Il governo italiano ha avviato le procedure per rilanciare sul territorio nazionale l’uso dell’energia nucleare, con la costruzione di alcune nuove centrali. La mia convinta contrarietà al programma è legata solo marginalmente ai timori sull’impatto ambientale e sanitario, che lascio volentieri all’irrazionalismo scientifico e alle sindromi Nimby molto diffusi nel nostro paese.
In confronto alle decine di migliaia di morti causati ad esempio ogni anno in Italia dall’inquinamento e dal traffico automobilistico, i rischi del nucleare mi sembrano francamente risibili. Eppure non mi pare che essi determinino un allarme sociale lontanamente paragonabile a quello che agita le masse quando si parla dell’energia nucleare. Ma essendo certo che, quando la disponibilità di energia comincerà a scarseggiare a causa del declino dei combustibili fossili, queste paure antinucleari svaniranno come neve al sole, penso che il modo più giusto di affrontare il problema sia quello di una rigorosa analisi della convenienza industriale dell’investimento nella tecnologia nucleare.
Da questo punto di vista, quella del governo italiano mi appare in effetti una scelta molto rischiosa sul piano industriale per tre motivi: la ridotta disponibilità del combustibile nucleare che dovrà essere usato nelle centrali previste, che potrebbe lasciarle all’asciutto durante il loro ciclo di vita, trasformandole in inutili cattedrali nel deserto, l’elevato valore del costo di produzione energetica rispetto alle fonti convenzionali che rende l’investimento poco conveniente se non con generose elargizioni pubbliche, il reale fabbisogno energetico del nostro paese dei prossimi decenni che non necessita di nuova potenza elettrica aggiuntiva.
Il limite principale è la disponibilità di uranio minerale. In questo articolo ho già affrontato più diffusamente questa problematica, che di seguito sintetizzo.
Anche prendendo a riferimento i dati sulle risorse globali di uranio certificati dal NEA (Agenzia per l’Energia Nucleare), molto discutibili per le modalità di rendicontazione e verifica piuttosto approssimative, le prospettive di durata del combustibile fissile destinato ad alimentare le centrali attualmente attive nonchè quelle di terza generazione in costruzione, appaiono molto limitate.
Come si può leggere nel grafico allegato, prodotto da EWG (Energy Watch Group), elaborato a partire proprio dai dati NEA, che prevede un “picco” della produzione seguito da un declino graduale dell’uranio, è possibile giungere alle seguenti conclusioni:
1) Attualmente, la domanda mondiale di uranio di 67.000 tonnellate all’anno, viene soddisfatta solo per 42.000 tonnellate (circa il 63%) da nuova produzione mineraria, le altre 25.000 tonnellate (circa il 37%), sono ricavate dagli stoccaggi accumulati prima del 1980 resisi disponibili in parte con il processo di disarmo nucleare. Questi stoccaggi, secondo EWG, dureranno ancora appena dieci anni. Periodo che potrà allungarsi solo di qualche anno per merito delle nuove disponibilità derivanti dallo smantellamento di ulteriori 7.500 testate nucleari previsto dal recente accordo Salt 2, firmato tra USA e Russia. Tuttavia se nel frattempo la produzione mineraria non verrà sensibilmente incrementata, ci saranno seri problemi ad alimentare per poco più di un decennio le centrali nucleari esistenti. Figurarsi quelle non ancora costruite.
2) Mettendo a confronto poi gli scenari estrattivi del NEA e quelli energetici dell’ Agenzia Energetica Internazionale, si individua un picco della produzione intorno al 2015 per le Risorse ragionevolmente accertate con costi di estrazione sotto i 40 $/kg, intorno al 2025 per quelle sotto i 130 $/kg, intorno al 2035 per l’ipotesi ultra ottimistica di Risorse ragionevolmente accertate più le Risorse stimate con basso grado di attendibilità (con costi di estrazione sotto i 130 $/kg). In questo quadro, lo scenario di espansione produttiva di energia nucleare “minimo” prospettato dall’IEA nel suo WEO 2006 interseca la curva della produzione di uranio quasi in corrispondenza del picco dell’ipotesi estrattiva più ottimistica, mai nello scenario “massimo” che corrisponde alle prospettive di crescita ipotizzate nei programmi nucleari dei vari governi.
