"Seminatore al tramonto" (Vincent Van Gogh, 1888)
created by Mirco Rossi
Sarà certamente capitato a molti ascoltare dibattiti su crisi, crescita, decrescita alla radio o alla televisione; talvolta essi sono affidati a personaggi improbabili il cui coinvolgimento risulta imperscrutabile in relazione agli argomenti da affrontare.
Altri confronti invece sono alimentati da paludati economisti, famosi opinion leaders, politici o sindacalisti di vaglia che discettano con cognizione di causa ma senza mai nemmeno sfiorare i concetti di prospettiva energetica e di “picco”.
Pil, mercato, lavoro, sicurezze, incremento della produzione e del reddito da un versante; dall’altro poveri e ricchi, lavorare meno, capitalismo alla fine, cambiare obiettivi e pensare alla felicità.
Ore e ore di confronti spesso tra buoni parlatori, credibili, che a molti ascoltatori possono chiarire qualche dubbio. Di certo però tutte queste discussioni inevitabilmente consolidano l’idea generale che la natura di una crisi può avere, a seconda dei casi, origine finanziaria, economica, sociale, politica o perfino etica, ma che non potrà mai essere legata dalla carenza di risorse.
Mi chiedo come mai personalità di tale peso, certo non degli sprovveduti, siano in grado di ignorare nelle loro considerazioni un punto fondamentale: le scelte possibili all’interno di una crisi non dipendono solo dalla volontà, dall’ideologia, dalle convinzioni, dalle regole economiche. Come prima e dopo, anche durante una crisi le scelte sono possibili unicamente nei limiti definiti dalla disponibilità di risorse primarie. Solo all’interno di questi limiti le altre variabili possono agire e con questa semplice verità devono misurarsi le possibili soluzioni, intese come reali e durature.
L’unica condizione assolutamente pregiudiziale non viene mai evocata.
In queste occasioni non mi è mai capitato di registrare la presenza di qualche illustre aspista, o simpatizzante; tuttavia non posso credere che né gli organizzatori né nessuno dei partecipanti “preparati” ed “esperti” abbia mai sentito parlare di limiti delle risorse, dell’esistenza di una scuola di pensiero che ritiene impossibile il continuo incremento della produzione e dei consumi.
Eppure avranno certo sentito parlare di “picco” da qualche parte! Hanno convinzioni diverse? Non ritengono credibile l’analisi? Hanno dimenticato che il legame essenziale tra risorse e sviluppo o crisi è ineludibile? Mah!
Episodi come questo mi confermano nella convinzione che la larga divulgazione di alcuni concetti fondamentali sui limiti dello sviluppo e sulle concrete prospettive energetiche sia vitale per il successo, pur parziale, della “mission” di Aspo.
Libri, conferenze, convegni, interviste, articoli, siti, link, ben vengano, ma la loro utilità si concretizza in un ambito limitato.
Alcuni di questi approcci intercettano, per un tempo discretamente lungo, un pubblico già sensibile e motivato; altri, per brevi momenti, un pubblico “distratto” e occasionale, in grado di recepire messaggi-slogan o poco più. Entrambe tipologie d’interlocutori che poco del messaggio di Aspo fanno poi pesare nel sistema di pensiero riferibile alla collettività larga, quella che produce il senso comune, la cultura di massa. Cioè quel “pensiero dominante” che in democrazia governa i processi politici e decisionali.
Esso si forma principalmente sulla base della cultura appresa nel ciclo scolastico; resta poi influenzato dall’azione autodidattica, dalle esperienze, dalle letture, ma soprattutto da gretti interessi personali, dalle notizie “alla Tozzi” o alla “Piero Angela”, dai dibattiti o dalle informazioni televisive brevi, concise, semplici, sensazionali.
Le pillole di cultura distribuite dai mass media se reiterate, ascoltate più volte in contesti convincenti, lasciano il segno. Non è detto che facciano male, anzi, ma in sostanza non incidono sulle nozioni di fondo, verniciandole di “sentito dire”, di un qualcosa che qualcuno ha detto e che potrebbe essere o accadere.
La pseudo-conoscenza che determinano è in balia di chi, affrontando lo stesso tema da posizione di oggettiva autorevolezza in altri campi, può facilmente smantellarla: per convinzione diversa o per “dimenticanza”, occasionale o voluta, è in grado di convincere o lasciar intendere che una certa cosa non esiste, non succederà mai, o se succederà sarà in un tempo indefinibile, fuori dalle prospettive concrete.
