giovedì, gennaio 12, 2012

Le vittime invisibili del cambiamento climatico


A cura di Lou Del Bello


Il demonio è nei dettagli, e anche i cambiamenti climatici. Troppo spesso per studiarli e comunicare il rischio legato al riscaldamento globale ci si occupa di quello che Naomi Klein chiamerebbe “fancy stuff”: orsi polari, grandi ghiacciai, isole, popolazioni intere. Soggetti “notiziabili”, che incuriosiscono ed emozionano il pubblico.
Ma il global warming non è solo questo. I suoi effetti si rintracciano anche alla base della catena alimentare, ricadono su quei piccoli animali di cui nessuno si accorge. Eppure, nel microcosmo delle paludi, degli anfibi e dei rettili, si innescano fenomeni che influenzano l'intero ecosistema.
Abbiamo chiesto a Marco Zuffi, erpetologo, biologo evoluzionista e ricercatore dell'Università di Pisa di accompagnarci attraverso deserti e paludi, sulle tracce delle specie anfibie e rettili che oggi sono minacciate dal clima che cambia.

Dottor Zuffi, quanto è difficile studiare gli effetti dei cambiamenti climatici su rettili e anfibi?
I rettili e gli anfibi hanno cicli di vita e riproduzione molto lunghi. Per questo motivo l'aumento della temperatura, oppure la variazione nella quantità di pioggia che scende, hanno effetti di lungo periodo, difficili da rilevare. Ad esempio i serpenti vivono vent'anni in media, le testuggini di terra o palustri superano abbondantemente il secolo. Molte specie come varani e gechi superano i trent'anni di età.

Mediamente, fenomeni che si dipanano in un tempo di cinque o dieci anni non possono essere osservati sulle specie studiate fino ad ora. Perlomeno, finora non si sono raccolti dati che evidenzino il rischio di modificazioni o di estinzione. Questo non vuol dire che però tutto ciò non possa succedere.

Tutti i rettili e gli anfibi hanno cicli di vita così lunghi?
No, anzi. Alcuni sono ottimi casi studio. Prendiamo ad esempio lo studio di Barry Sinervo, uno dei massimi biologi evoluzionisti al mondo, che si occupa di alcune lucertole americane. Questi animali hanno un'aspettativa di vita che non supera le due o tre stagioni e per questo sono modelli eccezionali: nascono, maturano al termine della prima stagione, si riproducono per una stagione e mezza e poi muoiono.
Nel suo lavoro del 2010, Erosion of Lizard Diversity by Climate Change and Altered Thermal Niches”. Sinervo sostiene che entro venticinque anni nelle zone desertiche nel centro degli Stati Uniti d'America gran parte di questi piccoli animali, gli Sceloporus (nella foto a fianco, ndr), potrebbero estinguersi proprio a causa dell'inaridimento progressivo.

Si può tratteggiare una storia dei cambiamenti climatici attraverso l'evoluzione di queste specie?
Effettivamente un innalzamento della temperatura c'è, dimostrato in primo luogo dal distacco di grosse masse di ghiaccio dal polo nord. I climatologi hanno provato che ci sono dei cambiamenti sensibili negli ultimi 150 anni. Questo non significa però che nell'arco degli ultimi 20 o 30mila anni non si siano succedute epoche in cui si verificavano fenomeni simili; è difficile avere la percezione di quanto successe allora con la precisione e i monitoraggi continui di oggi.
Qualche milione di anni fa, quando la Sardegna non era ancora nella posizione attuale, c'erano vipere desertiche, mentre nel sud Italia, per esempio in Puglia, poche centinaia di migliaia di anni fa erano presenti i Cobra e i Mamba, serpenti velenosi tipicamente centro africani.
Quanto questi cambiamenti siano un fenomeno naturale non è dato saperlo con certezza, sicuramente l'uomo sta dando una grossa mano. Ne pagheranno lo scotto i popoli che abitano le zone aride e semiaride, che sempre più subiranno la mancanza di acqua e di suoli fertili.

Sono possibili interventi di mitigazione?
Facendo lo zoologo conosco meglio la parte riguardante la fauna che quella relativa alle infrastrutture. Osservando però gli interventi realizzati nei parchi, per esempio la riduzione dell'uso di fitofarmaci e pesticidi, oppure l'attenzione quando si tratta di costruire strade che attraversano aree naturali, devo dire che c'è stato un grande progresso rispetto a qualche decennio fa. Mi sono laureato negli anni Ottanta, quando ambiente e tutela della natura erano parole sconosciute. In trent'anni ho visto fare e ho anche partecipato a raggiungere notevoli progressi nell'ambito della mitigazione degli impatti infrastrutturali.

Qualche esempio pratico?
Contrastiamo lo schiacciamento dei rospi in migrazione durante le attività riproduttive, oppure evitiamo che il sistema delle acque reflue si infiltri in aree naturali dove nidificano le garzette o dove ci sono siti riproduttivi di anfibi. Tutte queste attività testimoniano un'attenzione significativa da parte delle amministrazioni, che intercettando fondi regionali o provinciali seguono e applicano le normative e le leggi vigenti.

