi troppo ad una visione conflittuale e tralasciando l'analisi, come invece preme a Serge Latouche, delle culture locali assorbite da una koinè grecofona allora e anglofona adesso. In più, la storia della “rivoluzione dimenticata” è sicuramente la prima pietra di paragone per valutare il destino di un corpus di sapere scientifico avanzato nel crollo del mondo che lo aveva partorito e nel declino di quello che lo aveva, in qualche modo, adottato.

Un altro aspetto sta nell'incipiente trasformazione del sistema economico ellenistico, poi troncato dalla conquista romana. Il prof. Russo si guarda bene dal definire capitalistico il modo di produzione dell'epoca, che comunque aveva diverse caratteristiche simili a quelle dei secoli della rivoluzione industriale (e in modo illuminante evidenzia come l'immagine più viva dell'industria moderna, la fabbrica di “Tempi Moderni” di Chaplin, sia popolata di elementi meccanici noti fin dall'ellenismo), ma non evita di affrontare il problema, anche ad esempio in chiave urbanistica, giustificando la nascita di una pianificazione urbana con la mutazione del ruolo della città non più esclusivamente centro di consumo e di amministrazione, ma anche di produzione economica.
Mostra esplicitamente come quel periodo risulti quasi una parentesi nel modo di produzione schiavistico della Grecia classica prima e di Roma poi, ma (comprensibilmente, visto che si trova già ai confini dell'ambito che ha scelto per la sua trattazione) si ferma prima di coniugare questo aspetto, e in generale l'ottica “economica”, alla questione della domanda di energia con le fonti naturali forza animale, energia idraulica, energia eolica trattate altrove per dimostrare l'esistenza di macchine ad elevata efficienza. L'impressione, anzi l'affascinante idea che si fa avanti sulle prime, è quella di un mondo complesso, a tecnologia avanzata, dannatamente simile al nostro perché nostro diretto ascendente, basato praticamente su fonti rinnovabili. Ma è un mondo che sembra comunque anticipare dei risvolti della civiltà moderna, ad esempio nella trasformazione dell'ambiente: nei carotaggi del ghiaccio groenlandese, al livello relativo alla prima età imperiale, risulta un picco dell'inquinamento da piombo e da rame, forse uno dei primi esempi tangibili di un effetto a lungo raggio dell'attività antropica; o, soprattutto, nelle dinamiche di crescita: Russo cita il caso del boom demografico dell'Egitto ellenistico, che da 3 milioni di abitanti, grazie ad un sfruttamento più avveduto del terreno, toccò quota 8 milioni, incidentalmente pari alla popolazioneprevista (ma non ancora raggiunta nuovamente) all'inizio del 1800 con un utilizzo ottimale delle risorse mediante la tecnologia del tempo.

Ci troviamo quindi davanti ad una società vicina a noi, in condizioni al contorno (clima, territorio, risorse) quasi identiche, ma priva di molte incrostazioni ideologiche spesso ringraziate o accusate, a seconda delle idee di chi parla, dello sviluppo sostanzialmente incontrollato che appare oggi pericoloso e insostenibile: dallo spirito protestante del capitalismo all'idea di progresso necessario, all'imperativo demografico biblico (anzi, in generale si tratta quasi di una civiltà di fatto agnostica, al di là del mantenimento cerimoniale dei culti). Ma basandosi sulla ricostruzione del prof. Russo sembra quasi una falsa partenza, fermata solo per motivi contingenti più che strutturali, dell'esperimento in cui noi, adesso, ci troviamo immersi. Pare anzi essere il momento in cui si genera gran parte di quel sapere e di quei risultati pratici a cui si abbevereranno, in misura diversa, tutte le culture europee e mediorientali nel momento in cui uscirà il loro numero nella lotteria della Storia per trasformarsi in civiltà (romani, arabi, europei tardomedioevali).
Non possiamo sapere “cosa sarebbe successo se” Tolomeo VIII Evergete II non avesse distrutto l'élite greca di Alessandria, o più appropriatamente se in generale non fosse sorta a breve distanza una civiltà concorrente solida come quella romana. Sono tipo di domande che spesso più che giustamente si rifuggono, qualora siano poste per costruire castelli in aria o utopie pericolose: ritengo però che abbia senso porsele quando servono per mettere in discussione fattori in gioco poco evidenti e instillare la sana pratica del dubbio.
Forse i cenni di crescita e sviluppo di quel periodo, proseguiti per un certo tempo sotto i Cesari grazie anche al retaggio di quella tecnologia, avrebbero raggiunto uno stato stazionario? Avrebbero evitato il “salto” all'uso massiccio dei combustibili fossili? O il sapere scientifico, oltre un certo livello, è un amico mortale che eutrofizza l'alga fino a soffocare lo stagno, a prescindere da ciò che in ultima analisi lo alimenta, che siano fonti rinnovabili o carbone e petrolio?
Nel linguaggio della teoria dei sistemi: se la scienza di tipo ellenisticooccidentale comporta un elevato guadagno del sistema, probabilmente con dinamiche di feedback positivo sul progresso della scienza stessa, dove sta il meccanismo di controllo che rende stabile il sistema?


L'eolipila di Erone, esempio divenuto proverbiale di come la tecnologia degli antichi Greci si sia fermata sulla soglia delle applicazioni pratiche che hanno costruito il successo della modernità. Ma quanto c'è di vero in questo luogo comune?

sabato, dicembre 27, 2008

Come azzeccare le previsioni

Prevedere il futuro è sempre difficile, e la palla di cristallo non è il metodo più indicato. Tuttavia, con un po' di buon senso e conoscendo bene le cose di cui si parla, ci si può anche azzeccare. Nelle previsioni che avevo fatto l'anno scorso per il 2008, in effetti, avevo previsto molte delle cose che si sono poi verificate.



Siamo quasi alla fine dell'anno e fra breve proverò a passarvi le mie previsioni per il 2009. Prima, però, ecco qualche ragionamento sulle previsioni che avevo fatto l'anno scorso per il 2008. Vi passo in fondo a questo post alcuni passi di cose che scrivevo. In sostanza avevo azzeccato sia il fatto che la produzione sarebbe rimasta più o meno costante; sia che i prezzi sarebbero collassati. Avevo anche previsto la recessione economica che si sta verificando anche se, devo confessare, sono rimasto sorpreso da come si sia rivelata disastrosa.

La mia previsione del collasso dei prezzi è stata particolarmente interessante in vista del fatto che a un certo punto un gran numero di esperti, picchisti e non picchisti, si erano fatti prendere la mano e avevano cominciato a parlare di petrolio a 200 dollari al barile per la fine dell'anno. Hanno sbagliato in senso opposto in confronto a quella che era stata la "madre di tutte le previsioni sbagliate", ovvero quella dell'Economist nel Marzo del 1999, che diceva che "Il petrolio a 10 dollari al barile potrebbe essere dietro l'angolo".

Gli errori nelle predizioni, si sa, nascono dalla nostra tendenza ad assumere che quello che succede oggi continuerà a succedere anche domani. Se oggi è bel tempo, è probabile che sarà bel tempo anche domani. Non è un cattivo metodo di fare predizioni - ma funziona soltanto a corto raggio. A lungo andare, tutto cambia e il bel tempo prima o poi si guasta. Usare questo metodo è una garanzia di fare errori clamorosi. Eppure, se andate ad analizzare molti modelli economici, vedrete che alla fine dei conti sono poco più che estrapolazioni delle tendenze attuali che assumono che tutto rimanga più o meno come lo è oggi.

Quindi, all'inizio del 2008 era evidente la tendenza all'aumento esponenziale dei prezzi ed era altrettanto evidente che bisognava cominciare ad applicare la vecchia regola che le crescite esponenziali tendono a interrompersi e a collassare. Niente di strano; lo strano è che così pochi si siano preoccupati di applicare questa regola. Altrettanto strano, e forse di più, che molti abbiano visto il collasso dei prezzi come una "dimostrazione" che non c'era nessun picco del petrolio. Ma le tendenze erano e rimangono evidenti, se solo le si sanno vedere.

In un prossimo post proverò a fare delle previsioni per il 2009, vediamo se ci azzeccherò anche senza la palla di cristallo.

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Le previsioni di Ugo Bardi per il 2008



A Gennaio del 2008 scrivevo in un post che intitolavo "previsioni per il 2008":

I prezzi potrebbero aumentare ben oltre i 100 dollari al barile, ma continueranno ad essere estremamente volatili. Non ci sarebbe nemmeno da stupirsi di un crollo temporaneo, al che tutti diranno che la crisi del petrolio era solo una bufala. Per un po'.


il 4 Gennaio del 2008, scrivevo una lunga spiegazione che descriveva bene quello che è successo poi.

