A cura di Lou Del Bello
Il
demonio è nei dettagli, e anche i cambiamenti climatici. Troppo
spesso per studiarli e comunicare il rischio legato al riscaldamento
globale ci si occupa di quello che Naomi Klein chiamerebbe “fancy
stuff”: orsi polari, grandi ghiacciai, isole, popolazioni intere. Soggetti “notiziabili”, che incuriosiscono ed emozionano il
pubblico.
Ma
il global warming non è solo questo. I suoi effetti si rintracciano
anche alla base della catena alimentare, ricadono su quei piccoli
animali di cui nessuno si accorge. Eppure, nel microcosmo delle
paludi, degli anfibi e dei rettili, si innescano fenomeni che
influenzano l'intero ecosistema.
Abbiamo
chiesto a Marco Zuffi, erpetologo, biologo evoluzionista e
ricercatore dell'Università di Pisa di accompagnarci attraverso
deserti e paludi, sulle tracce delle specie anfibie e rettili che
oggi sono minacciate dal clima che cambia.
Dottor
Zuffi, quanto è difficile studiare gli effetti dei cambiamenti
climatici su rettili e anfibi?
I
rettili e gli anfibi hanno cicli di vita e riproduzione molto lunghi.
Per questo motivo l'aumento della temperatura, oppure la variazione
nella quantità di pioggia che scende, hanno effetti di lungo
periodo, difficili da rilevare. Ad esempio i serpenti vivono
vent'anni in media, le testuggini di terra o palustri superano
abbondantemente il secolo. Molte specie come varani e gechi superano
i trent'anni di età.
Mediamente,
fenomeni che si dipanano in un tempo di cinque o dieci anni non
possono essere osservati sulle specie studiate fino ad ora.
Perlomeno, finora non si sono raccolti dati che evidenzino il rischio
di modificazioni o di estinzione. Questo non vuol dire che però
tutto ciò non possa succedere.
Tutti
i rettili e gli anfibi hanno cicli di vita così lunghi?
No,
anzi. Alcuni sono ottimi casi studio. Prendiamo ad esempio lo studio
di Barry Sinervo, uno dei massimi biologi evoluzionisti al mondo, che
si occupa di alcune lucertole americane. Questi animali hanno
un'aspettativa di vita che non supera le due o tre stagioni e per
questo sono modelli eccezionali: nascono, maturano al termine della
prima stagione, si riproducono per una stagione e mezza e poi
muoiono.
Nel
suo lavoro del 2010, “Erosion
of Lizard Diversity by Climate Change and Altered Thermal Niches”.
Sinervo sostiene che entro venticinque anni nelle zone desertiche nel
centro degli Stati Uniti d'America gran parte di questi piccoli
animali, gli Sceloporus (nella foto a fianco, ndr),
potrebbero estinguersi proprio a causa dell'inaridimento progressivo.
Si
può tratteggiare una storia dei cambiamenti climatici attraverso
l'evoluzione di queste specie?
Effettivamente
un innalzamento della temperatura c'è, dimostrato in primo luogo dal
distacco di grosse masse di ghiaccio dal polo nord. I climatologi
hanno provato che ci sono dei cambiamenti sensibili negli ultimi 150
anni. Questo non significa però che nell'arco degli ultimi 20 o
30mila anni non si siano succedute epoche in cui si verificavano
fenomeni simili; è difficile avere la percezione di quanto successe
allora con la precisione e i monitoraggi continui di oggi.
Qualche
milione di anni fa, quando la Sardegna non era ancora nella posizione
attuale, c'erano vipere desertiche, mentre nel sud Italia, per
esempio in Puglia, poche centinaia di migliaia di anni fa erano
presenti i Cobra e i Mamba, serpenti velenosi tipicamente centro
africani.
