Dopo la manifestazione antitav nella Valdisusa, ospitiamo volentieri questo intervento di Mirco Rossi che mi pare affronti con equilibrio il delicato tema del confronto tra cittadini e istituzioni su una questione così controversa.
Scritto da Mirco Rossi
Rifletto da tempo con discreta difficoltà sulla questione TAV.
Incapace di raggiungere un preciso giudizio finale.
Sento profondamente coerenti con le mie convinzioni le analisi e le considerazioni poste da alcuni alla base del NO definitivo alla realizzazione dell’opera. Convinto che non sia possibile immaginare una costante crescita del PIL, della produzione, del movimento merci, né quello dei flussi turistici e del va-e-vieni delle persone, che risulteranno progressivamente strozzati dai crescenti costi dei carburanti legati al declino del petrolio e in generale ai limiti delle risorse.
Ascolto con fastidio le insistenti “paludate” motivazioni diffuse nei media a sostegno dell’inevitabile realizzazione dell’opera, come la perdita dei finanziamenti europei (Forbice-Radio1: 650 milioni su 12-13 miliardi di costo complessivo!); 4 ore Parigi-Milano (alcuni ministri e diversi maitre-a penser), mentre la TAV è concepita per favorire principalmente il trasporto merci e una riduzione anche del 25% del tempo necessario a collegare le due città sarebbe applicabile a un numero di viaggiatori non certo così imponente da far diventare questo un fattore decisivo.
Incapace di raggiungere un preciso giudizio finale.
Sento profondamente coerenti con le mie convinzioni le analisi e le considerazioni poste da alcuni alla base del NO definitivo alla realizzazione dell’opera. Convinto che non sia possibile immaginare una costante crescita del PIL, della produzione, del movimento merci, né quello dei flussi turistici e del va-e-vieni delle persone, che risulteranno progressivamente strozzati dai crescenti costi dei carburanti legati al declino del petrolio e in generale ai limiti delle risorse.
Ascolto con fastidio le insistenti “paludate” motivazioni diffuse nei media a sostegno dell’inevitabile realizzazione dell’opera, come la perdita dei finanziamenti europei (Forbice-Radio1: 650 milioni su 12-13 miliardi di costo complessivo!); 4 ore Parigi-Milano (alcuni ministri e diversi maitre-a penser), mentre la TAV è concepita per favorire principalmente il trasporto merci e una riduzione anche del 25% del tempo necessario a collegare le due città sarebbe applicabile a un numero di viaggiatori non certo così imponente da far diventare questo un fattore decisivo.
In un contesto di crisi e declino, che richiede di allocare con grande prudenza e crescente efficacia le scarse risorse economiche disponibili, risulta del tutto anacronistico e ingiustificato un impegno di queste dimensioni a fronte dei ridotti risultati razionalmente prevedibili, delle esigenze ambientali calpestate e di urgenze ben più evidenti da tempo accantonate.
Condivido le valutazioni prettamente politiche proposte da altri che sottolineano la sproporzione di potere reale espresso dal voto individuale a seconda della classe da cui proviene, del censo e del ruolo. Mettono in evidenza i limiti difficilmente risolvibili della democrazia formale (borghese) che esprime con maggiore efficacia i rapporti tra le quantità di capitale, i livelli culturali, le stratificazioni sociali piuttosto che le singole volontà presenti in un’organizzazione sociale composta da portatori di uguali diritti.
Da tempo sono convinto che la democrazia formale rappresentativa vada costantemente vitalizzata, completata e concretata da plurime forme partecipative autonome, espressioni di interessi specifici che altrimenti resterebbero non solo definitivamente cassati ma addirittura sconosciuti in quanto privi di sufficiente rappresentazione.
D’altra parte non riesco a considerare sbagliati i rilievi che altri propongono in relazione alla necessità che un’organizzazione sociale e/o statuale, sufficientemente ordinata, debba poter contare sulla certezza che, espletati correttamente tutti i possibili confronti di forma e di sostanza, l’opinione preminente e/o le istituzioni possano attuare le proprie decisioni.
Non è detto affatto che ciò garantisca la giustezza di quanto viene messo in atto (le guerre rappresentano l’esempio più pregnante in questo senso). D’altronde l’irrisolvibile caparbietà di una minoranza o di un piccolo gruppo nel voler continuare ad opporsi non più solo con argomentazioni, manifestazioni, valutazioni (magari le più giuste e razionali ma a questo punto perdenti) non può che sfociare alla fine in prova di forza fisica, in scontro aperto, in azioni violente. Anche la sola resistenza passiva presuppone un agire in qualche misura violento da chi intenda rimuoverla a difesa delle decisioni della maggioranza e/o delle procedure democraticamente definite.