Nel mercato, ci sono produttori e consumatori e i prezzi sono un'informazione che i due gruppi si scambiano e che descrive il rapporto fra domanda e offerta. I prezzi che si alzano sono un messaggio. Ai produttori dice "producete di più!". Ai consumatori dice "consumate di meno!"

Secondo quello che si legge nei testi di economia, il mercato usa questa informazione che viene scambiata fra produttori e consumatori per aggiustare la produzione a un livello ottimale secondo certe condizioni che i testi definiscono usando un linguaggio un po' astruso per i non iniziati. Comunque, queste condizioni non implicano niente di più che in un libero mercato si tende a raggiungere una condizione in cui produttori e consumatori arrivano a un compromesso in termini di prezzi e produzione che è soddisfacente per entrambi.

Nel caso del petrolio, bisogna anche tener conto della limitazione della risorsa. Quello che sta succedendo è che i produttori si trovano davanti al graduale esaurimento delle risorse che hanno sfruttato fino ad oggi. Non che le risorse siano completamente esaurite, ma trovarne ed estrarne di nuovo diventa sempre più caro. La produzione è piatta ormai da qualche anno; interrompendo la tendenza storica all'aumento che era stata la regola da oltre un secolo. L'economia, invece, continua a espandersi, specialmente in paesi come l'India e la Cina, e vorrebbe sempre più petrolio

Allora, come reagisce il mercato di fronte a questa condizione? Mandando un segnale a produttori e consumatori per mezzo dei prezzi. Alzando i prezzi, il mercato dice ai produttori "producete di più!" Ai consumatori dice "consumate di meno!"

Però i produttori si trovano in difficoltà a produrre di più perché andare a sfruttare le risorse petrolifere che rimangono costa sempre più caro. I consumatori, da parte loro, si trovano incastrati in un sistema di vita nel quale è difficile per loro ridurre i consumi.

Allora, cosa fa il mercato? Semplice: urla sempre più forte e il messaggio è sempre quello: "producete di più!" e "consumate di meno!" Ovvero, aumenta sempre di più i prezzi.

A lungo andare, qualcuno finirà per dar retta al mercato e ne vediamo già dei sintomi chiari. Più che altro, sembra che siano i consumatori a essere costretti a ridurre i loro consumi; sembra che sia un po' più difficile per i produttori reagire aumentando la produzione. Come si era detto,
la curva della produzione di petrolio è tuttora piatta, mentre quella del consumo sta mostrando una certa tendenza alla diminuzione in molti paesi occidentali (questa riduzione nei paesi consumatori è compensata dall'aumento nei paesi produttori).

Quindi, che cosa ci possiamo aspettare che succeda nel futuro? Beh, sembrerbbe ovvio: vedremo il mercato continuare a lanciare il suo segnale, forse anche più forte (ovvero prezzi ancora più alti) finché non si verificheranno una delle due cose: 1) aumento della produzione petrolifera o 2) recessione economica con conseguente diminuzione dei consumi. A quel punto, i prezzi potranno diminuire.

A voi la scelta fra le due cose che si verificheranno: a parere di ASPO, è molto più probabile che si verificherà una recessione economica, compensata soltanto in piccola parte dagli sforzi dell'industria petrolifera di aumentare la produzione. Per questo, a un certo punto ci dobbiamo aspettare che i prezzi cominicino a diminuire. Ma, attenzione, questo non vorrà dire che la crisi del petrolio è finita. Al contrario!




Nel settembre del 2008, prima che la crisi finanziaria fosse evidente, scrivevo sul blog descrivendo un convegno avvenuto parecchi mesi prima.

A questo punto, mi lancio a spiegare la questione del picco del petrolio. Parlo delle riserve, della dinamica della produzione, della teoria di Hubbert. Spiego come il meccanismo della domanda e dell'offerta generi forti oscillazioni nei prezzi. Dico che la tendenza alla crescita continuerà ancora, ma che vedremo a non lunga scadenza un crollo del prezzo del petrolio dovuto alla distruzione della domanda. Da li', spiego come la distruzione della domanda porti come conseguenza una distruzione dell'offerta. Questo genera quello che si chiama recessione. Quella che ci aspetta, dico, sarà una recessione dura; potrebbe somigliare al 1929 ma potrebbe essere anche peggiore. Vedremo il crollo delle borse e la sparizione di certe attività che ci sembravano normali ma che, nel futuro, non potranno esistere, le compagnie aree, per esempio.

A Maggio, scrivevo su "The Oil Drum"

What we are seeing at present with crude oil is, most likely, one of these price spikes. Eventually, it will overdo its job of curbing demand and turn into a price collapse. We can imagine how, in the collapsing phase, everyone will start screaming that the "oil crisis" of the first decades of 21st century was just a hoax, just as it was said for the crisis of the 1970s. (Quello che stiamo vedendo, al momento, è molto probabilmente uno di questi picchi di prezzo. Alla fine, esagererà nel suo ruolo di abbassare la domanda e si trasformerà in un collasso dei prezzi. Ci possiamo immaginare come, nella fase di collasso, tutti cominceranno a urlare che la "crisi del petrolio" dei primi decenni del ventunesimo secolo era soltanto un imbroglio, così come era stato detto per la crisi degli anni '70).

venerdì, dicembre 26, 2008

Spigolature: linkoteca di Aspo-Italia





Babbo Natale non abita più qui

created by Maurizio Tron




Settimane frenetiche, o desolatamente calme, dipende dal punto di vista, per l'industria dell'auto. Dalle reprimende di Michael Moore, che stigmatizzava l’eventuale bailout a favore delle ‘Big Three’:

“Da tutto questo sarete giunti alla conclusione che non me ne freghi niente di quei poveri incapaci che costruiscono queste auto schifose, su a Detroit. Invece mi importa. Mi importa di quei milioni di persone la cui vita e il cui sostentamento dipendono dalle compagnie automobilistiche. Mi stanno a cuore la sicurezza e la difesa di questo Paese, perché il mondo sta esaurendo le scorte di petrolio, e quando sarà davvero finito, la catastrofe e la rovina saranno tali da far sembrare la crisi attuale una passeggiata [….] Questi imbecilli non meritano un centesimo. Licenziateli tutti e rilevate l'azienda per il bene dei lavoratori, del Paese e del pianeta. Ciò che è bene per la General Motors è bene per il Paese. Una volta tanto è il Paese a dettare le condizioni”

si è arrivati al salvataggio che conosciamo:

“The emergency bailout of General Motors and Chrysler announced by President Bush on Friday gives the companies a few months to get their businesses in order, but hands off to President-elect Barack Obama the difficult political task of ruling on their future [….] While Mr. Obama has broadly insisted that the automakers radically increase the fuel efficiency of their fleets, reduce carbon emissions and save the maximum number of jobs possible, he will have just nine weeks after taking office to press for a detailed transformation of an industry whose problems have been building for three decades”

mentre delle un tempo ambite e desiderate automobili nessuno sa più che farsene:

“La recessione degli Anni Duemila ha trovato il suo primo, grande ingorgo. Più di novantamila automobili (e il numero cresce) bloccano il porto di Bremerhaven, sul Mare del Nord, il maggiore punto europeo di ingresso e di uscita di veicoli [….] Fino a poche settimane fa, ogni nave che si avvicinava era la benvenuta a Bremerhaven. Ora è un guaio. Quelle che dovrebbero esportare se ne vanno mezze vuote. Quelle cariche che arrivano da fuori Europa non hanno praticamente più spazio per parcheggiare i veicoli nei due grandi piazzali. Lo scorso weekend, la gestione di sette navi è stata un incubo. Tutto è fermo. La Blg ha trovato nuovi spazi in aree vicine, di solito destinate ai container. Ma anche queste sono ormai piene. Altre auto sono parcheggiate su treni, anch'essi immobili in attesa di trovare una destinazione [….] Cinque mesi fa, le previsioni dicevano che i mezzi movimentati a Bremerhaven sarebbero stati 2,2 milioni, una crescita di quasi il dieci per cento rispetto al 2007. «Ora prevediamo una riduzione del 25% del numero dei veicoli che transiteranno nel primo quadrimestre del 2009», ammette Ader. Nei mesi successivi, ritengono molti esperti, potrebbe andare peggio”

e le case concorrenti delle altre nazioni non è che navighino in acque migliori:

