Le economie occidentali sono caratterizzate dalla presenza più o meno marcata dello Stato sociale, cioè dell’intervento pubblico nell’economia per finanziare esigenze sociali primarie come la sanità, l’istruzione, la previdenza sociale, la giustizia, la sicurezza ecc. e per sostenere il meccanismo della crescita economica anche attraverso politiche di investimento nelle opere pubbliche.
Gli Stati finanziano queste spese attraverso il prelievo fiscale e, negli ultimi anni, indebitandosi con l’emissione dei titoli di Stato. Attraverso questo meccanismo, lo Stato chiede in prestito ai propri cittadini il denaro necessario a garantire la copertura di disavanzi crescenti tra spese ed entrate e si impegna a restituirlo entro una certa data, maggiorato degli interessi. Si tratta di un meccanismo evidentemente perverso perché gli interessi sui titoli di Stato vanno ad aumentare ogni anno le spese e quindi la necessità di ricorso al mercato per finanziare il debito, alimentando un circolo vizioso generatore di nuovo debito, attraverso una sorta di catena di S.Antonio non molto dissimile da quella che ha mandato all’ergastolo di recente negli Stati Uniti il banchiere criminale Madoff.
Naturalmente, fin quando l’economia di un paese cresce costantemente, il maggior gettito fiscale e la maggiore propensione agli investimenti da parte dei privati tengono in piedi questo sistema traballante. Infatti, non a caso, il debito e il deficit pubblico vengono sempre valutati in rapporto al PIL. Dal dopoguerra ad oggi, il continuo progredire del benessere economico ha inculcato nell’opinione pubblica il concetto che “i soldi non finissero mai”. Ma i soldi non crescono sugli alberi per essere colti all’occorrenza, come molti sembra si siano ormai convinti. La tremenda crisi economica tuttora in corso determinata dall’irresponsabile indebitamento privato degli americani sta conducendo molti Stati nazionali, sotto la pressione della speculazione finanziaria, sull’orlo della bancarotta, proprio per i rischi sempre più concreti di insolvenza rispetto agli enormi debiti contratti negli anni. Se la sfiducia dovesse prevalere e le aste dei titoli di Stato cominciassero ad andare deserte si determinerebbe una situazione d’instabilità economica con conseguenze drammatiche per lo Stato sociale e la vita delle persone.
Purtroppo, molti sottovalutano ancora questa situazione, nell’attesa messianica di una nuova stagione di crescita economica che spazzi via le conseguenze nefaste della crisi. Sfortunatamente si sbagliano, perché non tengono conto di una variabile finora non considerata dalla scienza economica ufficiale, cioè l’esaurimento delle risorse energetiche e, a breve, l’impossibilità della produzione di petrolio e degli altri combustibili fossili di alimentare una domanda in continua crescita. Qualsiasi ripresa economica, questa volta sarà tarpata sul nascere da nuove tensioni sui prezzi dei prodotti energetici, che influenzeranno nuove ondate recessive.
Ma il conformismo dominante fa sì che gli strumenti di previsione e programmazione economica continuino ad essere impostati sull’assunto della crescita, relegando l’attuale crisi al livello di incidente di percorso sulla strada ineluttabile del progresso.
Un esemplificazione di questo atteggiamento la possiamo scorgere in Italia nell’aggiornamento per il 2009 del documento annuale curato dalla Ragioneria Generale dello Stato “Le tendenze di medio lungo - periodo del sistema pensionistico e socio – sanitario”.
Tutto il documento è impostato sul postulato dell’inevitabile ripresa della crescita economica. Per quanto riguarda le pensioni, si assume che i parametri di base della previsione evolutiva del sistema concordino con tale premessa: la speranza di vita deve aumentare ulteriormente rispetto agli attuali già alti livelli, l’immigrazione crescerà di 200.000 unità all’anno, in modo da sostenere economicamente la più ampia domanda pensionistica. Ma, soprattutto, come vediamo nel grafico allegato al documento, il PIL riprenderà a correre come niente fosse, consentendo di mantenere il rapporto tra spesa pensionistica e PIL a livelli sostenibili. Uno degli scenari presi a base di riferimento, contenuti nelle analisi del Comitato di Politica Economica del Consiglio Ecofin, definito “permanent shock” viene solo citato e nemmeno preso in considerazione.
