Tre numeri semplici che si aggiungono alla
catastrofe globale e che chiariscono quale sia il vero nemico
Se le immagini delle fiamme
torreggianti in Colorado, o l'entità della bolletta per l'aria condizionata non
vi hanno convinto, eccovi alcuni numeri eloquenti sul cambiamento climatico: il
mese di giugno ha superato o eguagliato 3,215 volte le temperature registrate in tutti gli Stati
Uniti.
Ciò ha fatto seguito al
maggio più caldo mai registrato nell'Emisfero Nord, 327mo mese consecutivo in cui le temperature
dell'intero globo hanno superato la media del ventesimo secolo.
Le probabilità che un
fenomeno simile accada per puro caso sono 3.7 x 10-99, un numero molto più alto dei quello delle stelle
nell'universo.
I meteorologi dicono che
questa primavera è stata la più calda mai registrata nella nostra nazione [gli
Stati Uniti, NdR], infatti ha battuto il vecchio record di una misura tale da
diventare la “più grande deviazione di temperatura dalla media di ogni
registrazione stagionale mai raccolta”.
La stessa settimana, le
autorità saudite hanno riportato che alla Mecca è piovuto nonostante la
temperatura di 109 gradi Fahrenheit (42,77 centigradi): l'acquazzone più caldo
della storia del pianeta.
Sembra
però che i nostri leader non abbiano ancora fatto questi conti con questi
fatti. Il mese scorso le nazioni del mondo, che si incontravano a Rio per la
seconda edizione, nel suo ventesimo anniversario, del grande summit ambientale
del 1992, non hanno realizzato nulla.
A differenza di George H.W. Bush, che è volato
là per il primo conclave, Barack Obama non si è nemmeno presentato. E' stato
“un simulacro del lieto e fiducioso incontro di 20 anni fa”, ha scritto il
giornalista inglese George Monbiot.
Nessuno
ci ha fatto molto caso, si sentivano gli echi dei passi nelle hall “un tempo
affollate di moltitudini”. Siccome ho scritto uno dei primi libri di
divulgazione sul riscaldamento globale nel lontano 1989 e siccome ho passato i
successivi decenni a lavorare senza successo per rallentare quel riscaldamento,
posso dire con un certa sicurezza che stiamo perdendo la guerra, malamente e
velocemente. La stiamo perdendo perché, soprattutto, continuiamo a negare il
pericolo in cui si trova l'umanità.
Quando
pensiamo al riscaldamento globale, gli argomenti tendono ad essere ideologici,
teologici ed economici.
Ma per
afferrare la serietà della nostra difficile situazione, avete semplicemente
bisogno di un po' di matematica.
Negli
anni passati, un'analisi aritmetica facile e potente, inizialmente pubblicata
da analisti finanziari nel Regno Unito, aveva fatto il giro delle riviste e
delle conferenze ambientali, ma non è ancora arrivata al grande pubblico.
Questa analisi capovolge gran parte del pensiero politico convenzionale sul
cambiamento climatico. E ci permette di capire
la nostra precaria (la nostra quasi ma non del tutto definitivamente
senza speranza) posizione con tre semplici numeri.
Il primo numero: 2° Centigradi
Se il
film fosse finito in modo hollywoodiano, la conferenza sul clima di Copenhagen
del 2009 avrebbe segnato il culmine della lotta globale per rallentare un clima
che cambia. Le nazioni del mondo si sono radunate nell'oscurità del dicembre
della capitale danese per ciò che un eminente economista, Sir Nicholas Stern di
Britannia, ha chiamato il “più importante raduno dalla Seconda Guerra Mondiale,
dato quel che c'è in gioco”.
Come ha
dichiarato al tempo il ministro danese per l'energia Connie Hedegaard, che
presiedeva la conferenza: “Questa è la nostra opportunità. Se la perdiamo,
potrebbero volerci anni prima di poterne avere una migliore. Ammesso che l'avremo”.
Per la
cronaca, naturalmente, l'abbiamo persa. Copenhagen ha fallito in modo brutale .
Né la Cina, né gli Stati Uniti, che da soli sono responsabili del 40% delle
emissioni complessive di carbonio, erano pronti a offrire concessioni
significative e quindi la conferenza è andata alla deriva per due settimane
mentre i leader del mondo si sono
presentati solo nel giorno finale.
In un
simile caos , il presidente Obama ha preso l'iniziativa di firmare un “Accordo di Copenhagen” di facciata che non ha ingannato molti . Erano solo
accordi volontari che non impegnavano nessuno a fare niente e anche se i paesi
hanno manifestato l'intenzione di
tagliare le emissioni di carbonio, non è stato stabilito nessun meccanismo
impositivo. “Copenhagen stanotte è la scena di un crimine” ha dichiarato un
rappresentante di Greenpeace, arrabbiato, “con gli uomini e le donne colpevoli
in fuga per l'aeroporto”. I titolisti dei giornali sono stati altrettanto
brutali: COPENHAGEN: LA MONACO DEI NOSTRI TEMPI?.
L'accordo
conteneva un numero importante, tuttavia.
Nel primo
paragrafo, riconosceva formalmente “la visione scientifica secondo cui
l'aumento delle temperature globali dovrebbe restare al di sotto dei 2 gradi
Centigradi”. E proprio nel paragrafo successivo dichiarava che “siamo d'accordo
sul fatto che profondi tagli nelle emissioni globali sono richiesti [...] così
da fermare l'aumento delle temperature globali al di sotto dei 2 gradi
Centigradi”.
Insistendo
sui 2 gradi Centigradi, circa 3,6 gradi Fahrenheit, l'accordo ha ratificato le
posizioni prese in precedenza nel 2009 dal G8 e dal Forum delle Maggiori Economie. Era
convenzionale così come la saggezza convenzionale lo può
percepire.