Condivido le valutazioni prettamente politiche proposte da altri che sottolineano la sproporzione di potere reale espresso dal voto individuale a seconda della classe da cui proviene, del censo e del ruolo. Mettono in evidenza i limiti difficilmente risolvibili della democrazia formale (borghese) che esprime con maggiore efficacia i rapporti tra le quantità di capitale, i livelli culturali, le stratificazioni sociali piuttosto che le singole volontà presenti in un’organizzazione sociale composta da portatori di uguali diritti.
Da tempo sono convinto che la democrazia formale rappresentativa vada costantemente vitalizzata, completata e concretata da plurime forme partecipative autonome, espressioni di interessi specifici che altrimenti resterebbero non solo definitivamente cassati ma addirittura sconosciuti in quanto privi di sufficiente rappresentazione.
D’altra parte non riesco a considerare sbagliati i rilievi che altri propongono in relazione alla necessità che un’organizzazione sociale e/o statuale, sufficientemente ordinata, debba poter contare sulla certezza che, espletati correttamente tutti i possibili confronti di forma e di sostanza, l’opinione preminente e/o le istituzioni possano attuare le proprie decisioni.
Non è detto affatto che ciò garantisca la giustezza di quanto viene messo in atto (le guerre rappresentano l’esempio più pregnante in questo senso). D’altronde l’irrisolvibile caparbietà di una minoranza o di un piccolo gruppo nel voler continuare ad opporsi non più solo con argomentazioni, manifestazioni, valutazioni (magari le più giuste e razionali ma a questo punto perdenti) non può che sfociare alla fine in prova di forza fisica, in scontro aperto, in azioni violente. Anche la sola resistenza passiva presuppone un agire in qualche misura violento da chi intenda rimuoverla a difesa delle decisioni della maggioranza e/o delle procedure democraticamente definite.
In tal caso, l’incapacità o l’impossibilità d’individuare una soluzione di compromesso, origina un contesto inevitabilmente violento che può essere agito da entrambe o da una delle fazioni in campo, anche se – a mio parere – con un diverso grado di legittimità sociale.
Deve quindi la minoranza accettare e subire definitivamente la sua sconfitta? No di certo, anzi. Ha l’obbligo morale e politico di continuare la sua battaglia su terreni diversi, trovando i modi per conquistare nuovi consensi alle sue posizioni, puntando a essere più avanti maggioranza.
Da questo punto di vista la conclusione di una qualsiasi battaglia va intesa come provvisoria, non rappresenta che l’inizio di un nuovo confronto, a un livello più elevato se il primo è risultato vincente, con obiettivi di recupero, se perdente.
Oltre ai sistemi di lotta e di promozione del consenso “classici”, tradizionalmente sperimentati, sono ora disponibili strumenti potenti che già hanno dimostrato la loro capacità di collegare, informare, convincere, organizzare movimenti e masse portandole a risultati vincenti attraverso percorsi chiaramente collocabili oltre i limiti della legittimità, ufficialmente definita.
Non sono state certo percorse strade in discesa o esenti da fenomeni di violenza estrema (il livello della guerra civile a volte è stato, dal punto di vista sostanziale, legittimamente sfiorato, in altre agito) ma non si può sottacere il fatto che in quei casi le posizioni iniziali di pochi in brevissimo tempo hanno dato vita a movimenti fortemente radicati tra la popolazione, diffusi in molti ambienti, ampiamente partecipati, condivisi e sostenuti esplicitamente da larghissime fasce di cittadini.
Deve quindi la minoranza accettare e subire definitivamente la sua sconfitta? No di certo, anzi. Ha l’obbligo morale e politico di continuare la sua battaglia su terreni diversi, trovando i modi per conquistare nuovi consensi alle sue posizioni, puntando a essere più avanti maggioranza.
Da questo punto di vista la conclusione di una qualsiasi battaglia va intesa come provvisoria, non rappresenta che l’inizio di un nuovo confronto, a un livello più elevato se il primo è risultato vincente, con obiettivi di recupero, se perdente.
Oltre ai sistemi di lotta e di promozione del consenso “classici”, tradizionalmente sperimentati, sono ora disponibili strumenti potenti che già hanno dimostrato la loro capacità di collegare, informare, convincere, organizzare movimenti e masse portandole a risultati vincenti attraverso percorsi chiaramente collocabili oltre i limiti della legittimità, ufficialmente definita.