Trascurando la ristretta quota di esperti, studiosi, idealisti, persone politicamente e idealmente convinte o incentivate, la quasi totalità dei cittadini resta irraggiungibile o, nel migliore dei casi, superficialmente sfiorata dal messaggio che Aspo riesce a veicolare sui media o con le tradizionali iniziative.
La fase più adatta ad acquisire nozioni e concetti basilari si conferma quindi essere quella del periodo scolastico, ambito non esclusivo ma certamente privilegiato di formazione culturale. Ma luogo dove per esperienza diretta da molti anni verifico la completa ignoranza ed estraneità degli elementi e dei concetti indispensabili affinché una persona possa acquisire un minimo di consapevolezza e di motivazione sulla sostanza del messaggio di Aspo.
Questa “tabula rasa” (pressoché totale) la riscontro tra i ragazzi che frequentano gli ultimi due anni dei licei, degli istituti tecnici e più in generale di ogni tipo di scuola superiore. Solo per una piccola frazione di coloro che proseguiranno all’università si presenterà l’occasione di accedere a nozioni e che, pur elementari a volte, vengono trattate come segreti per iniziati.
Non casualmente pari condizioni le riscontro nella stragrande maggioranza degli insegnanti, compresi quelli di scienze naturali, di applicazioni tecniche, di biologia, ecc.
Negli ultimi dieci anni (durante i quali ho interloquito direttamente - di solito per qualche ora - con almeno trentamila studenti e qualche migliaio di insegnanti di scuole di secondo grado) non ho mai trovato nessuno capace di dare una definizione decente di “bilancio energetico” e che abbia la vaga idea della sua importanza, di cosa significhi LCA, del fatto che un’automobile nuova, quando fa bella mostra di sé nella vetrina del concessionario, abbia già consumato un quantitativo di petrolio (equivalente) pari a quello che consumerà nel percorrere i successivi 25-35.000 chilometri. Tanto meno di cosa significhi Aspo, “picco” e a quali conclusioni porti la teoria di Hubbert. Tutto questo condito da un elevato livello di confusione tra solare a concentrazione, termico, fotovoltaico, MW, GW, fonti primarie e secondarie o mettendo più o meno sullo stesso piano la capacità produttiva di una turbina eolica e quella di una termoelettrica standard.
Gli studenti sanno parecchio di più sul riscaldamento globale, sull’inquinamento, sui benefici del riciclaggio (questo, magari un po’ confusamente), sul cibo biologico, sui prodotti a chilometri zero, sulla biodiversità, sui ghiacciai che stanno scomparendo e sui mari che stanno per sommergere le Maldive.
Ma nulla di nulla sui quattro-cinque principali concetti-nozione, indispensabili per comprendere la situazione, la dinamica e le prospettive energetiche; per raggiungere un minimo di consapevolezza sull’insostenibilità di questo tipo di sviluppo; per rendersi conto che né il nucleare né le energie rinnovabili potranno in nessun caso garantire a lungo la sopravvivenza di questo tipo di società; per acquisire la consapevolezza che nei prossimi decenni dovranno misurarsi con una ristrutturazione-rivoluzione di cui nessuno è in grado di prevedere i contorni e la portata; per motivare sufficientemente un qualche cambiamento da subito dello stile di vita.
Queste sono le terre da dissodare; in questi luoghi dovrebbe poter entrare ASPO, in ogni istituto, in ogni aula, in ogni testo scolastico.
Non mi risulta esistano libri di testo che facciano cenno ai ragionamenti di ASPO, che presentino la sua chiave di lettura della realtà, sollecitino approfondimenti sulla prossima carenza degli approvvigionamenti energetici.
Le conseguenze sono evidenti e se di tanto in tanto una classe borbotta qualche parola su questo terreno è merito di un insegnante che, per scelte del tutto personali, ha voluto approfondire l’argomento, trasferendo qualche frammento ai propri alunni.
Qualche aspista si dedica già meritoriamente a questo il tipo di divulgazione, ma si è ben lontani dal realizzare collettivamente un battente perlomeno significativo.
Se questo tipo di iniziativa potesse essere adeguatamente sviluppata – e, ne sono consapevole, i problemi non mancano - potrebbe diventare decisiva per la costruzione, in tempi non storici, di una nuova cultura dell’energia e delle risorse: l’unica che può sostenere un approccio accettabile ai difficili tempi che ci aspettano.
