lunedì, febbraio 27, 2012

La lezione del ratto

A cura di Lou Del Bello

Anche su Sottobosco.info

Gambero della Louisiana, una delle specie alloctone più comuni in Italia
La biosfera è un organismo dinamico in continua evoluzione. Non solo le specie cambiano e interagiscono nel tempo, ma si spostano nello spazio, determinando incontri a volte traumatici.

Piccole grandi guerre tra specie, animali o vegetali, si combattono sotto gli occhi ignari degli umani, a volte proprio per causa loro. Abbiamo chiesto a Marco Zuffi, erpetologo, biologo evoluzionista e ricercatore dell’Università di Pisa di raccontarci il fenomeno delle specie aliene.

Dottor Zuffi, che cos’è una specie alloctona?
Si definisce alloctona una specie che non è tipica del paese a cui si fa riferimento. Può essere autoctona in un diverso territorio, nel suo paese d’origine, e se trasferita diventare alloctona. Un primo esempio può essere la Nutria, particolarmente diffusa in Emilia-Romagna ma presente in tutta Italia, che è in realtà una specie sudamericana. Fu importata negli anni ’37-’38 a Napoli e in Toscana per la sua pelliccia; alcuni esemplari scappati dagli allevamenti trovarono un habitat ideale in Italia e si riprodussero tanto che ormai la nutria è considerata specie italiana.
Solo in Italia, secondo quanto riporta l’IUCN riguardo alle alien species, ci sono 223 specie alloctone tra funghi, piante, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli e crostacei.

Qualche esempio di specie alloctona che vive nelle nostre zone e che magari non è comunemente riconosciuta come tale?
Il Daino, per esempio. Questo animale, il cui nome scientifico è Cervus Dama, è stato importato dai Romani per la sua bellezza. Anche se ormai è presente in Europa centrale da 2000 anni, il suo territorio d’origine è a sud-est rispetto a noi.
Oltre al Daino, nella storia ci saranno molte specie che per cause differenti si saranno spostate da una zona all’altra.
Il Pomodoro, ma anche alcune varietà di Patata, il Mais, la Canna da Zucchero. Tutte queste specie hanno inciso profondamente sulla nostra cultura alimentare, sulla nostra storia e sull’industria. Molti dei nostri piatti tipici, dalla pizza ad vari generi alcolici, sono prodotti con ingredienti alloctoni.

Se una specie attecchisce in una zona diversa da quella di origine e vi resta per molto tempo, come avviene ad esempio per il Pomodoro, si può ancora definire alloctona?
La specie resta alloctona a tutti gli effetti. Chiaramente ci sono varie scale geografiche. Una specie originaria delle nostre Alpi, che venga trasportata sugli Appennini, sarà autoctona per quanto riguarda l’Italia ma alloctona in quella zona specifica. Il fatto che poi si riproduca in quel sito non significa che la specie diventi autoctona, perché non si è evoluta lì.


Rana Toro, una specie alloctona tra le più diffuse in ItaliaLe specie alloctone hanno un impatto sull’ambiente in cui si inseriscono?
Hanno sempre un impatto, o neutro o negativo [nel caso questo venga considerato neutro la specie si definisce alien, in caso sia riconosciuto come negativo si definisce invasive, NdR]; ma nel caso in cui la loro influenza sia registrata come neutra spesso la ragione è che non è stata studiata in modo approfondito. Le testuggini palustri americane, le Trachemys, (quelle dalle guancette rosse) che fino a dieci anni fa si potevano commerciare senza problemi e tuttora sono diffuse in buona parte d’Italia, hanno nella cloaca una serie di salmonelle pericolose per la salute umana.
Questi animali vengono trasportati in Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, dove attecchiscono meglio) e le loro salmonelle possono diventare parte della fauna di batteri interna alle cloache delle specie nostrane; ancora non si sa se possano causare danni agli individui ospiti. Di certo non fanno bene a noi umani se entriamo in contatto con le acque in cui dimorano.
Un caso che dimostra come l’introduzione di specie alloctone, animali o botaniche, sul lungo o medio periodo possa avere influenze su altri organismi; o perché trasmette malattie, o perché parassitizza o preda o intacca altri organismi.

La circolazione delle specie, pur con le ricadute traumatiche che abbiamo visto, non è in fondo un aspetto naturale dell’evoluzione degli organismi sul pianeta?
Naturalmente gli animali e le piante si spostano, passivamente o attivamente. Un conto però è una colonizzazione naturale, penso a spore di piante o a protozoi, un conto è trasferire fisicamente un animale o una pianta. Pensiamo alle Acacie: sono specie invasive trasferite dall’America alla fine dell’800 in Italia perché molto utili a consolidare le massicciate ferroviarie. È improbabile che la Robinia (una specie di Acacia, la più diffusa in Italia) avrebbe potuto traversare l’Atlantico in modo naturale. L’uomo accelera un processo che avrebbe altrimenti richiesto centinaia o migliaia di anni.
Il problema è quindi che mentre sul lungo periodo le specie si adattano (anche geneticamente) al nuovo ambiente, e viceversa, sul breve periodo questo non è possibile, e l’incontro genera traumi. Non ho mai sentito un caso di introduzione artificiale che abbia procurato benefici. Sono alterazioni di un equilibrio che si è costituito in milioni di anni.

Esiste una connessione tra la circolazione di alloctoni e il cambiamento climatico?
Alcune variazioni hanno un impatto molto favorevole per le specie adatte ai climi più caldi, che se trasferite nell’Europa odierna, più calda, hanno gioco facile. Altre come il visone, che è tipico di zone continentali fredde, avranno forse qualche problema. Sono comunque previsioni difficili da fare, bisogna lavorare con GIS e modelli matematici complessi.

Lo studio degli alloctoni può insegnarci qualcosa sulla resilienza?
Per esempio, il ratto è una specie dotata di una resilienza straordinaria. È estremamente flessibile e quindi reagisce con efficacia ad ogni cambiamento del proprio habitat. Si può dire che il ratto ‘fa il ratto indipendentemente da dove si trova’.
Una lezione di resilienza.

venerdì, febbraio 24, 2012

Idrati di Metano: la prossima bomba mediatica nel dibattito sul cambiamento climatico

Di Ugo Bardi

Traduzione da Cassandra's Legacy di Massimiliano Rupalti



Il metano rilasciato dal ghiaccio è un fenomeno spettacolare e pericoloso. Non solo perché il metano si può incendiare, ma perché, su larga scala, questo rilascio può generare un rapido e devastante riscaldamento globale. E' probabile che presto il problema passi dalle riviste scientifiche alla stampa tradizionale. Potrebbe essere, quindi, una vera bomba mediatica nel dibattito (il video mostra Katey Walter dell'Università dell'Alaska alle Fairbanks che sta sperimentando questo metano intrappolato nel ghiaccio).