Ma cosa accadrà realmente dopo il picco del petrolio? Difficile prevederlo con precisione, ma certamente il munifico Stato sociale a cui eravamo abituati si ridimensionerà. Nel caso delle pensioni, la stasi e la successiva decrescita economica costringeranno a ridurre i livelli previdenziali mentre la sostituzione della forza lavoro straniera con quella autoctona e il calo della speranza di vita conseguenti al minore livello dei servizi socio – sanitari, compenseranno solo parzialmente questa tendenza.
L’attenzione dell’opinione pubblica e conseguentemente delle forze politiche si sposterà gradualmente sui modi per attenuare e limitare le conseguenze di una minore protezione sociale. Lotta implacabile all’evasione fiscale, politiche dei redditi orientate a riequilibrare la ricchezza tra le fasce sociali, politiche del lavoro volte a incrementare la produttività e a favorire una parziale riconversione produttiva dall’industria all’agricoltura, saranno alcune delle azioni su cui si misureranno le capacità degli stati nazionali di resistere allo smantellamento dello Stato sociale.
Gli Stati finanziano queste spese attraverso il prelievo fiscale e, negli ultimi anni, indebitandosi con l’emissione dei titoli di Stato. Attraverso questo meccanismo, lo Stato chiede in prestito ai propri cittadini il denaro necessario a garantire la copertura di disavanzi crescenti tra spese ed entrate e si impegna a restituirlo entro una certa data, maggiorato degli interessi. Si tratta di un meccanismo evidentemente perverso perché gli interessi sui titoli di Stato vanno ad aumentare ogni anno le spese e quindi la necessità di ricorso al mercato per finanziare il debito, alimentando un circolo vizioso generatore di nuovo debito, attraverso una sorta di catena di S.Antonio non molto dissimile da quella che ha mandato all’ergastolo di recente negli Stati Uniti il banchiere criminale Madoff.
Naturalmente, fin quando l’economia di un paese cresce costantemente, il maggior gettito fiscale e la maggiore propensione agli investimenti da parte dei privati tengono in piedi questo sistema traballante. Infatti, non a caso, il debito e il deficit pubblico vengono sempre valutati in rapporto al PIL. Dal dopoguerra ad oggi, il continuo progredire del benessere economico ha inculcato nell’opinione pubblica il concetto che “i soldi non finissero mai”. Ma i soldi non crescono sugli alberi per essere colti all’occorrenza, come molti sembra si siano ormai convinti. La tremenda crisi economica tuttora in corso determinata dall’irresponsabile indebitamento privato degli americani sta conducendo molti Stati nazionali, sotto la pressione della speculazione finanziaria, sull’orlo della bancarotta, proprio per i rischi sempre più concreti di insolvenza rispetto agli enormi debiti contratti negli anni. Se la sfiducia dovesse prevalere e le aste dei titoli di Stato cominciassero ad andare deserte si determinerebbe una situazione d’instabilità economica con conseguenze drammatiche per lo Stato sociale e la vita delle persone.
Purtroppo, molti sottovalutano ancora questa situazione, nell’attesa messianica di una nuova stagione di crescita economica che spazzi via le conseguenze nefaste della crisi. Sfortunatamente si sbagliano, perché non tengono conto di una variabile finora non considerata dalla scienza economica ufficiale, cioè l’esaurimento delle risorse energetiche e, a breve, l’impossibilità della produzione di petrolio e degli altri combustibili fossili di alimentare una domanda in continua crescita. Qualsiasi ripresa economica, questa volta sarà tarpata sul nascere da nuove tensioni sui prezzi dei prodotti energetici, che influenzeranno nuove ondate recessive.