Decisivo sarebbe poter inserire qualche pagina con i concetti a cui Aspo fa riferimento all’interno dei libri scolastici. Alcuni sono verità scientifiche indiscutibili (bilancio di energia, LCA, energia grigia, limiti fisici delle risorse) che la folle idea di uno sviluppo illimitato sta volutamente mantenendo fuori dai processi d’istruzione e formazione culturale. Altri, più discutibili, dimostrerebbero a studenti ed insegnanti l’esistenza di letture diverse della realtà e li spingerebbero a una visione critica dell’informazione e della cultura “ufficiale”.
So bene che il problema di diffondere consapevolezza è immane e va ben al di là delle già ardue difficoltà esistenti in ambito scolastico. Ma in questa direzione va fatto il massimo sforzo, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili, perché se la scuola non viene adeguatamente coinvolta qualunque altra iniziativa di Aspo, pur restando opportuna e positiva, otterrà comunque un risultato complessivamente insufficiente.
Altri confronti invece sono alimentati da paludati economisti, famosi opinion leaders, politici o sindacalisti di vaglia che discettano con cognizione di causa ma senza mai nemmeno sfiorare i concetti di prospettiva energetica e di “picco”.
Pil, mercato, lavoro, sicurezze, incremento della produzione e del reddito da un versante; dall’altro poveri e ricchi, lavorare meno, capitalismo alla fine, cambiare obiettivi e pensare alla felicità.
Ore e ore di confronti spesso tra buoni parlatori, credibili, che a molti ascoltatori possono chiarire qualche dubbio. Di certo però tutte queste discussioni inevitabilmente consolidano l’idea generale che la natura di una crisi può avere, a seconda dei casi, origine finanziaria, economica, sociale, politica o perfino etica, ma che non potrà mai essere legata dalla carenza di risorse.
Mi chiedo come mai personalità di tale peso, certo non degli sprovveduti, siano in grado di ignorare nelle loro considerazioni un punto fondamentale: le scelte possibili all’interno di una crisi non dipendono solo dalla volontà, dall’ideologia, dalle convinzioni, dalle regole economiche. Come prima e dopo, anche durante una crisi le scelte sono possibili unicamente nei limiti definiti dalla disponibilità di risorse primarie. Solo all’interno di questi limiti le altre variabili possono agire e con questa semplice verità devono misurarsi le possibili soluzioni, intese come reali e durature.
L’unica condizione assolutamente pregiudiziale non viene mai evocata.
In queste occasioni non mi è mai capitato di registrare la presenza di qualche illustre aspista, o simpatizzante; tuttavia non posso credere che né gli organizzatori né nessuno dei partecipanti “preparati” ed “esperti” abbia mai sentito parlare di limiti delle risorse, dell’esistenza di una scuola di pensiero che ritiene impossibile il continuo incremento della produzione e dei consumi.
Eppure avranno certo sentito parlare di “picco” da qualche parte! Hanno convinzioni diverse? Non ritengono credibile l’analisi? Hanno dimenticato che il legame essenziale tra risorse e sviluppo o crisi è ineludibile? Mah!
Episodi come questo mi confermano nella convinzione che la larga divulgazione di alcuni concetti fondamentali sui limiti dello sviluppo e sulle concrete prospettive energetiche sia vitale per il successo, pur parziale, della “mission” di Aspo.
Libri, conferenze, convegni, interviste, articoli, siti, link, ben vengano, ma la loro utilità si concretizza in un ambito limitato.
Alcuni di questi approcci intercettano, per un tempo discretamente lungo, un pubblico già sensibile e motivato; altri, per brevi momenti, un pubblico “distratto” e occasionale, in grado di recepire messaggi-slogan o poco più. Entrambe tipologie d’interlocutori che poco del messaggio di Aspo fanno poi pesare nel sistema di pensiero riferibile alla collettività larga, quella che produce il senso comune, la cultura di massa. Cioè quel “pensiero dominante” che in democrazia governa i processi politici e decisionali.
Esso si forma principalmente sulla base della cultura appresa nel ciclo scolastico; resta poi influenzato dall’azione autodidattica, dalle esperienze, dalle letture, ma soprattutto da gretti interessi personali, dalle notizie “alla Tozzi” o alla “Piero Angela”, dai dibattiti o dalle informazioni televisive brevi, concise, semplici, sensazionali.
