Ho parlato un po' della crisi di Napoli in un post precedente che era stato ispirato dal libro di Bruno Vespa intitolato "Viaggio in un'Italia diversa". Il libro di Marco Imarisio "I giorni della Vergogna" (ed. L'Ancora, 2008) tratta dello stesso argomento, ma fra i due libri c'è un abisso di differenza.
Vespa racconta Napoli come un turista che passa di li', senza nemmeno la macchina fotografica. Intravede questo e quello, trancia qualche giudizio fra buoni e cattivi, e se ne va senza aver capito niente. Imarisio, invece, sulla questione di Napoli ti racconta la storia dall'interno come un testimone che ci soffre e che capisce. Come direbbero i napoletani "ci mette sentimento".
Ed'è veramente una storia interessante questa dei rifiuti di Napoli, dove tutto si intreccia in una serie di legami indissolubili e mortali: politica, camorra, rifiuti, miseria, e tante altre cose che hanno creato quella crisi del 2008 dove sembrava davvero che un'intera città potesse essere sommersa da quella strana e materia che chiamiamo "rifiuti".
Teoricamente, i rifiuti dovrebbero essere una ricchezza da cui estrarre le materie prime che sono sempre più difficili da trovare. In pratica, non riusciamo a gestirceli come si deve e i risultati sono disastrosi come nella storia di Napoli degli ultimi anni. Da quello che ci racconta Imarisio, e da quello che io stesso so della faccenda, non c'è stato nessun cattivo mostruoso e nemmeno nessun salvatore miracoloso. Ci sono stati degli errori di fondo al tempo di Bassolino che hanno complicato una situazione già enormemente difficile. Tutto si è risolto, alla fine dei conti, quando è stato possibile riaprire la discarica di Chiaiano. Fosse durato qualche mese di più, il merito della soluzione della crisi sarebbe andato a Prodi e al suo governo.
Ma la storia dei rifiuti di Napoli è destinata a lasciare delle cicatrici che non si rimargineranno tanto presto, se mai si rimargineranno. Le pagine più impressionanti del libro di Imarisio sono quelle che descrivono l'ondata di razzismo che ha percorso Napoli. La descrizione della distruzione dei campi Rom di Ponticelli è un pezzo che fa rabbrividire, come pure quello del cosidetto "ratto della bambina di Ponticelli" da parte di una ragazza Rom. E' una bufala, ma di quelle che fanno male. Napoli razzista? E' possibile? Se lo chiede anche Imarisio. Che cosa, ormai, non è più possibile?
Il libro di Imarisio non si trova sugli scaffali del supermercato, come invece quello di Vespa.
Vespa racconta Napoli come un turista che passa di li', senza nemmeno la macchina fotografica. Intravede questo e quello, trancia qualche giudizio fra buoni e cattivi, e se ne va senza aver capito niente. Imarisio, invece, sulla questione di Napoli ti racconta la storia dall'interno come un testimone che ci soffre e che capisce. Come direbbero i napoletani "ci mette sentimento".
Ed'è veramente una storia interessante questa dei rifiuti di Napoli, dove tutto si intreccia in una serie di legami indissolubili e mortali: politica, camorra, rifiuti, miseria, e tante altre cose che hanno creato quella crisi del 2008 dove sembrava davvero che un'intera città potesse essere sommersa da quella strana e materia che chiamiamo "rifiuti".
Teoricamente, i rifiuti dovrebbero essere una ricchezza da cui estrarre le materie prime che sono sempre più difficili da trovare. In pratica, non riusciamo a gestirceli come si deve e i risultati sono disastrosi come nella storia di Napoli degli ultimi anni. Da quello che ci racconta Imarisio, e da quello che io stesso so della faccenda, non c'è stato nessun cattivo mostruoso e nemmeno nessun salvatore miracoloso. Ci sono stati degli errori di fondo al tempo di Bassolino che hanno complicato una situazione già enormemente difficile. Tutto si è risolto, alla fine dei conti, quando è stato possibile riaprire la discarica di Chiaiano. Fosse durato qualche mese di più, il merito della soluzione della crisi sarebbe andato a Prodi e al suo governo.
Ma la storia dei rifiuti di Napoli è destinata a lasciare delle cicatrici che non si rimargineranno tanto presto, se mai si rimargineranno. Le pagine più impressionanti del libro di Imarisio sono quelle che descrivono l'ondata di razzismo che ha percorso Napoli. La descrizione della distruzione dei campi Rom di Ponticelli è un pezzo che fa rabbrividire, come pure quello del cosidetto "ratto della bambina di Ponticelli" da parte di una ragazza Rom. E' una bufala, ma di quelle che fanno male. Napoli razzista? E' possibile? Se lo chiede anche Imarisio. Che cosa, ormai, non è più possibile?
Il libro di Imarisio non si trova sugli scaffali del supermercato, come invece quello di Vespa.
1 commento:
Un flahback sulla vicenda del terremoto dell'Irpinia. Non c'entra, ma secondo me c'entra...