Quanto
questi cambiamenti siano un fenomeno naturale non è dato saperlo con
certezza, sicuramente l'uomo sta dando una grossa mano. Ne pagheranno
lo scotto i popoli che abitano le zone aride e semiaride, che sempre
più subiranno la mancanza di acqua e di suoli fertili.
Sono
possibili interventi di mitigazione?
Facendo
lo zoologo conosco meglio la parte riguardante la fauna che quella
relativa alle infrastrutture. Osservando però gli interventi
realizzati nei parchi, per esempio la riduzione dell'uso di
fitofarmaci e pesticidi, oppure l'attenzione quando si tratta di
costruire strade che attraversano aree naturali, devo dire che c'è
stato un grande progresso rispetto a qualche decennio fa. Mi sono
laureato negli anni Ottanta, quando ambiente e tutela della natura
erano parole sconosciute. In trent'anni ho visto fare e ho anche
partecipato a raggiungere notevoli progressi nell'ambito della
mitigazione degli impatti infrastrutturali.
Qualche
esempio pratico?
Contrastiamo
lo schiacciamento dei rospi in migrazione durante le attività
riproduttive, oppure evitiamo che il sistema delle acque reflue si
infiltri in aree naturali dove nidificano le garzette o dove ci sono
siti riproduttivi di anfibi. Tutte queste attività testimoniano
un'attenzione significativa da parte delle amministrazioni, che
intercettando fondi regionali o provinciali seguono e applicano le
normative e le leggi vigenti.
Abbiamo
visto che molti rettili e anfibi sono a rischio a causa del
cambiamento climatico. Ma per quale motivo alcune specie sono più
sensibili di altre?
Da
alcuni anni si sta parlando molto della scomparsa di un gran numero
di specie di anfibi. Ce ne sono alcune che si stanno estinguendo in
maniera rapidissima, mentre altre no. Questo fenomeno è oggetto di
studio da una decina d'anni, ma ancora ha cause piuttosto oscure, un
po' come, fino a qualche anno fa, era per la scomparsa dei dinosauri.
Fino
a un decennio fa, infatti, non si capiva come alcune specie di
anfibi, nella stessa zona, si estinguessero mentre altre
proliferassero senza problemi. É
un interrogativo che ha attratto molti specialisti, ma oggi si è
scoperto che esiste una forma virale paragonabile al morbillo, il
Batracochitridium,
che attacca le mucose respiratorie delle larve in acqua.
Gli
anfibi sono un gruppo di vertebrati che non ha squame, scaglie o
peli, ma una pelle nuda ricca di ghiandole sottocutanee,
un'epidermide permeabile. Di conseguenza, possono assorbire qualsiasi
agente inquinante finisca nell'acqua o in aria.
Quasi
tutte le specie di anfibi hanno una fase di sviluppo acquatica e una
terrestre, quando dopo la metamorfosi devono passare a respirare
aria. La diminuzione delle specie presenti in una determinata zona è
stata associata dai ricercatori all'incremento di questa forma
virale, che sembra favorita da due aspetti. Uno è di natura umana:
il ricercatore entrando in uno specchio d'acqua contaminato potrebbe
contagiarne un altro immergendosi con gli stessi stivali. Per questo
motivo chi fa indagine sul campo oggi si cambia ogni volta che si
sposta da uno stagno all'altro, per non inquinare la zona umida.
E
il secondo fattore?
Sembra
che il fenomeno sia fortemente incrementato anche dall'effetto serra
e dal buco dell'ozono. La maggiore quantità di ultravioletti che
entrano in atmosfera causerebbe l'accelerazione del processo
degenerativo della pelle di animali come rane, raganelle e rospi che
vengono attaccati da funghi e forme virali. Questo problema non
colpisce solo l'Italia, ma anche l'Asia, l'Africa, l'America: è un
fenomeno globale. Si può affermare che l'assottigliamento dello
strato di ozono abbia favorito un crescente incremento della
temperatura al suolo e del passaggio degli ultravioletti. Quindi
queste forme patogene che forse erano latenti si sono manifestate e
sono diventate presto oggetto di studio.
