martedì, luglio 24, 2012

La nuova terrificante Matematica del Riscaldamento Globale


Tre numeri semplici che si aggiungono alla catastrofe globale e che chiariscono quale sia il vero nemico


Illustrazione di Edel Rodriguez



Da Rolling Stone del 19 Luglio 2012. Traduzione di Massimiliano Rupalti, revisione di Lou Del Bello

Se le immagini delle fiamme torreggianti in Colorado, o l'entità della bolletta per l'aria condizionata non vi hanno convinto, eccovi alcuni numeri eloquenti sul cambiamento climatico: il mese di giugno ha superato o eguagliato 3,215 volte le  temperature registrate in tutti gli Stati Uniti.

Ciò ha fatto seguito al maggio più caldo mai registrato nell'Emisfero Nord,  327mo mese consecutivo in cui le temperature dell'intero globo hanno superato la media del ventesimo secolo.

Le probabilità che un fenomeno simile accada per puro caso sono 3.7 x 10-99, un numero molto  più alto dei quello delle stelle nell'universo.


I meteorologi dicono che questa primavera è stata la più calda mai registrata nella nostra nazione [gli Stati Uniti, NdR], infatti ha battuto il vecchio record di una misura tale da diventare la “più grande deviazione di temperatura dalla media di ogni registrazione stagionale mai raccolta”.

La stessa settimana, le autorità saudite hanno riportato che alla Mecca è piovuto nonostante la temperatura di 109 gradi Fahrenheit (42,77 centigradi): l'acquazzone più caldo della storia del pianeta.

Sembra però che i nostri leader non abbiano ancora fatto questi conti con questi fatti. Il mese scorso le nazioni del mondo, che si incontravano a Rio per la seconda edizione, nel suo ventesimo anniversario, del grande summit ambientale del  1992, non hanno realizzato nulla.

 A differenza di George H.W. Bush, che è volato là per il primo conclave, Barack Obama non si è nemmeno presentato. E' stato “un simulacro del lieto e fiducioso incontro di 20 anni fa”, ha scritto il giornalista inglese George Monbiot.

Nessuno ci ha fatto molto caso, si sentivano gli echi dei passi nelle hall “un tempo affollate di moltitudini”. Siccome ho scritto uno dei primi libri di divulgazione sul riscaldamento globale nel lontano 1989 e siccome ho passato i successivi decenni a lavorare senza successo per rallentare quel riscaldamento, posso dire con un certa sicurezza che stiamo perdendo la guerra, malamente e velocemente. La stiamo perdendo perché, soprattutto, continuiamo a negare il pericolo in cui si trova l'umanità.

Quando pensiamo al riscaldamento globale, gli argomenti tendono ad essere ideologici, teologici ed economici.

Ma per afferrare la serietà della nostra difficile situazione, avete semplicemente bisogno di un po' di matematica.

Negli anni passati, un'analisi aritmetica facile e potente, inizialmente pubblicata da analisti finanziari nel Regno Unito, aveva fatto il giro delle riviste e delle conferenze ambientali, ma non è ancora arrivata al grande pubblico. Questa analisi capovolge gran parte del pensiero politico convenzionale sul cambiamento climatico. E ci permette di capire  la nostra precaria (la nostra quasi ma non del tutto definitivamente senza speranza) posizione con tre semplici numeri. 

Il primo numero: 2° Centigradi 

Se il film fosse finito in modo hollywoodiano, la conferenza sul clima di Copenhagen del 2009 avrebbe segnato il culmine della lotta globale per rallentare un clima che cambia. Le nazioni del mondo si sono radunate nell'oscurità del dicembre della capitale danese per ciò che un eminente economista, Sir Nicholas Stern di Britannia, ha chiamato il “più importante raduno dalla Seconda Guerra Mondiale, dato quel che c'è in gioco”.

Come ha dichiarato al tempo il ministro danese per l'energia Connie Hedegaard, che presiedeva la conferenza: “Questa è la nostra opportunità. Se la perdiamo, potrebbero volerci anni prima di poterne avere una migliore. Ammesso  che l'avremo”. 

Per la cronaca, naturalmente, l'abbiamo persa. Copenhagen ha fallito in modo brutale . Né la Cina, né gli Stati Uniti, che da soli sono responsabili del 40% delle emissioni complessive di carbonio, erano pronti a offrire concessioni significative e quindi la conferenza è andata alla deriva per due settimane mentre  i leader del mondo si sono presentati solo nel  giorno finale.

In un simile caos , il presidente Obama ha preso l'iniziativa di firmare un  “Accordo di Copenhagen” di facciata  che non ha ingannato molti . Erano solo accordi volontari che non impegnavano nessuno a fare niente e anche se i paesi hanno manifestato l'intenzione  di tagliare le emissioni di carbonio, non è stato stabilito nessun meccanismo impositivo. “Copenhagen stanotte è la scena di un crimine” ha dichiarato un rappresentante di Greenpeace, arrabbiato, “con gli uomini e le donne colpevoli in fuga per l'aeroporto”. I titolisti dei giornali sono stati altrettanto brutali: COPENHAGEN: LA MONACO DEI NOSTRI TEMPI?.

L'accordo conteneva un numero importante, tuttavia.

Nel primo paragrafo, riconosceva formalmente “la visione scientifica secondo cui l'aumento delle temperature globali dovrebbe restare al di sotto dei 2 gradi Centigradi”. E proprio nel paragrafo successivo dichiarava che “siamo d'accordo sul fatto che profondi tagli nelle emissioni globali sono richiesti [...] così da fermare l'aumento delle temperature globali al di sotto dei 2 gradi Centigradi”.

