E' uscito oggi sull'inserto "Tuttoscienze" (de La Stampa di Torino) un articolo del prof. Riccardo Varvelli (Politecnico di Torino), dal titolo "Sos petrolio il compagno sconosciuto".
Il pezzo è in coerenza totale con il pensiero che l'autore ha sviluppato in un suo libro, come esposto in questo post. In poche righe, il pubblico viene rassicurato sul fatto che il petrolio durerà ancora i prossimi 50 anni, dopodichè sarà sostituito dal gas naturale, e poi si procederà con le energie rinnovabili.
Questi concetti trasudano un fragile ottimismo. L'ottimismo è una cosa meravigliosa quando è supportato da solide motivazioni. Nel nostro caso, l'autore tende a mio avviso a sottovalutare il comportamento dei sistemi complessi. La penetrazione di nuove risorse e tecnologie è innanzitutto caratterizzata da una certa gradualità e sovrapposizione con quelle "anziane"; il gas naturale, ad esempio, potrà fornire un'integrazione/diversificazione affiancando sempre di più il petrolio, ma non riuscirà a sobbarcarsi "in toto" i ruoli ricoperti dal petrolio, anche e soprattutto perchè sta piccando anche lui [per un'interessante analisi sulla non-fungibilità del petrolio, si veda questo post di Ugo Bardi]
Le energie rinnovabili, se fatte decollare in modo significativo solo quando petrolio e metano saranno alla frutta, si alzeranno di un paio di metri da terra, dopodichè si schiacceranno al suolo, e con esse la civiltà così come la conosciamo da mezzo secolo abbondante.
L'autore scrive anche che boccerebbe un suo studente che esprima dubbi sulla consistenza delle riserve petrolifere e sulla capacità nel vicino futuro del petrolio di stare al passo con la domanda.
Per logica estensione, Varvelli boccerebbe Aspo con procedura collettiva.
Sinceramente sono preoccupato, ma non per l'ipotetica bocciatura.
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(22/01/2010) Update: articolo completo
Se un allievo del mio corso di dottorato alla prova finale scrivesse «la fine del petrolio è questione di qualche anno, forse il prossimo» o «il prezzo del petrolio cresce a dismisura perché non ce n'è più» o, ancora, «i giacimenti scoperti di recente sono di valore insignificante », dovrei inesorabilmente bocciarlo. Se poi fosse un Premio Nobel a scrivere queste affermazioni, si incrinerebbe la mia stima verso questo prestigioso riconoscimento che laurea fior di scienziati e di menti eccelse.
Eppure chi ha scritto quelle frasi è un Premio Nobel: è Dario Fo nel suo ultimo libro «L'apocalisse rimandata». Per fortuna (della Scienza) il «Nobel » è stato assegnato a Fo per meriti letterari e non scientifici, ma suscita comunque stupore che un personaggio di tale calibro e fama manifesti un’imperfetta conoscenza dei dati relativi alla fonte energetica più importante sulla Terra.
Perché i dati e i fatti dicono incontrovertibilmente che il petrolio non è finito nel 2009, che non finirà nei prossimi 50 anni e che non finirà mai, perché prima che si esaurisca verrà sostituito dal gas naturale e più in là ancora dalle energie rinnovabili.
Il prezzo del petrolio, cresciuto a dismisura fino ai 147 dollari al barile nel luglio del 2008, è poi crollato a 36 nel settembre dello stesso anno, continuando a soddisfare la domanda mondiale.
Intanto il giacimento di Kashagan, in Kazakistan, è una recente scoperta ed è il più grande individuato negli ultimi 30 anni e oggi fa buona compagnia con le nuove scoperte di petrolio nel bacino di Santos, al largo delle coste brasiliane, e con i giacimenti giganti dell'«off-shore» dell’Angola.
Di un’ignoranza diffusa sui temi energetici siamo in buona misura responsabili noi studiosi, perché non abbiamo saputo parlare nelle sedi giuste e nei momenti opportuni o perché, pur avendo parlato, non siamo
stati sufficientemente chiari e convincenti.
Ma con tante sacche di impreparazione non ci si deve poi stupire se nascono forti movimenti antagonisti allo sviluppo e alla diversificazione energetica, soprattutto verso quelle energie più utilizzate e diffuse che evidenziano probabili (ma non certe) conseguenze negative per la sicurezza dell'umanità e per gli effetti sgraditi sull'ambiente.
