Di Ugo Bardi
Anche su Effetto Cassandra
La morte di John Henry, mitico “steel driving man” che sfidò e vinse la macchina a vapore, ma ne fu sconfitto a sua volta. Un quadro di Palmer Hayden (1890-1973)
Dal libro di Ugo Bardi "La Terra Svuotata" (Editori Riuniti, 2011), alcune considerazioni sul futuro dell'uomo; non troppo ottimistiche ma nemmeno tanto pessimistiche.
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John Henry was a little baby boy
Sitting on his mama's knees
When he took up a hammer
And a little piece of steel
He said, “this hammer is gonna be the death of me, Lord, Lord!”
John Henry era un ragazzino
Seduto sulle ginocchia della mamma
Quando prese in mano un martello
E un pezzettino di acciaio
Disse, “questo martello sarà la mia morte, Signore, Signore!”
Canzone popolare americana del secolo XIX
Nella letteratura che ci descrive millenni di storia umana leggiamo di guerrieri, condottieri, esploratori, poeti e tante altre figure gloriose. Poco o nulla ci viene detto di quelli che hanno fornito ferro per le spade e gli scudi dei guerrieri, oro per condottieri e gioielli per le dame che i poeti hanno cantato.
Della storia di questa schiera di minatori, poco è rimasto di scritto, fra quel poco, un frammento è la canzone di John Henry, il cui lavoro era di piantare sbarre d'acciaio a martellate nella roccia; perforandola quel tanto che bastava per poi infilarci dentro un candelotto di dinamite. Come tante storie drammatiche, anche questa non è a lieto fine. John Henry sfidò lo “steam drill”, il martello pneumatico a vapore, riuscendo a sconfiggerlo ma solo per poi accasciarsi morto per il tremendo sforzo. In poche righe, leggiamo tutta la saga dei minatori umani: tanto lavoro, e alla fine, per che cosa? Per sparpagliare e disperdere quello che il pianeta aveva impiegato miliardi di anni per accumulare.
In qualche migliaio di anni, abbiamo visto la saga del popolo dei minatori cominciare un po' in sordina con prime miniere di ocra in Inghilterra, per poi crescere gradualmente; espandersi fino a diventare l'impresa immane che vediamo oggi. In pochi secoli, abbiamo visto un'immensa reazione chimica svilupparsi sulla superficie del pianeta che ha dato fuoco alle riserve di carbonio accumulate in milioni di anni di attività geologica.
Nel processo, la reazione ha sparpagliato ceneri per tutto il pianeta, polveri finissime che contengono metalli pesanti che, anche quelli, erano stati concentrati in vene e depositi da miliardi di anni di processi idrogeologici. Di tutto quello che il pianeta aveva accumulato, gran parte è già sparita; quello che rimane viene rapidamente bruciato, incenerito e disperso. Siamo oggi forse al culmine di questa immensa reazione chimica e già vediamo la discesa che ci aspetta: il grande fuoco dei combustibili fossili non può durare in eterno.
Come tutti i fuochi, divora il combustibile che lo produce e, alla fine, si spegnerà lasciando solo cenere. Senza più vene, senza più pozzi, senza più giacimenti, non ci saranno più nemmeno minatori. E' la fine di un ciclo brevissimo dal punto di vista geologico ma che, per noi umani, era sembrato nella natura delle cose. Non lo era.
Certo, abbiamo ancora miniere da sfruttare e pozzi di petrolio da trivellare. Ma è inesorabile che un giorno vedremo la sparizione dell'attività mineraria così come l'abbiamo conosciuta nei secoli passati: sparisce la figura del minatore con il suo piccone e il suo elmetto con la lampada incorporata.
Qualunque cosa succeda nei prossimi anni, le miniere di una volta non esisteranno più e non si riformeranno per centinaia di migliaia di anni, o forse milioni. Alcuni minerali, probabilmente, non si riformeranno mai più su questo pianeta. Il carbone, per esempio, si è formato come il risultato di condizioni ambientali particolari del periodo Paleozoico e che è possibile che non vedremo mai più nei prossimi milioni, o anche miliardi, di anni.