Insistendo sui 2 gradi Centigradi, circa 3,6 gradi Fahrenheit, l'accordo ha ratificato le posizioni prese in precedenza nel 2009 dal G8 e dal  Forum delle Maggiori Economie. Era convenzionale così come la saggezza convenzionale lo può percepire.

Questa cifra è diventata convenzioneper la prima voltaalla conferenza sul clima del 1995 presieduta da Angela Merkel, allora ministro tedesco dell'ambiente e ora Cancelliera di centro destra del paese.

Finora abbiamo innalzato la temperatura media del pianeta di solo 0,8 gradi Centigradi e ciò ha creato molti più danni di quanto si aspettassero la gran parte degli scienziati. (Un terzo del ghiaccio estivo nell'Artico se ne è andato, gli oceani sono più acidi del 30% e siccome l'aria calda trattiene più vapore acqueo di quella fredda, l'atmosfera sugli oceani è più umida di uno scioccante 5%, pronta a provocare alluvioni devastanti).

Dati questi impatti, infatti, molti scienziati sono giunti a pensare che 2 gradi sia un obiettivo troppo indulgente. “Ogni numero molto al di sopra di un grado comporta una scommessa”, scrive Kerry Emanuel del MIT, autorità eminente in fatto di uragani, “e le probabilità diventano sempre meno favorevoli all'aumentare della temperatura. Thomas Lovejoy, un tempo principale consigliere sulla biodiversità della Banca Mondiale, la mette così: “ Se vediamo ciò che vediamo oggi a 0,8 gradi centigradi, due gradi sono semplicemente troppi”.

Lo scienziato della NASA James Hansen, il più eminente climatologo del pianeta, è anche più schietto: “L'obiettivo di cui si è parlato nei negoziati internazionali per 2 gradi di riscaldamento è di fatto una prescrizione per un disastro a lungo termine”. Al summit di Copenhagen, un relatore membro dell'AOSIS  [Alliance of Small Island States, NdT] ha ammonito sul fatto che molti arcipelaghi  non sopravviverebbero ad un aumento di 2 gradi: “Alcuni paesi scompariranno”.

Quando i delegati dei paesi in via di sviluppo sono stati messi in guardia sul fatto che 2 gradi rappresenterebbero un “patto suicida” per l'Africa colpita dalle siccità, molti di loro si sono messi a cantare “Un grado, un'Africa”.

Nonostante le ben fondate perplessità, il realismo politico ha battuto i dati scientifici e il mondo si è accordato su un obiettivo di 2 gradi – di fatto, è giusto dire che questa è la sola cosa, riguardo al cambiamento climatico, sulla quale il mondo si sia messo d'accordo. Nonostante le polemiche, 167 nazioni responsabili per più del 87% delle emissioni mondiali di carbonio hanno firmato l'Accordo di Copenhagen, avallando l'obbiettivo dei 2 gradi.

Solo una dozzina di paesi lo hanno rifiutato, compresi Kuwait, Nicaragua e Venezuela. Persino gli Emirati Arabi Uniti, che fanno gran parte dei loro soldi vendendo petrolio e gas, hanno firmato. La posizione ufficiale del pianta Terra al momento è che non possiamo aumentare la temperatura di più di 2 gradi centigradi – è diventata la più bassa delle linee basse. Due gradi. 



Il Secondo Numero: 565 Gigatonnellate

Gli scienziati stimano che gli esseri umani possono riversare approssimativamente 565 ulteriori gigatonnellate di anidride carbonica in atmosfera entro metà del secolo ed avere ancora una speranza ragionevole di rimanere al di sotto dei 2 gradi. (“Ragionevole”, in questo caso, significa 4 opportunità su 5 o qualche probabilità in meno che giocare alla roulette russa con una pistola a sei colpi).

L'idea di un “budget di carbonio” è emersa circa un decennio fa, quando gli scienziati hanno cominciato a calcolare quanto petrolio, carbone e gas poteva essere ancora bruciato con sicurezza. Siccome abbiamo aumentato la temperatura della Terra di 0,8 gradi finora, attualmente ci troviamo a meno di metà strada dall'obiettivo. Ma, di fatto, i modelli computerizzati calcolano che anche se smettessimo di aumentare la CO2 ora, la temperatura aumenterebbe probabilmente di altri 0,8 gradi, in quanto il carbonio rilasciato in precedenza continua a surriscaldare l'atmosfera. Ciò significa che siamo già a 3 quarti del percorso verso l'obiettivo dei 2 gradi.

Quanto sono validi questi numeri? Nessuno insiste sul fatto che siano esatti, ma pochi mettono in dubbio che siano generalmente giusti. La figura delle 565 gigatonnellate deriva da una delle più sofisticate simulazioni computerizzate che siano state costruite dagli scienziati del clima nel mondo nei decenni scorsi.

E il numero è stato ulteriormente confermato dai più recenti modelli di simulazione climatica attualmente portati a termine come anticipazione del prossimo rapporto del IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change, NdT]. “Guardandoli mentre arrivano, difficilmente differiscono”, dice Tom Wigley, un climatologo australiano al Centro Nazionale per la Ricerca Atmosferica. “Ci sono circa 40 modelli nella serie di dati ora, rispetto ai 20 precedenti. Ma finora i numeri sono sostanzialmente gli stessi. Stiamo semplicemente affinando le cose. Non credo sia cambiato molto nell'ultimo decennio”. William Collins, scienziato del clima  al Laboratorio Nazionale Lawrence Berkeley, è d'accordo. “Penso che il risultato di questo giro di simulazioni sarà piuttosto simile”, dice. “Non otterremo niente di nuovo da un'ulteriore comprensione del sistema del clima”.