Con
quali prove di laboratorio vengono studiati questi fenomeni?
A
livello sperimentale si sono presi in esame questi virus scoprendo
che in situazioni di bombardamento con ultravioletti, aumentando la
quantità di energia che arriva dal sole, la pelle degenera molto più
rapidamente. Si tratta di esperimenti svolti con sistemi di controllo
cellulare.
Altro
aspetto riscontrato riguarda le popolazioni che vivono in ambienti
con un maggiore inquinamento atmosferico, che tendono a sparire più
rapidamente. Zone di questo tipo sono quelle altamente antropizzate o
apparentemente naturali ma raggiunte da correnti di piogge acide o
fumi provenienti anche da centinaia di chilometri di distanza.
Quali
tipi di danni fisiologici possono riportare anfibi e rettili a causa
del riscaldamento e dell'effetto serra?
Gli
anfibi sono la classe più danneggiata, anche rispetto ai rettili,
perché come dicevamo la loro pelle è più permeabile e delicata; si
può – paradossalmente - paragonare all'epidermide ustionata della
nostra specie. Si perde la cheratina, cioè lo stato superficiale
protettivo, e sotto rimane la pelle nuda. La differenza è che se noi
umani siamo scottati rischiamo di morire perché viene danneggiato
tutto il sistema nervoso e non abbiamo protezione dalle infezioni,
mentre per un anfibio questa è una condizione normale, nasce nudo.
Dunque,
se nell'aria, o soprattutto nell'acqua dove gli animali si
riproducono sono presenti elementi patogeni inquinanti, ci sono delle
sostanze che si legano all'ossigeno disperso e quindi entrano nelle
uova o nell'apparato respiratorio delle larve, gli anfibi non
giungono alla metamorfosi. Muoiono prima a causa di ulcerazioni nelle
branchie; questo significa che nel giro di due o tre generazioni gli
adulti che depongono in acqua perderanno il proprio successo
riproduttivo.
Qual
è la portata del fenomeno?
La
sua incidenza è impressionante. La IUCN (International Union for
Conservation of Nature) si occupa del monitoraggio dello stato di
salute e del numero delle specie animali e vegetali, e pubblica unared list delle specie a rischio di estinzione.
Quando
cominciano a scomparire delle specie i vari esperti locali lanciano
l'allarme e si cerca poi di correlare i sintomi con le possibili
cause, antropogeniche o meno.
La
riduzione delle specie di anfibi su scala globale è un problema
gravissimo perché non si riesce a tamponare in alcun modo. Si sta
tentando di far riprodurre in cattività alcune specie per poi
reintrodurle nelle zone in cui è scomparsa la popolazione. La
questione è arcinota ed esistono vari gruppi di ricerca in tutto il
mondo che se ne occupano.
Io
faccio parte di tre gruppi di ricerca, uno sugli anfibi, uno sulle
vipere e uno sulle tartarughe, che hanno la funzione di monitorare a
livello nazionale e locale quello che accade alle varie specie.
Per
quanto riguarda gli anfibi, lo scenario è estremamente drammatico,
le situazioni più gravi sono in Kenia, centro Africa, sud degli
Stati Uniti d'America, Brasile, Cina. In Italia le cose vanno
malissimo per un paio di specie, mentre per tutte le altre non ci
sono apparenti problemi.
Un
esempio di specie italiana a rischio?
Una
delle specie più belle e più in crisi che abbiamo in Italia è la
Bombina
variegata
o Ululone
a ventre giallo,
un piccolo rospo che misura circa quattro centimetri. Dieci anni fa
era comunissimo in Toscana, oggi si trova in meno di dieci località
mentre prima erano circa duecento. Insomma, sta scomparendo,
nonostante tutte le specie associate siano presenti e in ottima
salute: il problema dunque non è un inquinamento complessivo degli
habitat, ma qualcosa che sta colpendo una sola specie. In altri paesi
dell'area mediterranea (Spagna, Portogallo, Grecia, ex Jugoslavia) le
specie minacciate sono altre. É
un fenomeno che sta colpendo a macchia di leopardo gruppi che
potrebbero essere o particolarmente sensibili o vittime della forma
virale del Batracochitridium,
probabilmente potenziata dal riscaldamento o dall'inquinamento.