Questa
cifra è diventata convenzioneper la prima voltaalla conferenza sul clima del
1995 presieduta da Angela Merkel, allora ministro tedesco dell'ambiente e ora
Cancelliera di centro destra del paese.
Finora
abbiamo innalzato la temperatura media del pianeta di solo 0,8 gradi Centigradi
e ciò ha creato molti più danni di quanto si aspettassero la gran parte degli
scienziati. (Un terzo del ghiaccio estivo nell'Artico se ne è andato, gli
oceani sono più acidi del 30% e siccome l'aria calda trattiene più vapore
acqueo di quella fredda, l'atmosfera sugli oceani è più umida di uno scioccante
5%, pronta a provocare alluvioni devastanti).
Dati
questi impatti, infatti, molti scienziati sono giunti a pensare che 2 gradi sia
un obiettivo troppo indulgente. “Ogni numero molto al di sopra di un grado
comporta una scommessa”, scrive Kerry Emanuel del MIT, autorità eminente in
fatto di uragani, “e le probabilità diventano sempre meno favorevoli
all'aumentare della temperatura. Thomas Lovejoy, un tempo principale
consigliere sulla biodiversità della Banca Mondiale, la mette così: “ Se
vediamo ciò che vediamo oggi a 0,8 gradi centigradi, due gradi sono
semplicemente troppi”.
Lo
scienziato della NASA James Hansen, il più eminente climatologo del pianeta, è
anche più schietto: “L'obiettivo di cui si è parlato nei negoziati
internazionali per 2 gradi di riscaldamento è di fatto una prescrizione per un
disastro a lungo termine”. Al summit di Copenhagen, un relatore membro
dell'AOSIS [Alliance of Small Island
States, NdT] ha ammonito sul fatto che molti arcipelaghi non sopravviverebbero ad un aumento di 2
gradi: “Alcuni paesi scompariranno”.
Quando i
delegati dei paesi in via di sviluppo sono stati messi in guardia sul fatto che
2 gradi rappresenterebbero un “patto suicida” per l'Africa colpita dalle
siccità, molti di loro si sono messi a cantare “Un grado, un'Africa”.
Nonostante
le ben fondate perplessità, il realismo politico ha battuto i dati scientifici
e il mondo si è accordato su un obiettivo di 2 gradi – di fatto, è giusto dire
che questa è la sola cosa, riguardo al cambiamento climatico, sulla quale il
mondo si sia messo d'accordo. Nonostante le polemiche, 167 nazioni responsabili
per più del 87% delle emissioni mondiali di carbonio hanno firmato l'Accordo di
Copenhagen, avallando l'obbiettivo dei 2 gradi.
Solo una
dozzina di paesi lo hanno rifiutato, compresi Kuwait, Nicaragua e Venezuela.
Persino gli Emirati Arabi Uniti, che fanno gran parte dei loro soldi vendendo
petrolio e gas, hanno firmato. La posizione ufficiale del pianta Terra al
momento è che non possiamo aumentare la temperatura di più di 2 gradi
centigradi – è diventata la più bassa delle linee basse. Due gradi.
Il
Secondo Numero: 565 Gigatonnellate
Gli
scienziati stimano che gli esseri umani possono riversare approssimativamente
565 ulteriori gigatonnellate di anidride carbonica in atmosfera entro metà del
secolo ed avere ancora una speranza ragionevole di rimanere al di sotto dei 2
gradi. (“Ragionevole”, in questo caso, significa 4 opportunità su 5 o qualche
probabilità in meno che giocare alla roulette russa con una pistola a sei
colpi).
L'idea di
un “budget di carbonio” è emersa circa un decennio fa, quando gli scienziati
hanno cominciato a calcolare quanto petrolio, carbone e gas poteva essere
ancora bruciato con sicurezza. Siccome abbiamo aumentato la temperatura della
Terra di 0,8 gradi finora, attualmente ci troviamo a meno di metà strada
dall'obiettivo. Ma, di fatto, i modelli computerizzati calcolano che anche se
smettessimo di aumentare la CO2 ora, la temperatura aumenterebbe probabilmente
di altri 0,8 gradi, in quanto il carbonio rilasciato in precedenza continua a
surriscaldare l'atmosfera. Ciò significa che siamo già a 3 quarti del percorso
verso l'obiettivo dei 2 gradi.
Quanto
sono validi questi numeri? Nessuno insiste sul fatto che siano esatti, ma pochi
mettono in dubbio che siano generalmente giusti. La figura delle 565
gigatonnellate deriva da una delle più sofisticate simulazioni computerizzate
che siano state costruite dagli scienziati del clima nel mondo nei decenni
scorsi.
E il
numero è stato ulteriormente confermato dai più recenti modelli di simulazione
climatica attualmente portati a termine come anticipazione del prossimo
rapporto del IPCC [Intergovernmental Panel on Climate Change, NdT].
“Guardandoli mentre arrivano, difficilmente differiscono”, dice Tom Wigley, un
climatologo australiano al Centro Nazionale per la Ricerca Atmosferica. “Ci
sono circa 40 modelli nella serie di dati ora, rispetto ai 20 precedenti. Ma
finora i numeri sono sostanzialmente gli stessi. Stiamo semplicemente affinando
le cose. Non credo sia cambiato molto nell'ultimo decennio”. William Collins,
scienziato del clima al Laboratorio
Nazionale Lawrence Berkeley, è d'accordo. “Penso che il risultato di questo
giro di simulazioni sarà piuttosto simile”, dice. “Non otterremo niente di
nuovo da un'ulteriore comprensione del sistema del clima”.
Non
otterremo niente di nuovo neanche dalle economie mondiali. Con una pausa di un
solo anno nel 2009, al vertice della crisi finanziaria, abbiamo continuato a
riversare quantità record di carbonio nell'atmosfera, anno dopo anno.