Come gas serra, il metano è più potente dell'anidride carbonica, ma c'è una differenza molto più importante fra i due gas. Le emissioni di biossido di carbonio sono qualcosa che creiamo e che possiamo controllare, almeno in linea di principio. Se smettiamo di bruciare combustibili fossili smettiamo di generare CO2. Ma con il metano è un'altra cosa. Non abbiamo nessun controllo diretto sulle enormi quantità di metano sepolte nel ghiaccio del permafrost e nel fondo degli oceani sotto forma di “idrati” e “clatrati”.

Gli idrati di metano sono delle vere e proprie bombe climatiche che possono esplodere da sole anche a causa di un innesco relativamente debole da parte di un riscaldamento globale. Un sufficiente riscaldamento causerebbe la decomposizione di alcuni idrati che rilascerebbero il metano in atmosfera. Questo metano creerebbe più riscaldamento e questo genererebbe ulteriore decomposizione degli idrati. Il processo si sosterrebbe da sé a tassi crescenti finché non si esaurisca il metano nei giacimenti. Questo significherebbe pompare in atmosfera davvero tanto metano. Ci sono stime diverse della quantità di idrati esistenti, ma è certamente grande – molto probabilmente più grande della quantità totale di carbonio presente in atmosfera oggi sotto forma di CO2. Gli effetti di questo rapido rilascio di così tanto metano sarebbero devastanti: un cambiamento climatico improvviso che potrebbe portare ad un vera catastrofe planetaria. E' uno scenario chiamato giustamente la “pistola a clatrati”. E il bersaglio siamo noi.

La gente è spaventata dalle cose che non capisce bene e che sa di non poter controllare. Questo è certamente il caso degli idrati di metano. Noi non sappiamo quanto siano verosimili gli scenari peggiori, né l'esatta scala temporale del cambiamento che definiamo “improvviso”. Sappiamo solo che il metano sta venendo rilasciato dagli idrati oggi e che la concentrazione di metano in atmosfera sta salendo. Non possiamo dire se questo sia lo sparo della pistola a clatrati, ma è abbastanza per essere spaventati. Non so voi, ma io lo sono.

Nel frattempo, un'altra esplosione sembra in fase di detonazione, questa volta nei media. La tendenza ha avuto inizio con gli studi sulle riviste scientifiche. Prima del 1999, non c'era un solo articolo sul tema nel database di "sciencedirect. Nel 2011, sono state pubblicati 49 articoli e la tendenza sembra essere esponenziale. Sul Web, Google Trends non da ancora un aumento significativo del numero di ricerche col termine “idrati” o “clatrati”. Ma troviamo circa 40.000 pagine che hanno a che fare con la combinazione “cambiamento climatico”, “rilascio di metano” e idrati. Anche la stampa tradizionale comincia a parlare del tema. Finora, il problema degli idrati di metano è stato in gran parte assente dal dibattito sul cambiamento climatico. Ma le cose potrebbero cambiare rapidamente.

Lo scenario del rilascio di metano ha tutte le caratteristiche necessarie per cogliere l'attenzione della gente. E' spettacolare, gigantesco, biblico ed anche rapido. Ha anche un nome che suona sinistro: la “pistola a clatrati”. Non ha niente a che vedere con gli scenari piuttosto banali dell'IPCC, che si trascinano lentamente verso la fine del 21° secolo. Gli scenari dell'IPCC non intendevano far paura. A nessuno interessa una rana che bolle lentamente. Ma ricordate il film del 2004 “The day after tomorrow”? Quello che ci spaventa, prevalentemente, sono gli eventi catastrofici improvvisi. Ora, immaginate un film commerciale hollywoodiano sulla pistola a clatrati. Vedremmo uragani enormi, siccità bibliche, ondate di calore mortali, inondazioni devastanti..... Non importa come venga raccontata la storia, è una vera e propria bomba mediatica.

Prima di continuare, mi preme fare una puntualizzazione. Permettetemi di chiarire che NON sto dicendo che noi (scienziati, attivisti, giornalisti o chi sia) dovremmo esagerare i pericoli in modo da spaventare la gente con la teoria del metano. Assolutamente NO. Al contrario, la mia idea è che un pubblico impaurito NON è una buona cosa per ragioni che spiegherò fra poco. Detto questo, andiamo avanti.

Supponiamo quindi che la storia dei clatrati diventi largamente conosciuta, come reagirà il pubblico? Secondo James Schlesinger, la gente ha solo due modalità di funzionamento: compiacenza e panico”. La bomba mediatica dei clatrati potrebbe portare ad uno spostamento di paradigma sul clima e spingere l'opinione pubblica improvvisamente dalla parte opposta del dilemma: dalla compiacenza al panico.

Alcune persone potrebbero vederlo come una cosa buona: assisteremmo finalmente ad uno sforzo per fare qualcosa per evitare il cambiamento climatico. Ma non è affatto ovvio che sarebbe una cosa positiva. La cose fatte di fretta non sono necessariamente ben fatte. Probabilmente assisteremmo ad uno sforzo frenetico per “fare qualcosa”, non importa cosa, non importa come. Se l'esperienza passata con la crisi energetica ci insegna, le possibilità di adottare le soluzioni migliori sono poche (guardate, per esempio, il clamore sui biocarburanti) E' probabile che cercheremmo una soluzione miracolosa nella geoingegneria su larga scala. Sequestro della CO2, particelle di solfato nell'atmosfera alta, specchi nello spazio, dipingere i tetti di bianco e chi più ne ha più ne metta.

Funzionerebbero queste azioni? Forse sì, ma ci muoveremmo in un territorio completamente sconosciuto. Non sappiamo quali possano essere le soluzioni migliori e non possiamo essere sicuri degli effetti collaterali della maggior parte di esse. E poi, l'energia necessaria per la geoingegneria non potrebbe portare ad un maggior consumo di combustibili fossili e, di conseguenza, alla produzione di più gas serra? E, ancora, supponiamo che la geoingegneria abbia successo nel raffreddare il pianeta, la gente non tornerebbe alla compiacenza e dichiarerebbe che la pistola a clatrati era una truffa sin dall'inizio? Mentre ci addentriamo nel futuro, i problemi che abbiamo creato sembrano diventare sempre più grandi proprio come diventa evidente che noi, come specie, semplicemente non siamo attrezzati con gli strumenti necessari per risolverli.

Le cose sarebbero state molto più semplici se avessimo trovato un accordo per affrontare il problema climatico alla radice. Questo avrebbe fornito un obbiettivo chiaro da raggiungere e poco spazio alle grandi oscillazioni nella percezione da parte della gente. Ma sembra che sia già troppo tardi per una strategia basata sui cambiamenti graduali. Le cose continuano a cambiare e la sola cosa certa è che non possiamo restare inattivi di fronte ai cambiamenti. Quindi preparatevi per il prossimo grande cambiamento: la bomba mediatica dei clatrati sta per detonare!