“Secondo le stime dell'associazione dei costruttori giapponesi (Jama), le vendite di autoveicoli nuovi in Sol Levante nel 2009 dovrebbero scendere sotto quota 5 milioni, portandosi così al livello più basso dal 1978. «Nel 2008 - dice un comunicato della Jama - le vendite di veicoli a quattro ruote, mini-modelli compresi, dovrebbero stabilirsi a 5,11 milioni di unità», con un calo del 4,5% rispetto al 2007, che era già stato uno degli anni peggiori da più di tre decenni. Per quanto riguarda il 2009, le vendite dovrebbero scendere a 4,86 milioni di esemplari (-4,9%) a causa anche del «mercato del lavoro deteriorato» e quindi della «minore propensione alla spesa da parte dei consumatori»”

al punto che anche produttori affermati meditano la riconversione:

“Honda lascia la F1. La notizia ha creato un terremoto nel settore auto. Intanto la casa giapponese fa sapere che grazie a questa decisione risparmierà 420 milioni di euro all’anno. Se trovano un acquirente per il team entro pochi giorni è bene altrimenti tirano giù la saracinesca [….] L’abbandono del circo della Formula 1 non è solo legato alla crisi ma proprio ad un nuovo assetto che Honda intende darsi rivolto ad un ritorno al passato fatto di motociclette ma dal cuore eco, cioè con motori elettrici”

Sarà dunque una fine ingloriosa quella dell’industria automobilistica ? O trascinerà con sé i problemi sociali irrisolti, come quelli ben descritti in tutte le sue implicazioni da Clint Eastwood nella sua ultima opera, ‘Gran Torino’, dal nome di un modello della Ford reso famoso anche da noi dalla serie televisiva ‘Starsky e Hutch’ ?

““Gran Torino,” a sleek, muscle car of a movie Made in the U.S.A., in that industrial graveyard called Detroit. I’m not sure how he does it, but I don’t want him to stop. Not because every film is great but because even the misfires show an urgent engagement with the tougher, messier, bigger questions of American life [….] Despite all the jokes the film has the feel of a requiem. Melancholy is etched in every long shot of Detroit’s decimated, emptied streets and in the faces of those who remain to still walk in them. Made in the 1960s and ’70s, the Gran Torino was never a great symbol of American automotive might, which makes Walt’s love for the car more poignant. It was made by an industry that now barely makes cars, in a city that hardly works, in a country that too often has felt recently as if it can’t do anything right anymore except, every so often, make a movie like this one”

aspetti spettrali di una Detroit, città dell’automobile per eccellenza, ricordati anche in questo post:

“Detroit era una delle città più industrializzate degli Stati Uniti, la capitale dell'automobile. "Buon acciaio di Detroit", si usava dire quando si comprava la macchina nuova. Ford, Dodge, Cadillac, Chrysler, davano lavoro a quasi due milioni di persone. Oggi sono meno della metà”.








Per chiudere, una nota personale. Nella foto è ritratto il regalo ‘postpicco’ che mi son fatto per questo Natale: un set rasoio – coramella – pennello – crema, per farmi la barba in barba a qualsiasi recessione e ad eventuali future scarsità di materie prime. Il rasoio, di acciaio svedese lavorato a Solingen, è di quelli che durano decine d’anni, ma che è bene maneggiare con attenzione, per evitare di finire sgozzati come gli attori di certi B-movie. La coramella è indispensabile per un’accurata affilatura, che garantirà rasature pressoché infinite. La crema ad 1 € circa a confezione, vista la frequenza con cui mi rado mi permetterà di acquistare la prossima fra qualche anno. Anche se ogni rasatura mi ruba 10-15 minuti di tempo, la soddisfazione di imparare a usare uno strumento 'antico' non ha eguali


Nota: il titolo del post è una citazione della quasi omonima pellicola di Martin Scorsese “Alice non abita più qui”, che poco sembra aver a che fare con l’argomento del post stesso. Però:

“Un giovane ma già graffiante Scorsese ci propone questa cronaca di frustrati del sogno americano, votati a una vita mediocre”
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The party's over .... Well, sometimes it's there, sometimes it's not there anymore

David Addison

giovedì, dicembre 25, 2008

Buon Natale


"Sì, ma è carbone pulito."

mercoledì, dicembre 24, 2008

Retenergie: una cooperativa che crede nell'energia rinnovabile

Venerdì scorso 19 dicembre si è costituita a Cuneo la cooperativa "Retenergie", di cui Ugo Bardi aveva già parlato in un post.
Tra i soci fondatori ci sono anche Silverio Bertini e Gianluca Ruggieri di ASPO.
Come precisato nell'art. 2 dello statuto, la nascente società ha come scopo quello di gestire la fornitura di tecnologie per la generazione e la vettoriazione di Energie Rinnovabili, facendo leva sul concetto di cooperazione. Come intuirete, si tratta di un'ispirazione molto ampia, che la frase da me scritta sopra stenta ad abbracciare completamente. Nello statuto ci sono ulteriori dettagli, mentre altri ancora di natura organizzativa sono in costruzione.
La mia impressione da "aspista" è molto positiva: nelle due orette prima dell'appuntamento con il notaio per l'atto costitutivo abbiamo avuto modo di conoscerci, e di entrare subito in sintonia sui concetti di base. Alcuni membri del direttivo conoscevano già Aspo, altri no, tuttavia le idee fondamentali sono ampiamente condivise.
Credo che iniziative come queste possano essere una valida e operativa risposta ai segnali macroeconomici che stiamo percependo, che altro non sono se non il concretizzarsi di previsioni legate alla dinamica dei fabbisogni energetici.
Il picco del petrolio si sta manifestando con tensioni geopolitiche, grande volatilità dei prezzi, domanda che cresce oltre la capacità produttiva. Il picco del gas, d'altro canto, è lì a fargli compagnia: è di stamattina la notizia, segnalata tempestivamente da Nicola Caporaso sul nostro forum, della dichiarazione di Putin secondo cui "l'era del gas naturale a basso costo sta per volgere al termine".
Attenzione, non dobbiamo interpretare le rapide diminuzioni dei prezzi del petrolio degli ultimi mesi (e delle forniture energetiche prospettate per il primo semestre 2009) come un segnale del tipo "va tutto bene, per fortuna, continuiamo come prima". Le conseguenze vere della depletion energetica devono ancora venire.
A livello statale e di multinazionali sono state fatte scelte (o meglio, non sono state fatte) basate sul mantenimento dell'esistente e sul marketing: si tratta della politica che massimizza i profitti oggi, ma che rende molto incerto il futuro.
Per la stessa inerzia di questi sistemi, mi è difficile pensare che ci siano già pronti dei piani di ricollocamento per le file di disoccupati uscenti (già nel 2009) dalle tramortite industrie automobilistiche, del credito etc. Molto meglio una proposta concreta dal basso, che in più cerca di diffondere una democratizzazione, localizzazione e rinnovabilità delle forniture energetiche, vero punto chiave di questo secolo.
Per chi volesse maggiori informazioni può contattare me, o i soci fondatori, o direttamente i sig. Marco Mariano, Presidente (nuovaterra@gem.it), e Davide Burdisso, Vicepresidente (davide.burdisso@fastwebnet.it).
Esiste il sito, recentissimo e in sviluppo, http://www.retenergie.it/.
Un ulteriore sito utile: http://www.solarecollettivo.it/

martedì, dicembre 23, 2008

La vita dopo il petrolio



E' uscito di recente il libro "La vita dopo il petrolio", curato da Gianluca Ruggieri e Pietro Raitano per l'editore "Altreconomia"

Il libro si presenta come una vera e propria "vetrina di ASPO", per la presenza di un bel gruppetto di autori che sono membri di ASPO-Italia. Fra questi Ugo Bardi, Toufic el Asmar, Marco Pagani, Luca Pardi e Luca Mercalli. Ma anche altri autori sono in qualche modo correlati all'attività di ASPO-Italia, come Sherif El Sebaje, uno dei protagonisti di ASPOItalia-2 a Torino e come Michael Dittmar, che è apparso a ASPO-6 a Cork nel 2007. I curatori sono riusciti anche a inserire un bel numero di personalità internazionali di alto livello come Wolfgang Sachs, James Kunstler, Herman Scheer e altri.