Alla fine
di maggio, la IEA [International Energy Agency NdT] ha pubblicato le sue ultime
proiezioni – le emissioni di CO2 sono aumentate di 31,6 gigatonnellate lo
scorso anno, oltre il 3,2% rispetto all'anno precedente. L'America ha avuto un
inverno caldo ed ha convertito più centrali da carbone a gas naturale, quindi le
sue emissioni sono leggermente scese.
Il boom
della Cina è continuato, e le sue
emissioni di carbonio (che hanno recentemente superato quelle degli Stati
Uniti) sono cresciute del 9,3%.
I
giapponesi hanno spento il loro parco nucleare dopo Fukushima, quindi le loro
emissioni hanno sfiorato il 2,4%.
“Ci sono
stati sforzi per usare più energia rinnovabile e migliorare l'efficienza
energetica”, ha detto Corinne Le Quéré, che dirige il centro inglese per la
ricerca sul clima Tyndall. “Ma ciò che questo mostra è che finora gli effetti
sono stati marginali”. Infatti, studio dopo studio prevede che le emissioni di
carbonio continueranno a crescere di circa il 3% all'anno e a questo tasso,
raggiungeremo la nostra tolleranza 565 gigatonnellate in 16 anni, più o meno
quando chi oggi fa l'asilo prenderà la maturità.
“I nuovi
dati forniscono ulteriore prova che la porta verso una traiettoria di 2 gradi
si sta per chiudere”. Ha detto Fatih Birol, il capo Economista della IEA.
Infatti, ha continuato, “Quando guardo questi dati, la tendenza è perfettamente
in linea con un aumento di temperatura di circa 6 gradi” Sono circa 11 gradi
Faherenheit, il che produrrebbe uno scenario planetario di fantascienza
Quindi, nuovi dati alla mano, tutti alla conferenza di Rio hanno rinnovato i loro richiami rituali per una seria azione internazionale per riportarci su una traiettoria di 2 gradi. La farsa continuerà a novembre, quando la prossima Conferenza delle Parti (COP) del UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) si riunirà in Qatar.
Quindi, nuovi dati alla mano, tutti alla conferenza di Rio hanno rinnovato i loro richiami rituali per una seria azione internazionale per riportarci su una traiettoria di 2 gradi. La farsa continuerà a novembre, quando la prossima Conferenza delle Parti (COP) del UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) si riunirà in Qatar.
Sarà il
COP 18 – il COP 1 si era tenuto a Berlino nel 1995 e da allora il processo non
ha realizzato essenzialmente nulla.
Anche gli
scienziati, che sono notoriamente riluttanti ad esporsi, stanno lentamente
superando la loro naturale preferenza a fornire semplicemente dei dati. “ Il
messaggio è stato costante per circa 30 anni ora”, dice Collins con un sorriso
tirato, “ed abbiamo gli strumenti ed il potere computazionale richiesto per
presentare le prove in dettaglio: se scegliamo di continuare nel nostro attuale
corso d'azione, dovrebbe essere fatto con una valutazione piena delle prove che
la comunità scientifica ha presentato”.
Si ferma
un attimo, improvvisamente conscio di essere registrato. “Dovrei dire una più
piena valutazione delle prove”. Finora, tuttavia, tali richiami hanno avuto
un effetto trascurabile. Siamo nella stessa posizione da un quarto di secolo:
allarme scientifico seguito da inazione politica. Uno scienziato di lungo corso
mi ha detto: “Conosci quei nuovi pacchi di sigarette dove il governo fa mettere
una foto di qualcuno che ha un buco in gola? Le emissioni di gas serra
dovrebbero avere qualcosa di simile”.
Il Terzo Numero: 2,795 Gigatonnellate
Questo
numero è il più spaventoso di tutti, un numero che, per la prima volta, da
l'idea delle dimensioni politiche e scientifiche del nostro dilemma. E' stato
evidenziato l'estate scorsa dal Carbon Tracker Initiative, un gruppo di analisti
finanziari ed ambientalisti di Londra che hanno pubblicato un rapporto nel
tentativo di educare gli investitori sui possibili rischi che pone il
cambiamento climatico sul loro portafoglio di azioni. Il numero indica la
quantità di carbonio già contenuta nelle riserve provate di carbone, petrolio e
gas delle compagnie di combustibili fossili e dei paesi (come Venezuela o
Kuwait) che agiscono come compagnie di combustibili fossili. In breve, sono i
combustibili fossili che stiamo pianificando di bruciare. E il punto chiave è
che questo nuovo numero, 2795 – è più altro di 565. Cinque volte tanto.
Il Carbon Tracker Initiative – guidato da James Leaton, un ambientalista che è stato consulente per il gigante della contabilità PricewaterhouseCoopers – ha spulciato fra i database privati per scoprire quanto petrolio, gas e carbone hanno come riserva la maggiori compagnie energetiche.
I numeri
non sono imperfetti – non riflettono pienamente la recente ondata di energia
non convenzionale come il gas di scisti e non rispecchiano con precisione le
riserve di carbone, che sono soggette a prescrizioni di rapporto meno
stringenti di petrolio e gas. Ma per le compagnie più grandi, le figure sono
proprio esatte: se bruciassimo tutto quanto si trova a inventario della Lkoil
in Russia e della ExxonMobil in America, per esempio, che guidano la lista di
compagnie di petrolio e gas, ognuna rilascerebbe più di 40 gigatonnellate di
anidride carbonica in atmosfera. Che è esattamente il motivo per cui questo
nuovo numero, 2975 gigatonnellate, è un grande affare.
Pensate a 2 gradi
centigradi come al limite legale per le bevande alcooliche – equivalente al
livello alcoolico di 0,08 sotto il quale potreste guidare fino a casa. Le 565
gigatonnellate rappresentano quanti bicchieri potreste bere rimanendo sotto il
limite – le sei birre, diciamo, che potreste consumare in una serata. E le 2975
gigatonnellate? Sono i tre pacchi da 12 che l'industria dei combustibili
fossili ha sul tavolo, già aperte e pronte da versare.