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Alcuni articoli e post recenti sul rilascio di metano dagli idrati. Questa lista non intende essere completa o rappresentativa, serve solo a dare un'idea di come il dibattito si stia scaldando (una metafora molto appropriata, in questo caso).

Much ado about methane - David Archer on RealClimate

An online model of methane in the atmosphere, by David Archer, RealClimate

Dave Archer wrong to dismiss concern about potential methane runaway in Arctic, by
Gary Houser on "Climate change, the next generation"


How much time is there left to act? By Sam Carana on Geoengineering

Methane: a worse worst-case scenario, by "The Tracker", theidiottracker

Wetting the stratosphere, boiling the oceans, Eli Rabett, RabettRun

martedì, febbraio 21, 2012

La guerra dell'Ipod

Oggi riportiamo un estratto dal libro: Conflitti Ambientali, Democrazia della terra e biodiversità, 2011, Edizioni Ambiente del Centro di Documentazione Conflitti Ambientali (CDCA), in cui si parla prevalentemente della guerra del coltan nella Repubblica Democratica del Congo

 

Produzione (blu) in tonnellate e prezzo (arancione) in dollari USA- 1998 di Tantalio (dati USGS)
Il coltan è un nome che deriva dalla contrazione del nome dei due minerali che lo costituiscono la columbite e la tantalite. E' un minerale che contiene Niobio (Nb) e Tantalio (Ta). Ambedue questi metalli hanno applicazioni tecnologiche interessanti, ma il 60% circa del Tantalio prodotto viene utilizzato per costruire condensatori per sistemi elettronici: telefoni cellulari, pagers, lettori mp3 ecc. La produzione di Tantalio, riportata sul sito dell'USGS (United States Geological Survey), mostra un picco di produzione nel 2004, mentre il prezzo appare stabile in leggero calo da oltre venti anni.

Nella tabella USGS per il punto corrispondente all'anno 2000 è riportato un prezzo di 554 $ 1998/ton che, se confermato (cioè se non si tratta di un errore) meriterebbe una più approfondita indagine e un commento.
I dati USGS mostrano un continua crescita della produzione africana di Tantalio dal 1990 fino al 2009 infatti la percentuale è passata dal 13 al 57% della produzione globale di cui il 12% proviene dal coltan congolese.




Miniere di coltan nel Kivu, Congo

(estratto dal libro: Conflitti Ambientali, Democrazia della terra ebiodiversità, 2011, del CDCA)






Localizzazione geografica: Africa-Repubblica Democratica del Congo – Regione del Kivu

Sintesi

Il Congo è una terra da sempre al centro di numerosi conflitti, spesso a bassa intensità, generati da una corsa all’accaparramento delle innumerevoli risorse di cui è ricca, principalmente foreste e minerali. Il paese possiede ampie risorse forestali e ingenti giacimenti di oro, diamanti, rame e coltan. Quest'ultimo è un minerale indispensabile per l’industria high-tech, di cui il Congo possiede l’80% delle riserve mondiali. Dalla ricchezza derivata dall’estrazione del coltan le popolazioni locali non hanno tratto alcun vantaggio. Al contrario le loro terre sono state espropriate, gli introiti hanno finanziato la guerra civile, gli impatti ambientali e sui diritti della popolazione sono stati e sono ancora tragici.
 
Un paese travolto dalla guerra
La Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è il terzo paese più grande dell'Africa, situato al centro del continente. Ex colonia del regno belga, ribattezzato Zaire durante il regime di Mobutu, conta ora più di 62 milioni di abitanti, in maggioranza Bantù. Il resto della popolazione si divide tra bianchi di ascendenza europea, popoli sudanesi1, popoli nilotici2 e pigmei3.4

E' un paese martoriato dalle guerre transfrontaliere e interne tra le etnie Hutu e Tutsi e dalla violenza armata legale e illegale che hanno messo il paese a ferro e fuoco. Dopo il genocidio del Ruanda che nel 1994 aveva portato milioni di rifugiati nell'allora Zaire,nel 1996 il paese fu attaccato e sconfitto dall'Alleanza delle forze democratiche per la liberazione dello Zaire composto da gruppi armati ribelli Hutu appoggiati dall'Angola e dall'Uganda e guidati da Laurent Désiré Kabila che diventò poi presidente. Ribattezzato in un primo momento Congo, poi Repubblica Democratica del Congo dal figlio di Kabila, che gli succedette dopo il suo assassinio nel 2001, il paese continua ad essere diviso da guerre fratricide e conflitti per il controllo del territorio e delle risorse naturali5.

Il conflitto congolese si può definire tridimensionale: è allo stesso tempo una guerra internazionale che coinvolge attori militari stranieri legali e non, una guerra civile tra stato e gruppi militari illegali e una guerra interetnica e transfrontaliera tra clan. Fino al 2003, si stima che il conflitto armato abbia provocato direttamente o indirettamente lo sfollamento del 5% della popolazione6 e la morte di 3 milioni di persone. Il 90% di queste morti sono accadute nell'est del paese e sono dovute in primo luogo alla malnutrizione e alle malattie. Nel 2002 si parlava inoltre di 200mila persone morte per mano dei gruppi armati.7 Un contesto che, inutile dirlo, diviene ostacolo invalicabile per lo sviluppo umano8 ed economico della regione e la preservazione della ricca biodiversità che ospita.

La Repubblica Democratica del Congo è uno dei paesi più poveri al mondo. Secondi dati del 2007, l'80% della popolazione vive sotto il livello di povertà, la speranza di vita è di 46,5 anni e il tasso di alfabetizzazione è fermo al 30%. Il conflitto armato ha terribilmente aggravato la situazione della salute e dell'educazione della popolazione. Solo il 60% dei bambini superano i cinque anni di età, e di questi solo il 40% ricevono un'educazione primaria. Il 30% della popolazione non ha accesso ai servizi sanitari di base. L'accesso all'acqua potabile è scarsissimo, ricompaiono malattie prevenibili e si diffonde l'Aids che ha contagiato il 10% della popolazione.

L'economia nazionale è debole e piagata dalla corruzione. L'agricoltura rimane il primo settore economico e impiega il 70% della popolazione. Rappresenta il 47% del Pil, principalmente attraverso tre risors: il caffé, il legname e la gomma. Nonostante il paese sia ricchissimo di minerali, fra i quali oro, diamanti, bauxite, carbone, rame e coltan, l'attività mineraria rappresenta solo l’8,6% del Pil9.

Tutto il bassopiano della Repubblica Democratica del Congo è ricoperto di foresta pluviale e nel resto del paese si incontrano diversi ecosistemi come la savana, la steppa e la foresta di mangrovie. Un paese che ospita quindi una grande varietà di specie animali e botaniche, fra le quali numerose sono a rischio di estinzione.. Il paese ospita ben cinque parchi nazionali dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, di cui tre si trovano nella regione del Kivu10.

