mercoledì, ottobre 28, 2009

Perchè non mi piace la green economy

La green economy non mi piace per diversi motivi. Il primo motivo è che non sopporto gli anglicismi inseriti nella lingua italiana. Per carità, in una società globale (ma fino a quando?) come la nostra è importante conoscere l’inglese, così come era fondamentale conoscere il latino ai tempi dell’Impero Romano. Ma perdinci, quando siamo in Italia si parla italiano, nobile e antica lingua, la cui gradevole e fresca complessità sta all’inglese usa e getta come una foresta a un giardinetto comunale. Inoltre, chi parla infarcendo la nostra lingua di neologismi inglesi, corre il rischio di non essere capito dalla stragrande maggioranza degli italiani, notoriamente parecchio dura nei confronti delle lingue straniere, e per questo, di essere ignorato alla stregua di un fastidioso saputello. Per le stesse ragioni, lo stesso effetto sgradevole me lo procura una variante della green economy, spesso citata da un decano dell’ambientalismo italiano, Ermete Realacci, la soft economy. Quindi da ora in avanti, sia chiaro a tutti, parlerò di economia verde e di economia leggera.
Il secondo motivo, parzialmente derivato dal primo, è il fastidio per una tendenza tipicamente italiana di scimmiottare acriticamente le mode d’oltreoceano, nella illusoria speranza di adottare comportamenti estranei alla nostra cultura e ai nostri stili di vita. Alberto Sordi e Walter Veltroni sono alcuni dei personaggi che meglio hanno rappresentato questa tendenza.
Il terzo e principale motivo per cui mi da fastidio il concetto di economia verde è che, nella conformista vulgata corrente, di verde ha ben poco, se non una scorza superficiale avvolta intorno a un succo molto convenzionale. Il cuore dell’economia verde sta nella convinzione di poter ridurre i fastidiosi effetti della crescita economica sull’ambiente con l’utilizzo di tecnologie sempre più efficienti. Ho letto di recente su un documento di ecologisti, che “è possibile aumentare la ricchezza riducendo i consumi energetici”. Suvvia, non fate le mammole cari amici ecologisti, non fingete di ignorare quello che sta scritto nelle sacre tavole della Natura. Per le leggi della termodinamica, il rendimento energetico di qualsiasi tecnologia non potrà mai superare il 100%, ed arrivare solo all’80% sarà estremamente difficile se non con costi energetici ed economici sempre più elevati. Quindi, a un certo punto, continuando ad aumentare la ricchezza, verrà un bel giorno che la tecnologia non ce la farà più nemmeno a inseguire la crescita illimitata, lasciandovi tutti con un palmo di naso. Facciamo l’esempio dei trasporti e immaginiamo di sostituire tutto il parco autoveicolare mondiale con auto elettriche. La cosa in sé è già alquanto problematica per vari motivi, tra i quali la disponibilità effettiva delle risorse minerali necessarie a far funzionare le batterie. Ma facciamo finta che questi problemi non esistano, potremmo perciò ridurre di circa il 50% i consumi energetici dei trasporti nel mondo. Siccome la crescita economica mondiale ha caratteristiche esponenziali con tempi di raddoppio di circa 17 anni, è molto probabile che nello stesso tempo la domanda di trasporto individuale trascinata dai paesi asiatici emergenti raddoppierà anch’essa, vanificando il risparmio energetico faticosamente conseguito con una tecnologia più efficiente. E dopo, cari ecologisti, dovrete farvi venire qualche altra buona idea.
Analogamente anche l’economia leggera è secondo me poco più di una trovata propagandistica. Un’economia basata sui prodotti tipici, sui marchi di qualità, sui sapori perduti e sulle piccole e operose comunità locali, non può esistere senza un’economia pesante di consumatori danarosi disposti a comprarsi a suon di quattrini il sogno di una vita genuina a contatto con la natura.
Concludo quindi il tema con la mia proposta alternativa all’economia verde, cioè la yellow economy, chiedo scusa, economia gialla. Come nel semaforo, per me il giallo è il colore del rallentamento, del piede sul freno del motore apparentemente inarrestabile dell’economia. Il simbolo di un’economia stazionaria dove il benessere si misura maggiormente sulla crescita di un bene immateriale come la qualità della vita. Lo sta cominciando a capire persino il conservatore Presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha costituito una Commissione guidata da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi con il compito di mettere in soffitta il vecchio PIL sostituendolo con un indice del "benessere pluridimensionale", frutto del mix di otto elementi: le condizioni di vita materiali, la salute, l'istruzione, le attività personali, la partecipazione alla vita politica, i rapporti sociali, l'ambiente, l'insicurezza economica e fisica.
In Italia, Giorgio Ruffolo da tempo predica al vento su questi argomenti e, di recente ha scritto l’ennesimo articolo (leggere anche questo) contro il “PIRL”, nell’indifferenza totale, compresa quella degli ecologisti, tanto “è possibile aumentare la ricchezza riducendo i consumi energetici”.