Non sono state certo percorse strade in discesa o esenti da fenomeni di violenza estrema (il livello della guerra civile a volte è stato, dal punto di vista sostanziale, legittimamente sfiorato, in altre agito) ma non si può sottacere il fatto che in quei casi le posizioni iniziali di pochi in brevissimo tempo hanno dato vita a movimenti fortemente radicati tra la popolazione, diffusi in molti ambienti, ampiamente partecipati, condivisi e sostenuti esplicitamente da larghissime fasce di cittadini.
Se non è possibile negare che sulle posizioni anti-TAV esista un consenso ben più largo di quelli delle poche migliaia di partecipanti alle manifestazioni e ben superiore alla parte che protesta della popolazione direttamente interessata, non è possibile però nemmeno sostenere che:
1) questa sia una posizione largamente popolare, condivisa da un’ampia fetta della popolazione italiana, o se vogliamo semplicemente del nord Italia
2) tutti, o la maggior parte di, coloro che la condividono agiscano sulla base della consapevolezza dei “limiti” e dell’esaurimento delle risorse
3) un certo livello di confronto tra “le parti” non sia stato esperito; magari in misura non soddisfacente, ma certo non semplicemente frettolosa
4) se nel loro complesso le manifestazioni di protesta, e l’ultima in particolare, nascono e si esprimono pacificamente, come quasi sempre in questi casi è estremamente difficile emarginare e rendere inoffensive teste calde e provocatori, in grado di offrire ai media e alla parte avversa la possibilità di dare una lettura violenta del comportamento di almeno una parte dei manifestanti.
Di conseguenza l’irriducibile conferma del “punto” da parte di una minoranza variamente motivata non può che trasformarsi, volente e nolente, alla fine in evento violento, anche ammesso che la minoranza si attenga strettamente alla prassi gandhiana.
Non mi è affatto agevole trarre conclusioni (?) di quanto scritto.
La prima che sento emergere è che, ferma restando l’assoluta valenza di quanto espresso nei capoversi iniziali, non trovi giustificazione la pretesa di una esigua minoranza, variamente organizzata e articolata, di continuare a tentare di impedire concretamente e fisicamente la realizzazione di una decisione assunta attraverso i percorsi (o parte dei ...) democraticamente previsti e, pur tacitamente, approvata e non osteggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Pienamente legittimo non condividere i motivi e le decisioni maggioritarie (in questo caso profondamente discutibili se non infondate e irrazionali) ma la resistenza irriducibile e lo scontro fisico (e se del caso persino armato) trovano legittimità solo dopo che l’ “idea contro” avrà saputo convincere e portare sul proprio versante grandi masse, ampie rappresentanze sociali, avendo così anche reali possibilità di affermazione.
Oppure, pur restando minoritaria, solo se siano in discussione principi fondamentali di convivenza civile e democratica, le sorti della democrazia, i principi dello stato.
1) questa sia una posizione largamente popolare, condivisa da un’ampia fetta della popolazione italiana, o se vogliamo semplicemente del nord Italia
2) tutti, o la maggior parte di, coloro che la condividono agiscano sulla base della consapevolezza dei “limiti” e dell’esaurimento delle risorse
3) un certo livello di confronto tra “le parti” non sia stato esperito; magari in misura non soddisfacente, ma certo non semplicemente frettolosa
4) se nel loro complesso le manifestazioni di protesta, e l’ultima in particolare, nascono e si esprimono pacificamente, come quasi sempre in questi casi è estremamente difficile emarginare e rendere inoffensive teste calde e provocatori, in grado di offrire ai media e alla parte avversa la possibilità di dare una lettura violenta del comportamento di almeno una parte dei manifestanti.
Di conseguenza l’irriducibile conferma del “punto” da parte di una minoranza variamente motivata non può che trasformarsi, volente e nolente, alla fine in evento violento, anche ammesso che la minoranza si attenga strettamente alla prassi gandhiana.
Non mi è affatto agevole trarre conclusioni (?) di quanto scritto.
La prima che sento emergere è che, ferma restando l’assoluta valenza di quanto espresso nei capoversi iniziali, non trovi giustificazione la pretesa di una esigua minoranza, variamente organizzata e articolata, di continuare a tentare di impedire concretamente e fisicamente la realizzazione di una decisione assunta attraverso i percorsi (o parte dei ...) democraticamente previsti e, pur tacitamente, approvata e non osteggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Pienamente legittimo non condividere i motivi e le decisioni maggioritarie (in questo caso profondamente discutibili se non infondate e irrazionali) ma la resistenza irriducibile e lo scontro fisico (e se del caso persino armato) trovano legittimità solo dopo che l’ “idea contro” avrà saputo convincere e portare sul proprio versante grandi masse, ampie rappresentanze sociali, avendo così anche reali possibilità di affermazione.