Fuoco aperto sul Kivu
Il Kivu è la regione che circonda e deve il nome al Lago Kivu, ripartita amministrativamente nella Repubblica Democratica del Congo11 tra le due Province del Nord e Sud Kivu che si trovano nella parte occidentale del paese, al confine con l'Uganda, il Ruanda, il Burundi e la Tanzania. E' la parte più alta del Rift Orientale africano ed è caratterizzata da una forte attività vulcanica e da foreste pluviali, condizioni che hanno consetito lo sviluppo di una grande biodiversità. Il Kivu è famoso per essere l'habitat di una delle specie mammifere più minacciate: il gorilla di montagna.

Se la parte occidentale della Repubblica Democratica del Congo sembra oggi meno soggetta a violenze, dal 2004 la recrudescenza del conflitto si è concentrata nel Kivu. Quello che un tempo era un conflitto interetnico si sta traducendo oggi di fatto in un conflitto per il controllo delle risorse. Dopo la fine della seconda guerra del Congo e il ritiro delle forze militari straniere, scoppia infatti un nuovo conflitto tra le forze ribelli del Congresso Nazionale per la difesa dei popoli di Laurent Nkunda, che appoggiano la causa tutsi, e le Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo (Fardc). Ancora una volta si tratta di un conflitto che ha ripercussioni internazionali e nel quale intervengono il Fronte di Liberazione del Ruanda, la Missione Onu (Monuc), gli eserciti nazionali dell'Angola e del Zimbabwe e altri attori militari illegali locali e stranieri.

Il conflitto armato crea da tempo nella regione una situazione di insicurezza e di emergenza umanitaria continua, caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani, eccidi, reclutamento di bambini e più di 1 milione e 400mila sfollati nella sola regione orientale, secondo dati del 2009. Inoltre, nel Nord Kivu il solo conflitto tra le etnie Hema e Lendu ha causato la morte di più di 55.000 persone e lo sfollamento di altre 500.000.

Il conflitto è tristemente noto per la quantità di atrocità che hanno avuto luogo, fra cui le molte violenze commesse contro donne civili. Nel 2005, l'Onu ha stimato il numero delle donne rapite a 45mila nel solo Sud Kivu. Nel 2007, una funzionaria del Onu, Yakin Erturk, specialista dei diritti umani nel mondo, ha denunciato le pratiche dei gruppi armati legali e illegali che frequentemente non solo violentano donne e ragazze ma le riducevano in schiavitù per mesi, facendo subire loro violenze e umiliazioni, mutilazioni, ingestione forzata di deiezioni e addirittura carne umana dei loro parenti assassinati.

Coltan in Kivu: benzina sul fuoco
Il nome coltan viene dalla contrazione tra i due componenti di questo minerale, la columbite e la tantalite. La gran parte delle riserve nazionali si trovano nel Kivu, in zone agricole o forestali e in particolare all'interno di parchi nazionali. È un materiale facile da estrarre: si trova in rocce morbide che si raccolgono a cielo aperto. Dopo aver fatto esplodere le rocce superficiali, si recupera il coltan separandolo dalla terra grazie all'acqua. La legge prevede licenze per lo sfruttamento e la rivendita del coltan, ma il conflitto armato le rende prive di senso. Il minerale viene estratto sia a livello industriale sia da minatori autonomi, in ognuno dei casi costretti i lavorare in condizioni spesso disumane.
Il coltan ha un peso specifico simile a quello dell’oro e ha pressappoco lo stesso valore economico, tra 30 e 80 US$ al chilo a seconda della concentrazione del tantalio e delle variazioni del prezzo di mercato, mentre i minatori ricevono tra 3 e 5 US$ per chilo. La produzione nazionale di coltan nel 2007 è stata stimata dall'istituto nazionale Centre d’Evaluation, d’Expertise et de Certification (Ceec) in 393 tonnellate complessive per un valore di 3,6 milioni di dollari e nel 2008 in 300 tonnellate per un valore di 5,4 milioni di dollari. Si tratta di dati molto inferiori alla realtà in quanto non prendono in considerazione l'estrazione e il traffico illegale delle risorse del paese12.

Il coltan era sfruttato già prima della seconda guerra mondiale ma è diventato di importanza strategica solo in tempi recenti. In effetti il tantalio che se ne estrae è elemento indispensabile per l’industria high-tech. Serve ad ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione, ad esempio nei telefonini, nelle videocamere e nei computer portatili. I condensatori al tantalio permettono un notevole risparmio energetico e quindi una maggiore efficienza dell’apparecchio. Probabilmente a rendere più interessante la risorsa contribuisce l'uranio radioattivo presente nel coltan. Ciò rende la sostanza un elemento essenziale anche per le industrie missilistica, nucleare ed aeronautica. E’ difficile risalire a quali siano le società che acquistano coltan dal Congo. Tra i clienti sicuri figurano Nokia, Ericsson e Sony.

Il mercato del coltan in Repubblica Democratica del Congo è altamente instabile, soprattutto per il fatto che normalmete il mercato internazionale ricorreva alle risorse congolesi solo in caso di insufficiente approvvigionamento presso gli altri rifornitori. Ma considerando che gran parte delle risorse mondiali si trova in Repubblica Democratica del Congo, la crescente richiesta del mercato ha scatenato nel paese una vera e propria corsa al coltan. Ciò ha generato nuovi scontri con la guerriglia, anch’essa interessata al controllo dei giacimenti, in particolare nel 2000 durante il boom dell'attività estrattiva. Le concessioni e le miniere abusive di coltan si moltiplicano da allora sotto il controllo delle multinazionali e delle bande armate. Questa pratica permette, attraverso i ricavi dello sfruttamento del coltan, di finanziare i gruppi armati e di alimentare alleanze e accordi con potenze economiche private. In florido mercato nero del coltan passa dalle mani dei guerriglieri e viene rivenduto attraverso mediatori stranieri. Il traffico di coltan e altri minerali come l'oro o i diamanti fruttato ai guerriglieri durante la seconda guerra del Congo13 milioni di dollari l'anno impiegati per finanziare la guerra.

Di fronte a una critica situazione di violenza, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha istituito una commissione di inchiesta sul traffico illegale di materie prime dal Congo e sulle connessioni tra le attività illecite e il conflitto in corso. In un primo rapporto pubblicato nell'aprile 2001, l'Onu evidenzia il ruolo strategico dell'Uganda e del Ruanda nel saccheggio e traffico illegale delle risorse naturali della Repubblica Democratica del Congo. Un rapporto Onu del novembre 2001 sottolinea invece il ruolo dello stesso governo nazionale nel traffico illegale e, attraverso esso, nel finanziamento della guerra14. Secondo l’Onu i destinatari finali delle risorse saccheggiate sono, per ordine di importanza, Stati Uniti, Germania, Belgio e Kazakistan.
Nel rapporto del 2008 appare evidente il controllo di tutta la catena di sfruttamento e rivendita da parte degli attori armati, ma anche il legame con gli acquirenti finali. Le Fdlr controllano in modo quasi totale le risorse minerarie del Sud Kivu e del parco nazionale Kahuzi-Biega nel Nord Kivu, vendute tramite una rete di mediatori preferenziali ad alcune imprese straniere ben definite15.


