martedì, ottobre 14, 2008

Ridurre o differenziare i rifiuti?

Nei dibattiti sullo smaltimento dei rifiuti capita spesso di ascoltare animate discussioni tra “riduzionisti”, cioè coloro che ritengono più importante prevenire la produzione dei rifiuti, diminuendo e riusando gli imballaggi, e “differenziatori” che invece considerano prioritaria la raccolta differenziata dei rifiuti presso gli utenti finali. A un certo punto, immancabilmente, interviene il ragionevole di turno che mette d’accordo tutti, affermando che le due strategie non sono in contraddizione, ma che bisogna operare per integrarle in un’ottica di minimizzazione dello smaltimento finale.

Per evitare però una diatriba “ideologica” tra princìpi, a cui gli italiani sono particolarmente inclini, e dare una risposta razionale al problema, non resta che affidarsi alla forza incontrovertibile dei numeri. Le fonti di dati sulla produzione e smaltimento dei rifiuti in Italia sono due, l’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti e l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA ex APAT). Due enti che fanno la stessa cosa, peraltro con leggere differenze numeriche sui dati è un’anomalia tipicamente italiana, ma questo esula dagli scopi di questo articolo. Dal sito dell’Osservatorio Nazionale dei Rifiuti ho ricavato i dati sui consumi di imballaggi dal 1998 al 2005. Osserviamo innanzitutto che siamo in presenza di un picco, parziale o totale lo vedremo nei prossimi anni (nel 2005 c’è stato un immesso al consumo di circa 11,9 milioni di tonnellate, inferiore dello 0,8% rispetto al 2004). Una parte degli imballaggi, secondo quanto risulta dal sito dell’APAT, circa 3,4 milioni di tonnellate, viene attualmente riusata. Quindi, nel 2005 gli imballaggi che hanno determinato una produzione di rifiuti sono stati circa 8,5 milioni di tonnellate. Supponiamo ora cautelativamente che questi rifiuti confluiscano in un anno interamente nel circuito dei rifiuti solidi urbani e confrontiamo questa quantità con la produzione totale di rifiuti solidi urbani, nel 2005 di 31,6 milioni di tonnellate. Quindi, approssimativamente per eccesso, si può affermare che gli imballaggi contribuiscono per circa il 27% alla produzione dei rifiuti. Il restante 73% è costituito da organico e carta, che insieme rappresentano le componenti principali degli RSU, per circa il 55%, e da altre tipologie di rifiuti.
Immaginiamo ora di riuscire a diminuire del 70% il consumo di imballaggi con opportune e auspicabili politiche di riduzione e riuso, come l’uso del vuoto a rendere, la vendita di prodotti sfusi, la riduzione delle confezioni ecc. Avremmo determinato una minore produzione di rifiuti di circa il 20%. Per il restante 80% ipotizziamo ora di ottenere con l’adozione dei moderni sistemi integrati di raccolta domiciliare una differenziazione e riciclaggio pari al 70%. Il risultato sarebbe quello di evitare lo smaltimento di circa il 55% dei rifiuti prodotti. Conclusione, la raccolta differenziata è in grado di incidere quantitativamente molto di più (quasi tre volte) della riduzione degli imballaggi alla soluzione del problema. Questa considerazione è inoltre rafforzata dal fatto che nelle realtà dove si effettuano politiche di raccolta differenziata porta a porta con l’applicazione della tariffa al posto della tassa, si determina anche una riduzione della produzione procapite dei rifiuti, dovuta anche alla maggiore attenzione dell’utente all'uso di prodotti che generino minori scarti.

Tornando quindi alla discussione animata dell’inizio articolo, io potrei definirmi un ragionevole differenziatore, cioè darei priorità alla gestione della raccolta differenziata, ma con un’attenzione non marginale agli interventi di prevenzione volti a ridurre gli sprechi determinati da un uso eccessivo degli imballaggi.

17 commenti:

Unknown ha detto...