Non otterremo niente di nuovo neanche dalle economie mondiali. Con una pausa di un solo anno nel 2009, al vertice della crisi finanziaria, abbiamo continuato a riversare quantità record di carbonio nell'atmosfera, anno dopo anno.

Alla fine di maggio, la IEA [International Energy Agency NdT] ha pubblicato le sue ultime proiezioni – le emissioni di CO2 sono aumentate di 31,6 gigatonnellate lo scorso anno, oltre il 3,2% rispetto all'anno precedente. L'America ha avuto un inverno caldo ed ha convertito più centrali da carbone a gas naturale, quindi le sue emissioni sono leggermente scese.
Il boom della Cina è continuato, e  le sue emissioni di carbonio (che hanno recentemente superato quelle degli Stati Uniti) sono cresciute del 9,3%.

I giapponesi hanno spento il loro parco nucleare dopo Fukushima, quindi le loro emissioni hanno sfiorato il 2,4%.

“Ci sono stati sforzi per usare più energia rinnovabile e migliorare l'efficienza energetica”, ha detto Corinne Le Quéré, che dirige il centro inglese per la ricerca sul clima Tyndall. “Ma ciò che questo mostra è che finora gli effetti sono stati marginali”. Infatti, studio dopo studio prevede che le emissioni di carbonio continueranno a crescere di circa il 3% all'anno e a questo tasso, raggiungeremo la nostra tolleranza 565 gigatonnellate in 16 anni, più o meno quando chi oggi fa l'asilo prenderà la maturità.

“I nuovi dati forniscono ulteriore prova che la porta verso una traiettoria di 2 gradi si sta per chiudere”. Ha detto Fatih Birol, il capo Economista della IEA. Infatti, ha continuato, “Quando guardo questi dati, la tendenza è perfettamente in linea con un aumento di temperatura di circa 6 gradi” Sono circa 11 gradi Faherenheit, il che produrrebbe uno scenario planetario di fantascienza
Quindi, nuovi dati alla mano, tutti alla conferenza di Rio hanno rinnovato i loro richiami rituali per una seria azione internazionale per riportarci su una traiettoria di 2 gradi. La farsa continuerà a novembre, quando la prossima Conferenza delle Parti (COP) del UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) si riunirà in Qatar.
Sarà il COP 18 – il COP 1 si era tenuto a Berlino nel 1995 e da allora il processo non ha realizzato essenzialmente nulla.

Anche gli scienziati, che sono notoriamente riluttanti ad esporsi, stanno lentamente superando la loro naturale preferenza a fornire semplicemente dei dati. “ Il messaggio è stato costante per circa 30 anni ora”, dice Collins con un sorriso tirato, “ed abbiamo gli strumenti ed il potere computazionale richiesto per presentare le prove in dettaglio: se scegliamo di continuare nel nostro attuale corso d'azione, dovrebbe essere fatto con una valutazione piena delle prove che la comunità scientifica ha presentato”.

Si ferma un attimo, improvvisamente conscio di essere registrato. “Dovrei dire una più piena valutazione delle prove”. Finora, tuttavia, tali richiami hanno avuto un effetto trascurabile. Siamo nella stessa posizione da un quarto di secolo: allarme scientifico seguito da inazione politica. Uno scienziato di lungo corso mi ha detto: “Conosci quei nuovi pacchi di sigarette dove il governo fa mettere una foto di qualcuno che ha un buco in gola? Le emissioni di gas serra dovrebbero avere qualcosa di simile”.

Il Terzo Numero: 2,795 Gigatonnellate

Questo numero è il più spaventoso di tutti, un numero che, per la prima volta, da l'idea delle dimensioni politiche e scientifiche del nostro dilemma. E' stato evidenziato l'estate scorsa dal Carbon Tracker Initiative, un gruppo di analisti finanziari ed ambientalisti di Londra che hanno pubblicato un rapporto nel tentativo di educare gli investitori sui possibili rischi che pone il cambiamento climatico sul loro portafoglio di azioni. Il numero indica la quantità di carbonio già contenuta nelle riserve provate di carbone, petrolio e gas delle compagnie di combustibili fossili e dei paesi (come Venezuela o Kuwait) che agiscono come compagnie di combustibili fossili. In breve, sono i combustibili fossili che stiamo pianificando di bruciare. E il punto chiave è che questo nuovo numero, 2795 – è più altro di 565. Cinque volte tanto.

Il Carbon Tracker Initiative – guidato da James Leaton, un ambientalista che è stato consulente per il gigante della contabilità PricewaterhouseCoopers – ha spulciato fra i database privati per scoprire quanto petrolio, gas e carbone hanno come riserva la maggiori compagnie energetiche.

I numeri non sono imperfetti – non riflettono pienamente la recente ondata di energia non convenzionale come il gas di scisti e non rispecchiano con precisione le riserve di carbone, che sono soggette a prescrizioni di rapporto meno stringenti di petrolio e gas. Ma per le compagnie più grandi, le figure sono proprio esatte: se bruciassimo tutto quanto si trova a inventario della Lkoil in Russia e della ExxonMobil in America, per esempio, che guidano la lista di compagnie di petrolio e gas, ognuna rilascerebbe più di 40 gigatonnellate di anidride carbonica in atmosfera. Che è esattamente il motivo per cui questo nuovo numero, 2975 gigatonnellate, è un grande affare. 

Pensate a 2 gradi centigradi come al limite legale per le bevande alcooliche – equivalente al livello alcoolico di 0,08 sotto il quale potreste guidare fino a casa. Le 565 gigatonnellate rappresentano quanti bicchieri potreste bere rimanendo sotto il limite – le sei birre, diciamo, che potreste consumare in una serata. E le 2975 gigatonnellate? Sono i tre pacchi da 12 che l'industria dei combustibili fossili ha sul tavolo, già aperte e pronte da versare.  

