Nel 1935, Jorge Luis Borges aveva raccontato per primo in Occidente la storia della vedova Ching, piratessa cinese del diciottesimo secolo. Nel 2003 Ermanno Olmi ha rivisitato la stessa storia in un film che ricorda la prosa di Borges per l’intensità e la profondità, accoppiata alla semplicità.
Quando il pirata Ching muore avvelenato, la sua vedova giura vendetta e si imbarca in una guerra mortale contro l’impero cinese. Ne seguono scontri, disastri e sofferenze. Alla fine, l’imperatore celeste in persona interviene a restaurare l’armonia e la vedova Ching, sconfitta, accetta il perdono che le viene offerto.
Il film è così carico di simboli e di significati che gli strati di idee e di storie si intersecano a volte rinforzandosi e a volte sfumandosi vicendevolmente come un tramonto sul fiume giallo. La storia non lascia spazio alla pietà spicciola. Chi tiene il legame fra il cielo e la terra è tenuto a amministrare la giustizia, ma non è immune da errori e pertanto da commettere ingiustizie. Questo distrugge l'armonia e chi subisce l’ingiustizia ha diritto di ribellarsi e di combattere. Ma il risultato è la guerra, suprema disarmonia.
Ma chi ha le armi più potenti non è tenuto a usarle, chi cerca la vendetta può rinunciarvi, chi ha il legame con il cielo può perdonare. Il perdono è più importante anche della giustizia. E' l'essenza dell'abbandono a Dio che è detto essere misericordioso e benevolo.
Già Borges aveva colto il messaggio universale della storia della vedova Ching. Olmi lo riprende e lo espone nuovamente in un film dai colori chiari e dai paesaggi immensi. Un film che si muove in una sua lenta sensualità, splendido e languido come la vedova Ching stessa. Interpretata da Jun Ishikawa, è una sensuale, bellissima pirata di una Cina che forse non è mai esistita ma che riverbera di mondi in cui tutti, forse, abbiamo vissuto.
A volte, - come la vedova Ching - tutti riceviamo degli aquiloni messaggeri dal cielo, ma il nostro sguardo spesso è diretto verso il basso e non riusciamo a vederli.
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Si deve a Jay Wright Forrester negli anni '60 l'invenzione del concetto di "Dinamica dei Sistemi" un metodo per calcolare l'evoluzione di sistemi complessi dominati da interazioni di feedback. Sulla base del lavoro di Forrester, possiamo vedere la storia di "Cantando dietro i paraventi" come una perturbazione in un sistema dinamico. La perturbazione - l'assassinio del pirata Ching - cambia i valori delle costanti delle equazioni differenziali che descrivono il sistema. Di conseguenza, le variabili cambiano di valore: crescono e si contraggono; c'è una guerra, ci sono scontri e saccheggi, chi vive e c'è chi muore. Ma alla fine, i sistemi tendono naturalmente all'omeostasi, che in altri contesti si dice armonia.
A Forrester si deve anche l'invenzione del concetto di "punti critici" di un sistema. Ogni sistema, ci dice Forrester, ha dei punti critici - o "punti leva" dove si può agire efficacemente per modificarne l'andamento; in bene e in male. Sempre Forrester ci spiega che nella maggior parte dei casi la gente si rende conto molto male di quali siano questi punti critici e tende ad agire su quelli sbagliati ottenendo risultati opposti a quelli voluti. Ne è un buon esempio il film "Cantando dietro i paraventi" dove il tentativo di fermare la vedova Ching mandandole contro flotte sempre più potenti si risolve con un fallimento. Non serve fare ancora più guerra per fermare la guerra - si agisce sui punti critici sbagliati. Nel film, la guerra si interrompe soltanto quando l'imperatore promette alla vedova Ching il perdono. Il perdono agisce direttamente sui punti critici del sistema. Il perdono è la suprema armonia.
5 commenti:
beh, l'armonia inannzitutto mentale è ciò che manca nella nostra società, ciò che crea problemi nonostante le risorse e le ricchezze di cui disponiamo e che sprechiamo in maniera indegna
Ok, ho perdonato Berlusconi per gli ultimi vent'anni di misfatti.
Cosa cambia adesso?
Premetto che sono un suo ammiratore. Questo articolo, però, come fa notare Mammifero Bipede, manca, a mio modestissimo e umilissimo parere, di due feedback: il primo riguarda il semplicissimo (abbia pazienza Grande Bardo, ma io sono un modesto studioso) del "principio di falsificazione" anche detto della "falsificabilità", che servirebbe a distinguere un'affermazione scientifica da una che non lo è (mi limito a questa definizione, sperando di non sbagliarmi). Sulla base di questo principio, bisognerebbe valutare, a mio umile e modestissimo parere che può anche essere sbagliato, che forse c'è perdono e perdono (dipende da ciò di cui si parla) guerra e guerra, ragioni e ragioni, e soprattutto: chi eroga il perdono? Chi è colui che può, vuole o deve "erogare" un perdono, aggiungerei, oggi?