Le pillole di cultura distribuite dai mass media se reiterate, ascoltate più volte in contesti convincenti, lasciano il segno. Non è detto che facciano male, anzi, ma in sostanza non incidono sulle nozioni di fondo, verniciandole di “sentito dire”, di un qualcosa che qualcuno ha detto e che potrebbe essere o accadere.
La pseudo-conoscenza che determinano è in balia di chi, affrontando lo stesso tema da posizione di oggettiva autorevolezza in altri campi, può facilmente smantellarla: per convinzione diversa o per “dimenticanza”, occasionale o voluta, è in grado di convincere o lasciar intendere che una certa cosa non esiste, non succederà mai, o se succederà sarà in un tempo indefinibile, fuori dalle prospettive concrete.
Trascurando la ristretta quota di esperti, studiosi, idealisti, persone politicamente e idealmente convinte o incentivate, la quasi totalità dei cittadini resta irraggiungibile o, nel migliore dei casi, superficialmente sfiorata dal messaggio che Aspo riesce a veicolare sui media o con le tradizionali iniziative.
La fase più adatta ad acquisire nozioni e concetti basilari si conferma quindi essere quella del periodo scolastico, ambito non esclusivo ma certamente privilegiato di formazione culturale. Ma luogo dove per esperienza diretta da molti anni verifico la completa ignoranza ed estraneità degli elementi e dei concetti indispensabili affinché una persona possa acquisire un minimo di consapevolezza e di motivazione sulla sostanza del messaggio di Aspo.
Questa “tabula rasa” (pressoché totale) la riscontro tra i ragazzi che frequentano gli ultimi due anni dei licei, degli istituti tecnici e più in generale di ogni tipo di scuola superiore. Solo per una piccola frazione di coloro che proseguiranno all’università si presenterà l’occasione di accedere a nozioni e che, pur elementari a volte, vengono trattate come segreti per iniziati.
Non casualmente pari condizioni le riscontro nella stragrande maggioranza degli insegnanti, compresi quelli di scienze naturali, di applicazioni tecniche, di biologia, ecc.
Negli ultimi dieci anni (durante i quali ho interloquito direttamente - di solito per qualche ora - con almeno trentamila studenti e qualche migliaio di insegnanti di scuole di secondo grado) non ho mai trovato nessuno capace di dare una definizione decente di “bilancio energetico” e che abbia la vaga idea della sua importanza, di cosa significhi LCA, del fatto che un’automobile nuova, quando fa bella mostra di sé nella vetrina del concessionario, abbia già consumato un quantitativo di petrolio (equivalente) pari a quello che consumerà nel percorrere i successivi 25-35.000 chilometri. Tanto meno di cosa significhi Aspo, “picco” e a quali conclusioni porti la teoria di Hubbert. Tutto questo condito da un elevato livello di confusione tra solare a concentrazione, termico, fotovoltaico, MW, GW, fonti primarie e secondarie o mettendo più o meno sullo stesso piano la capacità produttiva di una turbina eolica e quella di una termoelettrica standard.
Gli studenti sanno parecchio di più sul riscaldamento globale, sull’inquinamento, sui benefici del riciclaggio (questo, magari un po’ confusamente), sul cibo biologico, sui prodotti a chilometri zero, sulla biodiversità, sui ghiacciai che stanno scomparendo e sui mari che stanno per sommergere le Maldive.
Ma nulla di nulla sui quattro-cinque principali concetti-nozione, indispensabili per comprendere la situazione, la dinamica e le prospettive energetiche; per raggiungere un minimo di consapevolezza sull’insostenibilità di questo tipo di sviluppo; per rendersi conto che né il nucleare né le energie rinnovabili potranno in nessun caso garantire a lungo la sopravvivenza di questo tipo di società; per acquisire la consapevolezza che nei prossimi decenni dovranno misurarsi con una ristrutturazione-rivoluzione di cui nessuno è in grado di prevedere i contorni e la portata; per motivare sufficientemente un qualche cambiamento da subito dello stile di vita.
Queste sono le terre da dissodare; in questi luoghi dovrebbe poter entrare ASPO, in ogni istituto, in ogni aula, in ogni testo scolastico.
Non mi risulta esistano libri di testo che facciano cenno ai ragionamenti di ASPO, che presentino la sua chiave di lettura della realtà, sollecitino approfondimenti sulla prossima carenza degli approvvigionamenti energetici.
Le conseguenze sono evidenti e se di tanto in tanto una classe borbotta qualche parola su questo terreno è merito di un insegnante che, per scelte del tutto personali, ha voluto approfondire l’argomento, trasferendo qualche frammento ai propri alunni.
Qualche aspista si dedica già meritoriamente a questo il tipo di divulgazione, ma si è ben lontani dal realizzare collettivamente un battente perlomeno significativo.
Se questo tipo di iniziativa potesse essere adeguatamente sviluppata – e, ne sono consapevole, i problemi non mancano - potrebbe diventare decisiva per la costruzione, in tempi non storici, di una nuova cultura dell’energia e delle risorse: l’unica che può sostenere un approccio accettabile ai difficili tempi che ci aspettano.
Decisivo sarebbe poter inserire qualche pagina con i concetti a cui Aspo fa riferimento all’interno dei libri scolastici. Alcuni sono verità scientifiche indiscutibili (bilancio di energia, LCA, energia grigia, limiti fisici delle risorse) che la folle idea di uno sviluppo illimitato sta volutamente mantenendo fuori dai processi d’istruzione e formazione culturale. Altri, più discutibili, dimostrerebbero a studenti ed insegnanti l’esistenza di letture diverse della realtà e li spingerebbero a una visione critica dell’informazione e della cultura “ufficiale”.
So bene che il problema di diffondere consapevolezza è immane e va ben al di là delle già ardue difficoltà esistenti in ambito scolastico. Ma in questa direzione va fatto il massimo sforzo, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili, perché se la scuola non viene adeguatamente coinvolta qualunque altra iniziativa di Aspo, pur restando opportuna e positiva, otterrà comunque un risultato complessivamente insufficiente.
10 commenti:
Mi sento coinvolto in prima persona dal bel post di Mirco, visto che faccio parte della schiera dei docenti della scuola pubblica italiana
Nell'istituto dove insegno fisica, un liceo scientifico della provincia di Torino, nelle mie classi tengo lezioni sui temi della finitezza delle risorse, dei cambiamenti climatici, e più in generale del nuovo mondo che si approssima e del declinare del presente, ormai da più di due anni. L'attenzione con la quale dette lezioni sono seguite è, come sottolineato da Ugo Bardi in un post di qualche tempo fa, sempre elevatissima. In effetti, parlare del futuro alle nuove generazioni significa catturarne subito l'attenzione, anche se poi spesso subentra lo scoramento. Inutile dire che tale atteggiamento è facilmente comprensibile
Ultimamente ho elaborato una sorta di strategia, ed è quella di spronare gli studenti a farsi portavoce della necessità del cambiamento presso i loro genitori. Di solito accuso la mia generazione dei danni prodotti sia all'ambiente sia più in generale della costruzione di una mentalità che è ben poco razionale (la crescita del pil, etc), e subito dopo li invito a farsi alfieri del cambiamento presso i loro genitori e nella cerchia dei loro amici
Ora, sarebbe ingenuo dire che tutti si sentono coinvolti - come afferma Mirco, i problemi esposti tendono a essere rimossi non appena si torna nel solito mondo -, ma le persone più sensibili attivano le famiglie, al punto che solo stasera ho inviato il numero di telefono della persona che ha seguito i lavori di installazione dell'impianto FV di casa mia ad un mio allievo, dato che i genitori ne hanno deciso l'acquisto
Sono gocce nell'oceano, e il tempo stringe sempre più, ma togliere la speranza ai ragazzi significa condurli sulla strada del menefreghismo percorsa da tanti miei coetanei
Maurizio T.
Anch'io mi sento coinvolto. Come Maurizio sono docente, ed è vero che gli studenti sono attentissimi quando gli parli del "loro" futuro. Anzi, ho scoperto AspoItalia proprio così, in una ricerca su un progetto scolastico che poi ha avuto un ottimo successo (paradossalmente molto di più sugli studenti che sui colleghi insegnanti a riprova della maggior capacità di rielaborazione ed accettazione dei giovani).
La scuola ha un disperato vuoto sui concetti di base che regolano lo sfruttamento delle risorse, anzi, le teorie economiche che vengono insegnate sono l'esatto contrario. Spesso vengono svolti progetti scolastici con interventi di esperti esterni (rappresentanti della camera di commercio, di banchieri ecc...) che proiettano i loro "trend", parlano di "consumi" come un sommelier parlerebbe di un buon vino, descrivono ambienti aziendali in cui la "crescita" è l'obbiettivo di un gruppo di lavoro affiatato.
L'atteggiamento critico è assente, nessuno studente si chiede: ma a che serve tutto questo?
E men che meno se lo chiedono i loro insegnanti.
Dario F.
La scuola italiana in effetti è assai indietro ; secondo me basterebbe insegnare bene 2 nozioni base, a parte quella della finitezza delle risorse non rinnovabili : seconda legge delle termodinamica e funzione esponenziale.
Il concetto di picco cmq, implica che ci dovranno essere molte braccia in più impiegate nel settore primario, ( agricoltura), e molte in meno nel terziario .
( Burocrazia ed università in primis )
Ottimo post.
Teniamo comunque conto che bisogna assolutamente trovare una forma di comunicazione del concetto di "limite", per risorse ed energia, anche sul target dei 40 -50 -60enni, quelli che "i danni li hanno fatti" e magari continuano a farli. E' il target più difficile da approcciare, spesso anche con quelle persone già sensibili all'argomento.
Per come è fatta la mente umana, noi non desideriamo essere sottoposti a limiti.Ci stiamo, ma a prezzo di enorme sofferenza.
Qualsiasi limite esista, superarlo implica sofferenza, ed evitarla ci porta inesorabilmente a farci del male.Il dilagare delle tossico dipendenze di tutti i generi, dovrebbe essere una delle eloquenti dimostrazioni di questa tragica verità.Per stare nei limiti,dunque,
bisogna avere affrontato l'indagine sulla propria natura mortale, che assurdamente ci permette di pensare a cose illimitate.Questa indagine, però non può essere fatta senza pagarne il prezzo,anche in termini di sofferenza, sebbene possiamo cercare di pagarne quello minore possibile.Ma anche questa ricerca, del minor prezzo, è soggetta essa stessa alla sopportazione di un certo grado di sofferenza.Questo processo assomiglia alla ricerca della derivata di una funzione, che può portate ad una conclusione dove l'ultima derivata è uno zero, e metaforicamente, dove la sofferenza s'annulla o viene ridotta al minimo possibile.Ora, quanti di noi sono disposti ad intraprendere questa ricerca, consapevolmente, in modo da vivere stando dentro il limite comunque invalicabile?
Oggi sappiamo che non c'è possibilità di disporre di certe cose materiali per tutti, come un jet personale, ad esempio, ma per fortuna non tutti le desiderano.
Non solo, siccome un jet personale implica una gran quantità e varietà di tecnologia, che non sorge spontanea nei boschi, anche se fossimo mille volte meno sulla Terra, la tecnologia necessaria per costruirlo, non sarebbe minore in proporzione.Quindi molti dovrebbero lavorare a qualcosa di cui non gliene importerebbe niente.
Aggeggi multimediali come i telefonini più recenti, sembrano invece alla portata di tutti, a certe condizioni, beninteso.Ma questi aggeggi mostrano ancor più drammaticamente come bisogna imparare la virtù del saper scegliere.Virtù contrastante con il vizio di desiderare di tutto e di più.
Detto ciò, credo che il prezzo della saggezza, che ci permetterebbe di non tentare inutilmente di oltrepassare l'invalicabile, sebbene sia sempre un minimo in ogni situazione, anche la più folle, questo prezzo lo conosceremo solo quando ne avremo pagato più volte l'ammontare.
Allora, da perfetti imbecilli, potremo complimentarci con noi stessi:pur sapendo che la merce probabilmente costava uno,noi abbiamo preteso di pagarla la metà, o illimitatamente meno,e così la pagheremo il doppio, o molto di più.Ma una parte della nostra mente sarà soddisfatta.
Comunque avremo superato un limite.
Quello della stupidità.
Marco Sclarandis.
Come imprenditore nel settore ambientale e energetico in "vista" nella mia zona ogni tanto partecipo in incontri con scuole superiori e universita'. spesso parlo di limiti e picco. bene, molti mi vedono come un alieno e dal momento che sono anche imprenditore mi dicono che sono fuori dal sistema dominante. Non parliamo dei libri di testo dove non si parla per niente di limiti, picco, eroei e tante informazioni indispensabili, ma che sicuramente vanno "contro" il pensiero dominante del XX secolo.
pierino
Complimenti per il post.
Mi sembra prima di tutto che l’idea di diffondere i concetti base sui limiti alla crescita nelle aule scolastiche è un modo ottimo per mettere in discussione il nostro modello economico che, in questo momento, non sa fare altro che adottare la politica dello struzzo.
Inoltre anch’io penso che non solo non si può trascurare il “target dei 40 -50 -60enni”, ma credo che anch’esso possa essere proficuamente raggiunto.
Sono convinto che c’è tanta sensibilità in giro verso un radicale cambiamento. Una delle immagini simbolo che mi viene in mente è quella di persone anziane che vanno a depositare religiosamente e ostinatamente bottiglie e buste di plastica in fatiscenti quando non sfasciati cassonetti per la raccolta differenziata.
Un fattore di successo potrebbe essere proprio quello di evidenziare sia ai ragazzi che ai più grandicelli le opportunità di vivere meglio che il cambiamento degli stili di vita può esprimere.
Prendiamo il problema dell’automobile. Ma perché nessuno ha osato dire che, invece di stimolare il mercato dell’auto, per affrontare i tempi del post picco occorrerebbe da subito ridurne drasticamente il numero. Non sarebbe nemmeno difficile, basterebbe incentivare in maniera decisa i trasporti collettivi, per far rinascere le nostre belle città.
E sarebbe estremamente gradevole poter finalmente camminare, respirare e spostarsi agevolmente con autobus, tram, metro, treni efficienti invece di stare chiusi in una scatola che per quanto possa essere confortevole è pur sempre una gabbia.
E’ chiaro che qui poi verrebbe fuori il nocciolo del problema che è la gestione degli impatti del cambiamento su occupazione e industria; ma proprio il nocciolo e la soluzione del problema è che questa transizione bisogna affrontarla con determinazione per, ad esempio, reindirizzare tempestivamente risorse e lavoro verso settori più utili e sostenibili.
Quel che si riporta nel post è assolutamente vero. Ma se è difficile far passare il concetto di finitezza delle risorse, la vera Cenerentola della situazione rimane il concetto di capacità di carico per unità territoriale, con tutto quel che ne consegue in termini di gestione delle popolazioni in relazione ai territori ristretti. Insomma, la vecchia formuletta I=PAT (in particolare per quel che riguarda il moltiplicatore P) è ormai considerata addirittura sovversiva, una bestemmia da sottoporre a censura preventiva. Quand'anche venga presa in considerazione, è sempre con un taglio "globale", ovvero il taglio migliore per renderla del tutto improduttiva in termini di interventi correttivi.
Il novecento è stato il secolo dell'abbondanza mineraria, in cui ci siamo "fumati" circa metà del patrimonio minerario.
Ora, il paragone del bicchiere.
Quando abbiamo un bicchiere pieno, e arriviamo a metà, ce ne resta metà. Banale. La seconda metà sarà facile da bere come la prima, è solo questione di decisione.
Si intuisce che il modello del bicchiere è troppo "semplice" per dare un'idea della depletion fossile.
La seconda metà da estrarre costerà una "fatica" via via crescente (sia in termini di profondità di cave/perforazioni, che di qualità/purezza/ concentrazione del materiale estrato), e sarà accompagnata da condizioni psicologiche da contrazione economica.
L'unica salvezza che abbiamo sarà destinare una quantità di fossile "necessaria e sufficiente" (tutta sarà impossibile, per l'inerzia delle infrastrutture esistenti) a implementare le nuove infrastrutture rinnovabili, che dovranno produrre energia e materia, e autorigenerarsi.
Il fatto di non discutere questo nei libri è un'applicazione della scienza della comodità, che considera qualunque cosa (clima, petrolio etc) un sistema a inerzia infinita.
Un paio di commenti mi spingono a chiarire che non intendevo affatto limitare l'azione divulgativa all'ambito scolastico, in particolare agli studenti in fase di "maturità". Volevo solo sottolineare la straordinaria importanza che si deve attribuire a questa fase. Poi ovviamente resta importante l'adulto e, perchè nò, anche l'anziano. Proprio ieri ho fatto la seconda lezione a un gruppetto di "pensionati" dell'Università della Terza Età, attentissimi e curiosissimi. Tutto ciò che può fare consapevolezza collettiva serve a creare presupposti per il cambiamento e talvolta a mutare qualche decisione politica.
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