Abbiamo a registro cinque volte tanto petrolio, carbone e gas di quanto gli scienziati del clima pensano sia sicuro bruciare. Dovremmo conservare l'80% di quelle riserve intrappolate sottoterra per evitare il destino. Prima che conoscessimo quei numeri, il nostro destino era probabile.

Ora, a parte il blocco di un intervento così massiccio, sembra essere certo. Sì, questo carbone, gas e petrolio è ancora tecnicamente sottoterra. Ma è già economicamente estratto. Viene calcolato nei prezzi della azioni, le compagnie prendono soldi in prestito contro di esso, le nazioni basano i propri bilanci sui presunti ritorni dal loro patrimonio.

Questo spiega perché le grandi compagnie di combustibili fossili hanno combattuto così duramente per prevenire la regolamentazione dell'anidride carbonica, quelle riserve sono il loro bene principale, il patrimonio che dà alle loro compagnie il loro valore.

E' il motivo per cui hanno lavorato così alacremente, negli anni passati, per scoprire come liberare il petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, o come perforare per miglia in fondo al mare, o come fratturare i monti Appalachi.

Se diceste a Exxon o a Lukoil che, per evitare di distruggere il clima, di non pompare le loro riserve, il valore delle loro compagnie precipiterebbe. John Fullerton, un ex direttore di gestione della JP Morgan che ora dirige il Capita Institute, calcola che al valore di mercato odierno, quelle 2975 gigatonnellate di emissioni di carbonio valgono circa 27 trilioni di dollari.

Vale a dire, se date retta agli scienziati e conservate l'80% di esse sottoterra, cancellate 20 trilioni di dollari di patrimonio. I numeri non sono esatti, naturalmente, ma la bolla del carbonio rende la bolla delle abitazioni molto piccola a confronto. Non necessariamente esploderà, potremmo realmente bruciare tutto quel carbonio, nel qual caso gli investitori saranno contenti. Ma se lo facessimo, il pianeta sarà a crateri.

Potete avere un bilancio dei combustibili fossili salutare o un pianeta relativamente in salute, ma ora che conosciamo i numeri, sembra che non possiamo avere entrambe le cose. Fate il conto: 2975 è cinque volte 565. E' così che finisce la storia. Finora, come ho detto all'inizio, gli sforzi ambientali per affrontare il riscaldamento globale sono falliti.

Le emissioni planetarie di anidride carbonica continuano a volare, specialmente ora che i paesi in via di sviluppo emulano (e sostituiscono) le industrie dell'occidente. Anche nelle nazioni ricche, piccole riduzioni delle emissioni non danno segni di una reale rottura dello status quo che ci servirebbe per capovolgere la logica di ferro di questi tre numeri.

La Germania è uno dei pochi grandi paesi che abbia realmente tentato  di cambiare il suo mix energetico. In un sabato soleggiato di fine maggio, quella nazione così a nord ha generato quasi metà della sua potenza con pannelli solari entro i suoi confini. E' un piccolo miracolo e dimostra che abbiamo la tecnologia per risolvere i nostri problemi. Ma ci manca la volontà. Finora, la Germania è l'eccezione, la regola è sempre più carbonio.

Questa ammissione di fallimento significa che sappiamo molto su quali strategie non funzionano. I gruppi verdi, per esempio, hanno passato molto tempo provando a cambiare gli stili di vita individuali: la proverbiale  lampadina a torciglione è stata installata da milioni di persone, ma così c'è una nuova generazione di televisori succhia energia a schermo piatto.

Molti di noi sono fondamentalmente ambivalenti nel diventare verdi: ci piacciono in voli economici per i posti caldi e non vi rinunciamo certamente se qualcun altro li prende ancora. Siccome tutti noi siamo in qualche modo i beneficiari dei combustibili fossili a buon mercato, affrontare il cambiamento climatico è stato come provare a costruire un movimento contro sé stessi. E' come se il movimento per i diritti dei gay dovesse essere costruito completamente da dei predicatori evangelici, oppure il movimento contro la schiavitù dagli schiavisti.

La gente percepisce, correttamente, che le proprie azioni individuali non faranno una differenza decisiva nella concentrazione atmosferica della CO2; dal 2010, un sondaggio ha scoperto che “mentre il riciclaggio è molto diffuso in America e il 73% degli intervistati paga i conti online per risparmiare carta”, solo il 4% ha ridotto l'uso dei servizi e solo il 3% ha comprato auto ibride.

In cento anni, potreste in teoria cambiare gli stili di vita a sufficienza per contare, ma il tempo è proprio ciò che ci manca. Un metodo più efficiente, naturalmente, sarebbe lavorare sul sistema politico e gli ambientalisti hanno provato anche questo, con lo stesso, limitato successo.

Hanno pazientemente esercitato pressione sui leader, cercando di convincerli del pericolo e dando per scontato che i politici avrebbero prestato attenzione agli avvertimenti. A volte è sembrato funzionare. Barack Obama, per esempio, ha fatto una campagna più aggressiva sul cambiamento climatico di ogni altro presidente prima di lui. La notte in cui ha vinto le primarie ha detto ai suoi sostenitori che la sua elezione avrebbe segnato il momento in cui “l'aumento del livello degli oceani avrebbe iniziato arallentare e il pianeta a guarire”.

Haa ottenuto un cambiamento significativo: un aumento costante nell'efficienza dei carburanti imposta per le automobili. E' il tipo di misura, adottata un quarto di secolo fa, che avrebbe aiutato enormemente: Ma alla luce dei numeri che vi ho appena descritto, ovviamente è di fatto un inizio molto debole.