Oppure, pur restando minoritaria, solo se siano in discussione principi fondamentali di convivenza civile e democratica, le sorti della democrazia, i principi dello stato.
D’ora in avanti i no-TAV non sbaglierebbero nel dedicarsi a occupare l’amplissimo spazio pregno d’ignoranza con le loro motivazioni, riducendo il livello di non conoscenza dei motivi reali della loro contrarietà. So che alcuni lo fanno, anzi lo hanno sempre fatto, ma dovrebbe farsene carico il movimento nel suo insieme riqualificando e legittimando così il suo atteggiamento di protesta di fronte al paese intero, allargando i confini della sua influenza e collegando alla protesta la proposta e trasformandola in fatto politico permanente.
So anche che non troverebbero certo i microfoni disponibili, le telecamere accese su di loro, i giornalisti attenti e disponibili, ma nulla che tenda a trasformare nel profondo lo status quo è semplice e facile.
La seconda conclusione possibile mette al centro la mia storia e le numerose esperienze di lotta aperta, organizzate in prima persona o partecipate. Come non stare dalla parte di coloro di cui condividi i motivi di ribellione? di chi senti che ha ragione? di chi come te sta difendendo la propria dignità e quella dei suoi simili? Come tradire ora una lunga teoria di scioperi, di manifestazioni, di contestazioni nelle piazze, nei cortei, nel lavoro?
E’ pur vero che mai ho usato la violenza fisica e/o armi improprie e che per contro ne ho a volte “provato” gli effetti e le conseguenze, mentre in diverse occasioni mi sono attivato (talvolta con successo) perché altri che mi camminavano a fianco non la mettessero in atto.
Ma non posso certo far finta di non essere cresciuto tra chi, avendone meno di altri, lottava alla ricerca di giustizia e uguaglianza, tra chi con i calli alle mani considerava paritario il diritto ed il dovere, tra chi dava e pretendeva lo stesso rispetto.
Mi sento in obbligo a dover proseguire su questa strada, sottoponendo continuamente il potere e le sue espressioni a valutazioni profondamente critiche, non di un ribelle avventurista ma di un oppositore sinora refrattario alle lusinghe dei potenti e geloso della sua autonomia di giudizio. Arrivando nel tempo a contestare, non per partito preso, ma nel merito decisioni che sento non corrispondere ai principi a cui ho avuto la fortuna di abbeverarmi sin da piccolo.
E così ora, come nel gioco dell’oca, sono costretto a ripartire dalla casella iniziale.
So anche che non troverebbero certo i microfoni disponibili, le telecamere accese su di loro, i giornalisti attenti e disponibili, ma nulla che tenda a trasformare nel profondo lo status quo è semplice e facile.
La seconda conclusione possibile mette al centro la mia storia e le numerose esperienze di lotta aperta, organizzate in prima persona o partecipate. Come non stare dalla parte di coloro di cui condividi i motivi di ribellione? di chi senti che ha ragione? di chi come te sta difendendo la propria dignità e quella dei suoi simili? Come tradire ora una lunga teoria di scioperi, di manifestazioni, di contestazioni nelle piazze, nei cortei, nel lavoro?
E’ pur vero che mai ho usato la violenza fisica e/o armi improprie e che per contro ne ho a volte “provato” gli effetti e le conseguenze, mentre in diverse occasioni mi sono attivato (talvolta con successo) perché altri che mi camminavano a fianco non la mettessero in atto.
Ma non posso certo far finta di non essere cresciuto tra chi, avendone meno di altri, lottava alla ricerca di giustizia e uguaglianza, tra chi con i calli alle mani considerava paritario il diritto ed il dovere, tra chi dava e pretendeva lo stesso rispetto.
Mi sento in obbligo a dover proseguire su questa strada, sottoponendo continuamente il potere e le sue espressioni a valutazioni profondamente critiche, non di un ribelle avventurista ma di un oppositore sinora refrattario alle lusinghe dei potenti e geloso della sua autonomia di giudizio. Arrivando nel tempo a contestare, non per partito preso, ma nel merito decisioni che sento non corrispondere ai principi a cui ho avuto la fortuna di abbeverarmi sin da piccolo.
