giovedì, febbraio 09, 2012

Indicatori bio-economici: le coltivazioni cerealicole



Di Janet Larsen 

I cereali non riescono a ricaricare i magazzini globali
Bumper 2011



11 Gennaio 2012

I contadini di tutto il mondo nel 2011 hanno raccolto più cereali che mai. Le stime del Dipartimento dell'Agricoltura americano mostrano che il raccolto ha raggiunto le 2.295 milioni di tonnellate, 53 milioni di tonnellate in più rispetto alla cifra record precedente del 2009. Nello stesso periodo la richiesta di cereali  è cresciuta di 90 milioni di tonnellate, arrivando a 2.280 milioni di tonnellate. Nonostante il consumo di cereali sia calato per 7 dei passati 12 anni, i magazzini di grano rimangono drammaticamente vuoti, lasciando il mondo vulnerabile agli sbalzi del prezzo del pane. 

Circa la metà delle calorie consumate nel mondo viene direttamente dai cereali, compresi i prodotti derivati da animali alimentati a cereali. Tre cereali dominano la coltivazione mondiale: frumento, riso (usualmente consumati direttamente come alimento) e mais (impiegato principalmente come mangime animale). Fino al 1995 il frumento era il cereale più coltivato al mondo. Successivamente  il mais acquistò il primato, a causa della continua crescita della domanda in prodotti di origine animale e, recentemente, per la produzione di etanolo (biofuel). Nonostante la caduta della produzione americana nel 2011, dovuta alle elevate temperature estive, la produzione di mais globale toccò 868 milioni, un record assoluto. Anche i raccolti di frumento (689 milioni di tonnellate) e riso (461 milioni di tonnellate) furono anch'essi da record (vedi i dati).

Le provviste di cereali in disavanzo (la quantità di cereali contenuta globalmente nei silos quando comincia il nuovo raccolto) al momento si attesta intorno ai 469 milioni di tonnellate, sufficienti a coprire un fabbisogno di 75 giorni agli attuali livelli di consumo. Tra il 1984 e il 2001 tali provviste bastavano a coprire il più rassicurante periodo di 100 giorni. Nel 2002, tuttavia, si registrò una caduta della produzione cerealicola, che procurò un deficit di 88 milioni di tonnellate in risposta alla domanda del mercato. Da quel momento, le provviste di disavanzo annuali bastarono a coprire 72 giorni di fabbisogno, una cifra molto vicina al minimo necessario per garantire la sicurezza alimentare di base. Nel 2006 la disponibilità delle provviste diminuì ancora, fino ad arrivare a 62 giorni di fabbisogno garantiti; questa fu una delle cause che portò ai forti sbalzi del prezzo del pane del 2007-08, quando i prezzi dei cereali globalmente duplicarono o triplicarono il loro valore nel giro di breve tempo. Chi ne pagò maggiormente le conseguenze, senza avere di che mangiare e frustrazione, furono le famiglie povere dei paesi in via di sviluppo, per cui i cereali costituiscono la parte fondante della dieta e assorbono più della metà dell'introito familiare. Quando il numero degli affamati nel mondo superò quota 1 miliardo, le proteste scoppiarono in 35 paesi.

Seguirono annate favorevoli, finché nel 2010 le riserve di cereali mondiali furono di nuovo messe in pericolo da siccità, incendi boschivi e ondate di caldo torrido, che decimarono le coltivazioni di frumento in Russia e nei paesi limitrofi. Le esportazioni furono proibite. Il prezzo del pane cominciò nuovamente a salire, lanciando i presupposti di una seconda crisi del prezzo del pane nei successivi tre anni. Il rialzo dei prezzi tra giugno e dicembre 2010 portarono altri 44 milioni di persone in fondo alla scala sociale in condizioni di estrema indigenza, secondo le stime della Banca Mondiale. Le prospettive per i più poveri del mondo sono cupe, dato che anche la produzione record del 2011 non è bastata a ridare solidità alle scorte di cereali. 

La scarsità delle riserve cerealicole e la volatilità dei prezzi di certo non favoriscono la realizzazione di uno scenario in cui l'area coltivabile pro capite e la pressione sulla resa del terreno vengano ridotti. Globalmente, i terreni coltivati a cereali sono 700 milioni di ettari (1,7 miliardi di acri). Il raggiungimento di 7 miliardi di abitanti nel 2011 ha portato a 0,1 ettaro (un quarto di un acro) il terreno coltivato a cereali per persona, che corrisponde a circa la metà di quanto succedeva nei primi anni Sessanta. 

