Questa volta ho passato la fine del 2010 fuori dell’Italia e non ho potuto ascoltare, come faccio quasi sempre, il discorso del Presidente della Repubblica di fine anno. Così, con un po’ di ritardo, ho rimediato leggendo il testo integrale del discorso di Giorgio Napolitano disponibile a questo indirizzo.
Complessivamente ho apprezzato le parole del Presidente che, mi pare, in questo frangente di generale impazzimento e mediocrità della politica e delle istituzioni, rappresenti ormai uno dei pochi argini al progressivo imbarbarimento e alla dissoluzione della società italiana.
Mi permetto di segnalare di seguito alcuni dei passaggi a mio parere più significativi del discorso, per poi concludere con un breve commento.
“Siamo stati anche nel corso di quest'anno 2010 dominati dalle condizioni di persistente crisi e incertezza dell'economia e del tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l'ansia del non poterci più aspettare - nella parte del mondo in cui viviamo - un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest'ansia : non potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in positivo al mondo com'è cambiato, e all'impegno, allo sforzo che ci richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a noi italiani, ma non solo a noi: all'Europa, agli Stati Uniti. Se il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.”
“Nelle condizioni dell'Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell'aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l'oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico.”
“Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistema-paese, comporta per l'Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell'ultimo decennio. Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l'urto della crisi globale scoppiata nel 2008.”
“Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario : e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la libertà e l'Unità dell'Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro senso del dovere comune e dell'unità, e nella forza degli ideali.”
Quale è, secondo me, il succo del discorso presidenziale? Cari concittadini, scordatevi per il futuro il Bengodi della crescita economica illimitata a cui ci eravamo abituati, non illudetevi che lo Stato possa più garantire come in passato l’assistenzialismo e gli sprechi che hanno determinato la voragine del debito pubblico, lavoriamo per ridurre le rendite di posizione e le diseguaglianze della società italiana, rinsaldiamo la coesione sociale facendo riferimento alla forza e agli ideali che ispirarono gli italiani che si batterono per l’Unità del paese.
Non è e non può essere, per l’età e la cultura del Presidente, completamente un approccio “picchista”, ma Giorgio Napolitano giunge per altre vie, con una lucidità assente in gran parte dei politici italiani, a conclusioni abbastanza convergenti con chi come me è cosciente del problema cruciale e ineludibile del limite delle risorse e dello sviluppo.
Complessivamente ho apprezzato le parole del Presidente che, mi pare, in questo frangente di generale impazzimento e mediocrità della politica e delle istituzioni, rappresenti ormai uno dei pochi argini al progressivo imbarbarimento e alla dissoluzione della società italiana.
Mi permetto di segnalare di seguito alcuni dei passaggi a mio parere più significativi del discorso, per poi concludere con un breve commento.
“Siamo stati anche nel corso di quest'anno 2010 dominati dalle condizioni di persistente crisi e incertezza dell'economia e del tessuto sociale, e ormai da qualche tempo si è diffusa l'ansia del non poterci più aspettare - nella parte del mondo in cui viviamo - un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato. Ma non possiamo farci paralizzare da quest'ansia : non potete farvene paralizzare voi giovani. Dobbiamo saper guardare in positivo al mondo com'è cambiato, e all'impegno, allo sforzo che ci richiede. Che esso richiede specificamente e in modo più pressante a noi italiani, ma non solo a noi: all'Europa, agli Stati Uniti. Se il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile, ciò non significa che si debba rinunciare al desiderio e alla speranza di nuovi e più degni traguardi da raggiungere nel mondo segnato dalla globalizzazione.”
“Nelle condizioni dell'Europa e del mondo di oggi e di domani, non si danno certezze e nemmeno prospettive tranquillizzanti per le nuove generazioni se vacilla la nostra capacità individuale e collettiva di superare le prove che già ci incalzano. Tanto meno, ho detto, si può aspirare a certezze che siano garantite dallo Stato a prezzo del trascinarsi o dell'aggravarsi di un abnorme debito pubblico. Quel peso non possiamo lasciarlo sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale. Trovare la via per abbattere il debito pubblico accumulato nei decenni ; e quindi sottoporre alla più severa rassegna i capitoli della spesa pubblica corrente, rendere operante per tutti il dovere del pagamento delle imposte, a qualunque livello le si voglia assestare. Questo dovrebbe essere l'oggetto di un confronto serio, costruttivo, responsabile, tra le forze politiche e sociali, fuori dall'abituale frastuono e da ogni calcolo tattico.”
“Reggere la competizione in Europa e nel mondo, accrescere la competitività del sistema-paese, comporta per l'Italia il superamento di molti ritardi, di evidenti fragilità, comporta lo scioglimento di molti nodi, riconducibili a riforme finora mancate. E richiede coraggio politico e sociale, per liberarci di vecchie e nuove rendite di posizione, così come per riconoscere e affrontare il fenomeno di disuguaglianze e acuti disagi sociali che hanno sempre più accompagnato la bassa crescita economica almeno nell'ultimo decennio. Disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Impoverimento di ceti operai e di ceti medi, specie nelle famiglie con più figli e un solo reddito. E ripresa della disoccupazione, sotto l'urto della crisi globale scoppiata nel 2008.”
“Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato. Ci serve, ci aiuta, ripercorrere nelle sue asprezze e contraddizioni il cammino che ci portò nel 1861 a diventare Stato nazionale unitario, ed egualmente il cammino che abbiamo successivamente battuto, anche fra tragedie sanguinose ed eventi altamente drammatici. Vogliamo e possiamo recuperare innanzitutto la generosità e la grandezza del moto unitario : e penso in particolare a una sua componente decisiva, quella dei volontari. Quanti furono i giovani e giovanissimi combattenti ed eroi che risposero, anche sacrificando la vita, a quegli appelli per la libertà e l'Unità dell'Italia! Dovremmo forse tacerne, e rinunciare a trarne ispirazione? Ma quello resta un patrimonio vivo, cui ben si può attingere per ricavarne fiducia nelle virtù degli italiani, nel loro senso del dovere comune e dell'unità, e nella forza degli ideali.”
Quale è, secondo me, il succo del discorso presidenziale? Cari concittadini, scordatevi per il futuro il Bengodi della crescita economica illimitata a cui ci eravamo abituati, non illudetevi che lo Stato possa più garantire come in passato l’assistenzialismo e gli sprechi che hanno determinato la voragine del debito pubblico, lavoriamo per ridurre le rendite di posizione e le diseguaglianze della società italiana, rinsaldiamo la coesione sociale facendo riferimento alla forza e agli ideali che ispirarono gli italiani che si batterono per l’Unità del paese.
Non è e non può essere, per l’età e la cultura del Presidente, completamente un approccio “picchista”, ma Giorgio Napolitano giunge per altre vie, con una lucidità assente in gran parte dei politici italiani, a conclusioni abbastanza convergenti con chi come me è cosciente del problema cruciale e ineludibile del limite delle risorse e dello sviluppo.
8 commenti:
...Napoilitano ha più volte parlato di tagli verticali alla spesa pubblica : concordo, ma non è meglio tradurre in "licenziamenti" per evitare fraintendimenti
Io credo che abbia fatto un discorso abbastanza patetico, specialmente lui che è nelle istituzioni dal 1953 ci viene a parlare del futuro dei giovani.
Finchè avremo politici come Napolitano e peggio di lui i giovani non hanno uno straccio di futuro.
Potrei andare avanti, per me resta uno dei peggiori Presidenti della Repubblica che l'Italia abbia mai avuto.
Apprezzo molto questo suo post. Anche io avevo notato la "carica di verità" nel discorso di Napolitano. Quesi nessun sito internet commenta quaesto discorso come voi avete fatto, evidenziando la consapevolezza della realtà. Ovviamente mi vengono in mente tante considerazioni, spero non "sommarie" (non faccio di tutt'un erba un fascio, in tema di politici).
La prima è che la perdita di aspettative per le generazioni future è qualcosa che si è manifestata già da molto tempo. Forse Napolitano è rimasto colpito dalle lamentele dei giovani e dei precari dell'università che sono andati direttamente a colloquio da Lui. Tuttavia l'assenza di una politica di prospettiva per le generazioni future mi sembra evidente da da vari anni se non decenni. Anzi, molta della politica sembra aver lavorato da decenni per ridurre quella possibilità... e questo è curioso, è come se la casta politica (salvo eccezioni) avesse già deciso l'annientamento delle prospettive dei giovani, come garanzia di incremento delle proprie. Forse è la reazione di una politica impotente che sopravvive depotenziando il futuro.
L'altro aspetto riguarda l'eco prodotto dal discorso di Napolitano, banalizzato da tutti i commentatori politici dei quotidiani nazionali prontamente intervenuti per deresponsabilizzare la politica, una scienza che evidentemente ci vogliono convincere che non debba più occuparsi di futuro, ma di pura reditizia gestione del giorno per giorno. Questo eco è quasi un sussurro. Chi mai si sarà accorto di questa "messa in guardia" sul nostro destino pronuciata dal nostro presidente, se non questo sito (o Terenzio), me medesimo e pochi altri?
Napolitano predica bene in questo discorso, ma in quanto a razzolare lasciamo perdere.
Belle parole ma fatti nulla e poi si sa che il presidente dello stato in Italia non conta praticamente nulla salvo per bloccare i decreti iniqui non firmandoli(se almeno lo facesse sistematicamente). Tassare in modo equo? Eliminare le rendite di posizione e ridurre le differenze sociali? Ma che bella demagogia! E poi la solita solfa del tagliare le spese per ridurre il debito pubblico, ovvero riducendo lo stato sociale.
Comunque mi chiedo quanti Italiani abbiano "letto tra le righe" questo discorso decisamente da post picco, anche se ipotizzo che siano stati una minoranza...
Sono stato costretto ad eliminare il commento di Pierluigi Vernetto, non per spirito censorio, in quanto tutte le opinioni anche critiche nei confronti del Presidente della Repubblica sono legittime. Ciò che non ritengo accettabile per questo blog è la volgarità e il turpiloquio nell'espressione delle proprie opinioni.
Purtroppo oggi l'idea che si debba pagare le tasse, tutti, è rivoluzionario alla "Che". Provate a dire al vostro idraulico che voi la fattura la volete, sentite cosa risponde. Ah già, ma poi vi tocca pagare l'IVA, meglio di no.
Come del resto sono rivoluzionarie tante altre cose.
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