Oggi vorrei recensire brevemente l’ultimo, eccellente lavoro di Domenico Coiante riguardante il costo di produzione dell’energia nucleare. Potete leggerlo integralmente sul sito di Aspoitalia, nell’Archivio degli articoli, cliccando qui.
Si tratta di un’analisi completa, accurata ed articolata di tutti i fattori che influiscono sul costo finale, che lascia ormai pochi dubbi sulla reale convenienza economica della tecnologia nucleare.
Partiamo perciò dalle conclusioni di Coiante:
“In definitiva, la nostra stima assegna al costo del kWh nucleare l’intervallo di valori:
CkWh = (8,1 ¸ 9,4) c€/kWh
Confrontando questo risultato con i dati della Tab.2, si può vedere che i valori ottenuti si collocano al di sopra delle stime più ottimistiche e in buon accordo con i dati dei rapporti Lazard e Keystone.
Osservando i pesi dei diversi contributi, si può vedere come il costo finanziario incida per oltre il 70%. E’, pertanto, fondamentale per raggiungere un buon margine di confidenza sul risultato conoscere con precisione questo parametro di costo, che, nella pratica, può variare molto in dipendenza dalle condizioni socio politiche del paese in cui si va ad istallare l’impianto.
La nostra stima si riferisce all’area dell’UE, con i suoi costi e i suoi requisiti per la sicurezza e con particolare riguardo alle condizioni strutturali italiane. A questo proposito dobbiamo tenere conto del fatto che il prezzo unico d’acquisto dell’energia elettrica in Italia è situato oggi in media a 7 centesimi di euro e che il prezzo del kWh per il carico di base, cui è destinata la produzione nucleare, è di 4,7 centesimi di euro (www.mercatoelettrico.org PUN index del giorno 3/5/2011).
Possiamo, pertanto, concludere che, nonostante i miglioramenti avvenuti nel fattore di carico e nell’efficienza di trasformazione dei reattori (qui puntualmente registrati) e l’acquisizione del credito di emissioni di CO2 al valore di mercato, l’energia elettrica nucleare non è competitiva.”
Ovviamente rimando a un’attenta lettura dell’articolo di Coiante per comprendere i motivi che conducono a queste conclusioni, qui mi limito solo ad alcuni commenti.
Il metodo di calcolo utilizzato dall’autore è quello consigliato dall’Agenzia Energetica Internazionale per comparare il costo di produzione delle varie fonti energetiche, quindi difficilmente si potrà contestare questo aspetto dello studio. Esso è fondato sulla determinazione del cosiddetto VAN (Valore Attuale Netto), cioè l’attualizzazione all’anno zero di tutti i flussi di costo nell’intero ciclo di vita del reattore.
Si tratta di un’analisi completa, accurata ed articolata di tutti i fattori che influiscono sul costo finale, che lascia ormai pochi dubbi sulla reale convenienza economica della tecnologia nucleare.
Partiamo perciò dalle conclusioni di Coiante:
“In definitiva, la nostra stima assegna al costo del kWh nucleare l’intervallo di valori:
CkWh = (8,1 ¸ 9,4) c€/kWh
Confrontando questo risultato con i dati della Tab.2, si può vedere che i valori ottenuti si collocano al di sopra delle stime più ottimistiche e in buon accordo con i dati dei rapporti Lazard e Keystone.
Osservando i pesi dei diversi contributi, si può vedere come il costo finanziario incida per oltre il 70%. E’, pertanto, fondamentale per raggiungere un buon margine di confidenza sul risultato conoscere con precisione questo parametro di costo, che, nella pratica, può variare molto in dipendenza dalle condizioni socio politiche del paese in cui si va ad istallare l’impianto.
La nostra stima si riferisce all’area dell’UE, con i suoi costi e i suoi requisiti per la sicurezza e con particolare riguardo alle condizioni strutturali italiane. A questo proposito dobbiamo tenere conto del fatto che il prezzo unico d’acquisto dell’energia elettrica in Italia è situato oggi in media a 7 centesimi di euro e che il prezzo del kWh per il carico di base, cui è destinata la produzione nucleare, è di 4,7 centesimi di euro (www.mercatoelettrico.org PUN index del giorno 3/5/2011).
Possiamo, pertanto, concludere che, nonostante i miglioramenti avvenuti nel fattore di carico e nell’efficienza di trasformazione dei reattori (qui puntualmente registrati) e l’acquisizione del credito di emissioni di CO2 al valore di mercato, l’energia elettrica nucleare non è competitiva.”
Ovviamente rimando a un’attenta lettura dell’articolo di Coiante per comprendere i motivi che conducono a queste conclusioni, qui mi limito solo ad alcuni commenti.
