mercoledì, novembre 23, 2011

Ancora su Fukushima

Scritto da Domenico Coiante

Le imprudenti dichiarazioni, poi corrette, del neoministro dell’Ambiente, Corrado Clini, circa l’opportunità di ritornare sulla decisione del bando al nucleare dopo il recentissimo pronunciamento referendario, induce a qualche ulteriore considerazione nel merito della questione.

Sul ‘Venerdì di Repubblica’ del 4/11/2011 a pag.69 è stato pubblicato un breve trafiletto, che riassume la situazione a Fukushima dopo sette mesi dal disastro. Contro ogni previsione di diluizione più rapida, la radioattività del mare antistante la centrale è ancora a 10 mila Bq (Becquerel). La causa sta nel fatto che ancora si stanno gettando in mare 500 tonnellate al giorno d'acqua di raffreddamento, che contengono iodio-131, cesio-137 e stronzio-90. I pesci stanno accumulando soprattutto quantità di cesio e di stronzio (che hanno emivita di circa 30 anni) in misura pericolosa per la salute di chi volesse mangiarli. Ma la cosa che più colpisce è che il governo ha deciso di rimuovere uno strato di terreno contaminato di spessore 5 cm intorno alla centrale per un totale stimato di 30 milioni di mc. Questo terreno dovrà essere portato in tre depositi sorvegliati e allestiti allo scopo in attesa per decenni che la contaminazione decada. Quanto costerà tutto ciò? La spesa verrà messa a carico del kWh nucleare, o verrà caricata sulla collettività, come al solito?

Sul rapporto dell’Institute of Nuclear Power Operations, dal titolo “Special Report on the Nuclear Accident at Fukushima Daiichi Nuclear Power Station”, pubblicato a Novembre 2011, si può leggere che la quantità di materiale radioattivo equivalente allo Iodio-131 emessa in aria è stata stimata dalla Commissione per la Sicurezza Nucleare giapponese in 6,3 10^17 Bq e in mare 4,7 10^15 Bq. Per confronto, si fa anche rilevare che a Chernobyl fu rilasciata nell’ambiente una quantità di 14 10^18 Bq, cioè 22 volte superiore.

Il significato di queste cifre è scarsamente significativo per i non addetti ai lavori, che non hanno alcuna familiarità con il Becquerel, cioè con l’unità di misura dell’attività di emissione delle sostanze radioattive. Dire che 1 Bq corrisponde ad una disintegrazione al secondo del radionuclide non migliora di molto la situazione, anche se qualcuno potrebbe dedurre da questa informazione che le sostanze radioattive emesse in aria durante l’incidente “sparano” nell’ambiente circostante 630 milioni di miliardi di radiazioni ionizzanti ogni secondo. Il fatto che questa impressionante attività andrà attenuandosi nel tempo secondo le caratteristiche proprie di ciascun radionuclide con tempi di dimezzamento, che vanno dalla settimana per lo iodio-131 a 30 anni per il cesio-137 e lo stronzio-90, non serve certo a tranquillizzare coloro che si trovassero coinvolti nell’incidente. Essi, infatti, non sono in grado di collegare queste cifre con gli effetti prodotti sull’ambiente ed in particolare con i rischi per la salute umana. Le radiazioni non si vedono e non si sentono, cioè non si percepiscono immediatamente in alcun modo con i nostri sensi, cosicché non possiamo evitarle se malauguratamente le incontriamo. E purtroppo esse producono danni sull’organismo degli esseri viventi, piante e animali, uomo compreso.

Da questo punto di vista, può essere più significativo conoscere un’altra grandezza relativa alla radioattività, la dose assorbita dai tessuti organici e la sua unità di misura, il Sievert (Sv), definito come la quantità di energia sprigionata dalla radiazione nell’interazione con il tessuto. 1 Sv corrisponde alla cessione di 1 joule per ogni kg di massa tissutale. Si capisce immediatamente che il Sv misura il danno prodotto dalle radiazione negli organismi viventi. Per avere un idea di che cosa ciò significhi, basti sapere che una dose assorbita di 4 Sv determina la morte nel 50% dei casi delle persone esposte. Alterazione del sangue con danni agli eritrociti si ha con una dose di circa 1 Sv. Il fondo di radiazioni cosmiche a cui siamo sottoposti vale circa 0,27 microSv/ hr.