Coltan e conflitto armato: un cocktail esplosivo
È certo difficile slegare gli impatti legati al conflitto armato da quelli strettamente legati all'estrazione del coltan. Se ne possono però sottolineare i legami a livello socioeconomico e ambientale e considerando l'attività mineraria una delle più importanti sfaccettature del conflitto armato.
Da una parte gli sfollamenti e dall'altra parte il richiamo di lavoratori per le attività minerarie hanno contribuito all’abbandono progressivo di terre e pratiche agricole. Il Kivu era un'importante zona di produzione alimentare fondamentale per sovvenire ai bisogni nazionali. Era considerata il granaio del paese e riforniva di carne e prodotti agricoli la capitale Kinshasa, a 1.600 chilometri di distanza. L'aggravamento delle violenze e lo sviluppo delle attività minerarie ha interrotto definitivamente il canale commerciale con conseguenze drammatiche non solo sulla sovranità alimentare locale ma anche su quella nazionale16.
Le attività estrattive accrescono il fenomeno degli sfollati. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le proprie terre a causa delle espropriazioni forzate operate dalle imprese e dalle forze governative. In particolare le popolazioni indigene che vivono nella foresta - i pigmei - hanno più volte denunciato la svendita e il saccheggio dei territori senza il loro consenso e con il ricorso a minacce e tecniche intimidatorie. I lavoratori di molti parchi naturali sono scappati o sono stati uccisi, “liberando” così nuove zona da sfruttare.
L'insicurezza del mercato del coltan e del contesto stesso di violenza impedisce ogni forma di sviluppo e di garanzia di condizioni di lavoro decenti. Il lavoro di estrazione è un'attività pericolosa, soprattutto per i regolari crolli di rocce e per gli attacchi dei gruppi armati17. I moltissimi lavoratori, spesso abusivi, impiegati nelle miniere di coltan sono esposti al rischio di malattie e contaminazioni da uranio, sostanza radioattiva presente nel coltan. Tra di essi, come tra la popolazione che abita nelle zone vicine agli scavi è stato riscontrato un sensibile aumento nell’incidenza di tumori.
Le attività estrattive del coltan e l'aumento della pressione umana dovuta alla presenza dei minatori si aggiungono alla già terribile distruzione ambientale causata dal conflitto armato, specialmente agli ecosistemi della foresta pluviale. La deforestazione avanza e la tossicità del coltan rilasciato durante l'estrazione contamina suoli e acque e minaccia a catena ogni forma di vita intorno. L'aumento del traffico legato al trasporto e la diminuzione della capacità di assorbimento del carbonio contribuisono inoltre all'inquinamento dell'aria.
Un altro impatto devastante delle attività minerarie sulla biodiversità è il fenomeno cosiddetto della “bush meat” (carne di foresta). Il cibo distribuito ai minatori è essenzialmente basato sui prodotti della caccia. Nel caso del parco nazionale di Kahuzi-Biega, nel 2001 all'arrivo di circa 10mila minatori è corrisposta la scomparsa di 3.700 elefanti, più di 8mila gorilla di montagna e altri numerosi animali selvatici. A causa della drastica diminuzione di questi animali, la dieta è cambiata nel 2001 passando ad un maggior consumo alimentare di tartarughe, uccelli e altri piccoli animali18.

Oggi...
Il drammatico panorama congolese continua a essere caratterizzato dalla violenza dovuta alla lotta per il controllo delle risorse, lotta nella quale il coltan ha un ruolo centrale. Persiste la presenza di bande armate, di milizie non governative, di ex-militari e di gruppi tribali. Né gli accordi di pace, ne la presenza dell'Onu sono riusciti a fermare il cronicizzarsi del conflitto. Ogni giorno il Kivu registra massacri, atrocità, sequestri e sfollamenti massivi di popolazione civile, mentre la produzione di coltan continua ad aumentare…

per acquistare il libro: http://www.cdca.it/spip.php?article1608
per informazione: redazione@cdca.it

1 Ngbandi, Ngbaka, Mbanja, Moru-Mangbetu e Zande
2 Alur, Lugbara e Logo
3 Mbuti, Twa, Baka, Babinga
5Si identificano TRE periodi di guerra: Prima guerra del Congo 1996-1997, seconda guerra del Congo, 1998-2003, guerra del Kivu, 2004 – ad oggi.
6Principalmente nell'Est del paese.
7 Hayes and Burge, Coltan mining in the Democratic Republic of Congo, 2003
8168° paese su 177 con il più basso indice di sviluppo umano.
9 Perspectives économiques en Afrique 2008, Oecd
10www.wikipedia.org, Parchi Nazionali Virunga, Kahuzi-Biega e Maiko
11Una parte della regione si trova in Ruanda dall'altra parte della frontiera con la Repubblica Democratica del Congo.
13 ONU, Final report of the Group of Experts on the Democratic Republic of the Congo, 2008
14 DOSSIER N°01, LE COLTAN ET LES POPULATIONS DU NORD-KIVU, POLE INSTITUTE/CREDAP, 2001
15 ONU, Final report of the Group of Experts on the Democratic Republic of the Congo, 2008
16 Id.
17 Hayes and Burge, Coltan mining in the Democratic Republic of Congo, 2003
18 Id.

domenica, febbraio 19, 2012

Il sogno europeo infranto


Di Daniela Pietropoli e Toufic El Asmar


I sogni collettivi più rilevanti dell’Occidente sprecone, razzista e autoreferenziale sono quello “americano” e quello “europeo”.

E’ necessario vederli appaiati per distinguerli e capire se il fallimento di uno (sogno americano) non abbia inficiato ed eroso la possibilità dell’altro (sogno europeo) di realizzarsi.

Il sogno americano è quello dei Padri Pellegrini sbarcati a Plymouth Rock nel 1620, felici di essere sfuggiti all’oppressione religiosa in Europa. Il loro capo spirituale, John Winthrop, mettendo piede nel “Nuovo Mondo” autoproclamò quel risibile numero di persone “il popolo eletto”. Erano lì per sottomettere la Natura con la forza del loro credo religioso. Ancora adesso il credo religioso è interconnesso alle vicende politiche, gli U.S.A. mettono Dio sulle monete (In God We Trust) e fondano campagne elettorali sul senso religioso: alcuni di loro sono creazionisti, per questi la Terra ha 12.000 anni come la somma di tutti quelli che sono citati nella Bibbia. Ai Padri Pellegrini della salvezza dell’anima si aggiunse, nell’era industriale, con Benjamin Franklin, la potente fiducia nei propri mezzi, per emanciparsi e diventare ricchi e di successo, unica modalità questa per raggiungere la Felicità che gli U.S.A. hanno nella loro Carta dei Diritti.