Un libro con così tanti autori può avere un filo conduttore ma, necessariamente, non può essere perfetto in termini di omogeneità e di struttura. Qui, il livello è sempre piuttosto buono, ma qualche occasionale caduta si nota e, per esempio, ho letto con un certo stupore Wolfgang Sachs parlare bene dei biocombustibili, sia pure con cautela. Ma, nel complesso, il messaggio che arriva è forte, chiaro e originale. Per la prima volta, per esempio, si trovano su carta stampata in Italia messaggi come quello dell'esaurimento dei minerali di Marco Pagani e la critica durissima che un esperto nucleare come Michael Dittmar fa all'energia nucleare.

Il messaggio di ASPO (e di ASPO-Italia) a proposito della crisi di disponibilità delle risorse è piuttosto radicale ed emerge molto chiaramente da questo libro. Il primo passo per trovare delle soluzioni è rendersi conto del problema.

lunedì, dicembre 22, 2008

Il mondo fatto a mano

Ovvero: come ho imparato a smettere di preoccuparmi


e ad amare il catastrofismo



created by David Conti







Il sistema autostradale nazionale, Wal Mart e Walt Disney World non potranno continuare a funzionare con nessuna combinazione di solare, eolico, idroelettrico, idrogeno, nucleare e olio di frittura usato”, poi, “I sobborghi (suburbs) sono stati il più grande spreco di risorse nella storia dell’umanità”.


Le sopracciglia si alzano, la fronte diventa corrugata ed alla fine del libro la tua percezione dell’ambientalismo e di quel bluff chiamato sviluppo sostenibile viene inesorabilmente rimpiazzata da una più profonda consapevolezza del concetto di Picco del Petrolio e di tutte le sue ramificazioni economiche e sociali. Non credo di essere il solo ad aver avuto questo effetto leggendo “Collasso”, il saggio di James Howard Kunstler, pubblicato in Italia da Nuovi Mondi Edizioni.

La sua ultima fatica letteraria, “World Made by Hand” (Mondo fatto a mano) si può considerare il primo romanzo espressione del Picco del Petrolio: non potevo perdermelo. La storia in breve: L’autore non lo specifica, ma ci troviamo intorno al 2030, nella parte settentrionale dello stato di New York in una cittadina chiamata Union Grove. Lì vive e lavora come carpentiere il protagonista, Robert Earle, ex direttore marketing di un’affermata software house. Dico ex perché in quel periodo storico gli Stati Uniti praticamente non esistono più. L’ultimo shock petrolifero, combinato con due esplosioni nucleari di matrice terrorista che hanno raso al suolo Los Angeles e Washington, insieme ad una devastante influenza hanno fatto regredire il continente americano di almeno 200 anni. I sopravvissuti vivono nei loro villaggi, principalmente di agricoltura e lavori manuali. Le notizie del mondo esterno, ovvero tutto ciò che si trova oltre la contea, sono scarse e non verificabili. L’elettricità, quella poca rimasta, va e viene, a volte assente anche per giorni interi. La giustizia è un concetto astratto mentre i pochi spostamenti avvengono a rischio e pericolo di chi li compie, a piedi, con carri trainati da cavalli o con i battelli che solcano il fiume Hudson.

La vita a Union Grove si muove intorno a quattro pilastri. La cittadina con i suoi residenti, una ex banda di motociclisti accampata fuori città specializzata nel riciclaggio e nel recupero di materiali dell’epoca petrolifera, una specie di feudo retto da un signorotto locale ed i nuovi arrivati, un gruppo di evangelici in fuga dal caos che impera negli stati del sud decisi a piantar tenda. Il ricordo della vita precedente, ripiena delle apparenti comodità moderne è un leit-motif che accomuna molti dei protagonisti, ma quello che più emerge dalla lettura, è un senso di calma risolutezza nell’affrontare le difficoltà di questa nuova vita, anche di gioia viste le frequenti feste organizzate. Tutto, a partire dai dialoghi, è più semplice e diretto, scevro di quella punta di ipocrisia che spesso risiede nel nostro gergo. Nella narrativa di Kunstler c’è poi molto spazio dedicato al cibo, dimostrando così una ricerca di quelle che potrebbero essere le abitudini alimentari di questo mondo in rovina. Niente grano, per via della ruggine, ma soprattutto mais, latticini e tanta frutta e verdura visto che ogni abitante può contare su un proprio orto.

Chiuso il libro, mi viene subito da pensare “ma non sarà che Kunstler è andato troppo pesante con il catastrofismo?”. E’ un’obiezione sensata, visto che comunque l’autore è estremamente ferrato sull’argomento. Ma qui vorrei spezzare una lancia, non tanto per il libro, che si è dimostrato una lettura molto piacevole, più che altro per il catastrofismo in se, ovvero, il fatto di poter leggere il libro ed immaginare che uno scenario così fosco potrebbe effettivamente realizzarsi. Per quanto tecnologicamente avanzata, la complessità intrinseca della nostra società è la nostra debolezza più grande. Sarà possibile gestire una transizione ordinata verso una società a bassa energia? Quale meccanismo potrebbe fallire e trascinare con sé gli altri? L’energia, la produzione di cibo, le istituzioni democratiche? Senza contare poi le variabili impazzite rappresentate dal terrorismo, le malattie ed i cambiamenti climatici. E quale potrebbe essere la reazione a queste avversità di una popolazione con una capacità di analisi anestetizzata da un bombardamento mediatico incessante? Lo spirito d’inventiva e la capacità di rispondere alle avversità della razza umana resta notevole, lo dice la storia, ma pensare di bollare aprioristicamente uno scenario “catastrofista” come impossibile è un lusso che non possiamo permetterci, soprattutto di questi tempi. Ed il libro di Kunstler è lì a ricordarcelo.



World Made by Hand di James Howard Kunstler.
Disponibile su Amazon, ancora in attesa di una traduzione in italiano.
www.worldmadebyhand.com

domenica, dicembre 21, 2008

Ed ecco a voi: il compost!


Un po' del compost generato dal mio compostatore da cucina dentro un barattolo che fu di marmellata, appoggiato su una cartellina di un vecchio convegno.


Una delle cose che mi sono rimaste impresse nella mia carriera è stata la faccia del sindaco di Fiesole quando gli hanno fatto vedere un barattolo di compost, più o meno come quello che vedete nella foto qui sopra.

Era svariati anni fa, quando l'assessore all'ambiente dell'epoca aveva proposto di fare un impianto di compostaggio comunale. Non l'avesse mai fatto! Immediatamente sono sorti i comitati contro "la discarica"; raccolte di firme, manifestazioni, cartelli, lettere ai giornali, insulti personali all'assessore e a tutta la giunta comunale.

Durante la discussione, a un'assemblea pubblica c'è stata una riunione con il sindaco. A un certo punto, uno dei tecnici che proponevano l'impianto ha tirato fuori un barattolo di compost (ben chiuso) e l'ha avvicinato al sindaco dicendo "guardi che bel compost"

Il sindaco non avrebbe potuto fare una faccia più disgustata se gli avessero messo davanti un topo morto e parzialmente decomposto, tenuto per la coda. Non so se l'esibizione pubblica del barattolo sia stata la pietra tombale dell'impianto di compostaggio comunale. In ogni caso, non lo si è fatto.

Molti anni dopo, ecco un bel barattolo di compost fatto con il mio compostatore elettrico da cucina. E' un compost proprio bello, non ero mai riuscito a fare niente di simile con il compostatore da giardino. Non è perfettamente inodore; diciamo che sa un po' di terra, un po' di foglie nel bosco..... insomma, sa di compost. Devo dire che è una grande soddisfazione ed è anche un compostaggio molto rapido. La roba che ci butti la sera, la mattina dopo è già quasi completamente sparita.

Ogni volta che vedo le foglie dei carciofi sparire nella massa brunasta mi riviene in mente la storia del vecchio impianto di compostaggio comunale. Chissà perchè la gente ha questo atteggiamento di rifiuto totale verso queste cose. Deve essere qualcosa di atavico, o forse qualcosa che ci arriva dall'onda di "igienismo" del ventesimo secolo. Oppure è ancora una sensazione di vergogna per le nostre origini contadine. Insomma, speriamo di riabituarci un po' a queste cose, perché nel futuro avremo sempre più bisogno di fertilizzanti naturali.