Senza carbone, è molto costoso raffinare i metalli; senza metalli a basso costo è difficile pensare a una società industriale. E' difficile costruire oscuri mulini satanici, come William Blake definiva le industrie, solo col carbone di legna; le foreste tendono ad esaurirsi troppo velocemente. Può darsi che la rivoluzione industriale degli ultimi secoli sia stata l'unica di tutta la storia del pianeta.
Quello che lasciamo ai nostri discendenti è un pianeta diverso, un pianeta svuotato, una Terra che ha caratteristiche climatiche e ambientali che non sono più quelle di una volta.
I cambiamenti sono tanti; il principale è forse la grande immissione di biossido di carbonio nell'atmosfera che ha portato la sua concentrazione a livelli che non si riscontravano da decine di milioni di anni. Questo grande picco del biossido di carbonio è stato creato dalla combustione di sostanze che non facevano parte della biosfera ormai da milioni di anni: i combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. Trattandosi di sostanze aliene ai cicli biologici esistenti, la biosfera non potrà che assorbirne una parte, adattandosi per quanto possibile.
Il resto, una frazione significativa, rimarrà nell'atmosfera per centinaia di migliaia di anni. Tale è la portata delle modifiche che abbiamo fatto al nostro pianeta in sole poche centinaia di anni di attività frenetica. Non possiamo escludere che la forzante climatica del CO2 non trasporti l'intero pianeta a uno stato climatico che potrebbe somigliare a quello che era il clima qualche decina di milioni di anni fa: un pianeta caldissimo e privo di calotte glaciali dove non sappiamo se gli umani potrebbero adattarsi a vivere.
Quale sarà, allora, il destino della civiltà umana? Può darsi che saremo costretti a ritornare a una società prevalentemente agricola, con un livello tecnologico molto più basso di quello attuale, ma non è affatto detto. Utilizzando l'energia solare e tecnologie che non richiedono elementi rari ed esauribili, siamo perfettamente in grado di costruire una società in grado di gestire l'ecosistema planetario in modo tale da rimediare ai danni che noi stessi abbiamo causato e a restituire il pianeta alle condizioni in cui era quando l'abbiamo ereditato.
Un pianeta ricco di vita e di diversità è una condizione che possiamo mantenere per millenni o anche periodi molto più lunghi. Da questo pianeta possiamo partire per continuare la grande impresa in cui ci siamo impegnati: capire e esplorare l'universo.
3 commenti:
Il destino della civiltà umana: in pratica il passaggio ad uno stato di economia a stato stazionario dopo una fase di trapasso tutta da vivere (drammaticamente) che porterebbe, con tutta probabilità, innanzitutto ad una poderosa riduzione demografica globale. Uno stato di civiltà finale che sarebbe il preludio all'estinzione della nostra specie, se vogliamo prendere per buono il post di Giorgio Nebbia su Aspo http://aspoitalia.blogspot.com/search?updated-max=2011-12-28T00:46:00%2B01:00&max-results=20.
E a sentire le argomentazioni di Debora Billi ora e in futuro non avremmo nemmeno una qualche forma di energia sufficiente ad esplorare i lontanissimi pianeti simili alla nostra maltrattata Terra. Un po' come la colonia di batteri a corto di cibo rinchiusa nel contenitore di laboratorio, che mai potrebbe uscirne.
In ogni modo, adesso come adesso, come specie vivente siamo lontanissimi anche da quella civiltà bucolico/agricola moderatamente tecnologica, ma molto più prossimi a qualcosa di simile ad un'estinzione di massa...
"The whole global warming argument misses the point. Yes, we are facing an environmental disaster. Yes, it is urgent. Yes, it is caused by our own activities. But we have misdiagnosed the problem
By changing the landscape, we changed the weather. Transforming the land by cropping, herding and irrigation created a cycle of heating and cooling on the land, a cycle of boom and bust, that could only grow more extreme.
C'è da reimpostare la questione, andrei in questa direzione....
Condivido le vedute dell' autore.
Saluti
Maria
http://www.smh.com.au/opinion/politics/more-storms-on-the-way-unless-we-learn-to-manage-the-land-20120101-1ph66.html
l'ottimismo di questo blog mi stupisce ogni giorno di più...
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