Abbiamo a
registro cinque volte tanto petrolio, carbone e gas di quanto gli scienziati
del clima pensano sia sicuro bruciare. Dovremmo conservare l'80% di quelle
riserve intrappolate sottoterra per evitare il destino. Prima che conoscessimo
quei numeri, il nostro destino era probabile.
Ora, a parte
il blocco di un intervento così massiccio, sembra essere certo. Sì, questo
carbone, gas e petrolio è ancora tecnicamente sottoterra. Ma è già
economicamente estratto. Viene calcolato nei prezzi della azioni, le compagnie
prendono soldi in prestito contro di esso, le nazioni basano i propri bilanci
sui presunti ritorni dal loro patrimonio.
Questo
spiega perché le grandi compagnie di combustibili fossili hanno combattuto così
duramente per prevenire la regolamentazione dell'anidride carbonica, quelle riserve
sono il loro bene principale, il patrimonio che dà alle loro compagnie il loro
valore.
E' il
motivo per cui hanno lavorato così alacremente, negli anni passati, per
scoprire come liberare il petrolio dalle sabbie bituminose del Canada, o come
perforare per miglia in fondo al mare, o come fratturare i monti Appalachi.
Se
diceste a Exxon o a Lukoil che, per evitare di distruggere il clima, di non
pompare le loro riserve, il valore delle loro compagnie precipiterebbe. John
Fullerton, un ex direttore di gestione della JP Morgan che ora dirige il Capita
Institute, calcola che al valore di mercato odierno, quelle 2975 gigatonnellate
di emissioni di carbonio valgono circa 27 trilioni di dollari.
Vale a
dire, se date retta agli scienziati e conservate l'80% di esse sottoterra,
cancellate 20 trilioni di dollari di patrimonio. I numeri non sono esatti,
naturalmente, ma la bolla del carbonio rende la bolla delle abitazioni molto
piccola a confronto. Non necessariamente esploderà, potremmo realmente bruciare
tutto quel carbonio, nel qual caso gli investitori saranno contenti. Ma se lo
facessimo, il pianeta sarà a crateri.
Potete
avere un bilancio dei combustibili fossili salutare o un pianeta relativamente
in salute, ma ora che conosciamo i numeri, sembra che non possiamo avere
entrambe le cose. Fate il conto: 2975 è cinque volte 565. E' così che finisce
la storia. Finora, come ho detto all'inizio, gli sforzi ambientali per
affrontare il riscaldamento globale sono falliti.
Le
emissioni planetarie di anidride carbonica continuano a volare, specialmente
ora che i paesi in via di sviluppo emulano (e sostituiscono) le industrie
dell'occidente. Anche nelle nazioni ricche, piccole riduzioni delle emissioni
non danno segni di una reale rottura dello status quo che ci servirebbe per
capovolgere la logica di ferro di questi tre numeri.
La
Germania è uno dei pochi grandi paesi che abbia realmente tentato di cambiare il suo mix energetico. In un
sabato soleggiato di fine maggio, quella nazione così a nord ha generato quasi
metà della sua potenza con pannelli solari entro i suoi confini. E' un piccolo
miracolo e dimostra che abbiamo la tecnologia per risolvere i nostri problemi.
Ma ci manca la volontà. Finora, la Germania è l'eccezione, la regola è sempre
più carbonio.
Questa
ammissione di fallimento significa che sappiamo molto su quali strategie non
funzionano. I gruppi verdi, per esempio, hanno passato molto tempo provando
a cambiare gli stili di vita individuali: la proverbiale lampadina a torciglione è stata installata da
milioni di persone, ma così c'è una nuova generazione di televisori succhia
energia a schermo piatto.
Molti di
noi sono fondamentalmente ambivalenti nel diventare verdi: ci piacciono in voli
economici per i posti caldi e non vi rinunciamo certamente se qualcun altro li
prende ancora. Siccome tutti noi siamo in qualche modo i beneficiari dei
combustibili fossili a buon mercato, affrontare il cambiamento climatico è
stato come provare a costruire un movimento contro sé stessi. E' come se il movimento
per i diritti dei gay dovesse essere costruito completamente da dei predicatori
evangelici, oppure il movimento contro la schiavitù dagli schiavisti.
La gente
percepisce, correttamente, che le proprie azioni individuali non faranno una
differenza decisiva nella concentrazione atmosferica della CO2; dal 2010, un
sondaggio ha scoperto che “mentre il riciclaggio è molto diffuso in America e
il 73% degli intervistati paga i conti online per risparmiare carta”, solo il
4% ha ridotto l'uso dei servizi e solo il 3% ha comprato auto ibride.
In cento
anni, potreste in teoria cambiare gli stili di vita a sufficienza per contare,
ma il tempo è proprio ciò che ci manca. Un metodo più efficiente, naturalmente,
sarebbe lavorare sul sistema politico e gli ambientalisti hanno provato anche
questo, con lo stesso, limitato successo.
Hanno
pazientemente esercitato pressione sui leader, cercando di convincerli del
pericolo e dando per scontato che i politici avrebbero prestato attenzione agli
avvertimenti. A volte è sembrato funzionare. Barack Obama, per esempio, ha
fatto una campagna più aggressiva sul cambiamento climatico di ogni altro
presidente prima di lui. La notte in cui ha vinto le primarie ha detto ai suoi
sostenitori che la sua elezione avrebbe segnato il momento in cui “l'aumento
del livello degli oceani avrebbe iniziato arallentare e il pianeta a guarire”.
Haa
ottenuto un cambiamento significativo: un aumento costante nell'efficienza dei
carburanti imposta per le automobili. E' il tipo di misura, adottata un quarto
di secolo fa, che avrebbe aiutato enormemente: Ma alla luce dei numeri che vi
ho appena descritto, ovviamente è di fatto un inizio molto debole.
