sabato, novembre 13, 2010

Una tempesta di petrolio su un territorio

Ospitiamo questo intervento di Armando Boccone che ci illustra un'indagine sul territorio alla ricerca dei segni di un mondo scomparso a causa dei cambiamenti indotti dalla disponibilità di energia fossile a basso costo.
Scritto da Armando Boccone

Questo lavoro analizza, sebbene in modo abbastanza approssimativo, le conseguenze che l’abbondanza di petrolio a buon mercato ha avuto su un territorio e le difficoltà nella creazione di nuove prospettive a partire dalla considerazione che ciò non sarà più possibile.
Il lavoro prende le mosse dai dati della piovosità relativa al territorio nord-orientale della mia regione di origine (la Lucania). Consultando il sito dell’ARPAB ho notato che le stazioni meteorologiche di questo territorio hanno rilevato una piovosità, nel periodo 1921-2001, di 500-600 millimetri o poco più all’anno. E’ un indice molto basso. Le piogge, in questa zona della Lucania che confina con la Puglia e il mar Jonio, sono concentrate nel periodo invernale (dicembre-marzo) mentre i mesi estivi sono interessati da siccità molto duratura.

Fig 1: Il pluviometro della stazione meteorologica della località Torre Accio, nel comune di Bernalda, ha rilevato una piovosità media di 514 mm all’anno nel periodo 1921-2001


L’agricoltura “logicamente” connessa a queste condizioni climatiche è stata un’agricoltura secca (cioè basata solamente sulle piogge) caratterizzata dalla cerealicoltura e dall’olivicoltura, con un po’ di orticoltura e coltivazioni varie intorno alle masserie e l’allevamento ovino nelle zone interne e collinari del territorio. Nella cerealicoltura periodicamente si ricorreva al maggese, cioè il terreno veniva lasciato incolto per dargli modo di riprendersi.
Se si guarda però l’agricoltura attualmente praticata nel territorio ci si accorge che è un’agricoltura fiorente, basata su colture orticole e frutticole specializzate.
Cosa ha reso possibile questo enorme cambiamento?
Le cause sono state tante come la riforma agraria attuata negli anni ’50 del secolo scorso, come la creazione di dighe nella parte occidentale della regione (quella che confina con la Campania e la Calabria) dove la piovosità supera i 1000 mm annui, come la creazione delle enormi infrastrutture necessarie per portare l’acqua verso gli utilizzatori finali, come la disponibilità di concimi chimici, … come, per concludere e riassumere, la enorme disponibilità di petrolio a buon mercato!

Fig. 2 Struttura necessaria al trasporto dell’acqua


Se non ci fosse stata una enorme disponibilità di petrolio a buon mercato non sarebbe stata possibile per l’agricoltura andare incontro a quel mutamento a cui si è assistito dal secondo dopoguerra in poi.
Adesso sembra che quella tempesta di petrolio a cui si è assistito finora inizi a dare segni di calma. E’ necessario quindi iniziare a pensare come impostare non solamente la produzione ma tutta la vita umana su altri criteri e non più sull’uso massiccio di petrolio e su tutto ciò che questo uso ha reso possibile.
Per la precisione bisogna andare alla ricerca, come disse Alì Samsam Bachtiari al congresso Aspo di Firenze nel 2007, delle nostre radici, cioè delle conoscenze che ci hanno guidato nei secoli precedenti l’era petrolifera. Disse questo studioso che stiamo attraversando un momento di grande difficoltà per la civiltà umana che si trova per la prima volta davanti al declino globale di una risorsa fondamentale come il petrolio.
La ricerca di queste conoscenze non sarà facile perché quella tempesta di petrolio, rendendole temporaneamente non attuali, ha impedito che fossero trasmesse alle nuove generazioni. Molte di queste conoscenze erano solamente nella mente e nel comportamento dei nostri padri e nonni ed erano trasmesse oralmente per cui bisogna andare da loro e chiedere come facevano a risolvere certi problemi.

