domenica, agosto 23, 2009

Sotto la neve pane



created by Silvano Molfese




A metà aprile di quest’anno dalle fontane l’acqua usciva ad una pressione molto elevata



In montagna, con la calura estiva, bere l’acqua fresca alla sorgente è un gran sollievo e quest' anno, in piena estate, dalle sorgenti sgorgava acqua in abbondanza.
La neve si è fatta vedere questo inverno e sulle cime dell’Appennino il manto nevoso si è conservato più a lungo.
Chi, dopo anni, rivede il paesaggio innevato rimane estasiato per la nevosa bellezza dei luoghi e per il silenzio ovattato (concedetemi questa licenza poetica).
Anche se c’è qualche inconveniente per pedoni ed automobilisti, gonfiato talvolta su giornali e TV, i vantaggi materiali di una consistente nevicata sono di gran lunga superiori ai momentanei disagi.

Due proverbi della civiltà contadina sintetizzano efficacemente l’importanza della neve. Uno dice: “Sotto la neve pane, sotto l’acqua fame” e l’altro recita cosi: “Sotto la neve pane, sopra la neve fame”.





La neve ingloba aria: mediamente su dieci parti di neve una è costituita da acqua e le altre nove parti sono costituite da aria.
Un manto nevoso alto un metro corrisponde ad una pioggia di 100 mm e su un m2 occupa un volume pari a 100 litri di acqua.
La neve è una fondamentale riserva idrica: sciogliendosi lentamente favorisce l’assorbimento dell’acqua da parte del terreno.

Sul terreno in pendio, l’acqua proveniente dalle precipitazioni nevose verrà in gran parte assorbita dal suolo con notevole vantaggio per la vegetazione. Se l’identica quantità di acqua cadesse sotto forma di pioggia sullo stesso suolo, una minore percentuale di acqua verrebbe trattenuta dal terreno.
Sui terreni di piano la neve, sciogliendosi gradualmente, permette una percolazione profonda dell’acqua: sarà nullo o molto ridotto il rischio di ristagno idrico rispetto alla stessa quantità di acqua piovana caduta sullo stesso suolo.
L’aria intrappolata nei fiocchi di neve funge da isolante termico: protegge le piantine dalle escursioni termiche, dal vento gelido, trattiene il calore proveniente dal terreno e cosi i germogli possono resistere al freddo invernale.
Luigi Giardini descrive un effetto indiretto della neve: nelle zone a rischio di gelate tardive, rallentando la ripresa vegetativa delle colture, limita i danni prodotti da queste gelate ai giovani germogli. (Agronomia generale, Patron 1982, II edizione, pag. 53).

Ipotizzando una copertura nevosa estesa su 5 milioni di ettari (corrisponde a poco meno del 50% della superficie italiana classificata come montagna) avente in media una altezza di un metro avremmo 5 miliardi di m3 di acqua (5 Gm3 ). Una tale quantità è sufficiente al fabbisogno idrico delle colture praticate in Italia?
Facciamo un esempio con i cereali che sono alimento base. Per ottenere una sola tonnellata di cereali occorrono in toto ben 1.000 tonnellate di acqua ovvero 1.000 m3 (*). In base ai dati ISTAT, nel triennio 2005-2007, la produzione media italiana di cereali è stata di circa 20,2 milioni di tonnellate e, nello stesso periodo, in media, abbiamo importato circa 8,7 milioni di tonnellate di cereali. Quindi, sulla base dell’ipotetica quantità di neve caduta, possiamo supporre che viene soddisfatto il fabbisogno idrico complessivo di 5 milioni di tonnellate di cereali. Importare il 30 % del nostro fabbisogno in cereali significa importare ben 8,7 Gm3 di acqua.

In agricoltura il fabbisogno idrico è molto elevato e la neve, a tempo debito, è una componente molto vantaggiosa per le colture: una ragione in più per ridurre drasticamente le emissioni dei gas serra che, riducendo la nevosità, mettono a rischio la nostra sicurezza alimentare.

Quando i fiocchi di neve cadendo uno dopo l’altro, coprono come un bianco mantello montagne e pianure della bella Italia, pensiamo quanto sia importante la neve nel saziare il nostro appetito.

(*) Sandra Postel, 2000 – State of the World 2000, Ed. Ambiente – pag. 69;
Lester Brown, 2001 – State of the World 2001, Ed. Ambiente – pag. 84.

7 commenti:

Francesco Aliprandi ha detto...

C'è qualcosa che non mi quadra.

5 milioni di ettari equivalgono a 50000 km^2, cioè 50x10^9 m^2. Stiamo parlando quindi di 50 Gm^3 considerando una precipitazione di 1 m.

Non credo però sia possibile anche solo pensare di intercettarli tutti per utilizzi umani.

mirco ha detto...