Abbiamo visto che molti rettili e anfibi sono a rischio a causa del cambiamento climatico. Ma per quale motivo alcune specie sono più sensibili di altre?
Da alcuni anni si sta parlando molto della scomparsa di un gran numero di specie di anfibi. Ce ne sono alcune che si stanno estinguendo in maniera rapidissima, mentre altre no. Questo fenomeno è oggetto di studio da una decina d'anni, ma ancora ha cause piuttosto oscure, un po' come, fino a qualche anno fa, era per la scomparsa dei dinosauri.
Fino a un decennio fa, infatti, non si capiva come alcune specie di anfibi, nella stessa zona, si estinguessero mentre altre proliferassero senza problemi. É un interrogativo che ha attratto molti specialisti, ma oggi si è scoperto che esiste una forma virale paragonabile al morbillo, il Batracochitridium, che attacca le mucose respiratorie delle larve in acqua.
Gli anfibi sono un gruppo di vertebrati che non ha squame, scaglie o peli, ma una pelle nuda ricca di ghiandole sottocutanee, un'epidermide permeabile. Di conseguenza, possono assorbire qualsiasi agente inquinante finisca nell'acqua o in aria.

Quasi tutte le specie di anfibi hanno una fase di sviluppo acquatica e una terrestre, quando dopo la metamorfosi devono passare a respirare aria. La diminuzione delle specie presenti in una determinata zona è stata associata dai ricercatori all'incremento di questa forma virale, che sembra favorita da due aspetti. Uno è di natura umana: il ricercatore entrando in uno specchio d'acqua contaminato potrebbe contagiarne un altro immergendosi con gli stessi stivali. Per questo motivo chi fa indagine sul campo oggi si cambia ogni volta che si sposta da uno stagno all'altro, per non inquinare la zona umida.

E il secondo fattore?
Sembra che il fenomeno sia fortemente incrementato anche dall'effetto serra e dal buco dell'ozono. La maggiore quantità di ultravioletti che entrano in atmosfera causerebbe l'accelerazione del processo degenerativo della pelle di animali come rane, raganelle e rospi che vengono attaccati da funghi e forme virali. Questo problema non colpisce solo l'Italia, ma anche l'Asia, l'Africa, l'America: è un fenomeno globale. Si può affermare che l'assottigliamento dello strato di ozono abbia favorito un crescente incremento della temperatura al suolo e del passaggio degli ultravioletti. Quindi queste forme patogene che forse erano latenti si sono manifestate e sono diventate presto oggetto di studio.

Con quali prove di laboratorio vengono studiati questi fenomeni?
A livello sperimentale si sono presi in esame questi virus scoprendo che in situazioni di bombardamento con ultravioletti, aumentando la quantità di energia che arriva dal sole, la pelle degenera molto più rapidamente. Si tratta di esperimenti svolti con sistemi di controllo cellulare.
Altro aspetto riscontrato riguarda le popolazioni che vivono in ambienti con un maggiore inquinamento atmosferico, che tendono a sparire più rapidamente. Zone di questo tipo sono quelle altamente antropizzate o apparentemente naturali ma raggiunte da correnti di piogge acide o fumi provenienti anche da centinaia di chilometri di distanza.

Quali tipi di danni fisiologici possono riportare anfibi e rettili a causa del riscaldamento e dell'effetto serra?
Gli anfibi sono la classe più danneggiata, anche rispetto ai rettili, perché come dicevamo la loro pelle è più permeabile e delicata; si può – paradossalmente - paragonare all'epidermide ustionata della nostra specie. Si perde la cheratina, cioè lo stato superficiale protettivo, e sotto rimane la pelle nuda. La differenza è che se noi umani siamo scottati rischiamo di morire perché viene danneggiato tutto il sistema nervoso e non abbiamo protezione dalle infezioni, mentre per un anfibio questa è una condizione normale, nasce nudo.
Dunque, se nell'aria, o soprattutto nell'acqua dove gli animali si riproducono sono presenti elementi patogeni inquinanti, ci sono delle sostanze che si legano all'ossigeno disperso e quindi entrano nelle uova o nell'apparato respiratorio delle larve, gli anfibi non giungono alla metamorfosi. Muoiono prima a causa di ulcerazioni nelle branchie; questo significa che nel giro di due o tre generazioni gli adulti che depongono in acqua perderanno il proprio successo riproduttivo.

Qual è la portata del fenomeno?
La sua incidenza è impressionante. La IUCN (International Union for Conservation of Nature) si occupa del monitoraggio dello stato di salute e del numero delle specie animali e vegetali, e pubblica unared list delle specie a rischio di estinzione.
Quando cominciano a scomparire delle specie i vari esperti locali lanciano l'allarme e si cerca poi di correlare i sintomi con le possibili cause, antropogeniche o meno.
La riduzione delle specie di anfibi su scala globale è un problema gravissimo perché non si riesce a tamponare in alcun modo. Si sta tentando di far riprodurre in cattività alcune specie per poi reintrodurle nelle zone in cui è scomparsa la popolazione. La questione è arcinota ed esistono vari gruppi di ricerca in tutto il mondo che se ne occupano.
Io faccio parte di tre gruppi di ricerca, uno sugli anfibi, uno sulle vipere e uno sulle tartarughe, che hanno la funzione di monitorare a livello nazionale e locale quello che accade alle varie specie.

