I demografi prevedono
che la popolazione mondiale salirà a 10 miliardi entro la fine
secolo. Ma con il pianeta che diventa più caldo e un crescente
numero di persone che premono sugli ecosistemi e sugli
approvvigionamenti di acqua e di cibo, si tratterà questa volta di
un boom della popolazione o di un fiasco?
di Robert
Engelman
La parte più difficile sulla previsione del futuro,
ha detto qualcuno, è che non è ancora avvenuto. Quindi è un po'
strano che così pochi esperti mettano in dubbio la saggezza
demografica secondo cui la Terra ospiterà circa 9 miliardi di
persone nel 2050 e si stabilizzerà sui 10 miliardi alla fine del
secolo. Ai demografi sembra coerente fare proiezioni in cui
l'aspettativa di vita continua ad aumentare mentre i tassi di
natalità sono in costante deriva verso il basso, fino a quando il
numero di umani si stabilizzerà ad un livello con 3 miliardi di
persone in più di quante vivono oggi sul pianeta.
Quello che
c'è di strano in questa previsione demografica è quanto poco sembra
tener conto delle previsioni ambientali. C'è poca controversia
scientifica sul fatto che il mondo stia andando verso un clima più
caldo e più estremo, con disponibilità di acqua ed energia meno
affidabili, ecosistemi sempre più modificati, con un minor numero di
specie, con gli oceani più acidi, e naturalmente i terreni meno
produttivi. Siamo così intelligenti e creativi da credere che nessuna di
queste tendenze avrà alcun impatto sul numero degli esseri umani che
il pianeta è in grado di sostenere? Quando si mettono le proiezioni
demografiche fianco a fianco con quelle ambientali, ci si rende conto
che le prime si prendono gioco delle seconde, suggerendo che ciò che
è in serbo per noi non sarà che un inconveniente minore. La vita
umana sarà meno piacevole, forse, ma non sarà effettivamente
minacciata.
Alcuni analisti, che vanno dagli scienziati David
Pimentel della Cornell University al consulente finanziario e
filantropo Jeremy Grantham, hanno il coraggio di sottolineare la
possibilità di un futuro alternativo più oscuro. Sfidando
l'ottimismo della maggioranza, suggeriscono che l'umanità ha da
tempo superato una popolazione mondiale realmente sostenibile, il che
implica che vecchi e nuovi cavalieri dell'apocalisse, potrebbero
causare un aumento della mortalità diffusa man mano che la crisi
ambientale si dipana. La maggior parte di coloro che scrivono su
ambiente e popolazione sono restii a considerare tali previsioni. Ma
dovremmo chiederci, almeno, se tali possibilità sono abbastanza
reali da temperare la consueta sicurezza riguardante le proiezioni
demografiche future.
Per ora, possiamo
essere quasi certi che la popolazione mondiale raggiungerà i 7
miliardi entro la fine di quest'anno. Siamo già prossimi a quel
numero già adesso ed aggiungiamo circa 216.000 persone al giorno
alla popolazione esistente. Ma
la "variante media" delle proiezioni demografiche delle
Nazioni Unite, il gold standard
degli esperti per quanto concerne le aspettative demografiche future,
richiede un ulteriore salto della fede: essa infatti assume che non
avranno alcuna influenza sulla demografia i cambiamenti ambientali
che ci potrebbero portare a vivere in quello che il climatologo della
NASA James Hansen ha definito "un altro pianeta.”
Quanto
diverso da quello attuale? Molto più caldo, secondo la valutazione
del 2007 dell'IPCC - in media fino a 10 gradi Fahrenheit più di
oggi (circa 5,5 gradi centigradi NdT). Con un livello dei mari 2-6
metri superiore in senso verticale a quello attuale, il che significa
che il mare potrebbe penetrare per centinaia di metri nell'entroterra
attualmente abitato delle aree costiere. Con una estremizzazione di
fenomeni quali la siccità e le tempeste.
Con una modificazione dei modelli di
propagazione delle malattie infettive man mano che si aprono nuove
opportunità per la sopravvivenza e la diffusione degli agenti
patogeni.
Ci si
possono attendere inoltre sconvolgimenti degli ecosistemi globali via
via che l'aumento delle temperature e la modifica delle condizioni
delle precipitazioni, pone in condizioni di stress e disperde le
specie animali e vegetali. A questo si aggiunga il possibile
scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya, che sconvolgerebbe le
forniture di acqua dolce da cui dipendono per la produzione
alimentare 1,3 miliardi di abitanti della Cina e del sud dell'Asia
(naturalmente un numero in aumento).