A questo
punto, un'azione efficace richiederebbe in realtà di mantenere sottoterra gran
parte del carbonio che l'industria dei combustibili fossili vuole bruciare, non
solo cambiare leggermente la velocità alla quale vengono bruciati.
E qui il
presidente, apparentemente stregato dal grido ancora echeggiante di “Scava,
piccola, scava”, è uscito dal proprio seminato per fratturare e estrarre. Il
suo segretario agli interni, per esempio, ha aperto un enorme corridoio per
l'estrazione del carbone nel Bacino del Fiume Powder, in Wyoming: tutto il
bacino contiene un valore di circa 67,5 gigatonnellate di carbonio (o più del
10% dello spazio atmosferico disponibile). Obama sta facendo al stessa cosa con
le perforazione nell'Artico e offshore.
Di fatto,
come ha spiegato nel troncone di marzo, “Avete la mia parola che continueremo a
perforare ovunque possiamo... Questa è una promessa che vi faccio”. Il giorno
successivo, in una cantiere pieno di tubi a Cushing, in Oklahoma, il presidente
ha promesso di lavorare sull'energia solare ed eolica ma, allo stesso tempo, di
accelerare lo sviluppo dei combustibili fossili: “Produrre più petrolio e gas
in casa è stato e continuerà ad essere una parte critica di una strategia
energetica”. Cioè, ha promesso di trovare ancora più riserve da aggiungere
all'inventario delle 2975 gigatonnellate di carbonio non ancora bruciate.
A volte l'ironia è quasi ovvia su scala Borat: all'inizio di giugno, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha viaggiato su un peschereccio norvegese per vedere di persona il danno crescente del cambiamento climatico. “Molte delle previsioni sul riscaldamento nell'Artico sono state superate dai dati attuali”, ha detto, “e fa riflettere”.
A volte l'ironia è quasi ovvia su scala Borat: all'inizio di giugno, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha viaggiato su un peschereccio norvegese per vedere di persona il danno crescente del cambiamento climatico. “Molte delle previsioni sul riscaldamento nell'Artico sono state superate dai dati attuali”, ha detto, “e fa riflettere”.
Ma le
discussioni per cui aveva viaggiato in Scandinavia e che doveva fare con gli
altri ministri degli esteri, erano prevalentemente su come assicurarsi che le
nazioni occidentali avessero la loro parte dei 9 trilioni di dollari stimati in
petrolio (che sono più di 90 miliardi di barili, o 37 gigatonnellate di
carbonio) che sarà accessibile quando il ghiaccio Artico si scioglierà.
Il mese
scorso, l'Amministrazione Obama ha indicato che avrebbe dato alla Shell il
permesso di cominciare a perforare in parti dell'Artico. Quasi tutti i governi
con depositi di idrocarburi hanno i piedi su due staffe allo stesso modo.
Il
Canada, per esempio, è una democrazia liberale rinomata per il suo
internazionalismo – non è un miracolo, quindi, che abbia firmato il trattato di
Kyoto, promettendo di tagliare le sue emissioni di carbonio in modo sostanziale
dal 2012. Ma l'aumento del prezzo del petrolio ha improvvisamente reso le
sabbie bituminose dell'Alberta economicamente attraenti e da allora, come ha
indicato il climatologo della NASA James Hansen in maggio, esse contengono
qualcosa come 240 gigatonnellate di carbonio (o quasi la metà dello spazio
disponibile se prendiamo seriamente il limite dei 565), che significava che
l'impegno del Canada a Kyoto era una sciocchezza.
A
dicembre, il governo canadese si è ritirato dal trattato prima di affrontare le
multe per aver mancato di assolvere ai propri impegni.
Lo stesso
tipo di ipocrisia si applica su tutta la linea ideologica: nel suo discorso
alla conferenza di Copenhagen, Hugo Chavez del Venezuela ha citato Rosa
Luxemburg, Jean-Jacques Rousseau e “Cristo il redentore”, insistendo sul fatto
che il “cambiamento climatico è indubitabilmente il problema ambientale più
devastante di questo secolo”.
Ma la
primavera successiva, nella Hall Simon Bolivar della compagnia petrolifera di
stato, ha firmato un trattato con un consorzio di attori internazionali per
sviluppare la ampie sabbie bituminose dell'Orinoco come “il motore più
significativo per uno sviluppo complessivo dell'intero territorio e della
popolazione venezuelana”. I depositi dell'Orinoco sono più grandi di quelli
dell'Alberta, presi insieme riempirebbero tutto lo spazio atmosferico
disponibile.
Quindi:
le strade che abbiamo tentato per affrontare il riscaldamento globale hanno
prodotto finora solo frenate graduali. Un cambiamento rapido e di
trasformazione richiederebbe la costruzione di un movimento e i movimenti hanno
bisogno di nemici. Come lo esprimeva John F. Kennedy, “Il movimento per i
diritti civili dovrebbe ringraziare Dio per Bull Connor. Lui lo ha aiutato almeno
quanto Abramo Lincoln”.
E sono
proprio i nemici che sono mancati al cambiamento climatico. Ma ciò che tutti
questi numeri sul clima rendono dolorosamente e utilmente chiaro, è che il
pianeta ha di fatto un nemico, uno di gran lunga più impegnato nell'azione che
non i governi o i singoli individui. Data questa dura matematica, dobbiamo
vedere l'industria dei combustibili fossili sotto una nuova luce. E' diventata
un'industria delinquente, incosciente come nessuna altra forza sulla Terra.
E' il
Nemico Pubblico Numero Uno (Public Enemy Number One) per la sopravvivenza della
nostra civiltà planetaria. “Molte compagnie fanno cose schifose durante i loro
affari - pagano salari terribili, fanno lavorare la gente in clandestinità – e
noi facciamo loro pressione perché cambino quelle pratiche”, dice la veterana
leader contro le multinazionali Naomi Klein, che sta lavorando ad un libro
sulla crisi climatica. “Ma questi numeri rendono chiaro che con l'industria dei
combustibili fossili, distruggere il pianeta è il loro modello commerciale. E'
quello di cui si occupano”.