Non si può infatti negare che la combustione del petrolio produca grandi quantità di anidride carbonica che, sommata ad altri gas di origine umana, generi l'effetto serra, con il conseguente surriscaldamento dell’atmosfera terrestre, così come non si può negare che le scorie prodotte da una reazione nucleare siano estremamente pericolose e durature nel tempo. Ma trarre da questi fatti interpretazioni catastrofiche (spesso annunciate come certezze) per la sopravvivenza dell’umanità nel breve termine significa non avere fiducia nell'intelligenza dell'uomo, che attraverso una corretta e completa conoscenza dei fenomeni fisici può intervenire e correggerli, limitando quindi i danni.
E’ per questa ragione che il Politecnico di Torino, a partire da oggi e con cadenza settimanale, fino al 3 marzo, ha deciso di organizzare un approfondito programma di sette conferenze intitolato «Energia: 2010 e oltre», con lezioni e testimonianze di professori ed esperti industriali della durata di due ore (dalle 17.30 alle 19.30) presso l'Aula Magna.
L'obiettivo del programma è quello di comunicare insieme con lo stato dell' arte delle conoscenze anche un’opinione il più possibile obiettiva su eventi che sono considerati cruciali per lo sviluppo e il benessere della società umana nei prossimi decenni.
Verranno affrontati con linguaggio appetibile e comprensibile i temi relativi alle fonti non rinnovabili (petrolio, gas naturale, carbone e uranio), alle fonti rinnovabili (solare, eolica, biomasse, rifiuti, idrica e geotermica), alle reti elettriche, oltre che all'efficienza energetica nei processi industriali, negli edifici e nei trasporti.
Le conferenze sono aperte al pubblico (le informazioni sul programma sono disponibili sul sito www.polito.it)
9 commenti:
..Secondo voi Varvelli è in malafede ?, una sorta di Giuliano ferrara dei professori universitari ?
( Mi pare anche che Ferrara se l'è presa in quel posto 1 anno fa, quando ha fatto il passo il lungo della gamba candidandosi alle politiche e dimettendosi da La7 ne riscuotendo particolari simpatie dal PDL...)
Mi sembra evidente che il sistema si stia affannando a sconfessare le cassandre del petrolio, tanto per tranquillizzare il popolo bue; del resto non mi pare che il giornale "La Stampa" sia estraneo ai media di regime.
E poi non é utile spargere tanto allarmismo mediatico sul picco per non preoccupare i mercati borsistici, così fragili dopo la scoppola del greggio a 147 $/b.
Le elite finanziarie globali, i veri capi del mondo, sono a conoscenza del picco e delle sue implicazioni, su questo non ho dubbi, e probabilmente anche le personalità politiche ai più alti livelli.
Che dire, queste lobby globali hanno sempre privilegiato e privilegiano il profitto ad ogni costo e non credo proprio che abbiano mai considerato il bene dei popoli, come non credo che lo considereranno mai. La loro filosofia é quella del tutto ed oggi e quando la nostra (in)civiltà collasserà loro ne saranno solo spettatori dall'alto dei loro rifugi.
Il resto del mondo(noi compresi) sarà l'attore protagonista nel subire lo sfacelo totale...
l'articolo originale si trova qui:
http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/default_PDF.asp?pdf=1
e prosegue qui:
http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/default_PDF.asp?pdf=4
ciao, Stefano.
Potrebbe andare qualche membro di ASPO alla conferenza organizzata dal politecnico di Torino a porre qualche obiezione all'ottimismo del professore (magari uno già laureato, così non teme bocciature!)
Cambio leggermente argomento per testimoniare quanto i giornalisti italiani siano succubi del potere e come non facciano mai "la seconda domanda".
Su Repubblica TV ho visto poco fa la replica di un intervista al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, tra le varie domande anche quella sul TAV.
Chiamparino ha esposto le tesi favorevoli (occupazione, sviluppo, scelta ambientalista perché la rotaia è meglio della gomma o dell'aereo, ecc.).
Anche la Corte dei Conti ha accertato che nella tratta TO-MI è costata 5 volte di più al chilometro che in Francia, parliamo di tratti pianeggianti e rettilinei.
Io so che molti esperti hanno detto no al TAV esclusivamente per ragioni economiche, non regge, non vi è il ritorno economico.
Possibile che il vice-direttore di Repubblica Massimo Giannini non abbia mai sentito parlare di ciò?
Naturalmente dopo che Chiamparino ha esposto le sue tesi, si è passati ad altra domanda ed argomento.
Un articolo simile l'ho letto in questi giorni su "Le scienze" di gennaio, a firma di Leonardo Maugeri dell'ENI...