Il grafico allegato è tratto dal documento di Alberto di Fazio che approfondisce in maniera magistrale le tematiche qui appena delineate.

20 commenti:

Alex I. ha detto...

ottimo, non posso che essere pienamente d'accordo.
Su Ermete Realacci stenderei un velo pietoso, e non solo per il linguaggio

Frank Galvagno ha detto...

L'idea di fare delle rinnovabili un business per avere crescita economica è uno stadio inevitabile, sarebbe comunque "meno peggio" che relegare le rinnovabili stesse a un ruolo marginale fino all'ultimo.
Il retaggio dell'accumulazione e l'inerzia dei modelli impediranno vie più vituose.
Naturalmente, occorrerà shiftare rapidamente verso il concetto espresso da Terenzio, quello dello stato stazionario, non appena si capirà che i reservoir fossili dovranno, oltre ad alimentare lo start up rinnovabile, anche mantenere l'inerzia della costruzione di infrastrutture esistenti e il feeding delle stesse (perdonami Terenzio gli inglesismi :-) )

Bricke ha detto...

Si certo, rallentare, decrescere felicemente. Equilibrando tutti, compresi i paesi arretrati, ad un "livello" simile prendendo come metro non il Pil ma il Fil o qualsiasi altro indice che valuti realmente le code belle e positive di questo mondo.

Credo però che per avere una economia gialla dobbiamo usare buone dosi di economia verde e leggera. Sbaglio?

Francesco ganz etti ha detto...

...Bello lo "shiftare" di Galvagno dopo la pedissequa difesa della lingua italiana di LongoBardi in accademia della crusca style...( Come si può intuire sono molto più vicino a Galvagno anche in questa tematica
(Anche se " issue" risulta molto più aderente e diretto rispetto all'italiano "tematica ")

Tornando alle cose serie, iointenderi una yellow economy come una decrescita dirigista e tecnocratica, l'unica possibile oggi : 15 o 20 anni fa avremmo avuto il tempo per una decrescita dolce e più democratica, ma che a mio avviso, vista la natura umana egostica e di corto respiro, sarebbe potuta nascere solo da un ambito autoritario e tecnocratico !

Quanto alla qualità della vita in una società in decrescita, vorrei ricordare che alcune cosette tipo la privacy, ossia la possibilità di godere di spazi abitativi privati ampi o cmq mononucleari, o le cure sanitarie dei nostri tempi, soprattutto nelle società occidentali sovrappopolate suprattutto da over 65, sono tutte altamente dispendiose sul piano energetico.
Per questi motivi vedo la yellow economy introdotta da Longobardy, (ops!, scusate per l'anglicizzazione del cognome con la y ), come un triage sociale tecnocratico, anche perchè sarà la unica "economy" ,( intesa come continuzuìione di una società similmente complessa alla attuale), possibile.

Mia opinione rispetto agli anglicismi : quando parliamo inglese, abbiamo almeno il buon gusto di non sforzarci di riprodurre un pseudo accento americano, ma per lo meno spostiamo il campo, per quanto disomogenei, verso una pronuncia britannica.

Paolo ha detto...

Un articolo di ieri su GreenReport mi sembra in tema:

L'economia miope

Paolo Marani ha detto...

Difficile parlare di queste cose senza nemmeno citare Maurizio Pallante e il movimento della decrescita felice.

Quello che tu hai descritto, cioè il "paradosso di Jevons", certamente esiste, però nasce dal presupposto che un risparmio economico (dovuto alla efficienza) incrementi per forza di cose i consumi.

Questo è vero, ancora una volta, nell'ottica del vecchio sviluppo economico di stampo capitalista, cioè quando non si osa mettere in dubbio il modello di sviluppo economico imperante.

Il movimento della decrescita felice, oltre a promuovere alternative al PIL, nasce proprio dalla consapevolezza che il paradosso di Jevons può essere "scardinato" intervenendo sui nostri stili di vita, imparando ad apprezzare quella che viene genericamente definita "sobrietà".

La sobrietà, unita con tecniche di efficienza energetica (che andrebbero comunque perseguite), fanno si che il rientro a un livello di sostenibilità possa essere, auspicabilmente, molto meno traumatico.

Rallentare, decrescere, va bene, ma è inutile senza un cambiamento radicale di paradigma, che si promuove soprattutto cambiando gli stili di vita e reintroducendo il concetto di "sobrietà e autosufficienza" che oggi appare completamente eclissato dal turbo-capitalismo a crescita esponenziale.

Anonimo ha detto...

