Con questo articolo, gentilmente concesso dal celebre ecologista Giorgio Nebbia e già apparso su "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 4 Ottobre scorso, qui, proseguiamo la riflessione già avviata da Luca Pardi sulla cruciale questione demografica.
Scritto da Giorgio Nebbia
Una di queste settimane è nato o nascerà, non si sa dove, il settemiliardesimo abitante della Terra. Il cinquemiliardesimo nacque nel luglio 1987; dodici anni dopo, nell’ottobre 1999, nacque il seimiliardesimo terrestre. Adesso, dopo altri dodici anni, la popolazione terrestre raggiunge i sette miliardi di abitanti: circa mille milioni di aumento ogni dodici anni. Probabilmente la velocità della crescita dei terrestri diminuirà; forse ci vorranno quattordici o quindici anni per arrivare, forse verso il 2025, ad una popolazione di otto miliardi di abitanti. Il problema ha molti aspetti demografici, morali (se è bene o male che la popolazione mondiale aumenti), geopolitici (in quali paesi aumenta di più la popolazione). A chi si occupa di ambiente interessa piuttosto pensare come sarà possibile far fronte alla crescente richiesta di risorse materiali estratte dalla natura, di merci e alla crescente produzione di rifiuti.
Il demografo Alfred Sauvy (1898-1990) nel 1952 suggerì che esisteva il mondo dei paesi industriali capitalistici, quello dei paesi industriali comunisti e il “terzo mondo”. Dopo la fine del comunismo si classificarono gli abitanti della Terra a seconda dell’appartenenza al Nord (ricco) o al Sud (povero) del mondo. Nel corso di dieci anni, contrapposti ai vecchi imperi del “primo mondo”, l’Europa, il Nord America, l’Australia e poi il Giappone, complessivamente circa un miliardo di persone, sono nati tre giganti industriali, la Cina, l’India, il Brasile, più alcuni altri, che stanno inondando il mondo di acciaio, navi, prodotti chimici, automobili, apparecchiature elettroniche, prodotti agricoli e forestali. In cifra tonda un “impero” di circa 4 miliardi di persone. C’è poi un nuovo “terzo mondo”, un altro paio di miliardi di persone sparsi in Africa, Asia, America Latina, in piena agitazione politica, alla ricerca di cibo, acqua, beni materiali, energia, abitazioni, lavoro.
Un libro intitolato ”Terra”, pubblicato da Carocci nei mesi scorsi, contiene fra l’altro qualche conto su quante tonnellate di “natura” i terrestri assorbono. Per mangiare assorbono ogni anno, oltre 10 miliardi di tonnellate di biomassa vegetale e animale per la cui produzione occorrono, oltre ai gas dell’atmosfera, anidride carbonica e ossigeno, circa 3000 miliardi di tonnellate di acqua all’anno. A cui va aggiunto un fabbisogno di altri circa 500 miliardi di tonnellate all’anno di acqua necessaria per usi alimentari e per usi igienici. Ma le attività umane hanno bisogno di molte altre cose la cui quantità supera i 200 miliardi di tonnellate all’anno: minerali, combustibili fossili, materiali da costruzione, legname, eccetera, tutti materiali che si trasformano in prodotti di consumo, insieme alle scorie di lavorazione. E i prodotti di consumo si trasformano, a loro volta, più meno rapidamente, in rifiuti solidi, liquidi e gassosi. Fra scorie e rifiuti i beni fisici e materiali estratti dalla natura ritornano alla natura in ragione di circa 300 miliardi di tonnellate all’anno (circa 40 miliardi di tonnellate all’anno solo l’anidride carbonica che influenza negativamente il clima planetario).
“All’anno” significa che ogni anno la stessa, se non maggiore, quantità di beni sarà estratta dalle risorse limitate della natura, e di rifiuti sarà immessa nell’aria, nel suolo, negli oceani peggiorandone la qualità, cioè la possibilità di essere utilizzati dagli esseri umani. A questo gigantesco flusso di materia il nuovo primo mondo (il 15 % della popolazione totale) partecipa per circa il 50 %; il 50 % della popolazione mondiale che abita i ”nuovi imperi” usa circa il 35 % dei beni della Terra; ai due miliardi di abitanti del nuovo ”terzo mondo”, il 35 % della popolazione totale, resta la possibilità di usare appena un 15 % delle risorse naturali e ambientali.
Fino a quando questi ultimi accetteranno una così sfacciata disuguaglianza ? Senza contare che “i poveri” si affacciano alla scena del mondo con una popolazione giovane, aggressiva, arrabbiata, disposta ad accedere ai beni materiali immigrando nei paesi ricchi del primo mondo, “vecchi” di età, sempre più bisognosi di nuova mano d’opera, sempre meno capaci di produrre e fabbricare cose utili, di innovazione, dilaniati da gelosie politiche, privi di una “visione di futuro”, come la chiamava il pensatore Aurelio Peccei (1908-1984). “Poveri” disposti ad appropriarsi con la forza del potere che, lo si vede nei paesi islamici e africani, si chiama petrolio, diamanti, minerali, terre coltivabili; si chiama, terribile parola, democrazia popolare
Il settemiliardesimo bambino nasce, dovunque sia, in un mondo turbolento, pieno di ingiustizie e contraddizioni ma ricco di speranze di mutamenti. E ricco di beni naturali che possono soddisfare i bisogni di tutti se i ricchi si accontenteranno di meno per lasciare ai poveri la possibilità di una vita decente. Utile rilettura: la enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI (1967) che parlava proprio di “sviluppo dei popoli”, specialmente dei poveri.