In altre parole, lo sviluppo massimo previsto della fonte nucleare sarebbe in ogni caso incompatibile con la disponibilità di uranio, la crescita minima verrebbe irrimediabilmente bloccata in prossimità del picco della risorsa e lo stesso funzionamento dei soli impianti oggi esistenti sarebbe messo in crisi ben prima della metà del secolo.
Quindi, le ipotesi di durata centennale delle risorse minerarie uranifere prospettate da NEA e riprese in Italia da ENEA, sono da ritenersi illusorie e prive di fondamento per i seguenti motivi:
1) Il metodo di calcolo semplificato adottato per definire tale ipotesi, cioè dividendo la quantità di uranio ancora complessivamente disponibile per il consumo annuo non è assolutamente affidabile perché avulso dalla reale dinamica di esaurimento delle risorse minerarie e fossili descritta dal modello di Hubbert (picco e successivo declino), oggi considerato a livello scientifico internazionale il più accreditato a descrivere tali dinamiche.
2) Anche adoperando lo stesso metodo semplificato di NEA per calcolare la durata delle risorse minerarie, si ricavano circa 80 anni. Cioè, NEA ha approssimato di 20 anni la durata delle risorse da essa stesse definite.
3) Il calcolo di NEA ipotizza per i prossimi anni una produzione energetica da nucleare costante pari all'attuale, senza considerare quindi le ipotesi di espansione produttiva da essa auspicate.
4) Nel calcolo eseguito da NEA per determinare la durata delle risorse di uranio vengono inserite non solo quelle ragionevolmente provate, ma anche interamente quelle che essa stessa definisce scarsamente attendibili.
5) In conclusione, anche adottando il loro modello errato di esaurimento della risorsa e correggendo i banali errori precedentemente descritti, in realtà si ottiene una durata probabile delle risorse di circa 30 - 40 anni.
E’ utile infine precisare che le conclusioni relative alla durata delle risorse di uranio mondiali precedentemente sintetizzate, non verrebbero sostanzialmente modificate anche qualora si assumesse interamente la potenzialità produttiva di uranio arricchito ricavabile con la tecnologia in uso di recupero spinto di uranio fissile, estraibile tramite una difficile e costosa operazione dall’uranio “impoverito” disponibile.
Quindi, sarebbe opportuno che il governo spiegasse agli italiani quali garanzie è in grado di fornire in merito alla fornitura certa e duratura di combustibile nucleare per le centrali in programma.
In confronto alle decine di migliaia di morti causati ad esempio ogni anno in Italia dall’inquinamento e dal traffico automobilistico, i rischi del nucleare mi sembrano francamente risibili. Eppure non mi pare che essi determinino un allarme sociale lontanamente paragonabile a quello che agita le masse quando si parla dell’energia nucleare. Ma essendo certo che, quando la disponibilità di energia comincerà a scarseggiare a causa del declino dei combustibili fossili, queste paure antinucleari svaniranno come neve al sole, penso che il modo più giusto di affrontare il problema sia quello di una rigorosa analisi della convenienza industriale dell’investimento nella tecnologia nucleare.
Da questo punto di vista, quella del governo italiano mi appare in effetti una scelta molto rischiosa sul piano industriale per tre motivi: la ridotta disponibilità del combustibile nucleare che dovrà essere usato nelle centrali previste, che potrebbe lasciarle all’asciutto durante il loro ciclo di vita, trasformandole in inutili cattedrali nel deserto, l’elevato valore del costo di produzione energetica rispetto alle fonti convenzionali che rende l’investimento poco conveniente se non con generose elargizioni pubbliche, il reale fabbisogno energetico del nostro paese dei prossimi decenni che non necessita di nuova potenza elettrica aggiuntiva.
Il limite principale è la disponibilità di uranio minerale. In questo articolo ho già affrontato più diffusamente questa problematica, che di seguito sintetizzo.
Anche prendendo a riferimento i dati sulle risorse globali di uranio certificati dal NEA (Agenzia per l’Energia Nucleare), molto discutibili per le modalità di rendicontazione e verifica piuttosto approssimative, le prospettive di durata del combustibile fissile destinato ad alimentare le centrali attualmente attive nonchè quelle di terza generazione in costruzione, appaiono molto limitate.