Fede e Perseveranza sono dunque le caratteristiche del primo sogno americano che passato al secondo stadio è miseramente fallito nel turbocapitalismo del “tutto e subito”. L’etica del lavoro frankliniana si ritrova in una nazione immersa nella cultura consumistica della gratificazione immediata, senza sforzi e senza merito. La pubblicità convince che si può essere felici solo se si ottengono una infinità di beni materiali, anche facendo debiti e magari facendo soldi con il gioco d’azzardo e i reality show. Il debito è non solo finanziario, ma anche di cultura e di etica.

Noi europei abbiamo voluto imitare il “sogno americano”. Film, musica, moda. E poco importava se, intrecciati nel sogno americano, c’erano il razzismo e la povertà, figli dell’eccesso di individualismo liberista che domina la società americana. Solo il mercato può regolare i rapporti tra i cittadini, nessuna idea di moderazione da parte dello Stato, ma è proprio questo che ha determinato il declino un Paese pieno di risorse naturali, di spazio e per di più con una lingua comune.

L’Unificazione Europea è il sogno europeo.

Un sogno basato su principi diversi da quelli americani, perseguiti con metodi ancora più diversi. L’Europa non ha una lingua comune, anche se comuni sono le radici delle lingue europee, è composta da Stati di diversa dimensione, diverso livello di ricchezza ed equilibri sociali e diverse organizzazioni politiche. Ma il patrimonio spirituale e morale europeo di cui parla la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea fa sì che i due sogni siano quasi opposti.

Tanto il sogno americano è individualista e spinto, dalla presunta onnipotenza del singolo, alla conquista illimitata e al successo personale, tanto il sogno europeo punta alla coesione, all’inclusione, allo sviluppo sostenibile, facendo entrare il principio dell’uso della risorsa Ambiente in modo equilibrato anche nella carta dei Diritti.

La Carta dei Diritti Fondamentali comprende un preambolo introduttivo, dove precisa che si rende necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali rendendoli scritti in una Carta, a cui seguono cinquantaquattro articoli, suddivisi in sette titoli come segue: 

I - dignità (dignità umana, diritto alla vita, diritto all'integrità della persona, proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, proibizione della schiavitù e del lavoro forzato); 

II - libertà (diritto alla libertà e alla sicurezza, rispetto della vita privata e della vita familiare, protezione dei dati di carattere personale, diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, libertà di espressione e d’informazione, libertà di riunione e di associazione, libertà delle arti e delle scienze, diritto all'istruzione, libertà professionale e diritto di lavorare, libertà d'impresa, diritto di proprietà, diritto di asilo, protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione); 

III - uguaglianza (uguaglianza davanti alla legge, non discriminazione, diversità culturale, religiose e linguistica, parità tra uomini e donne, diritti del bambino, diritti degli anziani, inserimento dei disabili); 

IV - solidarietà (diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa, diritto di negoziazione e di azioni collettive, diritto di accesso ai servizi di collocamento, tutela in caso di licenziamento ingiustificato, condizioni di lavoro giuste ed eque, divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro, vita familiare e vita professionale, sicurezza sociale e assistenza sociale, protezione della salute, accesso ai servizi d’interesse economico generale, tutela dell'ambiente, protezione dei consumatori);

V -  cittadinanza (diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali, diritto ad una buona amministrazione, diritto d'accesso ai documenti, Mediatore europeo, diritto di petizione, libertà di circolazione e di soggiorno, tutela diplomatica e consolare);

VI - giustizia (diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, presunzione di innocenza e diritti della difesa, principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato);

VII - disposizioni generali che riguardano le modalità di interpretazione e di applicazione della carta medesima.

L’attuale Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea è entrata in vigore con la ratifica del Trattato di Lisbona (Legge 2 agosto 2008, n. 130 pubblicata in G.U. 8 agosto 2008)

Anche il Trattato di Lisbona riporta i Diritti Fondamentali scritti nella Carta. L’articolo 1 bis recita:
L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

Diritti universali, laici e completamente condivisibili.

All’articolo 2 un altro esemplare elenco di principi:
L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.

Dunque cooperazione, collettività delle azioni sociali e con valori economici basati sulla qualità dell’ambiente e della vita dei singoli. Il tutto parrebbe proiettato verso una società con economia stazionaria e senza ambizioni di potere sul globo come fuoriesce dalle parole e dalle intenzioni degli U.S.A. Non un corpo unico ma un insieme di corpi da mettere a sistema, da organizzare a rete, per il benessere complessivo del Pianeta.

Ma il sogno europeo che sta deludendo innanzitutto i suoi cittadini si sta infrangendo sugli stessi scogli che hanno determinato l’arenarsi del sogno americano: i danni provocati dall’azione sfrenata del mercato economico e finanziario.

Il liberismo e il neoliberismo hanno pervaso anche le politiche europee, seppure con modalità diverse. In Europa il concetto socialdemocratico dell’equilibrio statale sulle forze del mercato ha sicuramente impattato sulla possibilità di manovra delle succitate forze, che tuttavia sono riuscite ugualmente a contagiare i meccanismi dei bilanci dei singoli Stati europei. Le agenzie di Rating (tutte americane) hanno giocato e stanno giocando con i bilanci degli stati europei attaccando innanzitutto i PIGS.

Un momento duro, dove l’Europa avrebbe dovuto agire come un sol corpo, e invece ha mostrato l’aspetto aggressivo ed egoista dei suoi membri più ricchi e potenti, quali Francia e soprattutto Germania, già accusati da tempo dagli altri membri di costruire Protocolli e Trattati a loro esclusivo beneficio e consumo e poi di non seguirli se necessario (il limite del 3% del PIL per il deficit dei conti pubblici). Mostra particolare egoismo la Germania, troppo grossa per stare in Europa e troppo piccola per uscirne. Non accetta di dover pagare il debito degli altri paesi europei sconsiderati, un debito a cui a contribuito la Germania stessa con una feroce azione di esportazione, una Germania che impone rientri di bilancio pubblici rigidi e recessivi, e siccome non potrà vendere nulla in una Europa immiserita dalla sua stessa politica economica, ecco che si deve rivolgersi ai BRICS, come la Cina o il Sudamerica.

B.A.U. tedesco, e recessione europea stanno portando la Grecia sull’orlo della disperazione. La Grecia ha sicuramente colpe (bilanci non chiari, falsificazioni, evasione fiscale, poco rispetto di regole e leggi), come le hanno tutti i PIGS, Italia compresa.