E così ora, come nel gioco dell’oca, sono costretto a ripartire dalla casella iniziale.
15 commenti:
Santa polenta!
"la TAV è concepita per favorire principalmente il trasporto merci"
BALLE.I treni merci sono molto più pesanti dei treni passeggeri. Se i merci passassero sulla linea Tav, che ha bisogno di avere sempre binari in perfette condizioni, i costi della manutenzione diventerebbero eccessivi. Non lo dico io, lo dice un docente universitario:
http://stradeferrate.blogosfere.it/2009/12/avvio-dellav-intervista-allesperto-di-trasporti-marco-ponti.html
Però dire che la Tav serve per far passare le merci e togliere i camion e l'inquinamento dalle strade è una balla ricorrente della propaganda pro Tav e dei media. Una balla talmente ricorrente che la si ritrova perfino in questa tormentata analisi autonoma :)
Potrei andare avanti con l'analisi delle balle. Il succo del succo è comunque che la Tav serve SOLO per andare da Torino a Parigi in quattro ore e mezza anzichè in cinque ore e mezza come ora. Al prezzo di 1.200 euro al centimetro. Rifletteteci.
Finalmente un articolo che guarda in maniera obiettiva, esterna e non troppo emotivamente coinvolta, alla questione TAV.
Diritto all'autodeterminazione dal basso delle minoranze o accettazione delle decisioni formulate nello stato di diritto ?
Nessuno ha la risposta in tasca, ma una cosa emerge chiaramente, l'incapacità della classe politica di guidare e gestire in forma intelligente questi complessi percorsi sociali, dove serve informazione ma anche ragionevolezza.
La mancanza di informazione, ha creato lo scontro, non il mancato rispetto delle "prassi" di uno stato di diritto. Perchè questo, senza una costante informazione imparziale e capillare, da stato di diritto diventa burocrazia e gestione privatistica di interessi pubblici.
E la gente, giustamente, si incazza.
Complimenti per questo articolo. Davvero una bella disanima del dilemma della decisione democratica, e un invito concreto agli anti TAV a non perdere tutto ciò che di buono possono aver fatto in questi anni.
Personalmente tendo a credere che la TAV non sia questa così cattiva idea (vedi ad esempio qui: http://www.ilpost.it/filippozuliani/2011/07/01/i-numeri-della-tav/). Ma mi rendo conto che i motivi dei no TAV sono sostanziosi e seri. Ma Mirco ha ragione: a questo punto, è un problema di metodo e di democrazia.
ad Aosta da 100 anni stiamo aspettando il raddoppio della ferrovia, un secolo fa si metteva di meno per arrivare a Torino (e' vero, dati alla mano!).... abbiamo fatto decine di manifestazioni per avere un tunnel ferroviario e invece lo hanno fatto autostradale perche' cosi voleva la MaFiat.
Quando invece non serve - fra Torino e Lione una tratta merci ad alta velocita' con 50 Km di galleria NON SERVE - ecco che la MaFiat vuole a tutti i costi la ferrovia...che non serve alla gente comune ma solo alla MAFIA.
Comunque questo blog da tempo da segni di essere molto allineato ale logice di un potere ecovandalo, per cui smettero' di leggerlo. Peccato perche' Bardi scrive bene. Terenzio fa ragionamenti talmente da fascio che non lo reggo piu'.
Oh, ma nessuno mi caga, e scusate il francesismo! LEGGETEVI IL PRIMO COMMENTO, sulla Tav le merci non passeranno MAI per motivi tecnico-strutturali. Smentitemi, se ci riuscite: ma non fate finta di non aver visto, perchè questo è il nodo attorno al quale gira la presa per i fondelli. Il mito delle merci è l'inganno che spinge tanta gente, in buona fede, a credere che la Tav sia magari un po' cara ma comunque utile. Invece NON è vero, le merci NON POSSONO passare sulla Tav!
Suoi TAV possono esserci solo merci leggere! Ovvero solo un 1% delle merci che passano sull'autostrada con i TIR.
Oltretutto il costo del trasporto di quella merce è proporzionale alla spesa per far viaggiare il TAV stesso che è molto costoso.
Insomma non si alleggerirà nessuna autostrada per i TIR e verranno trasposte magari solo le aragoste (sono leggere e costano e deperiscono con il tempo) da Parigi - Milano!
Dato che non ci sono "aragoste" i vagoni merci del TAV saranno vuoti o come accade in Francia e Germania, Giappone, Cina addirittura NON usate più.