Secondo il rapporto del Carbon Tracker, se la Exxon bruciasse le sue attuali riserve userebbe oltre i 7% dello spazio atmosferico disponibile fra noi ed il rischio dei 2 gradi. La BP è subito dietro, seguita dalla russa Gazprom, poi Chevron, ConocoPhillips e Shell, ognuna delle quali ne riempirebbero fra il 3 e il 4%. Prese insieme, solo queste 6 imprese delle 200 elencate nel rapporto del Carbon Tracker, userebbero oltre un quarto del rimanente bilancio per i 2 gradi. La Severstal, il gigante delle miniere russo, guida la lista delle compagnie del carbone, seguita da imprese come la BHP Billiton e Peabody. I numeri sono semplicemente sconcertanti.
Questa
industria, da sola, ha il potere di cambiare la fisica e la chimica del pianeta
del nostro pianeta e sta pianificando di farlo . Sono chiaramente consapevoli
del riscaldamento globale – si avvalgono di alcuni degli scienziati migliori
del mondo, dopo tutto, e stanno facendo offerte su tutti quei contratti
petroliferi resi possibili dall'impressionante scioglimento del ghiaccio
Artico.
E cercano
ancora senza sosta alti idrocarburi. All'inizio di marzo, l'amministratore
delegato di Exxon Rex Tillerson ha raccontato agli analisti di Wall Street che
la compagnia pianifica di spendere 37 miliardi di dollari entro il 2016 (circa
100 milioni al giorno) per cercare ulteriore petrolio e gas.
Non c'è
una persona più incosciente al mondo di Tillerson. Alla fine del mese scorso,
nello stesso giorno in cui gli incendi in Colorado hanno raggiunto il loro
massimo, ha detto al pubblico di New York che il riscaldamento globale è reale,
ma l'ha liquidata come “problema di ingegneria” e che ha “soluzioni
ingegneristiche”. Tipo? “Cambiamenti negli schemi meteorologici che spostano le
aree di produzione dei raccolti; ci adatteremo a questo”. Questo in una
settimana in cui i contadini del Kentucky stavano raccontando che i semi del
mais stavano “abortendo” per il caldo record, minacciando un picco dei prezzi
globali degli alimenti. “Il fattore paura che la gente vuole mettere avanti per
dire 'Dobbiamo semplicemente fermare tutto questo' io non lo accetto”, ha detto
Tillerson. Naturalmente no, se lo accettasse, dovrebbe mantenere le sue riserve
nel sottosuolo. Il che gli costerebbe dei soldi. Non è un problema ingegneristico.
In altre parole, è un problema di avidità.
Potreste obiettare che sia semplicemente la natura stessa di quelle compagnie, che, trovata una vena redditizia, hanno l'impulso di continuare a sfruttarla, più come degli automi efficienti che come delle persone con un libero arbitrio.
Ma come
ha chiarito la Corte Suprema, si tratta di una specie di persone. Infatti,
grazie alla dimensione delle loro finanze, le industrie dei combustibili
fossili hanno molto più libero arbitrio che il resto di noi. Queste compagnie
non si limitano a soddisfare gli appetiti di un mondo. Esse aiutano a creare i
confini di quel mondo.
Se
potessimo fare da soli, noi cittadini potremmo decidere di regolare le
emissioni di carbonio e fermarci poco prima del precipizio; secondo un
sondaggio recente, quasi i due terzi degli americani vorrebbe un nuovo trattato
internazionale che tagli le emissioni del 90% dal 2050. Ma non possiamo fare da
soli. I fratelli Koch, per esempio, possiedono una ricchezza complessiva di 50
miliardi di dollari, il che significa che inseguono soltanto Bill Gates nella
lista degli americani più ricchi.
Hanno
fatto gran parte dei loro soldi con gli idrocarburi. Sanno che qualsiasi
sistema per regolamentare il carbonio ridurrebbe i loro profitti ed hanno
pianificato in un rapporto di elargire 200 milioni di dollari quest'anno per le
elezioni. Nel 2009, per la prima volta, la Camera di commercio degli Stati
uniti ha superato entrambi i Comitati nazionali, democratico e repubblicano, in
spese politiche.
L'anno
seguente più del 90% del contante della camera è andato ai candidati del GOP –
Grand Old Party (Gran Vecchio Partito) – molti dei quali negano l'esistenza del
riscaldamento globale. Non molto tempo fa, la Camera ha addirittura presentato
un esposto all'EPA – Environment Protection Agency (Agenzia di protezione
Ambientale) – sollecitando l'agenzia a non regolamentare il carbonio.
Se
dovesse risultare che gli scienziati del mondo hanno ragione, ha ammonito la
Camera, “le popolazioni si possono acclimatare a climi più caldi attraverso una
gamma di adattamenti comportamentali, psicologici e tecnologici”. Per quanto
sembri radicale, chiederci di cambiare la nostra fisiologia sembra essere
proprio la vera questione.
Gli
ambientalisti, comprensibilmente, sono stati restii a fare delle industria dei
combustibili fossili il proprio nemico, rispettando il loro potere politico e
sperando invece di poter convincere questi giganti che dovessero abbandonare il
carbone, il petrolio ed il gas e trasformare sé stesse più in generale in
“compagnie energetiche”.