Nonostante l'area dedicata alle colture di cereali sia diminuita rispetto al picco di 732 milioni di ettari registrato nel 1981 (in larga misura dovuto a terreni marginali ed erosi, poco produttivi), la produzione è più alta del 50% grazie al miglioramento della resa. Nel 1950 i contadini potevano contare su un raccolto in media di una tonnellata per ettaro. Oggi le rese sono triplicate. Il problema dal punto di vista della prospettiva alimentare globale è che il cosiddetto “low-hanging fruit” (cioè il frutto facile da cogliere, a portata di mano) è già stato raccolto: la maggior parte dei terreni mondiali (ad eccezione dell'Africa sub-sahariana, da notare), infatti, ha già adottato varietà di sementi dalla resa più alta, oltre a fertilizzanti e pratiche di irrigazione per aumentare la resa del raccolto. Inoltre, in alcuni paesi ci potrebbe essere una riduzione dei terreni in quantità o estensione. Su scala mondiale, il raccolto di cereali è cresciuto ad una media del 2,2% annuo dal 1970 al 1990. Ma tra il 1990 e il 2010 la resa effettiva si è dimezzata in rapporto alla sua estensione. 

Nel 2011 tre paesi hanno coperto circa la metà della produzione mondiale di cereali: la Cina con 456 milioni di tonnellate, gli Stati Uniti con 384 milioni di tonnellate e l'India con 226 milioni di tonnellate. I 27 paesi dell'Unione Europea hanno prodotto insieme 286 milioni di tonnellate di cereali. 

Sempre più paesi sono dipendenti dalle importazioni per soddisfare il fabbisogno alimentare interno; nella bilancia del commercio internazionale, infatti, i cereali coprono il 12% del totale. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggior esportatore mondiale: nel 2011 hanno esportato 73 milioni di tonnellate di cereali, che corrisponde a un quarto del totale del commercio di cereali. Il secondo esportatore è l'Argentina con 32 milioni di tonnellate; poi vengono l'Australia e l'Ucraina con 24 milioni di tonnellate e infine la Russia e il Canada, ciascuno esporta cereali per 20 milioni di tonnellate. Nello specifico, gli Stati Uniti occupano il primo posto nel mercato mondiale come esportatore di mais, coprendo circa il 40% del commercio internazionale di questo cereale. Per questa ragione, i paesi che importano dagli Stati Uniti sono preoccupati per la quantità crescente di raccolto trasformata in biocarburante (circa il 40% nel 2011).

Il Giappone è il primo importatore mondiale di cereali. Nel 2011 ne ha acquistati dall'estero circa 25 milioni di tonnellate, la cui gran parte viene utilizzata come mangime. Egitto, Messico, Sud Corea e Arabia Saudita completano la lista dei paesi che importano più di 10 milioni di tonnellate di cereali. La dipendenza dalle importazioni di grano è particolarmente elevata nelle zone a cavallo dell'arido Medio Oriente. Per citare un esempio, il consumo di cereali dell'Arabia Saudita dipende dalle importazioni per il 90%: dato che il paese ha ormai prosciugato le riserve di acqua sotterranee e sta  via via abbandonando le coltivazioni di frumento nel deserto. 

La Cina nel 2011 ha importato 5 milioni di tonnellate di cereali, la quantità ad oggi più significativa da quando il paese ha proclamato la propria politica di autosufficienza alimentare a metà degli anni Novanta. Nonostante il consumo cerealicolo copra ancora una piccola fetta del consumo cinese (451 milioni di tonnellate), l'eventualità che la Cina importi maggiori quantità di cereali desta preoccupazione per i paesi che tengono sott'occhio i mercati e i prezzi del pane.
Le importazioni cinesi di cereali, inoltre, sarebbero molto più significative se il paese non avesse controllato il flusso di un altro fondamentale cereale per la dieta cinese: la soia. Passando da una quantità trascurabile a metà degli anni Novanta a 56 milioni di tonnellate di soia importate nel 2011, la Cina è dipendente dall'estero per l'80% del consumo interno di soia, coprendo una fetta del 60% del commercio mondiale di questo alimento. La maggior parte della soia, che ha un alto contenuto proteico, è impiegata come mangime per l'allevamento di pollame e bestiame in generale. 

Di pari passo con il cambiamento nelle abitudini alimentari dei cinesi, che mangiano sempre più carne, latte e uova, la parte di cereali destinata a mangime animale è cresciuta enormemente, sorpassando quella degli Stati Uniti (dove il loro impiego sta diminuendo) per la prima volta nel 2010. La Cina, con le sue 149 milioni di tonnellate nel 2011, è il primo paese al mondo per quantità di cereali destinati alla filiera animale. Tuttavia, siccome il consumo medio di carne in Cina è pari a meno della metà di quello statunitense, il calcolo dei cereali consumati per persona in questo paese indica ancora una cifra molto minore. 