Nel già citato rapporto, è riportata la misura della dose, registrata mentre era in corso l’incidente a 1 km di distanza dalla centrale: 11,93 mSv/hr. Si è trattato di un valore 44 mila volte più alto del fondo cosmico. Una persona che fosse rimasta in quel luogo per circa 84 ore (3 giorni e mezzo) avrebbe accumulato una dose di 1 Sv, con danni ematici gravi. Se fosse rimasto esposto per 14 giorni, avrebbe avuto la probabilità di morire al 50%.

A 60 km dalla centrale si sono registrate dosi di 8 microSv/hr, circa 30 volte superiori al fondo cosmico. Di conseguenza è stato necessario evacuare tutti gli abitanti entro un raggio di 20 km ed è stato proibito di uscire da casa a tutti quelli che abitavano nella fascia tra i 20 ed i 30 km. Anche senza contare i danni alla salute delle persone esposte prima dell’evacuazione e di quelle costrette a rimanere nella zona di 60 km di raggio, danni che si manifesteranno nel futuro, ci si deve chiedere quanto è costato e quanto sta costando in termini economici una tale operazione sociale. La spesa sarà contabilizzata a carico del kWh nucleare, o sarà sostenuta dalla collettività?

Sono ormai trascorsi più di sette mesi dall’incidente nucleare e gli effetti sul territorio si stanno rivelando molto più gravi di quanto stimato in precedenza. Una ricerca dell’Università di Nagoya, condotta da Tetsuzo Yasunari, (di cui ha dato notizia il supplemento di Repubblica ‘Affari e Finanza’ del 21/11/2011 alla pagina 13 con un articolo dal titolo: “Fukushima, ma l’incubo nucleare non è ancora passato”), ha trovato che “la radioattività emessa dall’impianto nucleare di Fukushima ha contaminato un’area del Giappone più vasta del previsto, fino a 500 km di distanza dalla centrale danneggiata. Una combinazione di dati meteorologici e misurazioni di radioattività dimostrerebbe che radioisotopi di cesio, tellurio e iodio hanno raggiunto anche l’isola di Hokkaido……. Gli eccessi di materiale radioattivo stanno mettendo in ginocchio agricoltura e pesca. Tokyo ha dovuto mettere al bando l’intera produzione di riso della prefettura di Fukushima…… Nella zona di Fukushima i livelli (di Cesio-137) sarebbero otto volte superiori ai limiti di sicurezza”.

Ci si deve chiedere per quanto tempo ancora dureranno gli effetti dannosi sul territorio. Nella stima dei danni economici, effettuata a caldo subito dopo l’incidente, i costi di tutto ciò sono stati considerati? Se si, a carico di chi sono stati posti?

L’unica notizia positiva (si fa per dire), pubblicata recentemente, è che finalmente la temperatura del reattore è scesa sotto ai 100 °C, per cui solo ora, dopo sette mesi, si potrà cominciare a intervenire dentro il contenimento per mettere in sicurezza la centrale.

Tutto quanto sopra detto mette chiaramente in evidenza la peculiarità dell'incidente nucleare nei confronti di qualunque altro disastro tradizionale: la sua natura ha caratteristiche molto diverse, sia rispetto alla dimensione spaziale, sia a quella temporale. Per comprendere questa affermazione si può fare riferimento ad un tipico incidente grave come l’incendio, seguito dallo scoppio di un deposito di combustibile fossile (es. incidente ferroviario di Viareggio del 2009). Il disastro può essere grave con morti e feriti e con danni notevoli alle cose e agli edifici adiacenti al deposito. L’estensione delle dimensioni spaziali dei danni può riguardare un’area di raggio dell’ordine di 1-2 km circa dall’epicentro. La dimensione temporale parte dal momento dello scoppio e può durare qualche giorno nella fase attiva dei danni e poi può proseguire per qualche mese, forse anche un anno, per la fase di recupero del danno alle persone ferite e all’ambiente circostante. Nella maggior parte dei casi, dopo due-tre anni dall’incidente, il sito è recuperato completamente all’uso civile.