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La domanda è, ora che ho il compost, cosa me ne faccio? Beh, un po' l'ho messo nei vasi della terrazza, un po' l'ho sparpagliato per il giardino. Va usato con una certa cautela come ammendante: non va usato come terriccio, è troppo forte e potrebbe rovinare le piante. Ora, ne ho un secchio pieno e mi sto mettendo daccordo con i miei vicini che hanno degli orti per regalarglielo. Credo che ne avrò di ritorno qualche bel pomodoro o qualche zucca - già me li regalano ogni tanto, così posso dargli in cambio qualcosa. E' tutto parte del "fare comunità". Da noi non siamo ancora arrivati agli orti di sopravvivenza delle transition town, ma è bene cominciare a pensarci.

Da notare anche che il compostatore elettrico ha uno svantaggio rispetto a quello convenzionale: siccome funziona a circa 40 gradi, sembra che sterilizzi i semi delle piante che ci butti dentro - perlomeno finora da questo compost non ho visto rinascere pomodori, patate e zucche, come invece succede con il compost normale, non riscaldato artificialmente. Questo lo rende inviso a mia moglie, che invece ama moltissimo fare un orto "a sorpresa" con il compost del vecchio compostatore. Che ci volete fare? Siamo separati in casa: un compostatore per uno.

sabato, dicembre 20, 2008

Stiamo perdendo l'acqua



created by Andrea Sun


In attesa della trasmissione "X-factor" e delle inchieste dei TG sulla scelta "panettone o pandoro", il 6 Agosto, mentre stavamo con la pancia al sole, il Governo, con il voto favorevole del PD (Partito Democratico altresì detto "PD meno L"), ha stabilito che dal 1-1-09 ed entro il 2010, l'acqua diventerà una merce.
La norma obbliga i Comuni a mettere a gara, quindi sul mercato, i servizi idrici locali, di fatto consegnandoli nelle mani dei colossi privati e più facilmente multinazionali.Per "servizi idrici" si intende la fornitura, la gestione e il controllo dell'acqua, bene primario fondamentale per la vita, diritto inalienabile dell'essere umano.Questo è previsto dall'articolo 23-bis della Legge 133/2008, a firma Tremonti (http://www.parlamento.it/parlam/leggi/elelenum.htm), che inserisce l'acqua nella definizione di "servizio pubblico locale di rilevanza economica".
La storia ci ha insegnato che il privato ha un solo interesse: il profitto, quindi remunerare il capitale, gli azionisti. Dove interviene il privato taglia i costi, precarizza il lavoro e sottovaluta controlli e sicurezza.Sotto agli occhi abbiamo ancora le brillanti privatizzazioni di Ferrovie, Poste, Telecom, ...I primi passi verso la privatizzazione dell'acqua si mossero nel 2002, quando le municipalizzate sono state convertite in S.p.a. (quindi soggette al diritto privato) e, nonostante i Comuni abbiano mantenuto la maggioranza azionaria, hanno aperto le porte a banche e multinazionali.
Con i "Grilli", all'interno del "comitato acqua bene comune", l'anno scorso (da Gennaio a Giugno) sono state raccolte in tutta Italia 406 mila (8 volte le 50'000 richieste), ottenendo dal precedente Governo la moratoria dei processi di privatizzazione, fino al 31-12-08. La proposta di legge è comunque in Parlamento.
Da quel giorno l'acqua non sarà più un diritto ma una merce. Una merce in mano alle multinazionali, che non aspettavano altro. Ad Aprila (nel Lazio), dal 2003 l'acqua è gestita da Acqualatina Spa, una controllata della Veolia, multinazionale francese e più grande gestore d'acqua al mondo.Nel 2005 Acqualatina ha deciso di aumentare le tariffe del 300%. I cittadini ("consumatori") da allora debbono scegliere se mangiare o pagare la fattura dell'acqua (vedi trasmissione "Report" del 15-10-04 e 3-8-05).Un comitato di vecchietti operativi e agguerriti, che è un piacere ogni volta rivedere, ha messo in atto una singolare quanto efficace azione: i cittadini pagano le fatture per non essere morosi, al Comune anziché alla società privata, con la tariffa ricalcolata dagli arzilli vecchietti.
In Venezuela e Bolivia, alcuni anni fa, dopo durissimi scontri si è tornati alla gestione pubblica.A Parigi, il sindaco Bertrand Delanoë ha annunciato che la municipalità non ha intenzione di rinnovare i suoi contratti con Suez (altra enorme multinazionale) e Veolia, e così, a far data dalla scadenza TRENTENNALE dei contratti (31-12-08), ritornerà in mano pubblica.Negli Stati Uniti è rigorosamente pubblica! A New York e in molte altre città, l'amministrazione cittadina lo scorso anno ha dichiarato guerra alle bottiglie di plastica usate per venderla. Così come a Firenze e a Torino, dove nelle scuole sono stati banditi i distributori automatici di bibite imbottigliate.
L'acqua è di tutti perché piove dal cielo.
Il "movimento dell'acqua" prosegue il suo cammino.


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

venerdì, dicembre 19, 2008

I Rifiuti come alimenti: il compostaggio elettrico domestico


Il mio compostatore da cucina; utilizzabile anche in un appartamento per trasformare i rifiuti organici in compost. E' un applicazione del principio fondamentale del C2C (dalla culla alla culla), ovvero trasformare i rifiuti in alimenti (in questo caso, per le piante).


Mi racconta mia moglie che a casa sua, quando lei era bambina, non si faceva uso della raccolta pubblica dei rifiuti. Lei viveva in una casa di periferia con un giardino piuttosto grande, cosicché la spazzatura veniva semplicemente dispersa "nel campo". Erano avanzi di cucina che diventavano buon concime. Il poco di carta e l'occasionale coccio o pezzo di vetro non dava fastidio. Era un tempo in cui i rifiuti domestici erano quasi al 100% organici. Non esisteva il problema degli "iperimballaggi", degli inceneritori, dei cassonetti e tutto il resto. La casa dei genitori di mia moglie funzionava secondo il principio, che a noi appare modernissimo, del C2C (dalla culla alla culla) ovvero "i rifiuti sono alimenti."

Si ricorda anche mia moglie che a un certo punto ci fu una specie di riunione di condominio in cui quelli che abitavano nello stesso edificio si riunirono per discutere se dovessero cominciare ad utilizzare il servizio della nettezza urbana comunale. Non tutti erano daccordo, ma alla fine si decise di smettere di sparpagliare la spazzatura nel campo e di darla agli spazzini perché "tanto si deve pagare lo stesso" (la regola fondamentale della burocrazia).

Ora, mia moglie non è che l'ho trovata in un sarcofago del museo egiziano. Queste cose che mi ha raccontato erano la situazione a Firenze nei primi anni '60. A quell'epoca c'erano ancora abitazioni in periferia che erano completamente sconnesse dal sistema di recupero dei rifiuti urbani. Fra le tante cose, questa storia ci fa vedere bene gli effetti perversi del nostro sistema. Già cinquant'anni fa, incoraggiava la gente a produrne di più e lo continua a fare ancora oggi con il sistema dei cassonetti pubblici. D'altra parte, una volta che i rifiuti acquisiscono un valore economico per chi li raccoglie, questi hanno tutto l'interesse incoraggiare la gente a produrne di più. Tutto ha una logica.

E' probabilmente impossibile ribellarsi di fronte al principio universale della burocrazia, "tanto devi pagare lo stesso". Tuttavia alcuni di noi insistono nel cercare di fare qualcosa di meglio. Questo mi ha portato a ritornare all'idea della casa di mia moglie anni fa. Oggi, abbiamo evidentemente troppa robaccia per sparpagliare tutto in giardino, ma sarebbe comunque possibile trattare in proprio i rifiuti organici; ovvero è possibile una casa che trasformi i rifiuti organici in alimenti per le piante?

Qualche tentativo è stato fatto in questo senso con i cosiddetti "biocassonetti" che dovrebbero avviare l'organico verso impianti di compostaggio. Tuttavia, se andate a vedere cosa esce da questi cassonetti, vedete che la gente ci butta dentro di tutto; lattine, vetro, plastica e gatti morti. Normalmente non si riesce a farne un compost decente. Si può fare molto meglio con la raccolta "porta a porta", ma questa non c'è ovunque. Perciò ho deciso di attrezzarmi in proprio e andare un passo più avanti verso il C2C con il compostaggio domestico.

Ovviamente, esistono già compostatori domestici da tenere in giardino. Io ne ho uno da almeno una decina di anni e funziona bene. Il problema che mi sono posto, tuttavia, è cosa possiamo proporre in termini di compostaggio a chi il giardino non ce l'ha. E' possibile un compostaggio veramente "in casa", o perlomeno su un terrazzino? La risposta sembrerebbe si.