Ma il conformismo dominante fa sì che gli strumenti di previsione e programmazione economica continuino ad essere impostati sull’assunto della crescita, relegando l’attuale crisi al livello di incidente di percorso sulla strada ineluttabile del progresso.
Un esemplificazione di questo atteggiamento la possiamo scorgere in Italia nell’aggiornamento per il 2009 del documento annuale curato dalla Ragioneria Generale dello Stato “Le tendenze di medio lungo - periodo del sistema pensionistico e socio – sanitario”.
Tutto il documento è impostato sul postulato dell’inevitabile ripresa della crescita economica. Per quanto riguarda le pensioni, si assume che i parametri di base della previsione evolutiva del sistema concordino con tale premessa: la speranza di vita deve aumentare ulteriormente rispetto agli attuali già alti livelli, l’immigrazione crescerà di 200.000 unità all’anno, in modo da sostenere economicamente la più ampia domanda pensionistica. Ma, soprattutto, come vediamo nel grafico allegato al documento, il PIL riprenderà a correre come niente fosse, consentendo di mantenere il rapporto tra spesa pensionistica e PIL a livelli sostenibili. Uno degli scenari presi a base di riferimento, contenuti nelle analisi del Comitato di Politica Economica del Consiglio Ecofin, definito “permanent shock” viene solo citato e nemmeno preso in considerazione.
Ma cosa accadrà realmente dopo il picco del petrolio? Difficile prevederlo con precisione, ma certamente il munifico Stato sociale a cui eravamo abituati si ridimensionerà. Nel caso delle pensioni, la stasi e la successiva decrescita economica costringeranno a ridurre i livelli previdenziali mentre la sostituzione della forza lavoro straniera con quella autoctona e il calo della speranza di vita conseguenti al minore livello dei servizi socio – sanitari, compenseranno solo parzialmente questa tendenza.
L’attenzione dell’opinione pubblica e conseguentemente delle forze politiche si sposterà gradualmente sui modi per attenuare e limitare le conseguenze di una minore protezione sociale. Lotta implacabile all’evasione fiscale, politiche dei redditi orientate a riequilibrare la ricchezza tra le fasce sociali, politiche del lavoro volte a incrementare la produttività e a favorire una parziale riconversione produttiva dall’industria all’agricoltura, saranno alcune delle azioni su cui si misureranno le capacità degli stati nazionali di resistere allo smantellamento dello Stato sociale.
19 commenti:
Per dirla in breve...
"Anyone who belives exponential growth can go on forever in a finite world is either a madman or an economist" -Kenneth Boulding
http://sites.google.com/site/decrescifest2010/home/cosa-e-la-decrescita
A ragione Serge Latouche definisce l'economia una religione. La crescita è il dogma che non si può mettere in discussione e impedisce una qualsiasi valutazione sull'opportunità o meno di mantenere il sistema esistente.
Per trovare la cura giusta, prima di tutto, bisogna capire (o accettare) che si è ammalati; successivamente si deve capire di CHE COSA ci si è esattamente ammalati.
Il mondo industrializzato ha superato la prima fase, ma ha pensato erroneamente di essere ammalato di "speculazione e finanza creativa" (una specie di influenza). Grazie all'aspirina "stimolo economico", somministrata da tutti i governi centrali, adesso il mondo pensa di essere in via di guarigione.
Quanto tempo dovrà ancora trascorrere, e quali evidenze inequivocabili dovranno ancora manifestarsi, prima che il mondo si accorga di essere ammalato di "limitatezza delle risorse"? Ma soprattutto, cosa accadrà quando sarà riconosciuta la diagnosi di questa terribile malattia? Questa storia, a mio avviso, è sicuramente molto avvincente...
"Lotta implacabile all’evasione fiscale, politiche dei redditi orientate a riequilibrare la ricchezza tra le fasce sociali..."