Le mani della politica su 58.000 miliardi di lire stanziati per la ricostruzione dopo il sisma dell'80
Migliaia di miliardi stanziati dallo Stato, una catena di illegalità e di scandali, aste truccate, pagamenti per lavori mai effettuati, un intreccio tra malavita e politica
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. È questa la fotografia del terremoto dell'Irpinia come è rimasta nella storia della Repubblica; un'immagine che si sovrappone a quella di interi paesi rasi al suolo, di monconi di edifici, di persone in lacrime, di barelle, tende e bare. Su questa catastrofe piovono miliardi che si disperdono in mille rivoli, risucchiati dalla voracità di una classe politica che proprio sulle macerie dell'Irpinia costruisce il proprio potere. L'Irpinia è diventa l'emblema di un Mezzogiorno, sinonimo dello spreco, delle ruberie, del malaffare, della cattiva amministrazione. È il 23 novembre 1980, una lunghissima scossa della durata di un minuto e venti secondi, di magnitudo 6,8 della scala Richter, rade al suolo 36 paesi situati al confine tra la Campania e la Basilicata. 2.735 i morti, 8.850 i feriti. Il disastro naturale è di proporzioni gigantesche. Le scosse che seminano morte e distruzione a Lioni, Sant'Angelo, Caposele, Calabritto, Conza, mettono a nudo l'arretratezza e la fragilità di quei paesi-presepe antichi e abbandonati, senza piani regolatori e senza piani di fabbricazione che ne preservassero la bellezza e tutelassero la vita di chi li abitava. La storia della ricostruzione dell'Irpinia comincia qui. Su quelle macerie proliferarono vari politici democristiani prima e socialisti dopo, si alternarono commissariati straordinari, commissioni e sottocommissioni ex articolo qualcosa, allargando a dismisura l'area di intervento del terremoto e, soprattutto, la spesa per la ricostruzione. Nel 1988 un'inchiesta di Indro Montanelli per Il Giornale, querelato dal presidente del Consiglio Ciriaco de Mita, definito «padrino», solleva il velo sulle numerose appropriazioni indebite di denaro pubblico e apre il caso. L'inchiesta avrà come conseguenza la costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro che nel 1990 concluderà che i 58.600 rotti miliardi di spese già effettuate (su 70.000 stanziati) sono «finiti nel nulla» o sperperati ivi inclusa quella parte proveniente dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale. Dalla relazione della Commissione emerge che dopo 10 anni 28.572 persone vivono ancora nella roulotte e nei containers e 4.405 negli alberghi. Ma c'è anche una scia di sangue. Nel decennio che va dal 1980 al 1990, in Campania sono stati feriti magistrati (il procuratore di Avellino Antonio Gagliardi), uccisi consiglieri comunali di opposizione (Mimmo Beneventano ad Ottaviano), assessori e consiglieri regionali (Amato e Delcogliano), minacciati giornalisti ed eliminati funzionari di polizia come Antonio Ammaturo, che aveva capito tutto sul sequestro Cirillo. In una intervista rilasciata pochi mesi prima di essere ucciso sotto casa, al giornalista che gli chiedeva dei rapporti tra camorra e politica così Cirillo rispose: «Ci sono gli appalti del dopoterremoto. Il politico ha bisogno di voti e spesso si rivolge al capobastone». Più volte Oscar Luigi Scalfaro è stato visto sbiancare e trasalire ogni volta che eccellenti testimoni della «sua» Commissione parlamentare d'inchiesta sul terremoto di Campania e Basilicata, gli parlavano di «imprevisti geologici» per giustificare la costruzione di strade costate all'erario centinaia di miliardi a chilometro, o di improbabili aziende di barche da diporto collocate nelle aree industriali di montagna. Nell'inchiesta della Commissione parlamentare presieduta da Scalfaro, denominata «Mani sul terremoto» avviata nel 1994, furono coinvolte 87 persone tra cui Ciriaco de Mita, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Antonio Gava, Antonio Fantini, Francesco de Lorenzo, Giulio Di Donato e lo stesso commissario Zamberletti che aveva coordinato i soccorsi. L'epilogo della vicenda si è tradotto con la prescrizione della maggior parte dei capi d'imputazione mentre per altri reati è stata decisa l'assoluzione. Tra i tanti sprechi e spese gonfiate ci sono alcuni casi eclatanti: la Fondovalle Sele, costata 24 miliardi di lire al chilometro, lo stadio comunale di San Gregorio Magno ( paese di circa 3mila abitanti in provincia di Salerno), costato più dello stadio San Paolo di Napoli. Alcuni giornalisti riuscirono a dimostrare che Avellino era la provincia italiana dove si vendevano più Mercedes e Volvo e dove, dopo il sisma, i possessori di yacht erano passati da 4 a oltre 100. Inoltre negli anni l'area degli interventi si allarga a macchia d'olio. I comuni effettivamente colpiti erano relativamente pochi: qualche decina i disastrati, un centinaio i danneggiati in modo più o meno grave. Nel maggio dell'81 però un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani classifica come «gravemente danneggiati» (con un grado di distruzione dal 5 al 50% del patrimonio edilizio) oltre 280 comuni: viene ricompresa tutta la provincia di Avellino, Napoli e la popolosissima area metropolitana, 55 comuni del salernitano, 34 del potentino. Entrare o meno nella lista significa soprattutto essere o no destinatari di sontuosi contributi statali. Due intere regioni, la Campania e la Basilicata, e un pezzetto di una terza, la Puglia, risultano «terremotate»: in totale i comuni ammessi alle provvidenze sono 687. Il groviglio inestricabile di leggi e leggine che a vario titolo hanno regolamentato l'opera di ricostruzione ha oggettivamente favorito una richiesta di investimenti sproporzionata alla realtà dei fatti. Il Parlamento ha sfornato trentadue provvedimenti legislativi.
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