Mi trovo come al solito, quasi sempre, d'accordo con Terenzio. La gestione dei rifiuti non può prescindere dalla differenziazione e poi in aggiunta dalla riduzione. Rimane tuttavia il problema della separazione a monte ossia a livello delle famiglie. Nella maggior parte delle famiglie italiane, separare i rifiuti già in casa rimane una pratica considerata come facoltativa.
Un altro problema è l'informazione. Dopo anni di produzione del tetra pack, Mukki ha iniziato ultimamente una vasta campagna di informazione su dove buttare i contenitori; prima c'era chi li buttava nei contenitori per la carta, chi in quello della plastica, chi nella indifferenziata.
Forse lentamente ci stiamo arrivando ... ragione in più per evitare la costruzione di inutili giganteschi inceneritori.

Toufic

Anonimo ha detto...

Giusto, ma io non escluderei il tipo d'imballaggio !

1) Spesso si hanno 4 imballaggi (basta 1 ma contai uno che aveva ben 10) per un prodotto, peggio della Matriosca !! Se la matematica non è un opinione vuol dire 4 volte il rifiuto.
2) Spesso con questi imballaggi non si sa dove buttare ? Carta, plastica o altro ? Sapete come finisce ?
3) Spesso (una volta non era) l'imballaggio e congegnato per non essere riutilizzato !

Ciao

Anonimo ha detto...

Io sono tutto sommato d'accordo sulle tre righe conclusive.

Sul ragionamento che ha portato a questa conclusione, osservo invece che assomiglia parecchio a quello che faceva ieri un rappresentante di non so bene quale "organismo per lo sviluppo sostenibile" di Confindustria su Radio24:
- il piano UE per la riduzione delle emissioni costerà alle aziende una enormità;
- siccome a regime, i risultati conseguibili su base annua, sono riduzioni pari ad 1/8 (dicono loro) dell'incremento di emissioni a tutt'oggi prodotto dalla Cina, loro ritengono che il gioco non valga la candela.

Piccola nota a margine: loro fanno sapere di essere consapevoli della necessità di ridurre le emisisoni.

In definitiva io credo, anche con i numeri alla mano, che le due strategie non siano in contraddizione.
Concordo sul principio "paghi per il rifiuto che produci", ma non sono d'accordo che questo debba essere applicato solo all'utente finale.

Saluti
Massimo P

Anonimo ha detto...

Post molto interessante e azzeccato.
Per Toufic: Il tetrapack va nel contenitore indicato dall'azienda locale. Alcune filiere lo raccolgono insieme alla carta, altre con la plastica, dipende dal tipo di impianto. Lo stesso accade con l'alluminio: a volte con il vetro, a volte con la plastica. Dipende. Ciò crea confusione, ma cosi è...
Sicuramente le due strategie sono complementari.
La cosa prioritaria, sarebbe imporre davvero la totale riciclabilità dell'imballaggio a carico delle aziende, e l'indicazione chiara, ENORME, inequivocabile, di quale materiale di tratta. Ora è minuscolo, equivocabile, astruso, e bisogna essere laureati in scienze dei materiali per capirlo.
Il dove va buttato dipende dal luogo, come visto.
Spesso sento però troppa foga contro gli imballaggi in generale.
L'imballaggio protegge e contiene il prodotto. Se pesa, costa di più trasportarlo in termini energetici ed economici. Se è fragile, influisce sulla mortalità dei prodotti e quindi sui costi e sugli sprechi.
Ovviamente la plastica è il compromesso ECONOMICO in termini di peso e robustezza.
Però si può fare molto per la riduzione, questo è indubbio.
E spesso sono le aziende che hanno convenienza economica a ridurre il peso dell'imballaggio. Ad esempio le bottiglie sono molto più sottili di anni fa.
Ma si può fare molto anche in altri campi: il compostaggio domestico riduce di colpo del 40% i propri rifiuti.
L'utilizzo della carta si può ridurre.
Molti oggetti si possono riparare, vendere, trasformare, regalare, riutilizzare, trasformare, rivitalizzare, ricaricare... ecc.
Ma questa è cultura. E non viene dall'alto.

JAS

Paolo Marani ha detto...