Come si può leggere nel grafico allegato, prodotto da EWG (Energy Watch Group), elaborato a partire proprio dai dati NEA, che prevede un “picco” della produzione seguito da un declino graduale dell’uranio, è possibile giungere alle seguenti conclusioni:
1) Attualmente, la domanda mondiale di uranio di 67.000 tonnellate all’anno, viene soddisfatta solo per 42.000 tonnellate (circa il 63%) da nuova produzione mineraria, le altre 25.000 tonnellate (circa il 37%), sono ricavate dagli stoccaggi accumulati prima del 1980 resisi disponibili in parte con il processo di disarmo nucleare. Questi stoccaggi, secondo EWG, dureranno ancora appena dieci anni. Periodo che potrà allungarsi solo di qualche anno per merito delle nuove disponibilità derivanti dallo smantellamento di ulteriori 7.500 testate nucleari previsto dal recente accordo Salt 2, firmato tra USA e Russia. Tuttavia se nel frattempo la produzione mineraria non verrà sensibilmente incrementata, ci saranno seri problemi ad alimentare per poco più di un decennio le centrali nucleari esistenti. Figurarsi quelle non ancora costruite.
2) Mettendo a confronto poi gli scenari estrattivi del NEA e quelli energetici dell’ Agenzia Energetica Internazionale, si individua un picco della produzione intorno al 2015 per le Risorse ragionevolmente accertate con costi di estrazione sotto i 40 $/kg, intorno al 2025 per quelle sotto i 130 $/kg, intorno al 2035 per l’ipotesi ultra ottimistica di Risorse ragionevolmente accertate più le Risorse stimate con basso grado di attendibilità (con costi di estrazione sotto i 130 $/kg). In questo quadro, lo scenario di espansione produttiva di energia nucleare “minimo” prospettato dall’IEA nel suo WEO 2006 interseca la curva della produzione di uranio quasi in corrispondenza del picco dell’ipotesi estrattiva più ottimistica, mai nello scenario “massimo” che corrisponde alle prospettive di crescita ipotizzate nei programmi nucleari dei vari governi.
In altre parole, lo sviluppo massimo previsto della fonte nucleare sarebbe in ogni caso incompatibile con la disponibilità di uranio, la crescita minima verrebbe irrimediabilmente bloccata in prossimità del picco della risorsa e lo stesso funzionamento dei soli impianti oggi esistenti sarebbe messo in crisi ben prima della metà del secolo.
Quindi, le ipotesi di durata centennale delle risorse minerarie uranifere prospettate da NEA e riprese in Italia da ENEA, sono da ritenersi illusorie e prive di fondamento per i seguenti motivi:
1) Il metodo di calcolo semplificato adottato per definire tale ipotesi, cioè dividendo la quantità di uranio ancora complessivamente disponibile per il consumo annuo non è assolutamente affidabile perché avulso dalla reale dinamica di esaurimento delle risorse minerarie e fossili descritta dal modello di Hubbert (picco e successivo declino), oggi considerato a livello scientifico internazionale il più accreditato a descrivere tali dinamiche.
2) Anche adoperando lo stesso metodo semplificato di NEA per calcolare la durata delle risorse minerarie, si ricavano circa 80 anni. Cioè, NEA ha approssimato di 20 anni la durata delle risorse da essa stesse definite.
3) Il calcolo di NEA ipotizza per i prossimi anni una produzione energetica da nucleare costante pari all'attuale, senza considerare quindi le ipotesi di espansione produttiva da essa auspicate.
4) Nel calcolo eseguito da NEA per determinare la durata delle risorse di uranio vengono inserite non solo quelle ragionevolmente provate, ma anche interamente quelle che essa stessa definisce scarsamente attendibili.
5) In conclusione, anche adottando il loro modello errato di esaurimento della risorsa e correggendo i banali errori precedentemente descritti, in realtà si ottiene una durata probabile delle risorse di circa 30 - 40 anni.