Il demografo Alfred Sauvy (1898-1990) nel 1952 suggerì che esisteva il mondo dei paesi industriali capitalistici, quello dei paesi industriali comunisti e il “terzo mondo”. Dopo la fine del comunismo si classificarono gli abitanti della Terra a seconda dell’appartenenza al Nord (ricco) o al Sud (povero) del mondo. Nel corso di dieci anni, contrapposti ai vecchi imperi del “primo mondo”, l’Europa, il Nord America, l’Australia e poi il Giappone, complessivamente circa un miliardo di persone, sono nati tre giganti industriali, la Cina, l’India, il Brasile, più alcuni altri, che stanno inondando il mondo di acciaio, navi, prodotti chimici, automobili, apparecchiature elettroniche, prodotti agricoli e forestali. In cifra tonda un “impero” di circa 4 miliardi di persone. C’è poi un nuovo “terzo mondo”, un altro paio di miliardi di persone sparsi in Africa, Asia, America Latina, in piena agitazione politica, alla ricerca di cibo, acqua, beni materiali, energia, abitazioni, lavoro.
Un libro intitolato ”Terra”, pubblicato da Carocci nei mesi scorsi, contiene fra l’altro qualche conto su quante tonnellate di “natura” i terrestri assorbono. Per mangiare assorbono ogni anno, oltre 10 miliardi di tonnellate di biomassa vegetale e animale per la cui produzione occorrono, oltre ai gas dell’atmosfera, anidride carbonica e ossigeno, circa 3000 miliardi di tonnellate di acqua all’anno. A cui va aggiunto un fabbisogno di altri circa 500 miliardi di tonnellate all’anno di acqua necessaria per usi alimentari e per usi igienici. Ma le attività umane hanno bisogno di molte altre cose la cui quantità supera i 200 miliardi di tonnellate all’anno: minerali, combustibili fossili, materiali da costruzione, legname, eccetera, tutti materiali che si trasformano in prodotti di consumo, insieme alle scorie di lavorazione. E i prodotti di consumo si trasformano, a loro volta, più meno rapidamente, in rifiuti solidi, liquidi e gassosi. Fra scorie e rifiuti i beni fisici e materiali estratti dalla natura ritornano alla natura in ragione di circa 300 miliardi di tonnellate all’anno (circa 40 miliardi di tonnellate all’anno solo l’anidride carbonica che influenza negativamente il clima planetario).
“All’anno” significa che ogni anno la stessa, se non maggiore, quantità di beni sarà estratta dalle risorse limitate della natura, e di rifiuti sarà immessa nell’aria, nel suolo, negli oceani peggiorandone la qualità, cioè la possibilità di essere utilizzati dagli esseri umani. A questo gigantesco flusso di materia il nuovo primo mondo (il 15 % della popolazione totale) partecipa per circa il 50 %; il 50 % della popolazione mondiale che abita i ”nuovi imperi” usa circa il 35 % dei beni della Terra; ai due miliardi di abitanti del nuovo ”terzo mondo”, il 35 % della popolazione totale, resta la possibilità di usare appena un 15 % delle risorse naturali e ambientali.
Fino a quando questi ultimi accetteranno una così sfacciata disuguaglianza ? Senza contare che “i poveri” si affacciano alla scena del mondo con una popolazione giovane, aggressiva, arrabbiata, disposta ad accedere ai beni materiali immigrando nei paesi ricchi del primo mondo, “vecchi” di età, sempre più bisognosi di nuova mano d’opera, sempre meno capaci di produrre e fabbricare cose utili, di innovazione, dilaniati da gelosie politiche, privi di una “visione di futuro”, come la chiamava il pensatore Aurelio Peccei (1908-1984). “Poveri” disposti ad appropriarsi con la forza del potere che, lo si vede nei paesi islamici e africani, si chiama petrolio, diamanti, minerali, terre coltivabili; si chiama, terribile parola, democrazia popolare
Il settemiliardesimo bambino nasce, dovunque sia, in un mondo turbolento, pieno di ingiustizie e contraddizioni ma ricco di speranze di mutamenti. E ricco di beni naturali che possono soddisfare i bisogni di tutti se i ricchi si accontenteranno di meno per lasciare ai poveri la possibilità di una vita decente. Utile rilettura: la enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI (1967) che parlava proprio di “sviluppo dei popoli”, specialmente dei poveri.
3 commenti:
piccolo errore..."mille miliardi ogni 12 anni", da sostituire con mille milioni ogni 12 anni, ovvio.
Leggere una enciclica papale che si auspica lo "sviluppo dei popoli" e' una contraddizione in termini: Il Vaticano non la smette di fare propaganda natalista, alla fine, anche per colpa loro, finiremo tutti alla fame!
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