A questo punto, un'azione efficace richiederebbe in realtà di mantenere sottoterra gran parte del carbonio che l'industria dei combustibili fossili vuole bruciare, non solo cambiare leggermente la velocità alla quale vengono bruciati.

E qui il presidente, apparentemente stregato dal grido ancora echeggiante di “Scava, piccola, scava”, è uscito dal proprio seminato per fratturare e estrarre. Il suo segretario agli interni, per esempio, ha aperto un enorme corridoio per l'estrazione del carbone nel Bacino del Fiume Powder, in Wyoming: tutto il bacino contiene un valore di circa 67,5 gigatonnellate di carbonio (o più del 10% dello spazio atmosferico disponibile). Obama sta facendo al stessa cosa con le perforazione nell'Artico e offshore.

Di fatto, come ha spiegato nel troncone di marzo, “Avete la mia parola che continueremo a perforare ovunque possiamo... Questa è una promessa che vi faccio”. Il giorno successivo, in una cantiere pieno di tubi a Cushing, in Oklahoma, il presidente ha promesso di lavorare sull'energia solare ed eolica ma, allo stesso tempo, di accelerare lo sviluppo dei combustibili fossili: “Produrre più petrolio e gas in casa è stato e continuerà ad essere una parte critica di una strategia energetica”. Cioè, ha promesso di trovare ancora più riserve da aggiungere all'inventario delle 2975 gigatonnellate di carbonio non ancora bruciate.

A volte l'ironia è quasi ovvia su scala Borat: all'inizio di giugno, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha viaggiato su un peschereccio norvegese per vedere di persona il danno crescente del cambiamento climatico. “Molte delle previsioni sul riscaldamento nell'Artico sono state superate dai dati attuali”, ha detto, “e fa riflettere”.

Ma le discussioni per cui aveva viaggiato in Scandinavia e che doveva fare con gli altri ministri degli esteri, erano prevalentemente su come assicurarsi che le nazioni occidentali avessero la loro parte dei 9 trilioni di dollari stimati in petrolio (che sono più di 90 miliardi di barili, o 37 gigatonnellate di carbonio) che sarà accessibile quando il ghiaccio Artico si scioglierà.

Il mese scorso, l'Amministrazione Obama ha indicato che avrebbe dato alla Shell il permesso di cominciare a perforare in parti dell'Artico. Quasi tutti i governi con depositi di idrocarburi hanno i piedi su due staffe allo stesso modo.

Il Canada, per esempio, è una democrazia liberale rinomata per il suo internazionalismo – non è un miracolo, quindi, che abbia firmato il trattato di Kyoto, promettendo di tagliare le sue emissioni di carbonio in modo sostanziale dal 2012. Ma l'aumento del prezzo del petrolio ha improvvisamente reso le sabbie bituminose dell'Alberta economicamente attraenti e da allora, come ha indicato il climatologo della NASA James Hansen in maggio, esse contengono qualcosa come 240 gigatonnellate di carbonio (o quasi la metà dello spazio disponibile se prendiamo seriamente il limite dei 565), che significava che l'impegno del Canada a Kyoto era una sciocchezza.

A dicembre, il governo canadese si è ritirato dal trattato prima di affrontare le multe per aver mancato di assolvere ai propri impegni.

Lo stesso tipo di ipocrisia si applica su tutta la linea ideologica: nel suo discorso alla conferenza di Copenhagen, Hugo Chavez del Venezuela ha citato Rosa Luxemburg, Jean-Jacques Rousseau e “Cristo il redentore”, insistendo sul fatto che il “cambiamento climatico è indubitabilmente il problema ambientale più devastante di questo secolo”.

Ma la primavera successiva, nella Hall Simon Bolivar della compagnia petrolifera di stato, ha firmato un trattato con un consorzio di attori internazionali per sviluppare la ampie sabbie bituminose dell'Orinoco come “il motore più significativo per uno sviluppo complessivo dell'intero territorio e della popolazione venezuelana”. I depositi dell'Orinoco sono più grandi di quelli dell'Alberta, presi insieme riempirebbero tutto lo spazio atmosferico disponibile.

Quindi: le strade che abbiamo tentato per affrontare il riscaldamento globale hanno prodotto finora solo frenate graduali. Un cambiamento rapido e di trasformazione richiederebbe la costruzione di un movimento e i movimenti hanno bisogno di nemici. Come lo esprimeva John F. Kennedy, “Il movimento per i diritti civili dovrebbe ringraziare Dio per Bull Connor. Lui lo ha aiutato almeno quanto Abramo Lincoln”.

E sono proprio i nemici che sono mancati al cambiamento climatico. Ma ciò che tutti questi numeri sul clima rendono dolorosamente e utilmente chiaro, è che il pianeta ha di fatto un nemico, uno di gran lunga più impegnato nell'azione che non i governi o i singoli individui. Data questa dura matematica, dobbiamo vedere l'industria dei combustibili fossili sotto una nuova luce. E' diventata un'industria delinquente, incosciente come nessuna altra forza sulla Terra.

E' il Nemico Pubblico Numero Uno (Public Enemy Number One) per la sopravvivenza della nostra civiltà planetaria. “Molte compagnie fanno cose schifose durante i loro affari - pagano salari terribili, fanno lavorare la gente in clandestinità – e noi facciamo loro pressione perché cambino quelle pratiche”, dice la veterana leader contro le multinazionali Naomi Klein, che sta lavorando ad un libro sulla crisi climatica. “Ma questi numeri rendono chiaro che con l'industria dei combustibili fossili, distruggere il pianeta è il loro modello commerciale. E' quello di cui si occupano”. 