La differenza con il caso nucleare balza immediatamente all’evidenza. La dimensione spaziale del danno da radiazioni, a Fukushima, ha raggiunto nella prima fase i 30 km di raggio ed essa ha continuato ad espandersi fino ai 500 km attualmente registrati. La dimensione temporale, poi, si estende asintoticamente secondo la curva di attenuazione esponenziale dell’attività dei radionuclidi emessi. Rigorosamente parlando, tale fase si potrà considerare terminata quando il livello delle radiazioni si sarà diluito in concentrazione e abbassato dagli alti valori attuali fino al fondo cosmico naturale, cioè in qualche centinaio d’anni. In modo più ottimistico, si può assumere come termine un tempo pari ad almeno due periodi di dimezzamento della radioattività, che nel caso del cesio-137 corrisponde a circa 60 anni. Detto in altri termini, il recupero delle condizioni normali d’uso della zona riguarderanno le future generazioni.

Passando poi ad un argomento più generale e quantitativo, si può citare il fatto che allo stato attuale delle norme per la sicurezza degli impianti nucleari, vigenti in Europa e negli USA, i costi e i tempi di costruzione delle centrali hanno raggiunto valori tali che la produzione elettronucleare non è competitiva con quella termoelettrica convenzionale, specialmente con quella dei recenti impianti a ciclo combinato. Una valutazione accurata del costo del kWh nucleare, condotta recentemente sulla base delle spese sostenute per alcune centrali oggi in costruzione in Europa (Olkiluoto e Flamanville), ha portato ad un costo compreso tra 8 e 10 centesimi di euro/kWh, avendo anche considerato il bonus per la CO2 evitata, contro i 4 – 6 centesimi degli impianti termoelettrici a carbone e a gas (leggi qui).

Tutto ciò considerato, sorgono spontanee alcune domande: “Perché ci vogliamo intestardire ostinatamente sul nucleare?” “Siamo forse ridotti alla canna del gas per l’energia, senza alcuna opzione alternativa?” “Oppure, per dirla con Nanni Moretti davanti alla sachertorte, ci piace masochisticamente farci del male?”

4 commenti:

roberto ha detto...

bella e chiara la spiegazione del Becquerel.

Anonimo ha detto...

le centrali nucleari servono per tenere il popolo per le palle. Cosa che rientra nei sogni dei padroni da sempre. In Grecia staccheranno la corrente a chi non paga la patrimoniale sulla casa. Se fossi un padrone avrei un orgasmo da troppa soddisfazione e come prossima mossa affamerei chi non vuol pagare le tasse, come facevano gli esattori nubiani ai contadini egizi, finchè non avessero cacciato il raccolto per i magazzini dei faraoni (i politici d'oggi?) custoditi dai sacerdoti, che sapevano tenere la contabilità (le banche?). E sono passati 5000 anni....!!!!!

Bob Bulgarelli ha detto...

Ottimo articolo; rispetto ad altri che fanno leva sull'emotività per dissuadere dall'idea del nucleare, questo spiega, talvolta pacatamente, ma sempre molto chiaramente, il pericolo o se vogliamo l'aspetto controproducente della tecnologia nucleare.

Francesco Aliprandi ha detto...

Sui costi dell'incidente riporto un breve riassunto da un articolo di un paio di settimane fa.

"Secondo il parere di alcuni membri della Japan Atomic Energy Commission un incidente nucleare paragonabile a quello verificatosi a Fukushima può costare fino a 47 miliardi di euro; questo comporterebbe un aumento del costo pari a circa 1.5 c€ per kWh prodotto, portando la cifra complessiva a 6.5 c€ e quindi rendendolo superiore a carbone e gas naturale (rispettivamente 5.4 e 5.8 c€/kWh così come stimato nel 2004) per un reattore da 1200 MWhe. Il gruppo ha ipotizzato che il tempo di ritorno per l'incidente sia 500 anni/reattore e tenuto conto della spesa per evacuazione, indennizzo e smantellamento del reattore, ma non della bonifica ambientale e dello stoccaggio a lungo termine dei detriti radioattivi."

La fonte originale è questa.