I direi invece che in tempi di scarsità vale la legge del più forte. I ricchi, presumibilmente, non sarà così altruisti e, come già succede oggi, essendo appoggiati dalla classe politica (o meglio, essendo essi stessi la classe politica!) non favoriranno l'equità.
I ricchi... non saranno...
Pardon
@ Stefano
Io non ce lo vedo un popolo sempre più impoverito completamente sottomesso a pochi ricchi.
Non so cosa ne sarebbe dell'ordine pubblico e di tante teste "vip" se le masse con lo stomaco mezzo vuoto dovessero incazzarsi davvero.
Rispetto ai secoli scorsi l'alfabetizzazione diffusa non renderebbe facile(alle elite di potere) controllare le folle, a meno di instaurare forti governi totalitari, forti grazie alle forze armate e dell'ordine, che però pescherebbero soldati e uomini tra le masse impoverite e incazzate.
Mah, oltre una certa soglia percentuale di povertà vera e senza stati sociali adeguati, la vedo molto dura controllare i popoli. E' più saggio e intelligente cercare di adeguarsi all'inevitabile decrescita con politiche coerenti, cosa che non è certamente alla portata (nel contesto italiano) di questa compagine governativa e dei partiti attuali...
@Paolo
In Italia la democrazia è abbondantemente minata alle fondamenta. Le istituzioni che la rappresentano sono state definitamente annullate, distorte o piegate ai voleri di gruppi che da tempo fanno i loro interessi legali ed illegali promulgando la corruzione ed il malaffare.
E' il motivo per cui penso che non si possa fare affidamento sulle istituzioni.
Al perdurare della crisi e all'accentuarsi delle difficoltà, il disordine ed il si salvi chi può regnerebbe sovrano e questi gruppi (criminali come le mafie e pseudo criminali come i politici) accentreranno ancora più il potere su di loro in maniera non democratica.
...Mi faccia capire, signor Longobardi : lei quindi pensa che lo stato sociale,dipendendo assai direttamente da risorse energetiche e di materiali per lo più non rinnovabili, è insostenibile per come lo consociamo oggi ?!
Io aggiungo un paio di notazioni mica da ridere, e cioè che oltre che insostenibile è palesemente iniquo, essendo squilibrato a favore dei meno anziani in ogni suo comparto,ed inoltre stato sociale fa anche rima con "cicale" : è ora di tornare ad esser formiche, finchè c'è abbastanza ciccia da start up da petrolio ed affini, e cioè investire molto meno in stato sociale e molto di più in rinnovabili e recupero del territorio ; faccio un esempio piccolo piccolo partendo dal locale : chiudere tutti servizi di scuolabus, ovviamente con coneguente licenziamento del personale, ed investire parte significativa delle risorse liberate per istallare pompe di calore in tutti gli edifici pubblici ( = niente più gas per il riscaldamento, si usa solo energia elettrica che può esser prodotta dalle rinnovabili, con clamoroso aumento del confort e riduzione della bolletta energetica importante da subito)
"chiudere tutti servizi di scuolabus"
Fenomenale: tutti sul gippone! Finalmente la strada per il futuro è spianata....vado subito a comprarmi dal rigattiere quel fantastico hummer giallo che ho visto esposto la scorsa settimana.
I mezzi collettivi erano gli unici disponibili cinquant'anni fa, quando l'energia era pochina; che questo significasse qualcosa?
R Fausto : cinquant'anni fa, in Italia, i ragazzi andavano a scuola a piedi ( Dalle miei parti difficile che qualcuno abiti a più di 2 km dalla scuola elementare)
Io abitavo ad 800 metri e ci andavo a piedi 25 anni or sono.
Inoltre gli autisti sono pagati 8 ore per 3 di lavoro effettivo : Fantastico Fausto !
@Paolo e Stefano
Interessante, io la vedo a metà fra voi due. La classe dirigente si sta creando dei piccoli paradisi grazie a megastipendi, megaprovvigioni, megamazzette etc etc. Se si ascolta bene, si possono già sentire in lontananza gli elicotteri che stanno scaldando i motori.
