lunedì, maggio 21, 2012

La degenerazione industriale

Articolo da The Oil Crash. Traduzione di Massimiliano Rupalti

Immagine da http://sightsandlights.blogspot.com.es


Di Antonio Turiel


Cari lettori,

oggi mi sono bruciato un dito. Ho aperto il gas per far cuocere le lenticchie ed ho tardato un secondo o due in più del necessario. Troppo. La fiamma del fiammifero era già arrivata alla punta del mio indice e praticamente mentre lo avvicinavo al bruciatore ho dovuto iniziare ad agitarlo per spegnerlo. 



Un aneddoto banale, come vedete, un piccolo incidente quotidiano senza alcuna importanza. Tuttavia, a volte le situazioni banali nascondono cambiamenti più profondi e di maggior importanza di quanto possa sembrare. Di sicuro, l'ultima scatola di fiammiferi che ho comprato contiene dei fiammiferi più corti. Abbastanza più corti, tipo un terzo in meno di lunghezza, più o meno. Non solo questo, sembrano anche più sottili. No so se è a causa di un cambiamento di marca o di un cambiamento di modello di fabbricazione della stessa marca: i fiammiferi li prendo al supermercato, sempre nello stesso posto e non ho mai fatto caso di che marca siano. La verità è che in questo posto c'è un solo tipo di fiammiferi, quindi non potrei scegliere neanche volendo. E, alla fine, chi se ne frega dei fiammiferi? Semplicemente devo fare più attenzione quando accendo il fuoco. Non è un gran cambiamento.

Ultimamente sto rimanendo senza jeans. Voglio dire, che siano in uno stato decente. Prima un paio di jeans mi duravano in buone condizioni un paio di anni. Bene, quando dico prima intendo dire una decina di anni fa più o meno. Molto prima di così, quando ero un bambino, il tessuto dei jeans era talmente spesso che quando gli altri bambini giocavano a darti frustate sul culo con le corde della trottola, non dovevi preoccuparti se quel giorno portavi i jeans, perché quelli erano impenetrabili e duravano oltre il tempo in cui ti andavano bene come taglia. Alla fine, il problema è che adesso i jeans non mi durano niente.

Certamente non vado in negozi fighi dove ti possono vendere quelli più fashion e probabilmente di miglior qualità. Alla fine però continuo ad andare negli stessi posti in cui andavo ed ora praticamente mi ritrovo che dopo il primo lavaggio la trama del pantalone comincia a sfilacciarsi. Si da il caso che abbia in paio di jeans che non hanno nemmeno un anno e che potrebbero essere utilizzati come vestiti perfetti per “La notte dei morti viventi”.

Bene, è anche vero che un paio di jeans non sono così cari (anche se ultimamente costano di più) e non succede nulla se li ricompri più di frequente. In più posso usare altri tipi di pantaloni... ma il fatto è che da poco ho comprato un paio di pantaloni di tela in un negozio di una marca famosa, molto gradevoli al tatto, molto ben rifiniti, quasi vaporosi. Tanto vaporosi che il primo giorno che ha tirato la tramontana (vento forte e freddo tipico di queste regioni), mentre me ne stavo col bambino al parco, i pantaloni si sono induriti e rotti. Bene, non succede niente, nemmeno questi erano cari...

Sono due esempi quotidiani presi a caso fra molti altri: biglietti della metro o del treno sempre più sottili e fragili, offerte sempre più restrittive al supermercato, attrezzi col manico di plastica che si rompono durante la prima ora d'uso, ombrelli che si piegano quando li richiudi, scarpe che si scollano prima che finisca la loro prima stagione, bottiglie e cartoni dalle pareti sempre più sottili... Tutti questi esempi illustrano un fenomeno sottostante che sempre di più sta acquistando la legittimità di naturale e che va molto oltre l'obsolescenza programmata alla quale siamo già abituati. Sono lampi, sintomi di un fenomeno nuovo, di un cambiamento più profondo: la degenerazione industriale.

Fino ad ora i prodotti erano progettati per durare un certo tempo ed obbligarci a sostituirli ogni tot di tempo e mantenere così la produzione e la crescita esponenziale dell'economia. Come abbiamo già discusso, questo è il motivo di così tanto spreco. In modo consapevole o inconsapevole, tutti sappiamo che queste sono già le regole del gioco, ma siccome una tale e frenetica attività di comprare, usare e gettare manteneva in moto l'economia e in fondo ci garantiva il mantenimento di un livello di reddito che ci permetteva di seguire questo gioco, non ci importava molto. Così, gli abitanti dei paesi che si autodefiniscono “civilizzati” sono arrivati a ritenere “normale” che si debbano cambiare i vestiti ogni anno, il computer ogni tre, l'automobile ogni cinque e la casa ogni dieci anni. Ed hanno ragione a ritenere questa pratica “normale” perché è quella che di fatto è arrivata ad essere la norma o l'abitudine, in realtà imposta.

Tuttavia, il processo che affrontiamo ora è di una natura molto diversa. Qui non si tratta di massimizzare il ciclo produttivo ed il suo rendimento, ma di qualcosa di più perverso e dannoso. Succede che con lo sprofondamento della classe operaia in queste prime fasi della Grande Esclusione il consumo sta crollando e l'idolatrato equilibrio fra domanda e offerta che permette di fissare il prezzo si sta spostando a sinistra nella misura in cui la domanda scende e i prezzi sono costretti a fare lo stesso. 

Tuttavia i grandi industriali, che hanno in funzione un sistema di produzione su grande scala, con grandi fabbriche ed enormi reti di distribuzione, hanno un'inerzia strutturale troppo alta per poter rispondere agevolmente ai cambiamenti. Nel caso di alcuni prodotti più cari (di maggior valore aggiunto) la domanda è stata distrutta per non tornare mai più. 

