sabato, marzo 13, 2010

Blackout, ovvero, l’insostenibile leggerezza nel trattare il carbone


created by David Conti

Non c’è che dire. In questi anni il petrolio ha decisamente fatto parlare di se. Dopo il lungo sonno degli anni 80 e 90, nei quali l’Economist con il suo proverbiale occhio lungo titolava in prima pagina “affoghiamo nel petrolio”, il decennio appena trascorso ci ha regalato una nuova prospettiva sull’oro nero. Certo, siamo ancora lontanissimi da una vera e propria presa di coscienza globale sul concetto di scarsità di una risorsa non rinnovabile e fondamentale per la nostra civiltà, ma, nel muro di ottimismo spinto e di business as usual messo su da media e politicanti iniziano ad intravedersi delle crepe, beninteso, per chi ha la pazienza e le capacità di analisi per notarle.

Ma c’è un’altra risorsa, importante come se non di più del petrolio, sulla quale perdura un silenzio inquietante: il carbone, che da solo contribuisce al 40% della produzione elettrica mondiale. Onore e lode quindi a Richard Heinberg che con il suo libro, Blackout, offre al lettore medio (categoria alla quale appartiene il sottoscritto) una panoramica esaustiva, ovviamente dal punto di vista del picco di Hubbert. Ed è a partire dalle primissime pagine che smonta, pezzo per pezzo, la formula che nelle intenzioni dei sostenitori del carbone dovrebbe sopire sul nascere ogni dubbio sulla sua abbondanza: il famigerato rateo R/P, risorse diviso produzione. Il risultato di questa formula, espresso in anni, non tiene conto della curva di Hubbert e nel lettore, sia esso un cittadino qualunque o l’amministratore delegato di una grossa compagnia, instilla un falso senso di sicurezza. “Abbiamo carbone per i prossimi 200 anni” è lo slogan dell’industria carbonifera americana che sembra chiudere la discussione, poco importa se i 200 anni prospettati originariamente ad un’analisi più scrupolosa risultano quasi dimezzati e che alla fine di questi la produzione disponibile non sarà che una frazione minima rispetto a quella odierna. Tanto basta.

Il campanello di allarme di Heinberg non fa che rilanciare le preoccupazioni segnalate in 2 report tanto significativi, quanto ignorati dai policy makers internazionali. Il primo, pubblicato nel 2007 dall’Accademia Americana delle Scienze, sostiene che le attuali stime sulle riserve di carbone negli Stati Uniti sono state stabilite con metodologie non aggiornate dal 1974 e che l’applicazione delle ultime tecniche disponibili potrebbe ribassare, e di molto, questo dato. Il secondo report pubblicato lo stesso anno è firmato dall’Energy Watch Group , un gruppo indipendente di scienziati impegnati nel fornire informazioni quanto più accurate possibili sullo stato delle risorse energetiche mondiali. Trattando i dati esistenti con la “cura Hubbert”, gli analisti dell’EWG indicano nel 2025 l’anno del possibile “picco del carbone” a livello mondiale, posticipato di 10 anni per quanto riguarda gli States.

Il resto del libro risponde pienamente a quello che ci si aspetta da Heinberg, ovvero, cifre e proiezioni riguardanti ogni regione mondiale di produzione, una rassegna delle ultime tecnologie disponibili ed i classici scenari futuribili. Provando ad immaginare quale sarà la nuova frontiera del carbone, troviamo in Pole Position il Sud America, nello specifico Colombia e Venezuela pronte a rifornire dei giganti insaziabili come Stati Uniti ed Europa. Già, proprio gli States che abbondano della materia prima, suggerisce Heinberg, potrebbero preferire alla Lignite del Wyoming da trasportare in treno il Carbone bituminoso colombiano da trasportare in nave. Per la serie, avere “200 anni” di riserve conta poco se la maggior parte non sono di buona qualità.

Per quanto riguarda gli scenari tratteggiati da qui al 2040, il fallimento clamoroso di Copenhagen mi fa propendere verso la prima ipotesi offerta dall’autore: “Business as Usual”. In questo scenario, gli sforzi mondiali per limitare l’emissione di Co2 sono puramente di facciata, mentre si brucia carbone a go go per compensare il declino della produzione petrolifera e, soprattutto, per cercare di non far inceppare la spaventosa macchina della “crescita”. La crescita esponenziale del mercato delle auto elettriche non fa che aumentare la richiesta di carbone andando ad impattare violentemente sui prezzi.