Esistono
degli strumenti per fare previsioni in questo senso?
Alcuni
ricercatori portoghesi e spagnoli hanno fatto delle previsioni
tramite modelli matematici sul fatto che alcuni serpenti dei Pirenei
scompariranno entro trent'anni se il clima continuerà a cambiare a
questo ritmo. La causa sarà l'inaridimento complessivo delle zone
umide temperate e fresche delle zone montuose. I modelli predittivi
si basano sull'analisi dell'andamento climatico delle scorse tre
decadi incrociati con modelli geografici (G.I.S.) che si usano per
realizzare la cartografia di aree locali, per esempio delle nostre
regioni.
Si
possono incrociare i dati su clima, flora e fauna per quadranti di un
chilometro, e vedere in funzione di come si presentava la situazione
nel passato quali potrebbero essere gli scenari futuri.
Che
applicazioni pratiche hanno questi modelli?
Sono
uno strumento estremamente utile, ad esempio per sapere dove
reintrodurre una specie senza correre il rischio che l'area diventi
desertica nel futuro prossimo. In Spagna e Portogallo, nonostante la
crisi economica, tre anni fa hanno investito un milione e 800mila
euro in progetti per il ripristino di aree naturali per lucertole.
Hanno ottenuto questi fondi realizzando un progetto al quale hanno
partecipato geografi, biologi e genetisti che hanno costruito un
modello predittivo sull'andamento del clima naturale.
Questo
sistema ha convinto al punto da diventare normativo, ossia necessario
per legge alla gestione delle aree naturali.
Per
fare un esempio, possiamo
prevedere che nel futuro, le vipere in aree di media o bassa quota si
troveranno molto meglio.
2 commenti:
..Il post è molto bello, tuttavia vorrei prenderne spunto per superarlo dialetticamente : ci sono specie non in primo piano che possono fare da cartina di tornasole per l'avanzare dell'effetto serra, bene, ma io credo che l'uomo dei prossimi 50 anni sarà giudicato non per il grado di equità sociale, (della miseria/sovrapopolazione alla soylent green ?), nè per la capacità delle nazioni di evitare guerre troppo destruenti, (quando sappiamo benissimo che il dispiegarsi dell'effetto serra in toto avrà conseguenze per l'economia umana e l'esistenza stessa degli uomini peggiore dell'esplosione di tutte le atomiche negli arsenali,) ma bensì per la sua risoluzione nel tentare di difendere specie intelligenti appunto come l'orso polare o il lupo dell' Abissinia : l'ecologia ( ecolgia etica) è stata solo annunciata, e non si tratta tanto di preservare il futuro della specie umana, perchè non ci sono previsioni che mettano in dubbio la soppravvivenza dell'uomo, almeno per scale temporali "umane", ma si farà "carne" quando sarà tradotta in una geurra dell'uomo contro l'uomo per sostenere una nuova morale ispirata ad una sostenibilità totalizzante...Brancoleremo comunque nel buio nei prssimi decenni, ma almeno con la buona coscienza di aver fatto il possibile per contenere il riscaldamento planetario entro i 2 gradi...Molti di noi guardano speranzosi al primo anno con una contrazione netta degli all liquids, EROI a parte, ma se vogliamo guardare nel complesso a gli scenari descritti dal club di Roma ,chi non può reprimere questo desiderio deve per onestà e pulizia morale accompagnarlo all'attesa per il primo anno con una contrazione netta della produzione cerealicola mondiale, al netto delle scorte...
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