E
tutto questo solo a causa del cambiamento climatico, sulla base dello
scenario più drammatico della gamma di proiezioni scientifiche
dell'IPCC e di altri gruppi. Comunque, anche lasciando perdere la
possibilità che si realizzi una condizione climatica tanto drammatica, la stessa crescita della popolazione mina in altri modi
le basi per la sua continuazione. Dal 1900, i paesi che ospitano
quasi la metà della popolazione mondiale sono entrati in condizioni
di stress cronico per la scarsità d'acqua a causa del declino della
disponibilità di acqua dolce pro-capite.
A causa di questo fatto i livelli delle falde acquifere e anche di numerosi laghi stanno diminuendo in tutto il mondo. Secondo l'International Water Management Institute in soli 14 anni, sulla base delle proiezioni demografiche medie la maggior parte del Nord Africa e del Medio Oriente, oltre a Pakistan, Sud Africa e gran parte della Cina e dell'India, sarà spinto dalla scarsità d'acqua, "anche realizzando alti livelli di efficienza dell'irrigazione", ad una crescente dipendenza dalle importazioni alimentari.
A causa di questo fatto i livelli delle falde acquifere e anche di numerosi laghi stanno diminuendo in tutto il mondo. Secondo l'International Water Management Institute in soli 14 anni, sulla base delle proiezioni demografiche medie la maggior parte del Nord Africa e del Medio Oriente, oltre a Pakistan, Sud Africa e gran parte della Cina e dell'India, sarà spinto dalla scarsità d'acqua, "anche realizzando alti livelli di efficienza dell'irrigazione", ad una crescente dipendenza dalle importazioni alimentari.
L'estensione
dei terreni coltivati nel mondo ha avuto uno scarso ampliamento dal
1960, con milioni di ettari di terreni agricoli divorati dallo
sviluppo urbano, mentre estensioni quasi uguali di suoli meno fertili
finivano sotto l'aratro. Il raddoppio del numero degli uomini ha
ridotto alla metà la quantità di terreni coltivabili pro-capite. E
gran parte di questo bene essenziale è in declino in termini di
qualità a causa del fatto che la produzione costante succhia
nutrienti che sono fondamentali per la salute umana, mentre il suolo
stesso si erode attraverso la doppia stangata del maltempo e di una
manutenzione meno che perfetta da parte dell'uomo. I fertilizzanti
aiutano a ripristinare la fertilità (anche se raramente i
micronutrienti), ma a prezzi sempre più alti e con ingressi massicci
di risorse non rinnovabili come petrolio, gas naturale e minerali
fondamentali. Il Fosforo in particolare, che è un minerale
non-rinnovabile essenziale per tutta la vita, è stato consumato e
sprecato a tassi sempre più rapidi, suscitando il timore di un
imminente "picco del fosforo."
Siamo
in grado di riciclare fosforo, potassio, azoto e altri minerali e
nutrienti essenziali, ma il numero di persone che anche il più
efficiente possibile dei sistemi di riciclaggio può sostenere può
essere molto inferiore all'odierna popolazione mondiale. Nel 1997, il
geografo canadese Vaclav Smil ha calcolato che se non fosse per la
fissazione industriale dell' azoto [vedi nota, NdR],
la popolazione mondiale probabilmente non avrebbe superato i 4
miliardi di persone - 3 miliardi meno di quanti vivono oggi sul
pianeta. E' probabile che l'agricoltura biologica possa nutrire molte
più persone di quanto non faccia attualmente, ma la rude contabilità
dei nutrienti interni ai 7 miliardi di corpi umani di oggi, per non
parlare dei 10 miliardi previsti per domani, pone una sfida alla
speranza che un sistema agricolo neutrale per il clima possa
alimentare tutti noi.
La
produzione alimentare richiede anche molti servizi della natura che
l'agronomia convenzionale tende ad ignorare nella proiezione
dell'offerta futura di alimenti, e l'affidabilità di questi servizi
sembra sfilacciarsi. Circa una ogni due o tre forchettate di cibo si
basa sull'impollinazione naturale, eppure molti fra gli impollinatori
più importanti del mondo sono in difficoltà. Le api stanno
soccombendo a causa del minuscolo acaro Varroa, mentre un gran numero
di specie di uccelli fronteggia minacce che vanno dalla perdita di
habitat a quella rappresentata dai gatti domestici. I pipistrelli e
innumerevoli altri predatori di parassiti sono in declino a causa di
condizioni ambientali degradate che gli scienziati non sono ancora in
grado di comprendere appieno. E la perdita di biodiversità vegetale
e animale in generale rende l'umanità sempre più dipendente da una
manciata di specie vegetali chiave e di input chimici che rendono la
produzione di cibo meno, e non più, resiliente. Non c'è bisogno di
sostenere che l'aumento dei prezzi dei cereali, le rivolte per il
cibo, la fame che in certe parti del mondo è stata sperimentata
negli ultimi anni sono puramente un risultato della crescita della
popolazione, per preoccuparsi che ad un certo punto una ulteriore
crescita sarà limitata dalla limitata disponibilità di
cibo.