Quando le cose precipiteranno, chi avrà dato avrà dato, e chi avrà rubato avrà rubato. Ai pezzi grossi, che nel frattempo avranno accumulato ricchezze sufficienti a garantire un gradevole futuro alla propria discendenza per innumerevoli generazioni, non converrà più rimanere sotto le luci della ribalta.
Conseguentemente, quando i pezzi grossi si dilegueranno silenziosi, diversi arrampicatori sociali e portaborse vorranno prendere il loro posto, ma non è detto che questi riescano ad infinocchiare la gente come ha fatto chi li ha preceduti. La gente sarà ormai stanca di retorica, promesse e litigi istituzionali, la gente vorrà MANGIARE!!
Proprio in questa fase, nel bel mezzo di un'attesa messianica del salvatore (o del Mussolini) di turno, qualcuno con le palle quadre (o col cervello malato) potrà farsi avanti per creare un mondo migliore (o mandarlo alla rovina completa).
Anche i gruppi criminali si faranno avanti, anzi, si scateneranno. Le forze dell'ordine avranno sempre meno risorse e la malavita potrà arruolare orde di disoccupati pronti a tutto pur di portare a casa qualche soldo.
Nonostante queste pessime prospettive, comunque, sono abbastanza fiducioso... sul fatto che dopo una fase distruttiva lunga decenni, alla fine una nuova Italia più consapevole rinascerà dalle proprie ceneri. Il seme buono c'è, ma affinché germogli, è necessario che la vecchia pianta si secchi e marcisca.
@big gino
"Il seme buono c'è, ma affinché germogli, è necessario che la vecchia pianta si secchi e marcisca."
Completamente d'accordo con te, ma sostanzialmente anche sul resto della tua mail...
@ Big Gino
>sono abbastanza fiducioso... sul
> fatto che dopo una fase
> distruttiva lunga decenni, alla
> fine una nuova Italia più
> consapevole rinascerà dalle
> proprie ceneri.
Essere fiduciosi di un futuro remoto è equivalente a dire che nel presente tutto è perduto.
@Francesco
Fantastico sì. Le ruberie però si trovano ovunque: potresti spiegarmi di preciso perché partire da un servizio scuolabus smantellando tutto - cose ben fatte incluse - quando in Italia continuiamo a spendere decine di miliardi di euro in autostrade che non servono assolutamente a nulla?
Forse perché è più facile aggredire i pesci rossi che non i barracuda?
@Stefano
"Essere fiduciosi di un futuro remoto è equivalente a dire che nel presente tutto è perduto."
Non è esattamente così. Nel presente IL SISTEMA è perduto, o sta per diventarlo, ma l'importante è che NOI STESSI non siamo perduti. Difatti il buon seme potremmo essere già noi; o anche se non lo siamo, sicuramente là fuori c'è del buono che si merita un'altra chance, pena l'estinzione.
Sono fiducioso nel futuro proprio perché confido in molte persone che popolano il presente.
Caro Francesco, penso che lo Stato sociale come lo abbiamo vissuto finora diventerà sempre più insostenibile perchè il crescente debito pubblico non sarà più compensato dalla continua crescita economica che abbiamo vissuto dal dopoguerra ad oggi. Avremo cioè un lungo periodo di stagnazione economica a causa del sopraggiungere del picco petrolifero e dei conseguenti aumenti dei prezzi che freneranno i tentativi di ripresa economica del sistema. Per questo, gli Stati dovranno purtroppo restringere gli ambiti e i fruitori dello Stato sociale, per i motivi che ho scritto nell'articolo.
"Per questo, gli Stati dovranno purtroppo restringere gli ambiti e i fruitori dello Stato sociale, per i motivi che ho scritto nell'articolo."