C'è una aspetto che non hai ricordato.
Le abbondantissime nevicate di quest'inverno (sulle Dolomiti e Prealpi Venete si sono superati in più punti i 5 - 6 metri) hanno causato gravi danno sia ai boschi in quota che a quelli dei versanti di valle. Ho percorso molti sentieri in questi ultimi mesi e le piante schiantate - per intero o parzialmente - sono un'enormità.
Da parecchi anni la vegetazione non era più sottoposta a carichi nemmeno paragonabili per massa e durata. Vien da piangere a vedere tratti interi di larici, abeti, pini, castagni, ontani, ecc. completamente sradicati o spezzati come fuscelli.

Paolo ha detto...

Quest'inverno è stato un po' anomalo, ma la tendenza degli ultimi anni vedeva una riduzione delle precipitazioni nevose (certo non positiva). Vediamo cosa ci porterà la roulette climatica il prossimo inverno.

Anonimo ha detto...

Ahhhh, Hydraulics, Hydraulics, con un soprannome come il tuo, il tuo sospetto nei confronti dei calcoli di Silvano Molfese autore del post, rivela una incresciosa mancanza d'attenzione.
Nell'articolo si parla di neve, non d'acqua.E la neve sulla quale si basano i conti della serva nel senso di limpida semplicità,di Silvano, sono riferiti ad un manto soffice e poroso che pesa un decimo del corrispondente volume d'acqua.
Niente di grave,capita anche ai premi Nobel d'inciamparsi con le tabelline aritmetiche.
Ma la facilità del copia-incolla può far dilagare errori e fraintendimenti con la spietatezza d'una pandemia.
A Mirco, con il quale condivido il dolore per le stragi di alberi, vorrei però proporre di quantificare il danno occorso alle piante, rispetto al vantaggio delle nevicate.
Non si può avere sempre tutto, e il contrario di tutto, in questa vita, su questa terra.
A qualcosa bisogna pur rinunciare.
A Silvano un ringraziamento per il suo poetico articolo, che equilibra in modo eccellente ragione ed emozione, calcolo e carme, e pure a Frank, che ce lo ha proposto.
Bisogna continuare a diffondere coscienza ecologica in questo modo,
per contrastare la marmaglia cementificatrice, inutilmente industrializzatrice, stupida e ottusa, che se se fosse lasciata agire in pena libertà, trasformerebbe ciò che resta di questo Belpaese in una sterminata crosta.Ma non casearia, bensì postindustriale, d'asfalto
immondizia e calcestruzzo.

Marco Sclarandis

Francesco Aliprandi ha detto...

@ Marco Sclarandis:

Sì, mi ero accorto dell'errore dopo aver spedito il commento. Comunque sono già in ginocchio sui ceci. :)

Anonimo ha detto...

A casa mia ogni tanto andavamo a mietere.

Sapendo che otteniamo in media 9,5 t/ha di mais, oppure le più modeste 5-6 t/ha per orzo e frumento, ne deduco che con 1000 t di acqua per t di cereale i consumi dovrebbero aggirarsi attorno a 5000-6000 t/ha d'acqua per un cereale da poca spesa. Fin qui ci sta, dato che su di un ettaro ne piovono, grossomodo, 7000-8000 t all'anno dalle mie parti; altrove nella pianura anche meno. I cereali autunno vernini non hanno, logicamente, necessità di irrigazione.

Il problema sorge col mais, che ne richiederebbe almeno 2000 aggiuntive. In Emilia Romagna produciamo mais su una superficie di circa 105000 ha, per un extra consumo di 210 mln di t di acqua ipotetico. Da confrontare con i circa 270 mln di t d'acqua estratti da falda e destinati ad uso irriguo. Il conto può essere più realistico se teniamo in conto anche le acque derivate da fiumi e canali irrigui, in quantità nettamente superiore (quasi doppia).

In generale, l'agricoltura tende a consumare l'acqua che cade dal cielo; negli ultimi anni assistiamo a fenomeni di abbandono delle colture più idroesigenti, mais in primis, per ragioni di costi. Ed all'introduzione di varietà di mais che (mirabilia) compiono il proprio ciclo vegetativo senza irrigazione. Le vedo all'opera nel campo del vicino, bella invenzione. Non sono ogm.

Comunque l'agricoltore è uno dei pochi, strani animali che guardano all'acqua come ad una benedizione; e che faticano a permettersela, causa pochi quattrini e grandi costi di attrezzature ed infrastrutture. Gli altri attori la sprecano con allegria in prati all'inglese e pulizie fognarie, visto che dispongono di mezzi finanziari ben maggiori.

In agricoltura sarebbe opportuno investire in risparmio e buona gestione dell'acqua, visto la situazione: nessun coltivatore riuscirà mai a competere con una piscina. Battaglia persa, meglio adeguarsi.

fausto

Anonimo ha detto...

Vi ringrazio per i commenti e, a proposito degli alberi stroncati ne ho visti anche io sull'altipiano della Sila e sul Pollino: la percentuale di piante abbattute sarà senz'altro inferiore alle zone alpine perché è caduta una minore quantità di neve rispetto alle Alpi.

Gli alberi a terra, per esempio, sono sostanza organica per il terreno: un aumento della sostanza organica nel suolo comporta un incremento della capacità del terreno di trattenere l'acqua.
S. Molfese