Secondo il rapporto del Carbon Tracker, se la Exxon bruciasse le sue attuali riserve userebbe oltre i 7% dello spazio atmosferico disponibile fra noi ed il rischio dei 2 gradi. La BP è subito dietro, seguita dalla russa Gazprom, poi Chevron, ConocoPhillips e Shell, ognuna delle quali ne riempirebbero fra il 3 e il 4%. Prese insieme, solo queste 6 imprese delle 200 elencate nel rapporto del Carbon Tracker, userebbero oltre un quarto del rimanente bilancio per i 2 gradi. La Severstal, il gigante delle miniere russo, guida la lista delle compagnie del carbone, seguita da imprese come la BHP Billiton e Peabody. I numeri sono semplicemente sconcertanti.

Questa industria, da sola, ha il potere di cambiare la fisica e la chimica del pianeta del nostro pianeta e sta pianificando di farlo . Sono chiaramente consapevoli del riscaldamento globale – si avvalgono di alcuni degli scienziati migliori del mondo, dopo tutto, e stanno facendo offerte su tutti quei contratti petroliferi resi possibili dall'impressionante scioglimento del ghiaccio Artico.

E cercano ancora senza sosta alti idrocarburi. All'inizio di marzo, l'amministratore delegato di Exxon Rex Tillerson ha raccontato agli analisti di Wall Street che la compagnia pianifica di spendere 37 miliardi di dollari entro il 2016 (circa 100 milioni al giorno) per cercare ulteriore petrolio e gas.

Non c'è una persona più incosciente al mondo di Tillerson. Alla fine del mese scorso, nello stesso giorno in cui gli incendi in Colorado hanno raggiunto il loro massimo, ha detto al pubblico di New York che il riscaldamento globale è reale, ma l'ha liquidata come “problema di ingegneria” e che ha “soluzioni ingegneristiche”. Tipo? “Cambiamenti negli schemi meteorologici che spostano le aree di produzione dei raccolti; ci adatteremo a questo”. Questo in una settimana in cui i contadini del Kentucky stavano raccontando che i semi del mais stavano “abortendo” per il caldo record, minacciando un picco dei prezzi globali degli alimenti. “Il fattore paura che la gente vuole mettere avanti per dire 'Dobbiamo semplicemente fermare tutto questo' io non lo accetto”, ha detto Tillerson. Naturalmente no, se lo accettasse, dovrebbe mantenere le sue riserve nel sottosuolo. Il che gli costerebbe dei soldi. Non è un problema ingegneristico. In altre parole, è un problema di avidità.

Potreste obiettare che sia semplicemente la natura stessa di quelle compagnie, che, trovata una vena redditizia, hanno l'impulso di continuare a sfruttarla, più come degli automi efficienti che come delle persone con un libero arbitrio.

Ma come ha chiarito la Corte Suprema, si tratta di una specie di persone. Infatti, grazie alla dimensione delle loro finanze, le industrie dei combustibili fossili hanno molto più libero arbitrio che il resto di noi. Queste compagnie non si limitano a soddisfare gli appetiti di un mondo. Esse aiutano a creare i confini di quel mondo.

Se potessimo fare da soli, noi cittadini potremmo decidere di regolare le emissioni di carbonio e fermarci poco prima del precipizio; secondo un sondaggio recente, quasi i due terzi degli americani vorrebbe un nuovo trattato internazionale che tagli le emissioni del 90% dal 2050. Ma non possiamo fare da soli. I fratelli Koch, per esempio, possiedono una ricchezza complessiva di 50 miliardi di dollari, il che significa che inseguono soltanto Bill Gates nella lista degli americani più ricchi.

Hanno fatto gran parte dei loro soldi con gli idrocarburi. Sanno che qualsiasi sistema per regolamentare il carbonio ridurrebbe i loro profitti ed hanno pianificato in un rapporto di elargire 200 milioni di dollari quest'anno per le elezioni. Nel 2009, per la prima volta, la Camera di commercio degli Stati uniti ha superato entrambi i Comitati nazionali, democratico e repubblicano, in spese politiche.

L'anno seguente più del 90% del contante della camera è andato ai candidati del GOP – Grand Old Party (Gran Vecchio Partito) – molti dei quali negano l'esistenza del riscaldamento globale. Non molto tempo fa, la Camera ha addirittura presentato un esposto all'EPA – Environment Protection Agency (Agenzia di protezione Ambientale) – sollecitando l'agenzia a non regolamentare il carbonio.

Se dovesse risultare che gli scienziati del mondo hanno ragione, ha ammonito la Camera, “le popolazioni si possono acclimatare a climi più caldi attraverso una gamma di adattamenti comportamentali, psicologici e tecnologici”. Per quanto sembri radicale, chiederci di cambiare la nostra fisiologia sembra essere proprio la vera questione.

Gli ambientalisti, comprensibilmente, sono stati restii a fare delle industria dei combustibili fossili il proprio nemico, rispettando il loro potere politico e sperando invece di poter convincere questi giganti che dovessero abbandonare il carbone, il petrolio ed il gas e trasformare sé stesse più in generale in “compagnie energetiche”.

A volte questa strategia è sembrata funzionare (enfasi su “è sembrata”). Intorno al passaggio di secolo, per esempio, la BP ha fatto un breve tentativo di restyling come British Petroleum”, adattando un logo che sembrava il Sole e dei pannelli solari  sui tetti di  alcuni dei suoi distributori. Ma i suoi investimenti in energie alternative non sono mai stati che un piccola frazione del suo bilancio per l'esplorazione di idrocarburi e, dopo pochi anni, molti di essi sono andati scemando quando il nuovo amministratore delegato ha insistito sul ritorno dell'azienda al suo “core business”. In dicembre, alla fine la BP ha chiuso il suo comparto solare. La Shell ha chiuso i suoi sforzi solari ed eolici nel 2009. Le 5 più grandi aziende hanno fatto più di un trilione di dollari di profitti dal cambio di millennio. C'è semplicemente troppo denaro da fare col petrolio, il gas ed il carbone per dare la caccia alle brezze ad ai raggi solari.