Considerando che gli appezzamenti di terreno coltivabile non ancora sfruttato sono ben pochi, mentre il numero delle bocche da sfamare continua a salire, i contadini di tutto il mondo hanno una strada in salita da percorrere per cercare di soddisfare i bisogni di tutti. Il consumo di carne e i carburanti di derivazione agricola sono due aree a cui si potrebbe sottrarre il terreno per restituirlo alla coltivazione per l'alimentazione degli uomini, invece che di animali e motori. E ancora, per via della mancanza di acqua e dell'innalzamento della temperatura che porta a sempre più frequenti e imprevedibili fenomeni meteorologici (ondate di caldo, siccità, alluvioni e altri fenomeni che impattano sui campi), è necessario costruire una riserva di cereali che ammortizzi un grosso calo nel raccolto. Altrimenti, prevenire gli shock del prezzo del pane richiederà raccolti eccezionali anno dopo anno, cosa che è alquanto lontana dall'essere garantita. 


Copyright © 2011 Earth Policy Institute

Traduzione di Sara Francesca Lisot. Revisione di Emanuele Mercedi.
Peak & Transition Translators Team

10 commenti:

Anonimo ha detto...

se è vero che nutrire gli animali da compagnia impegna il 7% delle terre coltivabili, mi dispiace per chi ha bisogno di dare ed avere affetto, ma bisogna per legge vietare questi animali e convincere le persone ad amare i propri simili, anche se poi questi non ti danno il solito affetto, più che altro per motivi di egoismo proprio ed altrui.

Antonio ha detto...

io preferisco sfamare il mio cane piuttosto che i miei simili

roberto ha detto...

articolo stupendo che analizza bene il problema dell'aumento della popolazione.
per quanto riguarda gli animali da compagnia e' solo un problema di fame. nei posti dove c'e' la fame se li mangiano esattamente come avveniva in italia 60 anni fa. lo stesso vale per vermi cavallette ecc.

Anonimo ha detto...

ma che te lo ingrassi per i tempi di fame?

Fra ha detto...

R Mago: mi sembrerebbe più saggio ed umano disencentivare il secondo figlio, cosa che peraltro le italiane fanno già quasi perfettamente ( tasso di fecondità italico disaccoppiato dalle extracomunitarie all' 1,2 ) : se peraltro tutto il mondo perseguisse da domani mattina con efficacia la politica del figlio unico, ( cosa impossibile in molte parti del mondo senza l'utilizzo della sterilizzazione più o meno coatta ), dubito che comunque i prossimi 30 anni non vedrebbero comunque fortemente aumentare le criticità nel fabbisogno cerealicolo, visto che forse siamo anche al picco di tale produzione.La nostra morale monteistico/consumistica, acquisiti carbone,petrolio ed i mezzi di produzione di massa, stà garantendo un futuro di miseria ai figli e nipoti dei baby boomer, semplicemente un non futuro ad una buona metà di chi abita nel sud del mondo, portandoci ad un effetto serra fuori controllo, conducendo la biosfera ad una rapidissima ed importante estinzione di massa.( Non dell'uomo, per carità, ma alcuni studiosi ipotizzano la perdita di 1/4 dell specie animali di qui a 50 anni.) Nell'800, dalle mie parti, si accettavano tassi di fecondità di 4 in media perchè 1 moriva di tisi e l'altro di pellagra prima dei 20 anni. si viveva in 3 geenrazioni nella grande colonica,anche perchè gli esponenti della generazione più anziana non erano 8 ma 2 al massimo : a queste condizioni qualche rosario detto la sera e la speranzad nel sanatorio di provincia non facevano certo male all'ecosistema: credo si possa fare meglio di così, ma evitando di cercare negoziazioni morali con la termodinamica.In Italia quanto si è dato agli agriturismi e quanto alle cultivar residuali negli ultimi 10 anni ?...Lavorare la terra in prima persona,soprattutto con tecniche assimilabili alla permacoltura, od anche studiare l'implementazione delle rinnovabili, o lavorare di braccia per istallarle in Italia ( e non solo, ma soprattuto in Italia ) ,oggi è meno redditizio, meno diffuso e meno sussidiato dei colletti bianchi pagati coi soldi di tutti, questo sempre sull'orlo di un baratro di resilienza energetica e d alimentare: fra l'altro è evidente che le antiche coltivazioni saranno anche più resilienti i cambiamenti climatici, e che per recuperare un territorio come la pianura Padana ad una agricoltura sostenibile ci vorranno decenni : noi cosa stiamo aspettando ? Forse che qualcuno degli 80 milioni di Egiziani, che campano coi souvenir delle piramidi ed esportando pachini ai "ricchi" europei ,( quando anche oggigiorno al Cairo centinaia di miglia di persone invece campano come 5000 anni fà, facendo vasaglie col fango di quartiere in forni che bruciano qualsiasi cosa), in un territorio fertile pari alla regione Marche, ci venga a trovare ogni anno di qui ai prossimi 50 anni per riportare il tasso di fecondità italico da 1,2+0,13 ad 1,2 + 0,8 ?