Ma la mancata coesione e difesa della dimensione umana da parte dell’Unione Europea in un momento di crisi come questo è segno palese che il sogno europeo si è infranto.

In Grecia, i diritti fondamentali così ben espressi e specificati nella Carta dei Diritti Fondamentali e ribaditi nei primi articoli del lunghissimo Trattato di Lisbona, che ribadisce il nostro essere una unica comunità con uguali diritti e doveri e obbligo di reciproco aiuto tra Stati, ebbene quei diritti sono attualmente calpestati in nome del dio mercato. In nome del B.A.U. che penetra nel concetto di sviluppo sostenibile perché questo concetto, dice Latouche, è un ossimoro. Nessun sviluppo potrà mai essere sostenibile. Poca differenza con il sogno americano che, precedente per migliore fortuna a quello europeo, non parla mai di sostenibilità mentre quello europeo infarcisce di questo principio tutti i suoi documenti ma con il fine di aumentare concorrenza e competitività delle imprese e del mercato (seppure interno).

La Patria dell’Europa, l’origine della cultura occidentale, è in pieno collasso economico e finanziario, e i suoi cittadini stanno morendo di inedia e di disperazione.

Gli altri cittadini europei, e non solo europei dovrebbero guardare con timore al precipizio greco, perché la terapia d’urto fornita alla Grecia dalla BCE e dal FMI era sbagliata, irreale, inefficace e come si può notare dal risultato, anche controproducente (un debito greco passato dall’iniziale “turpe” 120% all’attuale “folle” 160% in pochissimo tempo e adesso deve tornare al “turpe” 120%). E sono le stesse misure di Monti e di tutti i paesi europei che ancora pensano alla “crescita” come soluzione di tutti i mali.

L’unica cosa che cresce è la disperazione e la paura, e il passo successivo è spesso una rivolta, o una guerra.

Ma intanto facciamo finta che vada tutto bene, anzi perché non ascoltare presso i nostri media le voci affabulatrici e affascinanti dei “grandi economisti filo americani” che sentenziano “fa bene il governo greco a licenziare i dipendenti pubblici”, oppure “si alla riduzione dello stipendio, all’aumento di ore da lavorare gratis”, come se niente fosse.

Greci cattivi e spreconi, dovete pagare pegno. Nulla a che fare con la coesione sociale e il diritto alla dignità umana della Carta dei Diritti Fondamentali d’Europa.

La Grecia non fa più parte dell’Europa e il sogno europeo si è infranto.

Il sogno Europeo si è infranto dal momento che i vari Paesi che formano i cosiddetti PIGS sono stati accettati a fare parte del Club chiamato Unione Economica Europea, il club dell’Euro, senza averne i requisiti minimi per farne parte. I conti Greci erano stati truccati e nascosti sia alla popolazione Greca che a quella Europea, eppure molti conoscevano la realtà. Ma non solo: la così virtuosa Germania ad un certo punto si dimenticò di rispettare i parametri di Maastrich.

Certo ci hanno preso in giro per troppo tempo, offrendoci il benessere assoluto “chiedi e ti sarà dato”. Qualcuno si è accorto della novità che circola in TV da qualche mese? Quella che vi farà guadagnare (o sprecare) chissà quanti soldi, avete indovinato? Il Poker in TV.

Intanto nella Unione Europea il numero dei disoccupati, senza tetto, poveri, malnutriti è in continua ascesa, in alcune scuole elementari di Atene molti bimbi svengono perché non mangiano da giorni, padri di famiglia che si suicidano, mamme che si prostituiscono; la delinquenza spicciola (per intendersi scippi e furti in casa) è in crescita esponenziale. Una miscela esplosiva.

Alexander Hamilton nato a Nevis, l’11 gennaio tra il 1755 e 1757 morto il 12 luglio 1804 è stato un politico, militare ed economista statunitense. Ritenuto uno dei Padri fondatori degli Stati Uniti, fu il primo Segretario al Tesoro della nuova nazione americana. Da lui esce la battuta fortemente non Cristiana 
“Inequality in condition is a necessary consequence of liberty”
ossia "la condizione di disuguaglianza è la conseguenza necessaria della libertà”. Vuoi essere libero, allora sfrutta gli altri oppure rimani povero. Qualcun altro cita 
“Those who love God and their country don’t need a government public sector. They need and unrestricted private sector” 
coloro che amino Dio e la Patria non hanno bisogno di un settore pubblico governativo. Hanno bisogno di un settore privato illimitatamente libero.

mercoledì, febbraio 15, 2012

La sopravvivenza del peggiore. La selezione antidarwiniana dei grandi progetti infrastrutturali.

Presentiamo qui un sunto di un articolo sul tema delle grandi infrastrutture di trasporto che potrà servire da argomento nelle discussioni sull'utilità di strade, autostrade, metropolitane, alta velocità ecc.

Un tratto dell''Eurotunnel che corre al di sotto del Canale della Manica unendo il Regno Unito alla costa Francese attraverso una via di terra. Il progetto "venduto" come altamente remunerativo ha un ritorno sull'investimento negativo (-14,5%) a causa di un sovrastima dei benefici, con un reddito che è la metà di quello stimato in fase di progettazione, e costi di costruzione e finanziari che hanno superato largamente quelli previsti (80 e 140% rispettivamente).

Una delle caratteristiche principali dei progetti di grandi infrastrutture è quello di superare di molto i preventivi di spesa e di avere un ritorno molto minore in termini di benefici. Un lavoro condotto da Bent Flyvbjerg della Said Business School dell'Università di Oxford ha esaminato il caso di 258 grandi progetti infrastrutturali nel campo dei trasporti (ferrovie, ponti e gallerie, strade) in 20 nazioni distribuite in ogni parte del mondo (cinque continenti). La ricerca mostra che le previsioni dei costi sono regolarmente sottovalutate e le stime dei benefici vengono regolarmente sopravvalutate. Si tenga conto di questa affermazione ogni volta che sentirete un tecnico o un politico parlare di rapporto costi/benefici per una grande infrastruttura come la TAV, per fare un esempio.

La Tabella 1 riportata di seguito è ripresa dall'articolo di Flyvbjerg pubblicato sull'Oxford Review of Economic Policy (e reperibile in rete qui ci vuole un account google).

Settore N. casi esaminati Percentuale di superamento dei costi. Deviazione standard
Ferrovie
58
44,7
38,4
Ponti e gallerie
33
33,8
62,4
Strade
167
20,4
29,9
Tabella 1: accuratezza nella stima dei costi per tipo di progetto nel campo dei trasporti a prezzi costanti.

Il valore medio del costo viene misurato a prezzi costanti dalla decisione di costruire l'infrastruttura. L'ultima colonna della tabella riporta la Deviazione standard che rappresenta l'incertezza nella determinazione del costo. I valori particolarmente grandi (confrontabili con il valore medio riportato in colonna 3) dimostra che il rischio e l'incertezza nella stima dei costi sono congeniti a questo genere di progetti.