A volte
questa strategia è sembrata funzionare (enfasi su “è sembrata”). Intorno al
passaggio di secolo, per esempio, la BP ha fatto un breve tentativo di
restyling come British Petroleum”, adattando un logo che sembrava il Sole e dei
pannelli solari sui tetti di alcuni dei suoi distributori. Ma i suoi
investimenti in energie alternative non sono mai stati che un piccola frazione
del suo bilancio per l'esplorazione di idrocarburi e, dopo pochi anni, molti di
essi sono andati scemando quando il nuovo amministratore delegato ha insistito
sul ritorno dell'azienda al suo “core business”. In dicembre, alla fine la BP
ha chiuso il suo comparto solare. La Shell ha chiuso i suoi sforzi solari ed
eolici nel 2009. Le 5 più grandi aziende hanno fatto più di un trilione di
dollari di profitti dal cambio di millennio. C'è semplicemente troppo denaro da
fare col petrolio, il gas ed il carbone per dare la caccia alle brezze ad ai
raggi solari.
Gran
parte di quel profitto deriva da un incidente storico unico: solo caso fra le
imprese, all'industria dei combustibili fossili è consentito di scaricare il
suo rifiuto principale, l'anidride carbonica, gratuitamente. Nessun altro ha
questa opportunità. Se hai un ristorante devi pagare qualcuno per portarti via
i rifiuti, visto che ammucchiarli sulla strada favorirebbe il proliferare dei
topi.
Ma
l'industria dei combustibili fossili è diversa, per solide ragioni storiche:
fino a un quarto di secolo fa, quasi nessuno sapeva che la CO2 era pericolosa.
Ma ora che capiamo che il carbonio sta scaldando il pianeta e acidificando gli
oceani, il suo prezzo diventa il problema centrale. Se mettete un prezzo al
carbonio, attraverso una tassa diretta o altri metodi, appoggerebbe i mercati nella
lotta contro il riscaldamento globale. Una volta che Exxon dovesse pagare per
il danno che il suo carbonio arreca all'atmosfera, il prezzo dei suoi prodotti
crescerebbe. I consumatori avrebbero un segnale forte per usare meno
combustibili fossili. Ogni volta che si fermasseroad un distributore, gli
verrebbe ricordato che non hanno bisogno di un veicolo semi-militare per andare
nel negozio di alimentari.
Il campo
di gioco economico diventerebbe a questo punto una baseline per le fonti di
energia non inquinanti. Potremmo farlo
senza far fare bancarotta ai cittadini – uno schema cosiddetto “tassa e
dividendi” metterebbe una robusta tassa su carbone, gas e petrolio, quindi
suddividerebbe i proventi, spedendo a tutti i cittadini un assegno mensile come ristorno dei costi aggiunti del
carbonio. Passando ad energie più pulite, gran parte della gente in realtà se
la caverebbe bene.
C'è solo
un problema: mettere un prezzo sul carbonio ridurrebbe la redditività
dell'industria dei combustibili fossili. Dopo tutto, la risposta alla domanda
“quanto dovrebbe essere alto il prezzo del carbonio?” è: abbastanza alto da
conservare quelle riserve di carbonio che ci farebbero superare i 2 gradi in modo sicuro nel sottosuolo”. Più è alto il
prezzo del carbonio, più quelle riserve sarebbero senza valore. La lotta alla
fine, gira intorno all'interrogativose l'industria riuscirà nella sua lotta per
mantenere il suo speciale privilegio di inquinare oltre il livello della
catastrofe climatica o se, per dirlo al modo degli economisti, gli faremo
interiorizzare quelle esternalità.
Non è
chiaro, naturalmente, che il potere dell'industria dei combustibili fossili
possa essere spezzato. Gli analisti del Regno Unito che hanno scritto il
rapporto del Carbon Tracker ed hanno richiamato l'attenzione su questi numeri
avevano un obbiettivo relativamente modesto: volevano semplicemente ricordare
agli investitori che il cambiamento climatico pone un rischio davvero reale al
mercato azionario delle compagnie energetiche.
Diciamo
che qualcosa di così grande alla fine accade (un gigantesco uragano inonda
Manhattan, una mega siccità spazza via l'agricoltura dal Midwest) e che persino
il potere politico dell'industria è inadeguato a frenare i legislatori che
riusciranno a regolamentare il carbonio.
All'improvviso,
quelle riserve della Chevron avrebbero un valore considerevolmente inferiore e
lo stock rimarrebbe in magazzino. Dato questo rischio, il rapporto del Carbon
Tracker ha avvertito gli investitori di diminuire la loro esposizione, arginandola
con grandi investimenti in energie alternative.
“Il
normale processo di evoluzione economica è che le aziende vengono lasciate con
attivi bloccati per tutto il tempo”, dice Nick Robins, che guida il Centro per
il Cambiamento Climatico della HSBC. “Pensate alle telecamere a pellicola, o
alle macchine da scrivere. La questione non è se questo accadrà. Accadrà. Il
sistema pensionistico è stato colpito dalla crisi del credito telematico. Gli
attuali investitori saranno colpiti da questa”.
Tuttavia,
non è stato facile convincere gli investitori che hanno condiviso i profitti
record dell'industria petrolifera. “La ragione per cui si hanno le bolle”,
sospira Leaton, “è che tutti pensano di essere i migliori analisti, che
arriveranno fino al bordo del dirupo e poi salteranno indietro quando tutti gli
altri ci salteranno dentro”.
Quindi,
un semplice interesse personale non provocherà una sfida di trasformazione ai
combustibili fossili. Ma lo sdegno morale potrebbe e questo è il vero
significato di questa nuova matematica. Essa potrebbe, probabilmente, dare vita
ad un vero movimento.
Una
volta, nella recente storia corporativa, la rabbia ha costretto un'industria a
fare cambiamenti fondamentali.
E' stata
la campagna che negli anni 80 chiedeva di togliere gli investimenti dalle
compagnie che facevano affari in Sud africa. E' cresciuta inizialmente nei
campus dei college e si è successivamente diffusa alle amministrazioni comunali
ed ai governi. 155 campus alla fine hanno disinvestito e, alla fine del decennio,
più di 80 città, 25 stati e 19 contee hanno intrapreso qualche forma di azione
economica vincolante contro le compagnie collegate al regime dell'apartheid.