Quanto ai biocombustibili restiamo coi piedi per terra : il mais americano, se non sbaglio , ha un EROI dell' 1% circa, quindi in pratica viene sussudiato dai combustibili fossili americani togliendo un pò di produzione cerealicola ma con produzioni, geneticamente modificate o no, tutt'altro che sostenibili e resilienti ai prossimi sconvolgimenti climatici ( ricordiamoci la terribile siccità ed erosione dei suoli nella corn belt degli anni 30 ) : se teniamo al futuro lontano dell'uomo ed a limitare le azioni climalteranti non è una scelta corretta,s einvece, egoisticamente, pensiamo alla "felicità" ed agli diritti umani è una scelta tutt'altro che negativa, in quanto contribuendo ad affamare il sud del mondo già da oggi si spera dissuada ed avverta sugli squilibri alimentari mondiali di domani ben più preoccupanti...Sulla canna da zucchero brasiliana il mio giudizio è invece peggiore, pur avendo un EROI mi sembra intorno al3-4 % che non è malissimo : quanta di quella canna di zucchero è stata sottratta alla foresta amazzonica ?..e questo in un a paese a forte sviluppo demografico e di consumo di carburante...

Anonimo ha detto...

la Santa Sede mi apre abbia dichiarato che cambiando paradigma il pianeta potrebbe dar da mangiare e da bere a 30-40 miliardi di abitanti. Non so come ci siano arrivati, anche perchè mi viene in mente l'India, dove il cibo è praticamente inesistente e la sete è soddisfatta dal 95% con acqua inquinata. Probabilmente i 30-40 miliardi sarebbero in quelle condizioni: affamati e dissetati con acqua sporca. Preferisco pensare ad un mondo futuro con pochi miliardi di abitanti (3 o 4 al massimo) dove il 60/70% è in simbiosi con il creato ed il resto impegnato in attività di supporto (servizi, artigianato) un pò com'era il mondo preindustriale, però senza guerre. Sono ovviamente entrambe visioni utopistiche, ma in qualcosa di simile deve credere anche il nostro Presidente del Consiglio, quando dice:"Cambierò la vita degli italiani". Il problema è che l'Italia di oggi è la naturale conseguenza delle tendenze profonde insite nell'animo umano; far cambiare rotta è illusorio, se non si cambiano prima queste tendenze profonde, ammesso che sia possibile. In fondo non è come cambiare un programma al PC.

Anonimo ha detto...

E' come vedere le proiezioni del club di Roma (1970) avverarsi...
Ridurre la popolazione umana ridurrà anche gli animali da compagnia (che preferisco anche io agli umani). Tornare a una dieta meno carnivora anche.
Accoppiato a un utilizzo delle energie rinnovabili accettabile (non infinito) pure.
Ma se le teste non cambiano, se i desideri programmati dalle storie raccontate dalla pubblicità non mutano registro, temo che ci sarà molta sofferenza.

Igor Giussani ha detto...

Scusate, prima di fare il genocidio dei cani e dei gatti consiglierei di dare una lettura al libro Sprechi di Tristam Stuart, perché il volume di spreco alimentare è inimaginabile. Vi giro alcuni dati: tra spreco diretto e indiretto, famiglie, ristorazione e vendita al dettaglio di USA e UK potrebbero sfamare almeno a livello minimo più di un miliardo di persone. Anche le perdite in agricoltura per sistemi di stoccaggio non idonei sono elevatissimi.
E' il solito discorso che capita anche per l'energia: prima di chiederci come produrre di più, dovremmo tamponare gli sprechi.

Igor Giussani ha detto...

Scusate, prima di fare il genocidio dei cani e dei gatti consiglierei di dare una lettura al libro Sprechi di Tristam Stuart, perché il volume di spreco alimentare è inimaginabile. Vi giro alcuni dati: tra spreco diretto e indiretto, famiglie, ristorazione e vendita al dettaglio di USA e UK potrebbero sfamare almeno a livello minimo più di un miliardo di persone. Anche le perdite in agricoltura per sistemi di stoccaggio non idonei sono elevatissimi.
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Anonimo ha detto...

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