  • 9 progetti su 10 superano i costi preventivati.
  • Il superamento dei costi si verifica in tutte le 20 nazioni esaminate.
  • Il superamento dei costi è costante nel periodo di 70 anni esaminato nello studio; la stima dei costi non è migliorata nel tempo.

Un dato interessante riguarda invece le previsioni della domanda di trasporto per ferrovie e strade. Lo studio su questo aspetto dei grandi progetti che riguarda ovviamente il lato dei benefici previsti è stato condotto su 208 progetti in 14 nazioni di cinque continenti. I risultati sono riportati in Tabella 2.

Settore N. casi esaminati accuratezza media % Deviazione standard
Ferrovie
25
-51,4
28,2
Strade
183
9,5
44,3
Tabella 2: Accuratezza nella previsione del traffico passeggeri sulle ferrovie e di veicoli sulle strade.


  • 84% dei progetti ferroviari sbagliano per più del 20%
  • 9 su dieci progetti ferroviari sovrastimano il traffico.
  • 50% dei progetti stradali sbagliano per più del 20%.
  • Il numero di progetti stradali che sovrastimano e il numero di quelli che sottostimano il traffico veicolare è circa lo stesso.
  • L'accuratezza delle stime è osservata in tutte le 14 nazioni esaminate.
  • Nei 30 anni esaminati l'accuratezza non è migliorata.

Flyvbjerg ipotizza tre possibili fattori che impediscono una corretta previsione dei costi (e dei benefici), un fattore tecnico, le tecniche di previsione non sono ancora abbastanza raffinate per affrontare sistemi così complessi. Un fattore psicologico definibile come ottimismo pregiudiziale, un genere di fallacia cognitiva ben conosciuta che dovrebbe essere “curata” facilmente attraverso opportune salvaguardie (reality checks) in grado di impedire che le persone e le organizzazioni si lancino in imprese troppo rischiose e poco redditizie. Infine il fattore politico-economico, che l'autore indica come il principale responsabile. I promotori e i progettisti dell'infrastruttura sovrastimano i benefici e sottostimano i costi per una scelta strategica deliberata.

Il fattore tecnico viene escluso sulla base del fatto, osservato nello studio, che nei 70 anni investigati non si osserva un miglioramento nell'accuratezza delle stime. Il fattore psicologico viene rigettato come causa primaria degli errori di stima. L'ottimismo pregiudiziale è infatti osservato principalmente in soggetti non esperti e non è possibile che centinaia di stime di costo/benefici per grandi progetti infrastrutturali siano state affidate per decenni in praticamente tutto il mondo a persone inesperte. Resta la causa politico-economica. Sovrastimare i benefici e sottostimare i costi è fondamentale nella competizione di diversi progetti e in realtà porta ad una situazione che è anti-darwiniana. A parità di tutti gli altri fattori prevale il progetto che ha maggiormente sottostimato i costi e sovrastimato i benefici. Praticamente sopravvive il peggiore (in termini di accuratezza delle stime costo/beneficio). Una selezione all'incontrario dettata dall'equazione:

sovrastima dei benefici + sottostima dei costi = finanziamento

La principale cura per questo genere di errori comporterebbe una modifica sostanziale della politica e delle tecniche di previsione. Ma per affrontare questo tema trattato con una certa perizia e creatività rimando alla lettura dell'articolo originale.

Ciò che maggiormente preoccupa delle conclusioni di questo articolo è che da molti parti si considera quello delle infrastrutture come l'unica attività economica in grado di farci risollevare dalla crisi e che lo sforzo infrastrutturale è massimo nei paesi in via di sviluppo con lo stesso tipo di logica usato nei paesi industrializzati. Appare chiaro che un'infrastruttura che ha costi maggiori e benefici minori di quelli previsti possa diventare, anche solo dal punto di vista economico (cioè senza considerare l'impatto ecologico) una perdita per il paese che la ospita. Vi sono numerosi esempi europei e americani a supportare questa affermazione: uno per tutti il Tunnel sotto la Manica. Chissà che in futuro anche la mitica TAV Torino- Lione non ricada fra questi ninnoli costosi, ma inutili.

Il lavoro di Flynbjerg si occupa anche delle grandi infrastrutture nel campo delle Tecnologie della Comunicazione e dell'Informazione (ICT). Sembra che in questo genere di grandi progetti l'accuratezza di previsione dei costi sia così penosamente bassa che si osservano scarti dei costi rispetto ai preventivi che vanno dal 100 al 400% in più. Da questo punto di vista dice Flyvbjerg:
“I progetti ICT hanno performances così cattive (sul piano delle stime preventive) che potrebbero usare quelli delle infrastrutture di trasporto come esempio virtuoso. Viceversa se un progetto di grande infrastruttura non sembra abbastanza mal fatto basta iniettarvi una buona dose di ICT e il lavoro è compiuto.”

Nota dell'autore. Siamo debitori a Debora Billi nel suo instancabile lavoro di surfing in internet, per aver scovato il lavoro di Flyvbjerg nelle pieghe della rete.

domenica, febbraio 12, 2012

I combustibili per strada, i costi di benzina e gasolio


Di Massimo De Carlo

Pubblicato su Mondo Elettrico

Qualche mese fa avevo postato un confronto di prezzi dei combustibili alla pompa in Italia e negli U.S., Benzina e gasolio, costi Italy vs USA. Nei mesi successivi ho continuato a raccogliere i dati, non sistematicamente  ma quando mi capitava, acquisendoli dal sito ufficiale dell'Unione Petrolifera. Quei dati, da giugno dello scorso a gennaio di quest'anno, li ho inseriti adesso in alcuni grafici, tanto per vedere l'effetto che fa. Tutti i grafici possono essere ingranditi cliccandovi sopra. Vediamo. 

Iniziamo con la benzina.
I prezzi alla pompa, medio, tra le varie compagnie come ci informa l'UP, sono di giugno, novembre, un paio a gennaio 2012. Per prezzo industriale si intende la sommatoria delle varie componenti: il costo della materia prima, il costo della distribuzione, il margine lordo di guadagno.


Poi ho preso il costo industriale per confrontarlo, isolandolo, con il costo della materia prima. Ecco il grafico.


Stessa elaborazione con il gasolio stradale, ovvero il prezzo alla pompa (medio, tra le varie compagnie) giugno, novembre, un paio a gennaio 2012 ed il prezzo industriale inteso come somma delle varie componenti, costo della materia prima, costo della distribuzione, margine lordo di guadagno.


E il costo industriale confrontato con il costo della materia prima.



Aggiungo un grafico (da cliccare per ingrandire) che ho trovato bello e confezionato nel sito metanoauto.com . 


Per concludere, ecco un grafico che indica il costo in euro/litro in base alla materia prima: