Dopo essermi digerito la conferenza di Halkidiki sulla dissalazione (il mondo è vasto e complesso) sto scrivendo un documento che descrive il nostro approccio (il progetto AQUASOLIS) alla produzione di acqua dolce rinnovabile. Ne sta venendo fuori una cosa abbastanza massiccia Intanto che ci lavoro sopra, vi passo la prima parte, quella introduttiva. I commenti sono benvenuti.
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Il "principio aquasolis" per la produzione di acqua dolce rinnovabile.di Ugo Bardi
Alla recente conferenza di Halkidiki della Società Europea di Dissalazione (22-25 Aprile 2007) circa 500 delegati da tutto il mondo, si sono riuniti per discutere e presentare i loro impianti e le loro ricerche. A una conferenza del genere, ci si rende subito conto di quanto sia importante la dissalazione dell'acqua e quanto sia cresciuta l'industria della dissalazione. E' un business di miliardi di euro che, oggi, produce qualcosa come 10 miliardi di metri cubi di acqua all'anno mediante impianti industriali sparpagliati soprattutto lungo le coste dell'Africa, del Medio Oriente, e dell'Australia.
Per farci un'idea di cosa siano 10 miliardi di metri cubi di acqua, possiamo pensare che si ritiene normalmente che una persona ha bisogno di almeno 500 metri cubi di acqua all'anno per una vita decente. Questo volume include gli usi personali, quelli industriali e municipali, nonché quelli per l'agricoltura. In certi posti, per esempio la striscia di Gaza, la gente se la cava con meno di 200 metri cubi l'anno. I paesi ricchi usano molta più acqua, per esempio in Italia si consumano sui 1500 metri cubi per persona all'anno mentre nei paesi europei del nord se ne consuma molta di più. Con la ricchezza o la povertà di un paese cambia anche l'uso che si fa dell'acqua. Nei paesi poveri, l'80%-90% va per l'agricoltura, in quelli ricchi è spesso l'industria e gli usi domestici e municipali che fanno la parte del leone. I 10 miliardi di metri cubi annuali di acqua dissalata fanno la differenza fra una vita normale e l'emergenza igienica e sanitaria per centinaia di milioni di persone che vivono in aree urbane sulle coste di zone aride e hanno permesso un aumento della popolazione a livelli un tempo impensabili. Per fare un esempio, quando il governo Giolitti dette il via all'invasione della Libia, nel 1911, i libici erano circa 800.000. Oggi, in Libia ci sono più di sei milioni di abitanti e le loro necessità idriche sono assicurate in gran parte da impianti costieri di dissalazione.
Questa situazione è il risultato di uno sviluppo tumultuoso che ha cambiato il mondo negli ultimi decenni. Per millenni, ci eravamo contentati della pioggia come unica sorgente di acqua dolce; ma oggi le cose sono enormemente cambiate. La disponibilità di energia a buon mercato ottenuta con il petrolio e il gas naturale ha reso possibile sfruttare risorse di acqua che prima erano inaccessibili. Una di queste risorse sono gli “acquiferi”, bacini di acqua dolce situati a profondità spesso tali da essere inaccessibili senza costose tecniche di trivellazione e pompaggio. Intere città spuntate nei deserti degli Stati Uniti; per esempio a Tucson in Arizona e nelle zone limitrofe, milioni di persone possono vivere soltanto grazie allo sfruttamento di acquiferi sotterranei. In Libia, il progetto del “Grande Fiume Fatto dall'Uomo” programma lo sfruttamento degli antichi acquiferi Sahariani, residui di migliaia di anni anni fa, quando il Sahara era un'area fertile e ricca d'acqua.
L'altra grande risorsa che l'energia a buon mercato ha reso accessibile è la dissalazione dell'acqua marina, oppure dell'acqua da pozzi di acqua salmastra. In gran parte, la dissalazione industriale si fa con il metodo detto “osmosi inversa.” “Osmosi” è il nome che si da a una pressione che si sviluppa quando due soluzioni a diversa concentrazione di sali entrano in contatto attraverso una membrana. “Osmosi inversa” vuol dire che il processo naturale di diffusione viene invertito usando una pompa per trasformare l'acqua salata in acqua dolce facendola passare attraverso una membrana. Ci sono altri metodi in uso, ma l'osmosi inversa è quello energeticamente più efficiente. Oggi ci sono ditte specializzate che producono dissalatori su tutte le scale. Basta pagare, e ti costruiranno un impianto “chiavi in mano” che si può piazzare sulla riva del mare, oppure dove ci sono pozzi di acqua salmastra (“brackish water” in inglese). Lo sviluppo rapido, a tendenza esponenziale, della produzione industriale di acqua per dissalazione è mostrato per il caso di Abu Dhabi. Una crescita dello stesso tipo si osserva per il Kuwait e si può ritenere che sia il caso generale per la produzione mondiale di acqua dissalata.
Tuttavia, come per tante tecnologie sviluppate negli ultimi decenni, la tecnologia per la produzione di acqua dolce ci sta portando in un vicolo cieco in cui ci troviamo a dipendere sempre di più da risorse insostenibili. Non è sostenibile l'acqua dagli acquiferi sotterranei, che molto spesso è acqua di tipo “fossile”; ovvero si accumula molto più lentamente di quanto non venga estratta. Non è sostenibile l'acqua dissalata dai pozzi salmastri, sia per la quantità finita di acqua disponibile, sia per il problema dei residui di dissalazione (la “salamoia”) che sono terribilmente inquinanti. Neanche è sostenibile l'acqua dissalata industrialmente dal mare, non perché l'acqua di mare sia in quantità finita, ma perché il processo dipende dalla disponibilità di energia elettrica e questa viene dal petrolio o dal gas naturale, entrambe risorse finite. L'acqua è una delle poche risorse che sono veramente rinnovabili, ma se usiamo il petrolio per produrla, diventa non rinnovabile anche quella.
Nulla impone che un impianto di dissalazione debba funzionare per forza usando energia fossile. Potremmo usare energia rinnovabile oppure energia nucleare. In teoria si, ma nella pratica le difficoltà sono enormi. Nel passato, c'è stato chi ha proposto di rinverdire il Sahara usando acqua dissalata con l'energia nucleare. Tuttavia, è abbastanza ovvio che, nella situazione politica attuale, non sarebbe facile sparpagliare decine e decine di reattori nucleari per tutto l'arco dell'Africa del Nord e del Medio Oriente, anche ammesso che si trovi l'uranio per farli funzionare a lungo. Un concetto simile, ma basato sull'energia rinnovabile, è stato riproposto recentemente nella forma del progetto TREC (Trans Mediterranean Renewable Energy Cooperation) che prevede la costruzione di immensi impianti solari a concentrazione nel deserto che dovrebbero fornire l'energia necessaria per dissalare enormi quantità di acqua.
Lo schema del TREC è indubbiamente più fattibile di quello basato sull'energia nucleare, ma anche quello sembra più un esercizio dell'immaginazione che una proposta pratica. Al momento, in tutto l'arco che va dal Marocco all'Iran non si produce neanche un kilowattora di energia da impianti solari a concentrazione. Da qui ad arrivare a produrne le immense quantità previste dal TREC quanti anni devono passare? Gli stessi proponenti si rendono conto che stanno parlando di prospettive di molti decenni nel futuro. Ma il problema di carenza e di altri prezzi del petrolio si sta già ponendo oggi e potrebbe porsi in modo molto grave entro pochi anni.
In teoria, non c'è bisogno di mega-progetti per far funzionare i dissalatori; basta mettere un numero sufficiente di pannelli fotovoltaici o di generatori eolici. Il problema è che, nella pratica, è una cosa che non si può chiedere a chi gestisce i dissalatori. I dissalatori sono impianti industriali pensati e gestiti con l'idea di massimizzare i profitti, cosa che implica minimizzare i costi. Questa minimizzazione è stato ottenuta mediante impianti su grande scala che funzionano 24 ore su 24. Caratteristiche, queste, che mal si sposano con l'energia dei pannelli fotovoltaici o dei generatori eolici che varia nell'arco della giornata e che è tuttora costosa. I gestori degli impianti di dissalazione non hanno avuto, e non hanno tuttora, nessun interesse a investire nell'energia rinnovabile che per loro è soltanto un costo in più. Sarebbero dovuti intervenire i governi che, in principio, sono quelli che dovrebbero proteggere i cittadini da eventi come una crisi idrica. Ma si sa che i governi sono formati da persone il cui orizzonte di preoccupazione non va oltre le prossime elezioni, e quindi quasi niente è stato fatto. Sono proprio i paesi che dipendono più strettamente dai dissalatori che non hanno investito, o hanno investito pochissimo, nell'energia rinnovabile. Alcuni lo hanno fatto perché ritenevano (e probabilmente tuttora ritengono) di avere petrolio in abbondanza; altri per semplice mancanza di risorse economiche. Adesso, siamo in una situazione in cui la produzione di energia rinnovabile in quasi tutti i paesi dove c'è bisogno di acqua è lontanissima da essere sufficiente, se ce ne fosse bisogno, per mantenere i dissalatori in condizioni operative.