Mi sento in parziale disaccordo con le conclusioni dell'articolo, secondo il quale una politica di riciclaggio (degli imballaggi) è preferibile rispetto ad una politica di riduzione alla fonte.
Sempre in riferimento ai dati APAT, limitati alla Emilia Romagna, si scopre che malgrado un aumento negli ultimi 10 anni della RD dal 10% al 40%, la produzione dei rifiuti è comunque aumentata da 2.000 milioni di tonnellate a 3.000 milioni di tonnellate in totale, lasciando la quota smaltita in discarica pressochè inalterata negli ultimi 5 anni.

Pertanto, si raccoglie il 40% di RD ma in discarica arriva pressochè uguale, perchè l'aumento di produzione "mangia" l'incremento di efficienza della RD.

Ora, sappiamo che passare dal 10% al 30% di RD è senz'altro più facile e meno costoso che passare dal 40% al 60%, prevedo pertanto che oltre a un PICCO della produzione dei rifiuti ci sarà un PICCO nella percentuale media di raccolta differenziata.

Ergo, se non riduciamo i rifiuti alla fonte non riusciremo a ridurre in futuro ciò che realmente importa, cioè lo spreco energetico dovuto alle discariche ed agli inceneritori. Cioè, oggi forse risulta più efficiente lavorare sulla RD, ma da domani potrebbe non esserlo più.

La priorità deve essere pertanto RIDUZIONE FIRST

Marco Pagani ha detto...

Credo sia riduttivo pensare alla riduzione dei rifiuti esclusivamente come ad una "riduzione degli imballaggi" di plastica e carta. Ridurre i rifiuti significa imparare a consumare meno e meglio. Differenziare non significa di per sè riciclare, ma avere un 55% di rifiuti più omogenei, eventualmente disponibili per gli inceneritori.
Come illustro in questo post, in Piemonte la quantità pro capite di rifiuti differenziati è aumentata da 29a 191 kg pro capite tra il 1995 e il 2006.
Peccato che nello stesso periodo, la quantità totale di rifiuti pro capite è cresciuta da 456 a 514 kg!

Terenzio Longobardi ha detto...

Caro Marantz,

forse non sono stato chiaro, o lei non ha letto bene. Io ho detto che pesa di più ai fini della riduzione dello smaltimento in discarica o all'inceneritore, la raccolta differenziata di tutti gli RSU, non dei soli imballaggi. La frazione diversa dagli imballaggi è la prevalente, soprattutto organico e verde e non si può ridurre alla fonte a meno che si proponga di ridurre le consuetudini alimentari. Legittimo ma poco praticabile. Ho detto invece che per gli imballaggi è preferibile la prevenzione.
Quanto all'Emilia Romagna, bisogna dire che la raccolta differenziata è prevalentemente non domiciliare, con grandi contenitori stradali, che impediscono il raggiungimento di percentuali superiori al 35% e contribuiscono ad aumentare la produzione procapite dei rifiuti. Infatti, l'Emilia Romagna, insieme alla Toscana è la Regione italiana che detiene il record di produzione procapite dei rifiuti. I motivi li ho sintetizzati nel mio precedente articolo "Il Veneto fa la differenza"

Anonimo ha detto...

Scusate, ma perché bisogna per forza stilare una classifica? Differenziare va bene, ridurre i rifiuti alla fonte pure (l'ordine dei fattori può essere tranquillamente scambiato senza che cambi il risultato). Si mettano dunque in atto con egual energia entrambe le strategie senza sprecare troppo fiato. Ogni altro tipo d'approccio è una cialtronata sullo stile del tifo calcistico, e temo che (come il tifo calcistico) possa nascondere degli interessi di parte.

Anonimo ha detto...

Torniamo con i piedi per terra.
C'è la crisi economica mondiale.
Ridurre gli imballaggi vorrebbe dire mettere in crisi le aziende che li producono e già ne avranno di problemi in questo periodo con i cali dei consumi.
Pertanto, propongo di abbandonare queste politiche, assurde, di riduzione.
D'altra parte è d'accordo con me il Presidente del Consiglio, in queste ore sta rigettando la questione del "20-20-20" a livello europeo, ha dichiarato:"gli impegni che l'Unione Europea si era data sotto presidenza tedesca oggi si confrontano con una crisi nella quale siamo. Non crediamo che questo sia il momento per andare avanti da soli e fare i don Quichotte".