La masseria, il pozzo, il forno, la stalla, il pollaio, la colombaia e altro


Fino agli anni cinquanta del secolo scorso una parte consistente della popolazione della mia Regione di origine (come per buona parte dell’Italia) era dispersa sul territorio ed era dedita all’agricoltura
Per questo motivo ho fatto una ricerca sulla realtà rurale precedente l’età dell’abbondanza di petrolio. La ricerca è consistita nel chiedere informazioni alle persone anziane del mio paese e nell’andare sul territorio e fotografare e interpretare i resti delle strutture di quel modo di vita, cioè le masserie abbandonate. L’esposizione che farò di questa realtà sarà sicuramente molto approssimativa, parziale e, in parte, imprecisa, ma l’importante è iniziare. Sarebbe stato interessante anche indagare la nuova realtà dell’agricoltura e i nuovi rapporti fra i proprietari dei terreni e la coltivazione dei terreni stessi (sicuramente attualmente molta parte del lavoro necessario alla coltivazione viene affidato a terzi).


Foto 3: una masseria abbandonata…

Non pensavo che il territorio su cui ho fatto l’indagine fosse pieno di masserie abbandonate. Le costruzioni, sia all’interno che all’esterno, mettono in evidenza delle tecniche costruttive che nessun muratore o azienda edile attualmente riuscirebbe più a padroneggiare, sostituite dalle caratteristiche tecniche del ferro e del cemento. Ma il ferro e il cemento hanno il tallone di Achille che quelle tecniche costruttive non avevano: richiedono moltissima energia per la loro produzione. L’energia che richiedeva quell’agricoltura era rappresentata soprattutto dalla legna che serviva alle innumerevoli fornaci distribuite sul territorio per cuocere mattoni e coppi e dal lavoro animale e umano per coltivare la terra.
Ogni masseria possedeva il pozzo, il forno, la stalla, il pollaio, la colombaia e altro. Buona parte della vita delle famiglie coltivatrici avveniva nelle masserie. I rapporti con l’esterno, sia dal punto di vista economico che sociale, si riducevano soprattutto alla vendita del grano, dell’olio e di poco altro. Dato che buona parte della vita si svolgeva nella masseria era necessario disporre dell’acqua e di fare periodicamente il pane. Mi aspettavo dei sistemi di raccolta dell’acqua piovana che cade sui tetti, così come esistono nel mio paese di nascita. Quest’acqua veniva convogliata, attraverso delle tegole a imbuto che correvano lungo i muri, in apposite cisterne, cioè in vani interrati disposti sotto le case. L’acqua piovana, benché priva di sali minerali e ristagnante, in mancanza di acqua prelevata dalle sorgenti, veniva usata anche per bere. Nelle masserie non ho trovato invece tali sistemi di raccolta di acqua. La spiegazione che ho dato è molto semplice: nelle masserie si disponeva dell’acqua dei pozzi, in certo modo corrente e contenente sali minerali. La stalla molte volte serviva solamente come ricovero per gli animali da lavoro come asini e muli mentre rare volte per l’allevamento di qualche capo bovino. La novità è stata la presenza delle colombaie: non pensavo ci fossero e invece la possedevano quasi tutte le masserie. Le persone che ho intervistato in merito dicevano che le colombaie davano un consistente apporto di carne per l’alimentazione dei bambini e delle donne in gravidanza e in allattamento. Mi hanno detto pure che era difficile avere una coppia di colombi con cui mettere su una colombaia.

Foto 4: con il forno…


Foto 5: il pozzo

Foto 6: il silos, il pollaio e la sovrastante colombaia



Foto 7: e una bellissima pergola carica di uva davanti alla porta



La colombaia


Dato che sono stato colpito dalla presenza delle colombaie (pensavo addirittura che non ne esistessero nel territorio) ho focalizzato la mia attenzione nella ricerca delle conoscenze necessarie alla sua creazione, all’allevamento dei colombi, al loro utilizzo nell’alimentazione e a quant’altro a esse collegate.
Ho stabilito una correlazione fra la diffusione delle colombaie e la presenza delle ricette per cucinare i colombi. Ho visto che Pellegrino Artusi, nella sua opera ”La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” espone cinque ricette per cucinare i colombi. Adesso invece nei nuovi libri di cucina in vendita nelle libreria o in edicola non c’è nessuna ricetta che riguarda i colombi. Infatti è difficile acquistare piccioni per l’alimentazione visto che nessun supermercato o macelleria li vende.