Il metodo di calcolo utilizzato dall’autore è quello consigliato dall’Agenzia Energetica Internazionale per comparare il costo di produzione delle varie fonti energetiche, quindi difficilmente si potrà contestare questo aspetto dello studio. Esso è fondato sulla determinazione del cosiddetto VAN (Valore Attuale Netto), cioè l’attualizzazione all’anno zero di tutti i flussi di costo nell’intero ciclo di vita del reattore.
Oltre l’apparente complessità delle formule, rimane il dato di fatto sintetizzato da Coiante nelle conclusioni, che il 70% del costo di produzione sia determinato dalla componente finanziaria, cioè dal capitale richiesto per la costruzione delle centrali e dalle condizioni finanziarie di acquisizione di tale investimento.
A tale proposito, assume un ruolo centrale la fase di preammortamento dell’investimento, cioè il periodo di tempo intercorrente tra l’affidamento dei lavori e l’inizio della costruzione: “L’ammortamento del debito inizia solo quando la centrale entra in servizio e comincia a produrre reddito. La restituzione avviene in un numero N di rate annuali lungo tutta la vita operativa dell’impianto. Tra la data di concessione del prestito e quella d’inizio dell’ammortamento passa un periodo di tempo, detto tempo di cantiere, di n anni, con n che può arrivare anche a oltre 10 anni.
Durante questo periodo occorre pagare gli interessi sulla somma presa in prestito e questa spesa, detta di preammortamento, va a cumularsi in modo attuariale sul debito.”
A tale proposito, assume un ruolo centrale la fase di preammortamento dell’investimento, cioè il periodo di tempo intercorrente tra l’affidamento dei lavori e l’inizio della costruzione: “L’ammortamento del debito inizia solo quando la centrale entra in servizio e comincia a produrre reddito. La restituzione avviene in un numero N di rate annuali lungo tutta la vita operativa dell’impianto. Tra la data di concessione del prestito e quella d’inizio dell’ammortamento passa un periodo di tempo, detto tempo di cantiere, di n anni, con n che può arrivare anche a oltre 10 anni.
Durante questo periodo occorre pagare gli interessi sulla somma presa in prestito e questa spesa, detta di preammortamento, va a cumularsi in modo attuariale sul debito.”
Ciò determina un sensibile aumento delle spese previste per la mera costruzione delle centrali e gli esempi dei reattori in costruzione in Finlandia e in Francia stanno a dimostrarlo. Su questo fattore, che le analisi più ottimistiche spesso ignorano o sottovalutano, incidono sicuramente le condizioni specifiche di mercato locale per la concessione del prestito, ma anche i tempi necessari ad iniziare i lavori. Da questo punto di vista, i tempi biblici necessari a iniziare la costruzione delle opere pubbliche in Italia, dovrebbero indurci a qualche ulteriore riflessione critica sulla convenienza dell’investimento nel nostro paese.
L’altra considerazione che mi sento di fare in merito alla forchetta di valori indicata da Coiante è che quello più basso corrisponde a una durata della vita operativa delle centrali di 60 anni (maggiore è la produzione energetica, minore è il costo unitario), che per ora è una prospettiva non ancora suffragata dall’esperienza reale. Qualche dubbio sorge se consideriamo che in fondo, a parte la fase di produzione dell’energia termica, la centrale nucleare non differisce sostanzialmente da una qualsiasi centrale termoelettrica (la cui durata è da considerare empiricamente più bassa), e che la risoluzione di maggiori problematiche di sicurezza probabilmente determineranno un ulteriore aumento dei costi di costruzione e manutenzione.
L’ultima considerazione riguarda la componente del costo legata al combustibile nucleare, che secondo le valutazioni di Coiante incide dal 4% al 5%, quindi in misura poco rilevante, come affermano spesso i nuclearisti. Però, considerando che l’uranio di facile estrazione è quasi terminato, è prevedibile nei prossimi anni una nuova crescita dei prezzi della materia prima che potrebbero incidere in misura sensibile sul costo di produzione del kWh marginale.
Concludendo, il costo di produzione del kWh nucleare è superiore ai prezzi di mercato delle altre fonti energetiche e difficilmente potrà superare questo gap, proprio a causa delle sempre maggiori esigenze di sicurezza, l'uranio è una risorsa limitata e disponibile in pochi paesi, il ciclo del combustibile nucleare è completamente nelle mani di poche aziende, come quelle che io chiamo "le quattro sorelle dell'arricchimento". Ognuno di questi argomenti l’abbiamo sviluppato in precedenti articoli, ma il succo politico-industriale della questione è che, se mai il nostro paese tornasse al nucleare, sarebbe totalmente succube dei francesi. Per cui, una politica più attenta agli interessi nazionali, secondo me dovrebbe essere orientata a diversificare le forniture dei combustibili fossili e a sviluppare anche sul piano della ricerca le uniche fonti autoctone italiane, cioè quelle rinnovabili.
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