E’ utile infine precisare che le conclusioni relative alla durata delle risorse di uranio mondiali precedentemente sintetizzate, non verrebbero sostanzialmente modificate anche qualora si assumesse interamente la potenzialità produttiva di uranio arricchito ricavabile con la tecnologia in uso di recupero spinto di uranio fissile, estraibile tramite una difficile e costosa operazione dall’uranio “impoverito” disponibile.
Quindi, sarebbe opportuno che il governo spiegasse agli italiani quali garanzie è in grado di fornire in merito alla fornitura certa e duratura di combustibile nucleare per le centrali in programma.
Passiamo alla questione dei costi di produzione. In questo mio precedente articolo ho elencato i fattori economici e finanziari che a mio parere rendono attualmente scarsamente conveniente la tecnologia nucleare. Gli elevati costi di produzione di questa fonte energetica hanno negli ultimi decenni scoraggiato gli investimenti industriali privati, mentre le poche centrali in corso di realizzazione vedono in particolare lievitare notevolmente i costi di costruzione rispetto ai valori preventivati.
Di fatto, sul piano della convenienza economica, gli investimenti nel settore nucleare stanno oggi in piedi solo grazie a generose sovvenzioni pubbliche che inevitabilmente finirebbero per pesare su bilanci statali sempre più esangui o sulle bollette dei consumatori, generando una pesante distorsione della libera concorrenza rispetto alle altre fonti energetiche. Non a caso, l’Enel ha già ammesso la necessità di trasferire sulle bollette degli italiani una parte del rischio finanziario connesso alla costruzione delle nuove centrali.
Quindi, in un quadro europeo di contenimento della spesa pubblica, il governo italiano dovrebbe impegnarsi ufficialmente a “non mettere le mani in tasca agli italiani” per la costruzione e il funzionamento delle centrali programmate.
Infine, come dimostrato da questo studio molto conservativo di ISSI, la potenza delle centrali elettriche italiane esistenti, e di quelle in costruzione o già autorizzate in Italia, è abbondantemente in grado di soddisfare nei prossimi decenni il fabbisogno di energia elettrica italiana, considerando che è molto improbabile che si determini in prospettiva una decisa inversione di tendenza rispetto al forte calo dei consumi elettrici causato dalla crisi economica (- 6,8% nel 2009). Infatti, la minore disponibilità di petrolio che si verificherà nei prossimi anni a seguito del superamento del picco di produzione (di recente ammesso anche dal Pentagono e dall’Agenzia Energetica americana), avrà sicuramente effetti recessivi sull’economia e conseguenze depressive sui consumi energetici.
Quindi, solo un forte impulso all’uso delle fonti rinnovabili, accoppiato alla scelta strategica del metano come fonte di transizione, in un quadro di diversificazione degli approvvigionamenti, consentirà a mio parere di assicurare nel prossimo futuro risposte industrialmente praticabili al fabbisogno energetico nazionale, in uno scenario di consumi stazionari o moderatamente in crescita.
Di fatto, sul piano della convenienza economica, gli investimenti nel settore nucleare stanno oggi in piedi solo grazie a generose sovvenzioni pubbliche che inevitabilmente finirebbero per pesare su bilanci statali sempre più esangui o sulle bollette dei consumatori, generando una pesante distorsione della libera concorrenza rispetto alle altre fonti energetiche. Non a caso, l’Enel ha già ammesso la necessità di trasferire sulle bollette degli italiani una parte del rischio finanziario connesso alla costruzione delle nuove centrali.
Quindi, in un quadro europeo di contenimento della spesa pubblica, il governo italiano dovrebbe impegnarsi ufficialmente a “non mettere le mani in tasca agli italiani” per la costruzione e il funzionamento delle centrali programmate.
Infine, come dimostrato da questo studio molto conservativo di ISSI, la potenza delle centrali elettriche italiane esistenti, e di quelle in costruzione o già autorizzate in Italia, è abbondantemente in grado di soddisfare nei prossimi decenni il fabbisogno di energia elettrica italiana, considerando che è molto improbabile che si determini in prospettiva una decisa inversione di tendenza rispetto al forte calo dei consumi elettrici causato dalla crisi economica (- 6,8% nel 2009). Infatti, la minore disponibilità di petrolio che si verificherà nei prossimi anni a seguito del superamento del picco di produzione (di recente ammesso anche dal Pentagono e dall’Agenzia Energetica americana), avrà sicuramente effetti recessivi sull’economia e conseguenze depressive sui consumi energetici.