Infatti, sta già accadendo: il governo inizia a spostare in avanti le finestre per il pensionamento. Questo naturalmente va a sfavore dell'ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani poiché molti posti di lavoro che potrebbero liberarsi, di fatto, rimangono ancora occupati dalle vecchie leve.
D'altra parte, ogni nuovo pensionato sarebbe a carico della previdenza statale, mentre i giovani disoccupati dai 18 i 25 anni (ed oltre) rimangono ancora A CARICO DELLE RISPETTIVE FAMIGLIE. Quindi, a parità di disponibilità di lavoro, è molto più vantaggioso, per lo Stato, aumentare quanto più possibile l'età di pensionamento.
Ormai la disoccupazione fra i giovani raggiunge il 25%, e questo è il prezzo che lo stato è disposto a pagare (ovvero, a far pagare a molte famiglie) pur di rinviare il pensionamento di molti lavoratori in età di ritiro.
Anche le università si sono trasformate, negli ultimi decenni, in veri e propri "laureifici" che propongono decine di corsi di dubbia utilità e sfornano milioni di futuri precari, con età media di 28 anni, da arruolare eventualmente nei call center.
Avanti di questo passo, fra una decina di anni, rischiamo di trovarci con milioni di trentenni che non hanno mai lavorato seriamente in vita loro. Non so se a quel punto il tessuto sociale riuscirà a mantenere tutti questi "bamboccioni".
Il tutto in una nazione che, stando al corriere della sera, è il fanalino di coda europeo per quanto riguarda i laureati. Forse che siano piuttosto gli analfabeti il più grave rischio per il nostro futuro?
Grazie signor Longobardi per la risposta; vorrei riportare un piccolo esempio di vita vissuta per i non addetti al settore indirettamente legato al mondo della sanità pubblica ed alla sua insostenibilità rebus sic stantibus : conosco,, nel senos che frequento abitualmente, 4-5 amici medici al soldo del SSN, di età compresa dai 34 ai 40 anni : di questi uno solo è stato stabilizzato a 37 anni; ponendo come ipotesi che fra 30 anni esista ancora un sistema pensionistico, che per noi sotto i 45 anni sarà interamente basato su un sistema di calcolo contributivo, ( sul quale io non discuto, anzi sarebbe necessario applicarlo retroattivamente ), si può ipotizzare che questo mio amico bravo e fortunato, stabilizzato a 37 anni, dopo peraltro una esperienza di 2 anni in america sovvenzionata soprattutto dal padre, prenderà di pensione meno di mia madre, che maestra d'asilo che andrà in pensione fra 3 anni col massimo dell'anzianità dopo essersi permessa il lusso di dedicare 5 anni, dai suoi 25 ai 30, non a fare supplenze, come accadrebbe oggi se sei molto fortunata, ma alla mia esclusiva crescita e cura.
Mio zio medico invece è andato in pensione un apio di anni fa a 60 anni : laureatosi a 26 anni, ai suoi tempi ha fatto 6 mesi di volontariato nell'ospedale sotto casa per poi essere assunto...é chiaro a tutti che da almeno 15 anni che il nostro welfare mostra crepe strutturali ed è palesemente arroccato alla difesa della privacy dei meno anziani senza invece spingerli, anche culturalmente, a coabitare con amici come sono costretti a fare molti " giovani", ( ormai si è considerati giovani fino a 35 anni ed oltre)...Evidentemente la privacy di chi lavora e vorrebbe formarsi una famiglia è considerata meno importante di quella di chi ha avuto la fortuna di nascere 30 anni prima e costruire uno schema di Ponzi socio-cultural-economico a danno delle generazioni successive....Spero che i aby boomers ed i loro cari genitori non si lamentino se fra qualche anno vedranno chiedersi di compartecipare in maniera rilevante alla spesa per l'assistenza a patologie croniche dal nostro caro SSN: vorrebbe dire che comunque IL SSN è ancora in piedi e cerca al meglio di garantire lo stsso livello di cure a tutti. ( Anche perchè tutti ne avremo bisogno, prima o poi)
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