Per quanto riguarda gli anfibi, lo scenario è estremamente drammatico, le situazioni più gravi sono in Kenia, centro Africa, sud degli Stati Uniti d'America, Brasile, Cina. In Italia le cose vanno malissimo per un paio di specie, mentre per tutte le altre non ci sono apparenti problemi.

Un esempio di specie italiana a rischio?
Una delle specie più belle e più in crisi che abbiamo in Italia è la Bombina variegata o Ululone a ventre giallo, un piccolo rospo che misura circa quattro centimetri. Dieci anni fa era comunissimo in Toscana, oggi si trova in meno di dieci località mentre prima erano circa duecento. Insomma, sta scomparendo, nonostante tutte le specie associate siano presenti e in ottima salute: il problema dunque non è un inquinamento complessivo degli habitat, ma qualcosa che sta colpendo una sola specie. In altri paesi dell'area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia, ex Jugoslavia) le specie minacciate sono altre. É un fenomeno che sta colpendo a macchia di leopardo gruppi che potrebbero essere o particolarmente sensibili o vittime della forma virale del Batracochitridium, probabilmente potenziata dal riscaldamento o dall'inquinamento.

Esistono degli strumenti per fare previsioni in questo senso?
Alcuni ricercatori portoghesi e spagnoli hanno fatto delle previsioni tramite modelli matematici sul fatto che alcuni serpenti dei Pirenei scompariranno entro trent'anni se il clima continuerà a cambiare a questo ritmo. La causa sarà l'inaridimento complessivo delle zone umide temperate e fresche delle zone montuose. I modelli predittivi si basano sull'analisi dell'andamento climatico delle scorse tre decadi incrociati con modelli geografici (G.I.S.) che si usano per realizzare la cartografia di aree locali, per esempio delle nostre regioni.
Si possono incrociare i dati su clima, flora e fauna per quadranti di un chilometro, e vedere in funzione di come si presentava la situazione nel passato quali potrebbero essere gli scenari futuri.

Che applicazioni pratiche hanno questi modelli?
Sono uno strumento estremamente utile, ad esempio per sapere dove reintrodurre una specie senza correre il rischio che l'area diventi desertica nel futuro prossimo. In Spagna e Portogallo, nonostante la crisi economica, tre anni fa hanno investito un milione e 800mila euro in progetti per il ripristino di aree naturali per lucertole. Hanno ottenuto questi fondi realizzando un progetto al quale hanno partecipato geografi, biologi e genetisti che hanno costruito un modello predittivo sull'andamento del clima naturale.
Questo sistema ha convinto al punto da diventare normativo, ossia necessario per legge alla gestione delle aree naturali.
Per fare un esempio, possiamo prevedere che nel futuro, le vipere in aree di media o bassa quota si troveranno molto meglio.

2 commenti:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Fra ha detto...

..Il post è molto bello, tuttavia vorrei prenderne spunto per superarlo dialetticamente : ci sono specie non in primo piano che possono fare da cartina di tornasole per l'avanzare dell'effetto serra, bene, ma io credo che l'uomo dei prossimi 50 anni sarà giudicato non per il grado di equità sociale, (della miseria/sovrapopolazione alla soylent green ?), nè per la capacità delle nazioni di evitare guerre troppo destruenti, (quando sappiamo benissimo che il dispiegarsi dell'effetto serra in toto avrà conseguenze per l'economia umana e l'esistenza stessa degli uomini peggiore dell'esplosione di tutte le atomiche negli arsenali,) ma bensì per la sua risoluzione nel tentare di difendere specie intelligenti appunto come l'orso polare o il lupo dell' Abissinia : l'ecologia ( ecolgia etica) è stata solo annunciata, e non si tratta tanto di preservare il futuro della specie umana, perchè non ci sono previsioni che mettano in dubbio la soppravvivenza dell'uomo, almeno per scale temporali "umane", ma si farà "carne" quando sarà tradotta in una geurra dell'uomo contro l'uomo per sostenere una nuova morale ispirata ad una sostenibilità totalizzante...Brancoleremo comunque nel buio nei prssimi decenni, ma almeno con la buona coscienza di aver fatto il possibile per contenere il riscaldamento planetario entro i 2 gradi...Molti di noi guardano speranzosi al primo anno con una contrazione netta degli all liquids, EROI a parte, ma se vogliamo guardare nel complesso a gli scenari descritti dal club di Roma ,chi non può reprimere questo desiderio deve per onestà e pulizia morale accompagnarlo all'attesa per il primo anno con una contrazione netta della produzione cerealicola mondiale, al netto delle scorte...