Entra in gioco il compostatore elettrico "desktop" della Naturemill che ha circa la forma e le dimensioni dell'armadietto di un PC. L'arnese è dotato di un sistema di mescolamento, di una pompetta per l'areazione dei rifiuti, di un filtro contro gli odori e il tutto viene mantenuto a una temperatura di circa 40 C da una resistenza elettrica all'interno di un recipiente bene isolato in polistirolo. Consuma molto poca energia, ho misurato 20 W assorbiti. Quasi niente in confronto a quello che produco con il mio impianto fotovoltaico.

In pratica, si buttano i rifiuti di cucina dentro la macchina, questa provvede a rimestarli e ad arearli, causando un compostaggio molto più rapido di quanto non possano fare i compostatori da giardino. Quando il recipiente superiore è pieno e si giudica che la massa è ben compostata, si preme un bottone e la macchina provvede a dare una bella rimestata finale; deponendo poi il tutto in un cassetto in basso. Dopo un po', si può estrarre il compost e utilizzarlo in orti e giardini.

Funziona questo aggeggio? Beh, questo è il lavoro del ricercatore: sperimentare le cose nuove e vedere se funzionano. Così, mi sono comprato due di queste macchine; una privata per casa mia che ho piazzato in cucina con il consenso di mia moglie (illuminata persona). Un'altra l'ho comprata per l'Università e l'abbiamo piazzata in laboratorio come un piccolo esperimento scientifico da farsi con gli avanzi dei pranzi degli studenti. Sono ormai diversi mesi che uso queste macchine e penso di potervi fare un resoconto, anche se ancora un po' provvisorio.

In sostanza, imparare a compostare è come imparare a cucinare. Nessuno nasce imparato, come si suol dire, e ci vogliono prove ed errori in entrambi i casi. Nel caso della cucina, un errore vuol dire bruciare l'arrosto o servire la pasta scotta. Nel caso del compostatore, un errore vuol dire appuzzare orrendamente la casa (o il laboratorio) con odori indescrivibili.

Quindi, vi posso dire che se queste macchinette sono gestite bene, sono una meraviglia. Viene un compost molto bello, non ci sono cattivi odori - anzi fanno un lieve odore che direi anche piacevole. Se però si fa un errore, e mi è capitato, è il disastro. Dopo vari test, attribuisco la catastrofe all'uso di segatura ordinaria per diluire il compost. Non so cosa ci sia nella segatura che ammazza i batteri aerobici - forse qualche sostanza anti agglomerante. Ma per scoprirlo mi ci è voluto del tempo e il mio matrimonio ha resistito a malapena. All'università, i miei studenti e collaboratori hanno minacciato di andare a manifestare davanti al rettorato con cartelli contro il prof. Bardi reo di aver tentato di sterminarli con gas venefici. Per fortuna, dopo varie manovre, riparazioni, ripuliture e abolizione della segatura, entrambe le macchine sembrano funzionare bene di nuovo.

Queste disavventure sono tipiche delle nuove tecnologie; non aiuta il fatto che la macchina sia americana e che non ci si possa attendere un servizio di manutenzione qui in Italia. Comunque, credo che se ci si familiarizza con l'idea, il "compostaggio elettrico" potrebbe essere un'ottima idea con un grande potenziale per migliorare il sistema di gestione dei rifiuti. Se tenerlo in cucina ha una certa componente di eroismo, lo si può tenere in un terrazzino, anche piccolo, e questo perdona molti degli errori. E' un piccolo passo verso il concetto di base del C2C: i rifiuti sono alimenti.

Concludo con la considerazione che, se in Italia è cosa strana e inusitata compostare in cucina, non lo è ovunque. Proprio pochi giorni fa ho fatto vedere la macchina compostatrice a una mia amica giapponese, la quale mi ha detto, "si, da noi ce le hanno tutti queste macchine che si chiamano <<komposto-kikai>>"(3) Bene: i Giapponesi sono molto schizzinosi in media e vivono in appartamenti molto più piccoli dei nostri. Se ci riescono loro, ci possiamo riuscire anche noi!


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Nota1: ringrazio Ignasi Cubina per avermi introdotto al concetto del C2C

Nota 2: se volete comprarvi una di queste macchine, andate sul sito della NatureMill. Tenete presente però che compostare richiede una certa attenzione e non garantisco niente sulla tenuta del vostro matrimonio se la piazzate in cucina.


Nota 3: sono sicuro che le macchine compostatrici giapponesi sono molto migliori e più evolute dell'aggeggio della NatureMill che, francamente, mi è parso assai artigianale. Si trova qualcosa sul compostaggio domestico giapponese a questo link, gentilmente fornito da Maria Heibel.

giovedì, dicembre 18, 2008

I rifiuti sono alimenti


Lo scarabeo stercorario ha capito molto bene il concetto di base della filosofia del "C2C" (cradle to cradle, "dalla culla alla culla") ovvero che i rifiuti sono alimenti.


Da che mi occupo di rifiuti, mi capita di scontrarmi con due opinioni simmetriche e apparentemente opposte. La prima è che i rifiuti devono sparire dalla vista con la massima rapidità e in qualsiasi modo concepibile; bruciarli va bene, ma meglio ancora sarebbe buttarli in un buco nero galattico se appena se ne trova uno a portata di mano. La seconda è che i rifiuti non devono esistere per legge divina, translata in legge umana con la pena del taglio della mano destra a chi mette in commercio imballaggi di qualsiasi tipo.

In realtà, le due opinioni non sono tanto diverse: entrambi nascono dall'idea che i rifiuti sono cosa immonda, detestabile e financo innominabile. Da purificare con il fuoco o da bandire alla non-esistenza. Fra i due campi, gli inceneritoristi convinti sono una banda alquanto difficile da gestire, ma alle volte il campo opposto, quello dei "proibizionisti dei rifiuti," mi fa ancora più rabbia. Mi ricorda un vecchio detto fiorentino: quando si parla di qualcuno particolarmente avaro si dice che "non mangia per non xxcare"

Eppure, pensate un attimo allo scarabeo stercorario: è un insetto che usa i rifiuti (proprio quel tipo di rifiuti) come alimenti. Non esistono processi naturali che generano zero rifiuti. Nell'ecosistema, i rifiuti di una specie sono alimenti per altre specie. E' un'applicazione del "principio dei ritorni decrescenti". Ogni creatura cerca di ottenere il massimo possibile dalle risorse alimentari che utilizza; ma oltre certi limiti, sfruttarle ulteriormente richiederebbe più energia di quanta non ne possa fornire. Quello che la creatura non può sfruttare e che abbandona lo possiamo definire come "rifiuto", ma tutto torna nel ciclo. L'ecosistema biologico terrestre è ottimizzato da centinaia di milioni di anni di evoluzione.

Prendete un albero. In inverno, le foglie ingialliscono e cadono. L'albero ha riassorbito quello che poteva, ma non tutto: le foglie sono un "rifiuto". Avrebbe potuto riassorbire anche quel po' di cellulosa che perde con le foglie che cadono? Forse si, ma evidentemente non ci sarebbe stato un guadagno, una cosa che gli alberi devono aver scopereto fin dall'epoca paleozoica. Le foglie cadute sono riciclate dai miceti saprofiti, specializzati in questo lavoro, e tutto va per il meglio.

Il sistema industriale umano somiglia molto all'ecosistema naturale. E' anche quello un sistema che sfrutta risorse naturali e che possiamo vedere come formato da un gran numero di "specie" che sono in competizione o in collaborazione. La somiglianza del sistema industriale con l'ecosistema è stata notata già da molto tempo. Infatti, esiste un campo della scienza che si chiama "ecologia industriale". Da questo campo, è nato il concetto recente di "C2C" ("cradle to cradle", "dalla culla alla culla") che ha estratto e enfatizzato il concetto fondamentale dell'ecologia sia industriale che naturale: ovvero che "i rifiuti sono alimenti"

E' evidente che il sistema industriale non è così ben organizzato e ottimizzato come quello naturale. In effetti, la gestione dei rifiuti nel sistema industriale lascia molto a desiderare. Il sistema non è chiuso, ovvero gran parte di quei rifiuti che dovrebbero essere utilizzati come alimenti vengono sprecati seppellendoli o bruciandoli in condizioni tale da non poterli più recuperare. E' anche probabile che il sistema industriale non sia ottimizzato in termini della produzione dei rifiuti e che ne produca di più di quanto potrebbe. Tuttavia, anche nel sistema industriale vale la legge dei ritorni decrescenti: i rifiuti sono una condizione necessaria e inevitabile dei processi. Li si possono ridurre ma mai eliminare del tutto. Sta a noi gestirli bene; come "materie seconde" (alimenti, appunto).