Mentre
la crescita demografica fa si che gli esseri umani vadano ad occupare
ecosistemi un tempo isolati, nuovi vettori di malattie incontrano
l'attrazione di grossi pacchetti di protoplasma che camminano su due
gambe e si possono spostare ovunque sul pianeta in poche ore. Negli
ultimi cinquant'anni, dozzine di nuove malattie infettive sono
emerse. La più notevole, l'HIV / AIDS, ha portato circa 25 milioni
di morti in più, un numero della dimensione di quella che sarebbe
una megalopoli perfino con un popolazione mondiale di miliardi di
individui. In Lesotho, la pandemia ha spinto il tasso di mortalità
da 10 morti ogni mille persone all'anno, nei primi anni 1990 a 18 per
mille un decennio più tardi.
In Sud Africa la combinazione del
declino della fertilità e i decessi legati all'HIV ha spinto il
tasso di crescita della popolazione allo 0,5 per cento all'anno, la
metà dell'equivalente tasso negli Stati Uniti. Mentre il clima del
pianeta si riscalda, le aree colpite da queste malattie si
sposteranno probabilmente in modi imprevedibili, con le zanzare della
malaria e del dengue (http://it.wikipedia.org/wiki/Dengue) che si
spostano nelle zone temperate, mentre il riscaldamento delle acque
contribuisce alla comparsa di focolai di colera in zone un tempo
immuni.
Per
essere onesti, i demografi, che fanno le proiezioni demografiche, non
esprimono apertamente il giudizio secondo cui natalità, mortalità e
tassi di migrazione sono immuni dagli effetti del cambiamento
ambientale e della scarsità de risorse naturali. Piuttosto, essi
sostengono, abbastanza ragionevolmente, che non c'è modo
scientificamente rigoroso per valutare la probabilità di tali
effetti demografici. Così ha più senso estendere semplicemente le
linee di tendenza degli attuali cambiamenti demografici – con
l'aumento della speranza di vita, il declino della fertilità, e una
maggiore percentuale di persone che vivono nelle aree urbane. Queste
tendenze sono poi estrapolate in un futuro assunto come privo di
sorprese. Il noto caveat
dell'investitore secondo cui la performance passata non è una
garanzia di risultati futuri, passa totalmente inapplicato nelle
previsioni demografiche convenzionali.
Quanto
è probabile questo futuro senza sorprese? Questa è una questione
soggettiva, a cui ognuno di noi deve rispondere sulla base della
propria esperienza e delle proprie intuizioni. Quasi nessuna ricerca
ha valutato i probabili impatti del cambiamento climatico causato
dall'uomo, dello sconvolgimento degli ecosistemi, o della scarsità
di energia e di risorse sui i due principali determinanti dei
cambiamenti demografici: nascite e morti. Le migrazioni legate al
cambiamento climatico sono un soggetto di ricerca più comune, con
proiezioni che vanno da 50 a 1.000 milioni di sfollati per fattori
ambientali - compresi i cambiamenti climatici - entro il 2050. Le
principali proiezioni si accordano su un numero di circa 200 milioni,
ma nessuno sostiene che vi sia un argomento scientifico convincente
per scegliere uno qualsiasi di questi numeri.
L'IPCC
e altre autorità scientifiche che si occupano di cambiamenti
climatici hanno notato che un clima estremamente caldo può uccidere
le persone più vulnerabili, come gli anziani, gli immuno- depressi,
le persone a basso reddito, o socialmente isolate. Si stima che circa
35.000 persone morirono durante l'ondata di caldo europea del 2003.
Il Centro statunitense per il Controllo e la Prevenzione delle
Malattie cita una proiezione secondo cui i decessi legati al calore
potrebbero moltiplicarsi fino a sette volte entro la fine del
secolo.
Negli
ultimi anni gli agronomi hanno perso un po' della loro precedente
fiducia secondo cui la produzione alimentare, anche grazie alle
colture geneticamente modificate, non mancherebbe di tenere il passo
con l'aumento della popolazione mondiale in un clima che cambia. Già
oggi, il verificarsi di catastrofi climatiche, quali le ondate di
caldo torrido e l'allagamento dei terreni agricoli, hanno contribuito
ad ampliare lo iato tra produzione e consumo di cibo mondiale. Gli
aumenti di prezzo risultanti - alimentati anche dalla produzione di
biocarburanti a sua volta incoraggiata, in parte, per rallentare il
cambiamento climatico - hanno portato a rivolte per il cibo che sono
costate vite umane ed hanno contribuito a rovesciare i governi del
Medio Oriente e ad Haiti.