Una domanda imbarazzante!


A molte persone ho fatto una domanda che, salvo una volta, non ha ricevuto risposta. Questa domanda aveva l’intento di mettere in evidenza la maggiore sostenibilità dell’allevamento dei colombi rispetto agli attuali allevamenti che si basano sulla coltivazione di tutto ciò che viene utilizzato per l’alimentazione animale. La domanda è stata: i colombi si alimentavano oltre che con le granaglie appositamente loro date anche con ciò che trovavano sul territorio quando uscivano liberamente dalla colombaia?
Ho inviato una e-mail a un indirizzo di un allevatore di piccioni che ho trovato sul WEB: la risposta è stata che se i colombi uscissero liberamente in pochi sarebbero rientrati, che chi alleva deve per forza tenerli in gabbia, che gli vengono somministrati degli integratori che a quelli in libertà non servono, ecc. Non c’è stato verso di ricevere una risposta precisa alla domanda che ho fatto!
Solamente una persona mi ha risposto dicendo che se l’allevamento dei colombi fosse avvenuto solamente dando da mangiare granaglie sarebbe stato molto costoso e quindi non conveniente.
Fig. 8 Un’altra masseria abbandonata (si notino in fondo, in alto, i buchi di una colombaia)


Una signora mi ha dato altre indicazioni più dettagliate sull’allevamento dei piccioni. Mi ha detto che:
- per impiantare una colombaia veniva acquistata una coppia di piccioni quando era già atta al volo e autonoma nell’alimentazione;
- venivano loro tagliate le estremità delle penne delle ali in modo che si abituassero a vivere in quell’ambiente;
- le uova non venivano mangiate ma servivano solamente per la cova;
- i colombini erano pronti per la macellazione alla fine del primo mese di vita;
- la loro carne serviva soprattutto per l’alimentazione dei bambini e delle donne in cinta e in allattamento;
- i colombi arrivati all’età della macellazione servivano sia per l’alimentazione all’interno della masseria che venduti all’esterno;
- i colombi venivano nutriti col grano perché se non alimentati probabilmente si sarebbero allontanati dalla colombaia;
- la carne dei colombi era molto importante per l’alimentazione dei contadini;
- quasi in ogni masseria c’era una colombaia.

Dalla signora non sono riuscito ad avere risposte precise alla mia domanda se i colombi si nutrissero anche di ciò che trovavano nel territorio circostante quando uscivano dalla colombaia. Può darsi che lei abbia conosciuto le colombaie quando ormai il territorio era completamente e intensamente coltivato e l’allevamento dei colombi era diventato quasi un hobby e avveniva al chiuso. Del resto così avveniva con i pollai. Le galline erano nutrite con granaglie ma poi erano libere di trovare altri alimenti (insetti, vermi, granaglie selvatiche) sul territorio intorno alla masseria. Adesso, con la campagna “urbanizzata, con strade che arrivano dappertutto, anche l’allevamento delle galline avviene al chiuso, altrimenti molte sarebbero ammazzate dalle autovetture.