Per il secondo feedback, lei dovrà perdonare il mio attaccamento al reale, un pò alla "Walter Benjamin" (attaccamento che fu anche il suo limite). Tuttavia, dalla mia umilissima posizione, penso che dovrebbe farsi perdonare dai lettori istruiti di quest'accostamento tra Borges e Olmi, un gigante e un modesto regista di catechismo. Anche perchè i modesti usano le parole dei giganti per loro fini personali.
Lei pone una questione difficilmente discutibile in poche righe. Vorrei però che tenesse presente anche questo fatto dei nostri giorni, che mi ha molto colpito e che credo abbia a che vedere con l'argomento che lei ha lanciato: "Uccide il marito-padrone neonazista: giudice Usa la lascia in libertà". Questa vicenda che giudico interessante, credo che rovesci il suo assunto, e parli del perdono, ovvero in questo caso dell'assoluzione da parte dell'ordinamento della società degli uomini, di una ribellione. Poichè quella ribellione, con tutta probabilità, è giusta. Io l'ho percepita come una notizia positiva, che non inchina l'umanità a un credo astratto incapace di parlare di giustizia, risarcimento, riequilibrio del danno, ma solo di far accettare supinamente la legge del prepotente. Per l'articolo si può guardare: www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=87131&sez=HOME_NELMONDO
Caro Joe, grazie per l'ammirazione che non so se merito. A proposito del tuo commento, beh, ci sarebbero molte cose da dire. Non so se il principio di falsificazione si applica a questa nota che è un po' OT in questo blog. L'avevo scritta diverso tempo fa per un giornale che poi non l'ha pubblicata. E' rimasta li' un certo tempo, poi è finita nella coda di ASPO-italia ed è stata pubblicata.
Non è certamente nella stessa linea di pensiero dei post che pubblichiamo sulle riserve petrolifere e cose del genere. Mi sembrava il caso di farla apparire, tuttavia, perchè il film mi ha dato una chiarissima impressione di "dinamica dei sistemi", quasi che fosse un'illustrazione romanzata dell'effetto di una perturbazione su un sistema dominato da feedback negativi.
A proposito di Olmi, può darsi benissimo che sia un regista assai modesto. Ti dirò che di lui, oltre a "Cantando dietro i Paraventi", ho visto soltanto "il mestiere delle armi" che mi ha lasciato freddino. Però, con questo film, Cantando dietro i Paraventi, io credo che abbia azzeccato un vero capolavoro. Forse, il merito è quasi tutto di Borges del quale non mi definisco un ammiratore ma un vero adoratore che arriva a estasi quasi mistiche nel leggere i suoi testi. Ti dirò che ho imparato lo Spagnolo quasi soltanto per leggere Borges in originale e che alla classica domanda "quale libro ti porteresti in un'isola deserta se te ne potessi portare uno solo" risponderei senza esitazioni "L'Aleph"
di Borges.
Quindi, nel passaggio fra storia Cinese, Borges e Olmi, ne è venuto fuori qualcosa che a mio parere ha un bel valore universale nel definire concetti come pace, guerra, perdono e armonia. Ovviamente, non è detto che il mio modestissimo commento di pochi paragrafi sia riuscito a convogliare bene questa mia idea. Insomma, cerchiamo tutti di comunicare non solo dati e fatti, ma anche sensazioni. Poi, a riuscirci è un'altra cosa............
x Joe
Ah.... a proposito del commento sulla tipa che ha ammazzato il marito che la maltrattava, è curioso che sto leggendo proprio in questi giorni una storia simile. E' quella di Maria Barbella, immigrata italiana a New York nell'800 che ammazzò il proprio amante con un colpo di rasoio perché l'aveva sedotta e abbandonata.
Anche quella di Barbella è una bella storia, (scritta da Idanna Pucci). Con tutti i suoi risvolti di razzismo nella società americana dell'epoca che considerava gli Italiani più o meno come noi oggi consideriamo i Rom.
Quanto poi al risultato finale, l'assoluzione di Maria Barbella, mi ha lasciato un po' perplesso. C'erano due scuole che si fronteggiavano: una voleva condannare Barbella sulla base della certezza del diritto, l'altra la voleva assolvere sulla base del fatto che quello stronzo se l'era voluta.
Non so dire esattamente chi avesse ragione - a parte la faccenda del razzismo. L'averla assolta era una forma di perdono? Forse. Ma la cosa migliore sarebbe una situazione dove non c'è bisogno di porsi queste domande
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