Ciao
Era mia intenzione suscitare un confronto sulle forme e i contenuti della convivenza democratica, non certo sugli aspetti merceologici del trasporto ferroviario. Merci o persone in questo contesto è solo un inciso privo di significato.
Mirco
Non varrebbe nemmeno più la pena intervenire, lo faccio un'ultima volta per poi tornare ad attività decisamente più utili:
http://it.peacereporter.net/articolo/29205/La+Tav+Torino-Lione+%27inutile+e+non+competitiva%27
Grazie al post che fa discutere e grazie anche al commento n.1 in cui si ribadisce che la TAV serve solo al trasporto di persone.
Sarebbe interessante sapere quanto cemento, ferro, energia, movimento terra ci vorrebbero:
l'interesse è tutto lì!
Forse, svanito l'affare nucleare, le grandi imprese, progettisti ecc., cercano di arraffare su un vecchio progetto.
SM
- dunque il mito della velocità secondo me va superato, su questo possiamo essere d'accordo. in particolare in questa situazione, se ci sono merci deperibili come i pomodori è bene che ciascuno si mangi i propri e che non li si faccia viaggiare per migliaia di chilometri. (resta poi da vedere se il valore del pomodoro sul mercato è tale da giustificare la spesa del biglietto del treno)
- anche sul fatto che democrazia e legalità siano due parole vuote usate per legittimare le decisioni delle elite e regolamentare l'uso della forza, siamo d'accordo. In questo contesto servono solo a discriminare tra chi è "normale" e quindi accetta le decisioni e chi è "anomalo" e vuol fare di testa sua.
- infine sulla violenza, io non credo che i notav siano degli hooligans ubriachi e se qualcuno ha provato a lanciare qualche pietra è perché sinora non ha trovato altra tribuna per spiegare ragionevolmente le proprie ragioni. Non lo fanno per le compensazioni o altro. Non la vogliono e basta. E una democrazia vera non può sorvolare sul volere di chi l'opera è costretto a subirla senza trarne nessun vantaggio.
l'argomento dell'occupazione creata non lo apro neanche, tanto mi sembra pretestuoso
Se ho capito il senso del post. Sono d'accordo con l'autore in parte. Se si fosse in un sistema di diritto non sarebbe possibile bloccare con proteste più o meno varie opere pubbliche di qualsivoglia forma o colore. D'accordissimo con l'assunto. L'Italia é certamente uno staot di diritto, ma c'é chi ha più diritto degli altri. In uno stato in cui la politica si rende colpevole di soverchierie al diritto per proteggere interessi particolari si ha rottura del patto di fiducia e si assiste a quello che si assiste. E per questo io sono pe rla giustificazione. Detto questo, il giorno che le ragioni dei noTAV passeranno sul mainstream (TV, internet, giornali) la maggioranza sarà noTAV e della TAV non ne sentiremo più parlare. Ho la convinzione purtroppo che delal TAV ne sentiremo parlare ancora per 50anni e gli italiani a pagarla (x6) per i prossimi 100anni.
Mirco, mi trovo perfettamente rappresentato in quanto scrivi.
Leggo con pena i commenti di chi non si sofferma nemmeno a leggere o di chi da del fascista a Terenzio.
Franco
sulla Nazione, giornale ovviamente colluso, i NOTAV erano estremisti terroristi, mentre i Carabinieri eroi che combattevano per la Patria. Mi dispiace tanto leggere questi fatti, che non sono altro che il rantolo finale di una società concepita male fin dagli albori e sono sicuro nemmeno voluta, ma solo imposta col martellamento mediatico nei cervelli resi sempre più acritici dall'impoverimento culturale. Sono sicuro che non ci sarà mai una TAV, come non ci sarà mai un ponte sullo stretto, come ero sicuro che non ci sarebbero mai state le centrali nucleari. Tutta fuffa consumistico capitalistica messa su per far girare tanti soldi, come i famosi mutui subprime. Se questi intelligentoni dei cementieri ed imprenditori in genere si dessero una calmata, risparmierebbero a sè ed agli altri tante sofferenze, ma da persone che pensano giorno e notte a come far affari, non ci si può aspettare nulla di buono.
un sacco di informazioni interessanti!! ^^
Gran bell'articolo quello di Mirco Rossi. Mi ci riconosco in pieno.
La democrazia, purtroppo, è una cosa scomoda e faticosa, e prevede anche di accettare decisioni oggettivamente sbagliate, come la TAV.
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