Se
questo è ciò che vediamo trascorso appena un decennio nel nuovo
secolo, cosa succederà nei prossimi 90 anni? "Che orribile
mondo sarà se il cibo diventerà davvero più scarso da un anno
all'altro", ha detto nel mese di giugno al New York Times lo
studioso di fisiologia del grano Matthew Reynolds. "Cosa
determinerà tutto questo alla società?" Che cosa, più
specificamente, tutto questo determinerà alla speranza di vita, alla
fertilità, e alle migrazioni? Fondamentalmente, queste domande sono
in questo momento senza risposta, e c'è una lezione in questo. Non
dovremmo essere così sicuri che i demografi possano scientificamente
prevedere l'evoluzione della popolazione mondiale oltre i prossimi
pochi anni. Pochi demografi sono disposti a riconoscere questo
fatto.
"La
continuazione della crescita demografica mondiale fino a metà
secolo, sembra quasi certa," ha dichiarato recentemente su
Science il demografo Ronald Lee della University of California a
Berkeley. "Ma quasi tutte le previsioni demografiche ...
assumono implicitamente che la crescita della popolazione avverrà in
una zona neutrale, senza retroazioni negative di tipo economico o
ambientale. [Se questo si verificherà] dipenderà in parte dal
successo delle misure politiche per ridurre l'impatto ambientale
della crescita economica e demografica ".
E' certamente possibile che l' ingegno, la resilienza e una capacità
di governo efficace riescano a gestire gli stress che l'umanità
affronterà nei prossimi decenni e permetteranno all'aspettativa di
vita di continuare a crescere a dispetto di essi. Il taglio dei
consumi di energia e risorse pro-capite sarebbe certamente di aiuto.
Vale la pena aggiungere che una dimensione sostenibile della
popolazione sarà più facile da mantenere se le società
assicureranno alle donne l'autonomia e i mezzi contraccettivi di
cui hanno bisogno per evitare le gravidanze indesiderate. Per coloro che prestano attenzione alla scienza del cambiamento
climatico e alle realtà di un ambiente in rapido cambiamento
globale, tuttavia, sembra sciocco considerare le proiezioni che danno
una popolazione di 10 miliardi di persone alla fine di questo secolo,
con il rispetto con cui si giudica la previsione di un'eclissi solare
o la comparsa di una ben studiata cometa. Un po' di umiltà
sull'evoluzione della popolazione in un secolo incerto e pericoloso,
sarebbe più coerente con il fatto che il futuro, come una cometa che
gli astronomi non hanno mai osservato prima, non è ancora arrivato.
Robert
Engelman è presidente
del Worldwatch Institute, un'istituzione di ricerca sull'ambiente e la sostenibilità che ha
base a Washington DC. Il Population Institute ha premiato il suo libro, More:Population, Nature, and What Women Want,
con il Global Media Award for Individual Reporting nel 2008. Tale
libro non è stato ancora tradotto in italiano. Engelman è stato
alla Yale University come visiting
lecturer all'inizio degli anni 2000s
ed è stato il segretario della Society of Environmental Journalists dalla sua fondazione.
Con
fissazione industriale dell'azoto ci si riferisce al processo Haber-
Bosh che trasforma l'azoto presente in atmosfera in percentuale di
oltre il 78%, in ammoniaca attraverso la reazione con l'idrogeno
estratto dal metano. L'ammoniaca è poi la materia prima con cui si
sintetizzano i nitrati e l'urea fra i principali componenti dei
fertilizzanti usati in agricoltura. La fissazione biologica
dell'azoto è quella che parimenti trasforma l'azoto atmosferico in
composti azotati disponibili per gli ecosistemi, da parte di batteri
che si trovano nel suolo e nelle acque.
3 commenti:
penso più probabile una diminuzione a 2/3 miliardi per la fine del secolo, secondo la previsione del club di Roma, anche se basterebbe una guerra nucleare, anche limitata, a ridurre gli umani a poche centinaia di milioni in pochi anni.
Beh Mago è vero, ma non sappiamo ancora la capacità di reazione della nostra specie in una situazione così inedita, possiamo solo immaginare scenari più o meno foschi o più o meno ottimistici. Gli scenari foschi ormai servono a poco.
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