Lì si parla di come le nuove tecnologie di estrazione permetterebbero di avere petrolio per almeno altri 50 anni, facendo un piccolo accenno alle rinnovabili verso la fine...
Mah, è difficile per me dire se gente del calibro di Varvelli e Maugeri sia in malafede o no.
Quello che è sicuro è che le loro teorie ottimistiche non danno spiegazioni soddisfacenti all'attuale "crisi" del sistema industriale.
Se i sistemi fossero così stabili e i giacimenti fossero in grado di rifornire in modo naturale il tessuto industriale così com'è oggi (che, ricordiamolo, è basato sulla crescita), non assisteremmo a queste continue chiusure di stabilimenti e difficoltà sistemiche.
Se i giacimenti dovranno essere "spremuti" con nuove tecniche, non è che ci si sputi sopra, ma bisogna tener conto che di fatto di tratta di organismi in fase terminale, l'EROEI scenderà ed è urgente programmare il futuro in funzione di questo.
Cosa che non pare stia accadendo, in quanto la penetrazione delle rinnovabili è molto più lenta di quello che dovrebbe essere per stabilizzare in modo soft i sistemi. Se poi ci si mettono anche questi con un insostenibile ottimismo, auguri.
Ringrazio Trifone per i link (ho messo l'articolo originale in calce al post)
Riallacciandomi a Frank sul tema dell'attuale crisi industriale, in realtà ci sono delle distinzioni da fare secondo me.
Tutto è partito innanzi tutti da una crisi di stampo prettamente finanziario proprio in USA, che è un po' il volano di tutta l'economia globale (una lucida analisi l'ho trovata in "Crack" di Morris). Questo ha chiaramente impattato sull'economia italiana, molto rigida dal punto di vista lavorativo ed industriale, e sta creando una crisi del mercato del lavoro in senso stretto (poca offerta, molta domanda, con contratti a tempo indeterminato delle persone già inserite nel mondo lavorativo praticamente inossidabili, settore pubblico ipertrofico, settore industriale a volte colluso con la Mafia e lo Stato), cioé quello che gli economisti chiamano "fallimento del mercato", di quel particolare mercato, almeno parzialmente.
A ciò si aggiunge il problema dei vari picchi delle materie prime, che si stanno esaurendo nell'Occidente e/o che sono sempre più importati da Paesi asiatici sempre più potenti come la Cina, nuovi sulla scena (ricordo esattamente 10 anni fa che nella mia tesina di fine superiori parlavo di India e Cina come di due grandi potenze emergenti nel prossimo futuro e i miei coetanei non mi credevano, né i professori con cui ne avevo parlato tranne uno), tra cui il picco del petrolio. Queste materie, sempre appannaggio di potenze estere, creano i problemi attuali del mondo industriale. Il problema dell'esaurimento di queste cose "vive" all'interno di questo scenario, e con esso si influenza e si interseca.
Che poi alla crisi finanziaria che accennavo prima si fosse arrivati per gradi e partendo dalla situazione pertrolifera mondiale come causa ultima non ci piove. In particolare, mi riferisco allo scenario descritto da Bardi nella "fine del petrolio" al capitolo 6, che trovo molto convincente.
Questo solo per dire che secondo me l'attuale crisi ha così tante concause che è difficile orientarvisi o chiarire bene di cosa si sta parlando invocando "la crisi"... ed è pertanto facile fare speculazione su questa parola, anche per chi rappresenta delle autorità o delle istituzioni.
Piccola critica agli amici che seguono , alcuni gia' da qualche anno, le questioni energetiche e soprattutto il processo del picco.
Non si puo' affrontare questo tema e influire sull' atteggiamento del "sistema" sulla questione occupandosi solo di questo tema. L' atteggiamento della stampa, al 90% filoconfindustriale (compresa Repubblica, giornale piu' letto dalla sinistra)e della politica,Partito Democratico e satelliti vari, compresi Verdi ed ora Sinistra e Liberta',Prc,l' atteggiamento dei sindacati (compresa Cgil) e' sempre lo stesso sia che si tratti di prossimo picco o di economia o di guerra e sistema militare. E' un atteggiamnto miope, opportunista e le diverse parti si sostengono a vicenda senza preoccuparsi troppo di approfondire gli argomenti. Non si puo' far crescere atteggiamenti diversi se non si prendono le distanze da questi ambienti. La mia e' una opinione e non una certezza e assolutamente ognuno deve muoversi nella maniera che ritiene piu' opportuna non do la linea a nessuno. Ma sono convinto veramente che si debba tagliare da questi ambienti e ricominciare da una piccola minoranza.
marco p.
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