“La fine dell'apartheid rimane uno delle
maggiori realizzazioni del secolo passato” come ha detto l'arcivescovo Desmond
Tutu, “ma non ce l'avremmo fatta senza l'aiuto delle pressioni internazionali”,
specialmente da parte del “movimento per il taglio degli investimenti degli
anni 80”.
L'industria dei combustibili fossili è ovviamente un avversario più duro e anche se si potesse forzare la mano di particolari compagnie, si dovrebbe ancora immaginare una strategia per avere a che fare con tutti i paesi sovrani che, di fatto, agiscono come compagnie di combustibili fossili.
Ma il
collegamento per gli studenti del college è ancora più ovvio, in questo caso.
Se il loro portafoglio di dotazione contiene azioni di combustibili fossili,
allora la loro educazione sarà sovvenzionata da investimenti che garantiscono
che non avranno più un pianeta sul quale esercitare la loro qualifica.
(La
stessa logica si applica ai più grandi investitori del mondo, ai fondi
pensione, che sono anche essi teoricamente interessati al futuro, quando i loro
membri “si godranno la pensione”). “Data la serietà della crisi climatica, una
richiesta analoga alle nostre istituzioni scarichino azioni dalle compagnie che
stanno distruggendo il pianeta non sarebbe solo appropriata, ma effettiva”,
dice Bob Massie, un ex attivista anti apartheid che ha aiutato a finanziare
l'Investor Network on Climate Risk (Network di Investitori sul Rischio
Climatico). “Il messaggio è semplice: ne abbiamo avuto abbastanza: Dobbiamo
rompere i legami che ci ricava profitti dal cambiamento climatico, adesso”.
Raramente
i movimenti hanno conseguenze prevedibili. Ma ogni campagna che indebolisca la
posizione politica dell'industria dei combustibili fossili aumenta le
possibilità di revocare i loro privilegi speciali. Considerate il risultato del
presidente Obama nella lotta climatica, il grande aumento che ha ottenuto nei
limiti dei consumi per le auto.
Gli
scienziati, gli ambientalisti e gli ingegneri, hanno propugnato tali politiche
per decenni, ma finché Detroit non è finita in una dura pressione finanziaria,
l'industriaè stata politicamente abbastanza potente da respingerle. Se la gente
arriva a capire la fredda, matematica realtà – che l'industria dei combustibili
fossili sta sistematicamente minando il sistema fisico planetario – potrebbe
indebolirla abbastanza da contare politicamente.
La Exxon
e la sua stirpe potrebbero abbandonare la loro opposizione ad una soluzione
'tasse e redistribuzione': Potrebbero persino decidere di diventare vere
compagnie energetiche, stavolta sul serio.
Anche se
una tale campagna fosse possibile, tuttavia potremmo aver aspettato troppo a
lungo per farla partire. Per fare la differenza, per mantenerci su un
incremento della temperatura al di sotto dei 2 gradi, sarebbe necessario
cambiare il prezzo del carbonio a Washington e poi usare tale vittoria per far
leva su cambiamenti analoghi nel mondo.
A questo
punto, quello che accade negli Stati Uniti è più importante per come
influenzerà Cina e India, dove le emissioni stanno aumentando più velocemente
che altrove (all'inizio di giugno, i ricercatori hanno concluso che la Cina ha
presentato, probabilmente per difetto, le proprie emissioni di oltre il 20%).
I tre
numeri che ho descritto sono scoraggianti, potrebbero definire un futuro
essenzialmente impossibile. Ma almeno forniscono chiarezza intellettuale sulla
più grande sfida che gli esseri umani abbiano mai affrontato. Sappiamo quanto
carbonio possiamo bruciare e sappiamo chi sta pianificando di bruciarne di più.
Il cambiamento climatico opera su una scala geologica e su quadri temporali, ma
non è un'impersonale forza della natura; più calcoli in modo preciso, più a
fondo ti rendi conto che questa è, in fondo, una questione morale. Abbiamo
incontrato il nemico e questo è la Shell.
Nel
frattempo la marea di numeri continua. La settimana successiva a quella in cui
la conferenza di Rio è giunta claudicante alla sua conclusione, il ghiaccio
marino dell'Artico ha raggiunto il livello minimo mai registrato in quella
data. Il mese scorso, in un solo fine settimana, la tempesta tropicale Debby ha
scaricato più di 20 pollici di pioggia sulla Florida, la prima che sia mai
arrivata nella stagione. Allo stesso tempo, ci sono stati i più grandi incendi
nella storia del Nuovo Messico e gli incendi più distruttivi negli annali del
Colorado hanno rivendicato 346 abitazioni a Colorado Springs, spezzando un
record stabilito la settimana precedente a Fort Collins. Questo mese, gli
scienziati hanno pubblicato un nuovo studio che conclude che il riscaldamento
globale ha aumentato drammaticamente la probabilità di gravi ondate di calore e
siccità.
Pochi
giorni dopo un'ondata di calore sugli altipiani del Midwest ha superato i
record che resistevano dai tempi del Dust Bowl, minacciando il raccolto di
annuale. Volete un grande numero? Nel corso di questo mese, un quadrilione (10
alla ventiquattresima) di semi di mais hanno bisogno di essere impollinati
lungo la 'fascia del grano', cosa che non può essere fatta se le temperature
rimangono fuori scala. Proprio come noi, i nostri raccolti sono adattati
all'Olocene, il periodo di 11.000 anni di stabilità climatica che stiamo per
lasciare... nella polvere.
Questa storia proviene dal numero del 2 agosto 2012 di
Rolling Stone.
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Climatico
2 commenti:
Dio acceca chi vuol perdere.
Felice CELESTINO
Sembrava ieri che a scuola si parlava di riscaldamento globale. Invece sono passati già 20 anni, e ancora nulla non cambia!
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