Gran parte di quel profitto deriva da un incidente storico unico: solo caso fra le imprese, all'industria dei combustibili fossili è consentito di scaricare il suo rifiuto principale, l'anidride carbonica, gratuitamente. Nessun altro ha questa opportunità. Se hai un ristorante devi pagare qualcuno per portarti via i rifiuti, visto che ammucchiarli sulla strada favorirebbe il proliferare dei topi.

Ma l'industria dei combustibili fossili è diversa, per solide ragioni storiche: fino a un quarto di secolo fa, quasi nessuno sapeva che la CO2 era pericolosa. Ma ora che capiamo che il carbonio sta scaldando il pianeta e acidificando gli oceani, il suo prezzo diventa il problema centrale. Se mettete un prezzo al carbonio, attraverso una tassa diretta o altri metodi, appoggerebbe i mercati nella lotta contro il riscaldamento globale. Una volta che Exxon dovesse pagare per il danno che il suo carbonio arreca all'atmosfera, il prezzo dei suoi prodotti crescerebbe. I consumatori avrebbero un segnale forte per usare meno combustibili fossili. Ogni volta che si fermasseroad un distributore, gli verrebbe ricordato che non hanno bisogno di un veicolo semi-militare per andare nel negozio di alimentari.

Il campo di gioco economico diventerebbe a questo punto una baseline per le fonti di energia non inquinanti.  Potremmo farlo senza far fare bancarotta ai cittadini – uno schema cosiddetto “tassa e dividendi” metterebbe una robusta tassa su carbone, gas e petrolio, quindi suddividerebbe i proventi, spedendo a tutti i cittadini un assegno mensile  come ristorno dei costi aggiunti del carbonio. Passando ad energie più pulite, gran parte della gente in realtà se la caverebbe bene.

C'è solo un problema: mettere un prezzo sul carbonio ridurrebbe la redditività dell'industria dei combustibili fossili. Dopo tutto, la risposta alla domanda “quanto dovrebbe essere alto il prezzo del carbonio?” è: abbastanza alto da conservare quelle riserve di carbonio che ci farebbero superare i 2 gradi  in modo sicuro nel sottosuolo”. Più è alto il prezzo del carbonio, più quelle riserve sarebbero senza valore. La lotta alla fine, gira intorno all'interrogativose l'industria riuscirà nella sua lotta per mantenere il suo speciale privilegio di inquinare oltre il livello della catastrofe climatica o se, per dirlo al modo degli economisti, gli faremo interiorizzare quelle esternalità. 

Non è chiaro, naturalmente, che il potere dell'industria dei combustibili fossili possa essere spezzato. Gli analisti del Regno Unito che hanno scritto il rapporto del Carbon Tracker ed hanno richiamato l'attenzione su questi numeri avevano un obbiettivo relativamente modesto: volevano semplicemente ricordare agli investitori che il cambiamento climatico pone un rischio davvero reale al mercato azionario delle compagnie energetiche.

Diciamo che qualcosa di così grande alla fine accade (un gigantesco uragano inonda Manhattan, una mega siccità spazza via l'agricoltura dal Midwest) e che persino il potere politico dell'industria è inadeguato a frenare i legislatori che riusciranno a regolamentare il carbonio.

All'improvviso, quelle riserve della Chevron avrebbero un valore considerevolmente inferiore e lo stock rimarrebbe in magazzino. Dato questo rischio, il rapporto del Carbon Tracker ha avvertito gli investitori di diminuire la loro esposizione, arginandola con grandi investimenti in energie alternative.

“Il normale processo di evoluzione economica è che le aziende vengono lasciate con attivi bloccati per tutto il tempo”, dice Nick Robins, che guida il Centro per il Cambiamento Climatico della HSBC. “Pensate alle telecamere a pellicola, o alle macchine da scrivere. La questione non è se questo accadrà. Accadrà. Il sistema pensionistico è stato colpito dalla crisi del credito telematico. Gli attuali investitori saranno colpiti da questa”.

Tuttavia, non è stato facile convincere gli investitori che hanno condiviso i profitti record dell'industria petrolifera. “La ragione per cui si hanno le bolle”, sospira Leaton, “è che tutti pensano di essere i migliori analisti, che arriveranno fino al bordo del dirupo e poi salteranno indietro quando tutti gli altri ci salteranno dentro”.

Quindi, un semplice interesse personale non provocherà una sfida di trasformazione ai combustibili fossili. Ma lo sdegno morale potrebbe e questo è il vero significato di questa nuova matematica. Essa potrebbe, probabilmente, dare vita ad un vero movimento.
Una volta, nella recente storia corporativa, la rabbia ha costretto un'industria a fare cambiamenti fondamentali.

E' stata la campagna che negli anni 80 chiedeva di togliere gli investimenti dalle compagnie che facevano affari in Sud africa. E' cresciuta inizialmente nei campus dei college e si è successivamente diffusa alle amministrazioni comunali ed ai governi. 155 campus alla fine hanno disinvestito e, alla fine del decennio, più di 80 città, 25 stati e 19 contee hanno intrapreso qualche forma di azione economica vincolante contro le compagnie collegate al regime dell'apartheid.