Per fermare il tempo bisogna accelerare, ma per accelerare bisogna adoperare energia, e in modo accelerato.
L'universo sembra fondarsi su questo principio.Putroppo,è proprio il tempo a disposizione per cambiare abitudini che sta rapidamente decrescendo.Lo stanno capendo in molti,ma ciò non porta immediatamente alla visione dei rimedi efficaci.
Per di più,la reazione di paura di molti, li induce alla paralisi invece che all'azione,e ancor peggio,all'intensificazione delle abitudini deleterie.E cosa importante anche se non ultima,sempre molti s'aspettano l'emergere della guida, del condottiero che li porti fuori dai guai.Bisognerebbe adottare la forma mentis dello stato di guerra,
dove in lotta sono quelli che "vogliono vivere semplicemente,per poter tutti semplicemente vivere", contro quelli per i quali "il loro tenore di vita non è negoziabile".
Einstein,ritenne che la terza guerra mondiale si sarebbe combattuta con le clave.
Io più modestamente, la vedo come guerriglia infinita fra enclave.

Marco Sclarandis

fabio ha detto...

Direi che io ho un'opinione come Terenzio sull'economia gialla
piede sul freno, il mix energetico sara' un mix da transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili.

p.s.
Einstein diceva che non sapeva come si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma la quarta sicuramente con sassi e bastoni.
forse era un catastrofista

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio Fabio, per la correzione della frase di Einstein.Non credo che fosse un catastrofista, bensì un acutissimo pensatore.Per me siamo in piena catastrofe, solo che a noi che godiamo del privilegio di scrivere le nostre opinioni su questi monitor, ci appare lontana e sostanzialmente innocua.Un miliardo di persone che soffrono la fame,e altri due che gozzovigliano,e il rimanente che si sfama appena ,per mè è catastrofe.
La deliberata estinzione di un quarto delle specie viventi,da qui alla fine del secolo in corso è catastrofe.
L'ottusità, l'inerzia, la pigrizia e la piccina malvagità praticate quotidianamente da milioni di persone in gran parte sazie, è catastrofe.
Nonostante ciò, un rinascimento è in corso.E si può farne parte istantaneamente.
Se non fossi convinto di questo, non sprecherei un solo battito di tasto,una sola occhiata ad uno schermo.

Marco Sclarandis

Anonimo ha detto...

Intanto il sistema economico, qui a Modena, ha già deciso quali siano le applicazioni non indispensabili, su cui si può risparmiare.

Alcune tangenziali della provincia sembrano immense piste ciclabili. Gli ospedali, fortunatamente, sono stati mantenuti in funzione. Curioso.

Alla fine mi viene il velato dubbio che certi dirigismi autoritari, volti alla demolizione di scuole e nosocomi, siano più che altro funzionali ad accelerare il collasso.

Come dice un certo personaggio, è davvero ora di tagliare la spesa pubblica improduttiva: cominciamo dal catrame.

fausto

Phitio ha detto...

Da quello che ci insegna la storia, più la comunità è grande, meno è capace di apportare cambiamenti alle propie abitudini e stili di vita in maniera predeterminata.

Siccome la comunià in questione è pari a circa i 3 quarti della popolazione mondiale (tra chi ha vissuto il capitalismo da inizio 900 a chi la vuole disperatamente abbracciare) , non ci sarà alcuna modifica sostanziale di comportamenti, almeno fincheè non succederà qualcosa di VERAMENTE grave, di talmente grave da non poter essere assolutamente nascosto, ignorato, mal interpretato.

Quindi, dovremo innanzitutto andare addosso ad un problema in grado di imporsi senza possibilità di fraintendimento a 4 miliardi di persone.
Io non vedo niente di meno di una grande depressione, o di una guerra mondiale, che possa fare questo.
Qualcosa che cambi la vita e soprattutto la mentalità, la visione della vita di immense masse, in modo che ci sia un "prima" e un "dopo", anche se fittizio, retrospettivo e illusorio.

"Prima" si facevano queste follie di spreco, "dopo" si vive o sopravviv sulle briciole, diventate preziose più dell'oro.

Io direi che possiamo tranquillamente dimenticarci ogni transizione possibile che non sia di tipo traumatico. E soprattutto possiamo dimenticarci ogni tipo di struttura sociale ed economica con un grado di complessità superiore o uguale all'attuale.
Tutto quello che ci sarà nel prossimo futuro, dovrà per forza di cosa essere più semplice, meno complesso.
Una postilla: la vita media, inevitabilmente, sarà una ventina di anni più bassa, nel futuro che ci attende.

fabio ha detto...

@Marco Sclarandis


Condivido pienamente il problema e' l'indifferenza di molti sazi che credono di aver diritto a tutti i loro desideri e non si interrogano mai sul loro stile di vita.