E' il caso, per esempio, delle auto: la maggior parte della gente che non può più permettersi l'automobile non se la potrà permettere più. In questo caso l'unica soluzione per l'industriale è ridurre la produzione, il che significa chiudere fabbriche e lasciare la gente sulla strada (retroalimentando la distruzione della domanda in generale, poiché un lavoratore in meno è un consumatore – o forse di più – in meno).

Tuttavia ci sono molti altri prodotti la cui domanda latente continua ad essere alta, ma non si esprime in domanda reale semplicemente perché la gente non si può permettere qualsiasi prezzo. E' il caso principalmente dei prodotti di prima necessità, come gli alimenti ed il vestiario. In questo caso, l'industriale tenta logicamente di ridurre il prezzo di vendita dei sui prodotti, che sia per mezzo della riduzione dei margini di guadagno (il che va contro i suoi interessi) o attraverso la riduzione dei costi.

Per ridurre i costi può abbassare i salari dei suoi operai, ma questa strategia ha un percorso limitato e inoltre tanto meno guadagneranno i suoi lavoratori e tanto meno consumeranno (di nuovo il terribile dilemma del capitalismo). 

Cosicché a lungo termine la migliore ed unica strategia passa attraverso la riduzione dei costi essenzialmente produttivi. L'ideale sarebbe se questa riduzione arrivasse da un miglioramento senza limiti dell'efficienza, ma la termodinamica in questo è molto cocciuta (in un prossimo post affronteremo il tema dell'entropia come sovrana tirannica e suprema del nostro mondo) ed il margine di miglioramento finisce per essere scarso o nullo. Pertanto, ciò che alla fine rimane è la semplice diminuzione dell'apporto di materiali, del consumo di materie prime nella produzione, soprattutto ora con gli inizi del Peak Everything (il picco di tutto, o Grande Scarsità) sono sempre più cari.  

L'industriale va così progressivamente degradando la qualità dei suoi prodotti, tentando di portarli al limite dell'immaterialità, ma per il sentiero sbagliato (niente a che vedere con tanto decantata e mai vista dematerializzazione dell'economia).

La cosa perversa di questo meccanismo di progressivo degrado della qualità dei nostri oggetti quotidiani è che vari decenni di convivenza con l'obsolescenza programmata ci hanno resi molto sottomessi a questo tipo di processo di degrado. Lo accettiamo quindi come “normale”, perché segue la vecchia norma dell'obsolescenza programmata per la quale tutto sia di qualità scadente e che debba essere sostituito periodicamente. Certo che possiamo percepire che il ciclo dell'obsolescenza ora è più breve, ma siccome in generale i cicli dell'obsolescenza sono andati riducendosi col tempo è normale interpretarli come parte del BAU, del normale modo di procedere. 

Tuttavia, in questa occasione si sta forzando il ciclo di obsolescenza fino a degli estremi ridicoli, come nel caso dei fiammiferi col quale ho aperto il post e come con tanti altri esempi che sicuramente il lettore potrà trovare, il che evidenzia che il motore di questi cambiamenti non è tanto l'accelerazione del ciclo produttivo ma la disperazione di ridurre i costi. La maggior parte della gente confida sommessamente nei benefici del “sistema”, del BAU, nel suo compito e assume implicitamente che con questa accelerazione dell'obsolescenza il capitale fluirà più rapidamente e ci saranno rendite sufficienti per rimanere in questo gioco. Niente di più lontano dalla realtà. Il progressivo degrado dei beni di consumo comuni è in realtà un ulteriore passo verso la Grande Esclusione.

La degenerazione industriale porta con sé molti altri effetti negativi, in particolare la perdita della capacità industriale e dell'economia di scala. La produzione di molti beni oggigiorno è possibile solo perché vengono prodotti su grande scala grazie all'uso intensivo di energia a buon mercato. 

Mentre si degradano le rendite disponibili ai consumatori, tutte queste imprese collasseranno e perderemo progressivamente le conoscenze e la capacità di produrre industrialmente molti prodotti finiti, ma non solo questo, anche la capacità di produrre diverse materie intermedie necessaria in diversi processi industriali e di cui di fatto avremmo bisogno per poter installare il nostro sistema energetico alternativo basato sull'energia rinnovabile che sogniamo e che sicuramente non saremo in grado di permetterci. Insomma, perderemo la base industriale, il muscolo produttivo necessario per intraprendere qualsiasi attività industriale.

Arriverà il momento in cui alcuni industriali ingegnosi cominceranno ad offrire prodotti che, semplicemente, saranno ben costruiti, probabilmente in modo artigianale. Ma questo ad un suo prezzo. Sarà in quel momento che conosceremo qual è il prezzo reale delle cose. 

E questi nuovi prodotti fatti in modo antico non saranno a buon mercato ed anche se emergeranno per rispondere ad una massiccia domanda di avere oggetti di qualità sufficiente, finiranno per essere prodotti praticamente di lusso. Come lo sono stati, di fatto, nel mondo antico: la gente prima non rinnovava il mobilio di casa, ma a dir molto comprava qualche mobile durante la propria vita e gli armadi, i letti, i comodini e gran parte del mobilio, passava di generazione in generazione. 

E in questo momento la grande maggioranza della popolazione si renderà conto fino a che punto è sceso il proprio livello di vita, fino a che punto ci siamo resi poveri senza rendercene conto. Ancora una volta come nella metafora della rana nell'acqua che bolle.


Saluti.
Antonio Turiel




Nota dell'editor: riguardo ai manufatti nel mondo antico, si veda anche "Case arredate a chilometro zero", una ricerca sul campo pubblicata su queste pagine

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