Chissà perché le fonti rinnovabili, la riduzione di CO2, sono sempre viste come perdite ed invece per far tutto ciò ci vuole maggior tecnologia, ma vaglielo a far capire!
Meglio tanti begli inceneritori, quelli sì che producono gratis energia, con le immondizie! Perché non c'abbiamo pensato prima?

Paolo Marani ha detto...

Terenzio,
in questo post ho commentato il tuo articolo con qualche ulteriore argomentazione.

http://mizcesena.blogspot.com/2008/10/meglio-ridurre-il-rifiuto-oppure.html

Dati alla mano l'aumento della RD non è stato fino ad ora efficace, pertanto non resta che attuare politiche di riduzione, che in ogni caso NON dipendono solamente dalle abitudini alimentari ma anche dal tipo di sistema di raccolta e dalle leggi vigenti, tanto è vero che c'è una notevole disparità fra le varie regioni italiane.

Paolo Marani ha detto...

Vorrei esprimere una ulteriore piccola considerazione.
Quando nei dati APAT ma anche delle varie ARPA regionali, si parla di quantità di imballaggi IMMESSI AL CONSUMO, espressi in tonnellate, questi non sono genericamente MISURATI, ma sono calcolati in base a stime che tengono conto dell'aumento del PIL e di tabelle standard sui fatturati delle principali aziende produttive del settore, nonchè dei dati dei consorzi obbligatori CO.RE.PLA, CO.NA.I etc.etc.

Ciò significa che in realtà il dato di base è spesso sottostimato, nessuno sa esattamente quanti imballaggi si producono. Sommando l'immesso al consumo (che non coincide con la produzione) e sottraendo quanto contabilizzato in discarica, inceneritore, riciclo, etc. non si arriva al pareggio ma con scarti non da poco, nel caso degli imballaggi c'è una differenza anche del 40% !!! Tanto è vero che dal 2005 questo conto non si fa più, dato che non sembra avere alcun valore come "prova del nove".

Pensate alla difficoltà di contabilizzare le quantità di questi rifiuti, le aziende produttrici non li pesano, le regioni si esportano a vicenda quote imputabili fra immesso e smaltito (produco in puglia e smaltisco in piemonte), alla fin fine ciò che rimane è solo una stima, l'unico dato certo è quello dei MUD che i Comuni devono redigere per legge, ed i formulari di trasporto.

Siamo probabilmente attorno al PICCO dei rifiuti, ma a tutt'oggi non siamo decisamente al PICCO dello smaltimento, segnale che c'è qualcosa che non va di profondo in tutte queste stime.

Paolo Marani
MIZ - Cesena

Anonimo ha detto...

Well... le economie devono avere un certo grado di dinamicità e flessibilità ed esiste una parolina magica che si chiama riconversione industriale.
Qs concezione dell'apparato produttivo statico ed immutabile per cui non si può fare niente se no si mette in crisi qualche settore non va + bene.
Il settore automobilistico ad esempio soffre di un'enorme sovracapacità produttiva ed è perennemente in crisi perchè si è raggiunto da tempo il limite di vendite e di turnover vecchio-usato. Eppure, partendo dall'idea che sia un settore portante delle economie occidentali, ciclicamente lo si sostiene con meccanismi droganti del mercato.
Ora riguardo gli imballaggi, le aziende produttrici gradualmente faranno altre cose, che so... switcheranno su imballaggi riutilizzabili e non usa e getta. Ma non è che possiamo vederci sommersi dai rifiuti, perchè questi devono produrre imballaggi a tutto spiano. Basterebbe ritornare ai livelli dei primi anni '90 e non mi sembra che allora si viveva nelle caverne...

Anonimo ha detto...