Le prospettive future


La nuova realtà che si è creata è stata determinata , come è stato già detto, dall’abbondanza di petrolio a buon mercato. Questo fenomeno è stato come una tempesta. Come avviene in molti Paesi interessati da uragani la gente, appena sa del suo arrivo, alle volte è costretta a scappare lasciando le loro case così come si trovano. Sembra che sia avvenuto la stessa cosa nel territorio che è stato indagato, visto come sono state lasciate alcune masserie. Appena io e la mia compagna siamo entrati in una masseria (la porta era aperta) lei è rimasta scandalizzata perché pensava a un atto di vandalismo. La ho rassicurata dicendo che quella masseria era stata abbandonata da moltissimi anni.
Fig. 9 Una masseria abbandonata in fretta e furia


I mobili della cucina erano pieni di piatti, posate, pentole, e altro. In un armadietto c’erano due bottiglie di liquore, senza tappo, con all’interno ancora il liquore, ormai ridotto a uno sciroppo molto denso, visto che l’alcool e l’acqua erano evaporati. Un cassetto era pieno di ricevute di bollette pagate.

Il riutilizzo delle masserie per fini turistici


Non è bello vedere tante masserie andare incontro al degrado. Alcune masserie però ricevono un altro destino. Quelle con buone caratteristiche architettoniche e costruttive e ancora conservate bene vengono ristrutturate e destinate a fini turistici. E’ quanto avvenuto con la masseria esposta dalla successiva foto, trasformata in un Resort a quattro stelle, con piscina, maneggio, cucina locale ma di alto livello e quant’altro.
Fig. 10 Una masseria trasformata in un Resort a quattro stelle


Quando la tempesta di petrolio finirà allora probabilmente le masserie abbandonate riceveranno la destinazione che hanno avuto inizialmente anche se adesso con Internet e il WEB, col progresso scientifico, con l’istruzione di massa e altro, le cose saranno un po’ diverse. Per quanto riguarda le colombaie le difficoltà saranno solamente agli inizi perché, una volta ottenuti i colombini, disponiamo già delle ricette gastronomiche di Pellegrino Artusi.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Interessante, originalissimo post. La cultura contadina pre invasione idrocarburi era un concentrato di sostenibilità. Tutte le azioni intraprese erano semplici ed essenziali, non potendo essere "drogate" dalla energia fossile. Le tradizioni che si svolgevano un tempo nelle campagne - diverse fra loro a seconda delle regioni italiane - stanno sparendo - se non sono già scomparse del tutto. Proporrei un blog dedicato esclusivamente al recupero e alla memoria delle tradizioni contadine eco-sostenibili e che potrebbero ritornare in auge nel periodo post-picco.

Maria Ferdinanda Piva ha detto...

Mi associo ad Arturo. E per il resto, riguardo ai colombi: è importante non lasciarli volar via finchè non hanno fatto i nido. Se hanno il compagno/a, e soprattutto se hanno le uova o i pulcini (e nelle colombaie li hanno quasi sempre), i colombi si cercano in giro gran parte del cibo e tornano sempre a "casa". Solo per questo era economico allevarli. Se si tengono in gabbia, e se bisogna fornire loro tutto il cibo necessario, vale il detto piemontese i culumb mangiu or e cagu piumb. La traduzione è superflua, credo :) Nelle cascine piemontesi era uso appendere in alto sui muri esterni una sorta di sacche in terracotta per invogliare i passeri a fare il nido. E i pulcini, appena prima dell'involo... Avete capito, no? Poveretti, dico con il modo di pensare tipico del XXI secolo

Salvatore Varco ha detto...

mia nonna mi diceva che una volta le colombaie, oltre alla carne, servivano anche per produrre concimi. il guano di colomba addirittura lo vendevano e costituiva una fonte di reddito per le famiglie. Lei mi raccontava che addirittura i contadini andavano a cercare il guano di colombe o pipistrelli fin dentro le grotte!

roberto ha detto...

una parte consistente della popolazione era dispersa sul territorio ed era dedita all’agricoltura

parole vere.la sfida e' rifornire le citta' quando il petrolio diventa scarso.

David Addison ha detto...

@ Roberto:
Più probabile che, come durante la seconda guerra mondiale, la popolazione venga sfollata. Con quali conseguenze è facilmente comprensibile

David Addison ha detto...

@ Roberto:
Più probabile che, come durante la seconda guerra mondiale, la popolazione venga sfollata. Con quali conseguenze è facilmente prevedibile