Quindi, solo un forte impulso all’uso delle fonti rinnovabili, accoppiato alla scelta strategica del metano come fonte di transizione, in un quadro di diversificazione degli approvvigionamenti, consentirà a mio parere di assicurare nel prossimo futuro risposte industrialmente praticabili al fabbisogno energetico nazionale, in uno scenario di consumi stazionari o moderatamente in crescita.
Sarebbe pertanto auspicabile che il Governo riflettesse attentamente sui limiti oggettivi di carattere industriale che ostacolano il programma di costruzione di nuove centrali nucleari nel nostro paese, destinando invece investimenti e risorse nella ricerca e diffusione delle fonti rinnovabili, le uniche in grado di garantire un approvvigionamento energetico sicuro e per tempi indefiniti.
4 commenti:
Non ti preoccupare, le centrali in Italia non si faranno.
Dopo aver buttato un po' di soldi (ovviamente pubblici) in progetti e aver gettato un po' di cemento qua e là, tutto finirà nel nulla, come al solito.
Secondo me è tutta propaganda del nostro ducetto...
Piuttosto sono più preoccupato per il carbone, non vorrei che con la carenza di petrolio si rimettesse mano a questo insano combustibile.
Invece i problemi ambientali non sono affatto risibili, relativamente alle indistruttibili scorie radioattive(per millenni). Per fortuna la limitatezza dell'uranio rende il discorso nucleare italiano( e nel mondo) irrealizzabile, tanto il solo problema ambientale non ha mai rappresentato un ostacolo al business as usual.
Per il carbone il suo picco di produzione si colloca intorno al 2025(previsioni Aspo), perchè quello di buona qualità(diciamo "convenzionale" in equivalenza al petrolio) in percentuale è molto di meno rispetto ai giacimenti del pianeta; e poi non potrebbe mai sostenere in toto il petrolio come applicazioni di quest'ultimo.
Ciò non toglie che un eventuale paradigma carbonifero, seppur breve per i limiti geologici suddetti, sarebbe la peggiore alternativa la petrolio...
Salve, un piccolo appunto riguardo il fatto che i timori ambientali siano frutto di 'irrazionalismo'
Brevemente:
1- Il numero di centrali nucleari nel mondo è molto piccolo (poche centinaia) e sono in funzione da circa mezzo secolo
2- Nonostante questo abiamo potuto ammirare il devastante incidente di Chernobyl i cui effetti tuttora incogniti sul materiale biologico umano ed animale si protrarranno indiscutibilmente nei prossimi MILLENNI Questo ci fa capire che per valutare il danno bisogna moltiplicare la sua probabilità (molti piccola) per le sue conseguenze (molto grandi e irreparabili)
3- Quando l'uomo non sarà più in grado di costruire cattedrali di cemento armato come la cupola di chernobyl, mettiamo nel 4000 D.C. e non avrà più energia e tenuta dei sistemi sociali per garantire lo stoccaggio di migliaia di mc di materiali radioattivi sparsi ovunque nel mondo CHE FINE FARANNO QUESTE SOSTANZE ? CHE DANNO PROVOCHERANNO ALLE PROSSIME GENERAZIONI ? Sig. Bardi che dice in proposito ? pensa che queste siano paranoie da ambientalisti o sono riflessioni da chi vede un pochino oltre la finestra della nostra effimera civiltà industriale in fase terminale di idee e di risorse ?
Saluti
Le valutazioni sulle conseguenze sanitarie dell'incidente di Chernobyl sono molto contrastanti, ma anche considerando quelle più pessimistiche, esse rappresenterebbero una frazione esigua di quelle causate dall'inquinamento atmosferico e dagli incidenti stradali. Comunque, la mia è una valutazione politica: le proteste contro il nucleare fondate sui danni alla salute scemeranno rapidamente quando la gente si renderà conto della fine dell'energia abbondante e a basso costo fornita dai combustibili fossili. Quindi, l'argomento antinucleare politicamente rilevante è quello legato al reale rischio industriale dell'investimento.
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