Mi trovo d'accordo con Marantz: i dati potrebbero essere poco attendibili: non sappiamo quanti imballaggi entrano dall'estero, per esempio. Se poi andiamo a guardare coi propri occhi in cosa consistono i RSU, risulta subito evidente che sono pieni di imballaggi e poco di organico. Si rischia cioè di sovrastimare la componente organica e di sottovalutare cosa siano gli RSU (che per ora comprendono anche televisori vecchi, attaccapanni rotti, ecc.). Stili di vita, consumi e rifiuti sono la stessa questione e i vantaggi del riciclaggio sono temo più modesti di quanto si prospetta nel post (qualcuno ha mai acquistato una sedia in plastica eterogenea riciclata?). Ai miei studenti faccio progettare oggetti industriali e d'arredo in materiali biodegradabili leggeri (fibre animali e vegetali, legno non trattato, schiuma di alluminio, ecc.) e ho smesso di tentare la strada del materiale di seconda generazione... perchè quasi nessuno reintroduce i rifiuti riciclabili nel ciclo produttivo (salvo carta e cartone).

Anonimo ha detto...

Per Giovanni:
In media gli RSU sono IN PESO (a spanne):

25% carta
15% plastica
40% organico e verde
9% vetro
1% alluminio
10% altro non riciclabile

Tralasciando altre componenti come legno, ingombranti ecc, comunque minori.

Lo smaltimento si paga in tonnellate!
Ovviamente gli imballaggi alla vista sembrano predominanti.
Ma la maggior parte dello spazio è aria. Per questo è una buona cosa comprimere le bottiglie, ad esempio.
Solo la carta viene riciclata?
Il vetro, a parte gli scarti, è totalmentente riciclato. Da 1 kg di vetro si ottiene 1 kg di vetro.
L'organico diventa compost.
I metalli sono riciclati.
Solo le plastiche sono difficili da riciclare, ma ci sono mille oggetti riciclati(tappetini, maglie, borse, arredi urbani)
Il televisore vecchio è un RAEE e quindi segue (o meglio seguirà) un canale separato.
Certo che ridurre è possibile ed auspicabile, ma in ogni caso rimarrà sempre un TOT di materia in giro, che è necessario recuperare e riciclare il meglio possibile.

JAS

Anonimo ha detto...

Si, lo so che il vetro si ricicla... spesso in "lana di vetro" isolante per pareti... negli stati Uniti esistono vari produttori di piastrelle in vetro riciclato e piani da bancone da bar sempre in vetro polverizzato e resina... tutti prodotti da noi poco richiesti. La composizione della pattumiera è un altro dato di stima... Ho visitato il Centro di Raccolta di Case Passerini a Firenze (iniziativa impianti aperti) e non sempre si hanno quei dati... e per ora gli elettronici e gli ingombranti finiscono nel cassonetto, purtroppo (se guarda lungo l'autostrada del Mare, vedrà accanto all'impianto una "montagna" di rifiuti igombranti (reti da letto, carcasse di frigo e lavatrici, ecc.). Il compost di case Passerini, essendo selezionato a valle, non è commercializzabile e peino di scarti di plastica... (ve lo diranno i gestori stessi). Le mie non vogliono essere contestazioni, ma un invito a considerare che la realtà quotidiana della gestione dei RSU è spesso meno rosea di quanto risulti dalle statistiche. Per questo mi sembra interessante lavorare sui contenitori e anche sui prodotti a base biodegradabile... (anche se deriva da un pò di sfiducia nel comportamento dei cittadini)..

Anonimo ha detto...

beh, se la filiera non funziona, questo è un altro discorso.
Bisogna intervenie sulla filiera!
per quanto riguarda le percentuali, sono riferite ad un quantitativo di rifiuti in una casa media.
Chi differenzia tutto perfettamente, dovrebbe fare in media più o meno quelle cifre, e avere un residuo del 10%, ovviamente teorico.

Anonimo ha detto...

Giusto... affidiamoci alla buona volontà del prossimo. Ma il prossimo, è il nostro vicino di casa... possiamo parlamentare con lui/lei?