Il nostro sistema industriale non ha avuto le centinaia di milioni di anni che la natura ha avuto per ottimizzare l'ecosistema. Però, l'idea che bisogna "chiudere i cicli" comincia a passare e se applichiamo con coerenza i concetti del C2C dovremmo riuscire a fare di meglio di quello che stiamo facendo oggi. Basta ricordarsi che i rifiuti sono alimenti, non cose immonde da far sparire nel buco nero.

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Nota1: non fatemi dire cose che con questo post non volevo dire: esiste un concetto rispettabilissimo dal nome "rifiuti zero". Questo non vuol dire che non si devono produrre rifiuti, vuol dire solo che i rifiuti devono essere trasformati in materie prime - rifiuti zero, appunto. Personalmente, tendo a evitare questo termine per evitare confusione. Mi sembra più chiaro il concetto che "i rifiuti sono alimenti". In fin dei conti, però, è la stessa cosa.

Nota 2. Va detto che anche la natura ha dei rifiuti che, apparentemente, non sono alimenti per nessuno. Sono quelli che noi chiamiamo "combustibili fossili". Ma anche questi sono parte di un ciclo lentissimo che si svolge in tempi dell'ordine di centinaia di milioni di anni. O meglio, si svolgeva prima che avessimo la pessima idea di andarli a estrarre e bruciare.

Nota3. C'è pochissimo materiale disponibile in Italiano sul concetto di C2C. Suggerisco il sito di Ignasi Cubina (inglese, catalano e spagnolo) o il sito dell'EPEA (in inglese).

Risparmiare soldi non vuol dire risparmiare energia



Nell'immaginario collettivo, ci si rende mediamente conto che "sarebbe bene" risparmiare energia perchè paghiamo "tanto" le bollette della luce e del gas. E' un buon inizio: è il metodo più tradizionale, basato su un feedback negativo (di tipo economico), che incentiva a ridurre gli assorbimenti delle reti. Purtroppo, il metodo può non essere sufficiente allo scopo, pur con tutte le buone volontà. Facciamo alcuni esempi.

- Per ridurre il consumo di gas, posso decidere di fare la doccia solo ed esclusivamente nella palestra che frequento abitualmente. Visto che costa uguale, magari mi trattengo un po' di più sotto il getto di acqua calda. Risultato: il mio fabbisogno specifico di gas naturale è aumentato, tuttavia ho risparmiato.
- La luce nel cortile dalla parte della mia scala la pago io; allora propongo una luce un pò più potente in mezzo al cortile, e divido il costo con il vicinato. Risultato: ho creato un bisogno ausiliario, si consuma più potenza elettrica, tuttavia ho risparmiato.
- Uno Stato può incentivare l'importazione di un combustibile vegetale (il tipico olio di palma indonesiano). Un'industria decide di rifornirsi di questo olio per autoprodurre energia elettrica. Risultato: l'azienda risparmia grazie agli incentivi, l'immagine ambientale è ottima, la popolazione locale è rassicurata e contenta, ciononostante stiamo consumando più energia per processare e trasportare l'olio di palma di quanto esso sia in grado di erogare in termini di potere calorifico.

Chi ha altri esempi?


PS: in un recente post di Ugo Bardi, "Il petrolio del re: riflessioni sulla sostenibilità", la problematica è trattata in modo più generale

martedì, dicembre 16, 2008

Province e conformismo

Con questo articolo, prendendo spunto dal dibattito in corso per l’abolizione delle Province, intendo criticare il conformismo, una caratteristica specifica di tutte le società di massa, particolarmente presente in quella italiana.
Da qualche tempo, la soppressione della Provincia sembra essere diventata la chiave di volta della risoluzione di tutti i problemi del paese. Attorno a questo argomento, alcuni organi di stampa e giornalisti di grido specialisti della lotta alla “casta”, ne hanno fatto addirittura una battaglia di civiltà, subito ripresa da epigoni ed esegeti nel mondo della politica. La reiterazione continua di un concetto, specialmente se proveniente da fonti autorevoli, ha il magico effetto nell’opinione pubblica di trasformarlo in una verità incontrovertibile. Ci si adegua cioè, in maniera conformistica, alle opinioni altrui e nascono i cosiddetti “luoghi comuni”.
Ma cerchiamo di analizzare in maniera critica e documentata la questione, per capire se sia effettivamente fondata su basi solide e motivate.
I dati necessari per costruire un quadro analitico sono disponibili nella “Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza Pubblica” predisposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Se esaminiamo la spesa dello Stato in rapporto a quella degli enti locali, scopriamo che nel 2005, lo Stato ha speso, al netto dei trasferimenti agli Enti Locali, 360.474 Milioni di euro, le Regioni hanno speso al netto dei trasferimenti a Comuni e Province, 141.143 Milioni di euro, i Comuni hanno speso 91.745 Milioni di euro, le Province hanno speso 14.214 Milioni di euro, per una spesa pubblica complessiva di 607.576 Milioni di euro. Quindi, le Province contribuiscono per appena il 2,34% alla spesa pubblica totale, lo Stato il 59,33%, le Regioni il 23,23% e i Comuni il 15,10%. Se si esamina la sola spesa degli Enti locali, le Province contribuiscono per il 5,75%, le Regioni per il 57,12% e i Comuni per il 37,13%.
Quindi, prima considerazione, la soppressione dell’ente Provincia produrrebbe quasi un “buco nell’acqua”, perché la stragrande maggioranza della spesa pubblica è sostenuta da Stato, Regioni e Comuni. Seconda considerazione, se ci limitiamo ad analizzare la spesa dei soli Enti Locali, occorrerebbe aggredire prioritariamente quella di Regioni e Comuni, ad esempio riducendo gli sprechi nella Sanità e procedendo all’accorpamento, almeno a livello di funzioni, della miriade di piccoli Comuni presenti sul territorio nazionale.
Ma facciamo un ulteriore passo avanti nell’analisi, approfondendo le singole voci di spesa delle Province. Come si vede nella tabella allegata, le principali uscite delle Province derivano da competenze in materia di Istruzione pubblica, Trasporti, Gestione del Territorio, Sviluppo Economico e Tutela Ambientale, cioè manutenzione di scuole e strade, pianificazione e finanziamento del trasporto pubblico locale, interventi di regimazione dei corsi d’acqua, gestione del demanio idrico, sostegni alle imprese, controlli e autorizzazioni ambientali ecc. Tutte funzioni connesse a esigenze reali, che in caso di soppressione delle Province, dovrebbero essere trasferite, insieme alle spese per il personale, a Regioni e Comuni. Ma le prime, sarebbero con ogni probabilità costrette ugualmente a decentrare gran parte di queste funzioni a un livello più vicino ai territori da amministrare e i secondi moltiplicherebbero sul territorio strutture attualmente concentrate nelle Province, come ad esempio gli Uffici per le autorizzazioni ambientali (scarichi in aria e nelle acque, rifiuti, rumore, VIA ecc.). Si perderebbero cioè quelle economie di scala che un ente intermedio come la Provincia riesce a garantire. Per tutte queste ragioni, non è azzardato prevedere che la spesa possa aumentare anzichè diminuire.
L’unica voce di spesa che nel caso di abolizione delle Province sicuramente condurrebbe a un risparmio è quella relativa alle indennità politiche e al funzionamento degli organi politici. Dalla stessa tabella, ricaviamo la parte di spesa dedicata all’indennità politica, 190 milioni di euro. Anche ipotizzando di triplicare questa cifra per tenere conto delle spese di funzionamento degli organi politici, fate voi il conto di quanto siano in percentuale 600 Milioni di euro rispetto alla spesa pubblica complessiva di 607.576 Milioni di euro, e capirete che si tratta di una goccia nel mare. Vantaggi irrisori, che sarebbero del resto del tutto annullati dagli aumenti di spesa citati in precedenza. E allora, non ci resta che chiederci se tutto questo baccano sull’abolizione delle Province sia giustificato o invece contribuisca a nascondere i veri problemi della spesa pubblica, stornando l’attenzione dei cittadini dalle fonti effettive degli sprechi.

E la Cicala ce la farà?

La Cicala che imprudente
tutta estate al sol cantò,
provveduta di niente
nell’inverno si trovò,
senza più un granello e senza
una mosca in la credenza.