Può darsi che, dopotutto, sia una questione di scala. Se i dissalatori attuali sono troppo grossi per poter essere mandati a energia rinnovabile, potrebbe essere il caso di farli più piccoli, a misura di comunità? L'idea non è nuova e in un convegno come quello di Halkidiki ne troverete parecchi esempi. Le membrane per l'osmosi inversa, dopotutto, si possono fare anche piccole e ci sono diversi casi di impianti alimentati da pannelli solari per isole o comunità isolate. D'altra parte, c'è anche la possibilità di fare a meno del tutto dei costosi pannelli fotovoltaici e usare il calore solare direttamente per distillare l'acqua e purificarla. C'è tutta una linea di dissalatori solari a bassa tecnologia che sono detti “solar stills”. Nella sua versione più semplice, il solar still è una scatola con un coperchio di vetro inclinato. Si mette acqua di mare o acqua salmastra nel fondo della scatola; il sole la fa evaporare e il vapore si condensa in goccioline sull'interno del piano di vetro. Per gravità, le goccioline scendono lungo il piano di vetro e l'acqua si raccoglie in un contrnitore. E' un sistema poco efficiente in termini energetici; sicuramente molto meno efficiente dell'osmosi inversa. Tuttavia, ha il grosso vantaggio di non richiedere energia elettrica e nessun tipo di materiali costosi. In principio, l'acqua prodotta con un solar still costa molto poco e il sistema è particolarmente adatto ai paesi poveri.
C'è però un problema che ha impedito la diffusione su larga scala dei solar still, lo stesso che ha spinto al gigantismo degli impianti a osmosi inversa. Il problema è che oltre a dissalare, bisogna anche trasportare l'acqua salmastra al dissalatore, portare l'acqua dolce prodotta agli utenti, nonché liberarsi della salamoia di rifiuto. Queste operazioni possono essere altrettanto costose e energivore della dissalazione vera e propria. Mettendo il dissalatore in riva al mare, costerà poca fatica riempirlo di acqua. Ma se l'acqua prodotta va portata agli agricoltori dell'entroterra ci vorrà comunque un acquedotto e delle pompe che, a loro volta, avranno bisogno di energia elettrica e siamo alle solite. Se c'è una riserva di acqua salmastra, bisogna comunque trivellare per arrivarci e per questo ci vuole energia, come ce ne vuole per pomparla in superficie. Per non parlare poi dei costi di liberarsi della salamoia. Questo tipo di costi si ammortizzano male con i piccoli impianti (di qualsiasi tipo). Per questa ragione gli impianti di dissalazione su piccola scala a energia rinnovabile non sembrano in grado di diffondersi oltre a prototipi dimostrativi e casi particolari di comunità veramente molto piccole in riva al mare, per esempio su certe isole.
Con lo sviluppo dell'energia rinnovabile, nel futuro si potrà sperabilmente procedere a solarizzare gli impianti esistenti di dissalazione, come pure i sistemi di distribuzione di acqua. Al momento, tuttavia, sembra poco realistico pensare che una transizione dolce dai combustibili fossili alle rinnovabili si possa fare in tempi brevi. E' probabile che si cerchi piuttosto di tirare avanti il più a lungo possibile con le infrastrutture esistenti, ma questo è solamente un rimandare il problema. Ci troviamo in una situazione di dipendenza dai combustibili fossili che si sta facendo sempre più critica. Un'interruzione della fornitura che fosse più che episodica potrebbe portare a conseguenze sanitarie inimmaginabili in paesi che dipendono dai dissalatori industriali per la loro fornitura di acqua.
E' proprio il concetto di dissalazione su larga scala che ci ha portato in un vicolo cieco. Non possiamo uscirne se continuiamo a pensare in termini di una continua espansione sia della produzione come della popolazione. Occorre pensare in termini di
gestione di sistema, ovvero dell'inserimento della produzione di acqua dolce all'interno di un'economia. Questo è quello che il progetto AQUASOLIS ha cercato di fare, identificando alcuni metodi che generano un'interazione positiva fra energia rinnovabile e produzione di acqua potabile. Il trattamento delle acque reflue e l'estrazione di acqua dall'umidità atmosferica sembrano più promettenti in questo senso delle tecnologie classiche di dissalazione. Descriveremo questi concetti nel seguito di questo documento (a seguire)
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