 “La fine dell'apartheid rimane uno delle maggiori realizzazioni del secolo passato” come ha detto l'arcivescovo Desmond Tutu, “ma non ce l'avremmo fatta senza l'aiuto delle pressioni internazionali”, specialmente da parte del “movimento per il taglio degli investimenti degli anni 80”.

L'industria dei combustibili fossili è ovviamente un avversario più duro e anche se si potesse forzare la mano di particolari compagnie, si dovrebbe ancora immaginare una strategia per avere a che fare con tutti i paesi sovrani che, di fatto, agiscono come compagnie di combustibili fossili.

Ma il collegamento per gli studenti del college è ancora più ovvio, in questo caso. Se il loro portafoglio di dotazione contiene azioni di combustibili fossili, allora la loro educazione sarà sovvenzionata da investimenti che garantiscono che non avranno più un pianeta sul quale esercitare la loro qualifica.

(La stessa logica si applica ai più grandi investitori del mondo, ai fondi pensione, che sono anche essi teoricamente interessati al futuro, quando i loro membri “si godranno la pensione”). “Data la serietà della crisi climatica, una richiesta analoga alle nostre istituzioni scarichino azioni dalle compagnie che stanno distruggendo il pianeta non sarebbe solo appropriata, ma effettiva”, dice Bob Massie, un ex attivista anti apartheid che ha aiutato a finanziare l'Investor Network on Climate Risk (Network di Investitori sul Rischio Climatico). “Il messaggio è semplice: ne abbiamo avuto abbastanza: Dobbiamo rompere i legami che ci ricava profitti dal cambiamento climatico, adesso”.

Raramente i movimenti hanno conseguenze prevedibili. Ma ogni campagna che indebolisca la posizione politica dell'industria dei combustibili fossili aumenta le possibilità di revocare i loro privilegi speciali. Considerate il risultato del presidente Obama nella lotta climatica, il grande aumento che ha ottenuto nei limiti dei consumi per le auto.

Gli scienziati, gli ambientalisti e gli ingegneri, hanno propugnato tali politiche per decenni, ma finché Detroit non è finita in una dura pressione finanziaria, l'industriaè stata politicamente abbastanza potente da respingerle. Se la gente arriva a capire la fredda, matematica realtà – che l'industria dei combustibili fossili sta sistematicamente minando il sistema fisico planetario – potrebbe indebolirla abbastanza da contare politicamente.

La Exxon e la sua stirpe potrebbero abbandonare la loro opposizione ad una soluzione 'tasse e redistribuzione': Potrebbero persino decidere di diventare vere compagnie energetiche, stavolta sul serio.

Anche se una tale campagna fosse possibile, tuttavia potremmo aver aspettato troppo a lungo per farla partire. Per fare la differenza, per mantenerci su un incremento della temperatura al di sotto dei 2 gradi, sarebbe necessario cambiare il prezzo del carbonio a Washington e poi usare tale vittoria per far leva su cambiamenti analoghi nel mondo.

A questo punto, quello che accade negli Stati Uniti è più importante per come influenzerà Cina e India, dove le emissioni stanno aumentando più velocemente che altrove (all'inizio di giugno, i ricercatori hanno concluso che la Cina ha presentato, probabilmente per difetto, le proprie emissioni di oltre il 20%).

I tre numeri che ho descritto sono scoraggianti, potrebbero definire un futuro essenzialmente impossibile. Ma almeno forniscono chiarezza intellettuale sulla più grande sfida che gli esseri umani abbiano mai affrontato. Sappiamo quanto carbonio possiamo bruciare e sappiamo chi sta pianificando di bruciarne di più. Il cambiamento climatico opera su una scala geologica e su quadri temporali, ma non è un'impersonale forza della natura; più calcoli in modo preciso, più a fondo ti rendi conto che questa è, in fondo, una questione morale. Abbiamo incontrato il nemico e questo è la Shell. 

Nel frattempo la marea di numeri continua. La settimana successiva a quella in cui la conferenza di Rio è giunta claudicante alla sua conclusione, il ghiaccio marino dell'Artico ha raggiunto il livello minimo mai registrato in quella data. Il mese scorso, in un solo fine settimana, la tempesta tropicale Debby ha scaricato più di 20 pollici di pioggia sulla Florida, la prima che sia mai arrivata nella stagione. Allo stesso tempo, ci sono stati i più grandi incendi nella storia del Nuovo Messico e gli incendi più distruttivi negli annali del Colorado hanno rivendicato 346 abitazioni a Colorado Springs, spezzando un record stabilito la settimana precedente a Fort Collins. Questo mese, gli scienziati hanno pubblicato un nuovo studio che conclude che il riscaldamento globale ha aumentato drammaticamente la probabilità di gravi ondate di calore e siccità.

Pochi giorni dopo un'ondata di calore sugli altipiani del Midwest ha superato i record che resistevano dai tempi del Dust Bowl, minacciando il raccolto di annuale. Volete un grande numero? Nel corso di questo mese, un quadrilione (10 alla ventiquattresima) di semi di mais hanno bisogno di essere impollinati lungo la 'fascia del grano', cosa che non può essere fatta se le temperature rimangono fuori scala. Proprio come noi, i nostri raccolti sono adattati all'Olocene, il periodo di 11.000 anni di stabilità climatica che stiamo per lasciare... nella polvere.

Questa storia proviene dal numero del 2 agosto 2012 di Rolling Stone.

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2 commenti:

AMALIA GORNI ha detto...

Dio acceca chi vuol perdere.
Felice CELESTINO

Gabriele Rossini ha detto...

Sembrava ieri che a scuola si parlava di riscaldamento globale. Invece sono passati già 20 anni, e ancora nulla non cambia!