Nel frattempo, l’economia di Cindia è sotto stress per delle carenze locali di carbone mentre nell’occidente si assiste ad una progressiva rilocalizzazione delle industrie pesanti. Dopo il 2020 il declino di petrolio e gas inizia a farsi sentire pesantemente, spingendo tutti alla disperata impresa di gasificare e liquefare quanto più carbone disponibile. La maggior parte delle auto sono elettriche e gli aerei volano solo grazie alle buonanime di Fischer e Tropsch, tuttavia il traffico automobilistico ed aereo è sensibilmente ridotto rispetto ai livelli del 2010. Nelle nazioni più industrializzate si assiste al razionamento energetico e questo comporta un notevole peggioramento delle condizioni di vita. Fra il 2030 ed il 2040 il commercio mondiale di carbone è praticamente bloccato. Chi ha qualsiasi tipo di combustibile fossile lo usa esclusivamente per se, mentre la crisi economica ormai istituzionalizzata ed il graduale decadimento delle infrastrutture e dell’industria non permettono di completare la transizione verso le energie rinnovabili. Solo le nazioni con alla base un’agricoltura di sussistenza ed una discreta dose di fonti fossili possono pensare di sopravvivere. In qualsiasi altra nazione i governi semplicemente smettono di operare e l’ordine sociale svanisce. Blackout. Brrr…

PS: Una manina innocente ha consegnato una copia del libro ad un importante dirigente del settore. La reazione avuta mi ha definitivamente convinto della veridicità dello scenario tratteggiato da Heinberg.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi ha qualsiasi tipo di combustibile fossile lo usa esclusivamente per sé...

Credo che questo varrà anche per l'uranio: sarei curioso di sapere cosa utilizzerano per le future centrali nucleari nostrane...

Anonimo ha detto...

Vabbè, forse il mondo andrà così, verso il baratro, però penso che siamo un po' diversi da una coltura di batteri visto che abbiamo un cervello funzionate, non tutti ma molti sì.

Pertanto vi invito a leggere dopo questa botta di pessimismo cosmico, un post di Jacopo Fo, attore scrittore, divulgatore, da anni lavora nelle energie alternative, col suo gruppo di acquisto hanno installato 182 impianti solari, stanno costruendo un eco-villaggio.

Il post riguarda il 1° aprile e forse se ci fosse più gente pazzerella il mondo andrebbe meglio.

Antonello ha detto...

Post sicuramente ben fatto, dal 2010 è come tornare indietro a velocità sostenuta e... "BAU". Un solo appunto: Heinberg dove colloca l'inevitabile III guerra mondiale?

paolo zamparutti ha detto...

Bel post
per caso sapete se esiste la traduzione italiana del libro di Heinberg?

Pilotadelladomenica ha detto...

ehm...vogliamo ricordarci che oggi e nel 2040 ci saranno nazioni che invece che bruciare fossili avranno idroelettrico, vento, boschi e/o..centrali nucleari?

Che magari nel 2040 saranno finalmente riusciti a far funzionare le centrali a fusione oppure almeno quelle a fissione di IV generazione, a torio o a scorie lasciate da quelle ormai dismesse?

Che il solare darà comunque una mano?

...che se il carbone scarseggerà veramente tra venti anni, finita la inevitabile guerra nucleare, almeno i due o tre superstiti saranno salvi da catastrofi da effetto serra?

Insomma ragazzi, un po' di ottimismo... e di corsa a trasferirsi in Svezia o Norvegia!

banzai ha detto...

e gli idrati di metano dove li mettiamo?

Mauro ha detto...

@Pilotadelladomenica
Fai 2 conti: attualmente qunata energia primaria viene prodotta da fonti rinnovabili?
In italia meno del 10%
Anche riuscissimo a raddoppiare la produzione energetica e dimezzare il consumo sarebbe comunque poco.

@Pippolillo
Non conterei troppo sul fatto che abbiamo un cervello: fin'ora in situazioni di carestia l'uomo ha sempre mostrato la sua malvagità.
Mi aspetto che useremo gli ultimi litri di petrolio per muovere carri armati.