Fabio

Anonimo ha detto...

cio' che mi spaventa non e' rinunciare all'auto (non l'ho mai avuta) ne' allo shopping,al pranzo al ristorante o tante altre cose di cui si puo'fare a meno.
cio' che mi terrorizza e'la carenza prossima ventura di acqua e cibo unita al numero (in aumento e gia'ora insostenibile) di "concorrenti".
senza elettricita' non si puo'tirar su acqua dai pozzi (sempre piu'profondi).senza acqua i campi non producono. senza acqua si muore.
non faccio parte di quelli che vorrebbero sterminare mezza africa e asia pur di continuare ad ingozzarsi di bistecche e vegetare nella vasca da bagno. come tanti altri vorrei che si riducessero i consumi e gli sprechi e si redistribuissero equamente le risorse, ma ho paura che cio' non basti ugualmente. ho paura di essere travolta ed eliminata per un pezzo di pane e un bicchiere d'acqua.
esagero?

marco p. ha detto...

Io ripeto spesso e ne sono veramente convinto che si possa influire "sulla realta' esistente" anche se non si puo' costruire un mondo a nostro piacimento secondo dei modelli ideali.I meccanismi di mutazione sociale sono complicati, molto sconosciuti (anche perche' poco studiati) e spesso casuali.Ma, se le convinzioni che noi esprimiamo su questi blog fossero patrimonio anche di una minoranza ma di una dimensione visibile e fossero divulgate con linguaggi appropriati molte cose potrebbero cambiare.Sostenere posizioni controcorrente, non ancora evidenti e' difficile ma...si puo' provare...

Anonimo ha detto...

Si DEVE provare; perchè l'alternativa è solo aspettare, saccenti, che una guerra o una carestia (di petrolio piu' che di patate), vengano a darci ragione.
Ma non illudiamoci che sia facile, e soprattutto non illudiamoci che vi siano miracolose tecnologie alternative; quelle servono solo a riempire i giornali, accedere a finanziamenti, e rimbambire il popolo bue.

giotisi

Anonimo ha detto...

Phitio ha ragione. Non c'é nessuna possibilità che si riesca a decrescere pacificamente. Avremo oscillazioni economiche sempre più marcate fino a che qualche Paese darà in escandescenze. Conflitti localizzati che si allargheranno a macchia d'olio. E' inevitabile, fino a 150 anni fa le guerre erano una vera e propria attività stagionale a livello mondiale, purtroppo tornerà ad essere così.
Luigi Ruffini

Paolo Stefanini ha detto...

Una chiosa : almeno l'Albertone sfotteva la voglia di imitare gli americani..., il Walterino invece ci crede. Comunque il "green economy" è uno slogan di marketing da applicare alla peggior ciofeca, il cui risultato è imbastardire tutto- Paolo Stefanini

Anonimo ha detto...

E' proprio il concetto di limite che sembra non entrare nella testa. La crescita infinita è utopia. Faccio sempre questo esempio per farmi comprendere. Un disco fisso (notare che non ho detto hard disk)) ha un spazio limitato per salvare i dati non si può riempire all'infinito. Si può ottimizzare l'utilizzo comprimendo o eliminado l'inutile ma continuando prima o poi si raggiunge il limite. Il continuo utilizzo aumente la probabilità di rottura. La terra può essere paragonata ad un disco fisso ma
non puoi aggiungerne un'altra, ne sostituirla, ne ripararla facilmente come faresti per un hardware. Ebbene molti non ci arrivano lo stesso. E' questo che rende difficile la svolta, la comprensione dei meccanismi da parte della gente comune afflitta
dai problemi quotidiani del sistema che dovrebbe criticare.

Paolo Marani ha detto...

COntinuando la metafora del "disco fisso", una alternativa c'è:

Potremmo creare qualche bella partizione, asserragliarcisi dentro, e difenderla dalle partizioni vicine con le unghie e con i denti.

Mi "alloco" un po di spazio libero (il mio orticello) e guoi a chi me lo tocca (guerra).

Non è un po quello che stiamo facendo in politica estera ?

Anonimo ha detto...

Sempre sula metefora del disco fisso. La storia non cambia la partizione prima poi si riempie. A meno di non di decide di non utlizzarla tutta. La stessa cosa avverrebbe per la nonstra partizione terrestre che non resisterebbe molto se non si
decidesse di limitarene il consumo con una politica di mantenimento dell'equilibrio o di decrescita verso un limite sostenibile. Un sistema come questo non è mai chiuso e ci sono sempre rapporti con l'esterno. Per non fare la fine dell'isola di pasqua saremo costretti a mangiarci la biodiversità altrui. Quello che sta succedendo oggi.
E' un problema di impronta ecologica dovuta all'aumento della popolazione. Oggi è a livello di stati ma a globalizzazione completata sarà il mondo la nostra Rapanui.