Affamata e piagnolosa
va a cercar della Formica
e le chiede qualche cosa,
qualche cosa in cortesia
per poter fino alla prossima
primavera tirar via:
promettendo per l’agosto,
in coscienza l’animale,
interessi e capitale.

La Formica che ha il difetto
di prestar malvolentieri,
le dimanda chiaro e netto:
- Che hai tu fatto fino a ieri?
- Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo. – Brava, ho gusto;
balla adesso, se ti pare.

(Jean de La Fontaine)

Da un bel po’ di tempo mi faccio sempre la stessa domanda “Nel periodo che andava dal 2003 al 2007 … i giornali, le TV, le radio … non hanno fatto altro che bucarmi il timpano informando dei grandi passi da giganti e dei grandi guadagni ottenuti dalla grande industria (FIAT, FERRARI, MASERATI, TELECOM, le Società Sportive, ENEL, ENI, ecc… ) si parlava di cifre enormi, di fatturati incredibilmente positivi. Tra l’altro mi ricordo che l’ultimo governo Berlusconi (cioè non quello attuale) era riuscito nella sua finanzia creativa a detassare gli utili delle grandi Industrie come quelle che avevo citato prima. Mi ricordo anche, che nel periodo 2005 – 2006, mentre giravo in macchina, la Toscana per lavoro, ascoltavo moltissimo la radio, e di tanto in tanto si parlava delle buone uscite, delle liquidazioni, delle pensioni con cifre a 6 zeri per gli Amministratori Delegati delle aziende pubbliche e private … RAI, ALITALIA, …

Un paio di anni fa, pubblicai su questo blog un post dove scrissi “.... Ma quando arriverà la crisi "post peak", quella che quasi nessuno si aspetta o alla quale quasi nessuno crede, che succederà? Come faranno tutte le persone indebitate con mutui ventennali o trentennali o addirittura quarantennali a pagare i propri debiti? e le banche in periodo di crisi una volta pignorati gli appartamenti delle persone insolventi a chi li venderanno?...”.

Non voglio darmi del veggente, ma semplicemente mi chiedo “perché una persona semplicissima come, non “informata sui fatti” come dovrebbero esserlo i governanti, i direttori generali, i finanzieri, e cosi via, ha intravisto un pericolo nel sistema e loro no?
Perche ieri la FIAT cantava e ballava per i grossi profitti e utili accumulati durante gli anni 2005, 2006 … i debiti in calo, i progetti di espansione e sviluppo … mentre oggi mette in cassa integrazione migliaia di persone? Dove sono finiti tutti i profitti? Come mai nessuno ha pensato ad una specie di cassa deposito di emergenza o qualcosa di simile (provvista per l’inverno freddo) per affrontare almeno in un primo momento la crisi senza dover mettere in pericolo il bene delle famiglie? e la stesa domanda me la pongo anche per tutti gli altri settori industriali, finanziari, energetici (ma quanto hanno guadagnato durante il periodo 2006-2007 quando il costo del barile di Petrolio cresceva costantemente?.

Bene e allora potrei raccontare a miei figli la fiaba di La Fontaine in una altro modo:

La Cicala cantava e ballava
FIAT: nel secondo trimestre 2006 il fatturato del Gruppo Fiat è cresciuto del 12,9% a 13,6 miliardi. Fiat Auto ha venduto nel primo semestre dell'anno oltre un milione di veicoli. Un risultato non più raggiunto dal 2001, con una crescita del 17,5% rispetto al primo semestre 2005. Nel secondo trimestre del 2006 "il significativo aumento dei volumi di vendita" ha consentito all'area Automobili di realizzare ricavi per 6,6 mld di euro, con una crescita del 18,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nei primi sei mesi dell'anno l'area Automobili ha realizzato ricavi per 12,7 miliardi di euro, in aumento del 21% rispetto alla prima metà del 2005. Obiettivi rivisti al rialzo. Il Gruppo Fiat sulla base dei risultati raggiunti nel primo semestre 2006 e "pienamente in linea con gli obiettivi", conta di chiudere l'anno in modo più che ottimistico tanto da puntare "al rialzo degli obiettivi". Dunque il "tetto" della gestione ordinaria passa da 1,6 a 1,85 miliardi di euro (risultato della gestione ordinaria di Fiat Auto da 200 a 250 milioni di euro), il risultato netto da 700 a 800 milioni di euro (escludendo gli utili straordinari), l'indebitamento industriale di fine anno intorno ai 2 miliardi di euro. Confermati invece tutti gli altri obiettivi, compresi quelli per il 2007, ecc… ecc…
TOYOTA: Dai risultati dell’ultimo trimestre 2005 che la casa giapponese sta aumentando sempre più fatturato e utili. Alcune cifre: l’utile netto ammonta a 397,6 miliardi di yen (2,79 miliardi di euro), pari al 34% in più rispetto all’anno precedente, ottenuto grazie alla debolezza dello yen e all’aumento delle vendite, e nonostante i costi degli attuali programmi di espansione. Utili operativi aumentati del 14% (482,2 miliardi), vendite mondiali cresciute del 7,7%, e pari a 1,98 milioni di unità, 14.000 in più rispetto al corrispondente trimestre 2004. Nel 2006 Toyota mette a segno nel secondo trimestre fiscale (luglio-settembre) un balzo record dell'utile netto del 34%, a 3,45 miliardi di dollari. Quanto all'utile operativo, si è involato del 44%, a 4,92 miliardi di dollari…..6 febbraio 2007: Toyota, boom sui mercati Usa ed Europa e utili record (+7,3%). Il gruppo automobilistico giapponese Toyota Motor ha registrato un utile netto record nel terzo trimestre 2006 grazie alle forti vendite in Nord America e Europa. L'utile netto è cresciuto del 7,3% a 426,8 miliardi di yen (2,75 mld di euro), rispetto allo stesso periodo 2005 mentre il fatturato è salito del 15,2% a 6.146,6 miliardi di yen (39,56 mld euro).
TELECOM: (2004 – 2005) I profitti operativi hanno raggiunto i 3.597 milioni di euro, il 9,6% in più rispetto ai corrispondenti sei mesi dell' anno scorso, mentre i ricavi si sono attestati a 15.222 milioni di euro, con un incremento dello 0,5% rispetto al 2003. Quanto al margine operativo lordo, il dato preliminare indica una crescita del 2,4%, a 7.087 milioni di euro. Comunque è altalenante dato che dipende da tante variabili: ………L'utile netto consolidato è sceso a 2.448 milioni, in calo del 18,8% rispetto al 2006, Eppure si legge “ … Il debito finanziario netto a fine 2007 è invece calato a 35,7 miliardi dai 37,3 di fine 2006 e 37,4 a fine settembre 2007

La Cicala piange e si lamenta
Ottobre 2008 Nei primi 10 mesi il calo delle immatricolazioni è stato del 5,4% a 12.852.387. In Italia, a ottobre, la flessione è risultata pari al 18,9% a 167.940 unità (-5,5% a settembre) e nei dieci mesi è arrivata a -12% a 1.879.165. Il gruppo Fiat ha venduto a ottobre 93.952 auto (-7,9%) … La casa torinese rispetto ai primi dieci mesi del 2007 ha venduto complessivamente il 3,2% in meno di vetture, con una quota di mercato che è salita di un decimo all'8% del totale. mentre Lancia (-6,6% a 99.266) e Alfa Romeo (-29,4% a 87.449) Nel solo mese di ottobre per il marchio Fiat -8,4%, per Lancia +6,9%, Alfa Romeo -15,7%, -30,8% gli altri marchi. Tutti i grandi gruppi hanno registrato segni negativi nel mese di ottobre con Vw a -7,6%, Psa -16,3%, Ford -11,9%, General Motors -25,2%, Renault -19,1%, Bmw -10,4%, Daimler -16,6%, Toyota -23,6%, Nissan -16,4%, Honda -25,7%.

E da quale Formica si rivolgerà sta Cicala?
L’inverno si sta avvicinando ed il settore automobilistico intero (non solo le tre grandi di Detroit) potrebbero trovarsi “…..senza più un granello e senza una mosca in la credenza…” e allora ricorreranno dalla Formica (il contributore – lo Stato)” … a chiedere qualche cosa, qualche cosa in cortesia per poter fino alla prossima primavera tirar via: promettendo per l’agosto, in coscienza l’animale, interessi e capitale"….. Ma dobbiamo fidarci ancora?