E’ molto istruttivo seguire le tormentate vicende di questi giorni riguardanti l’ormai decotta Alitalia, perché sono sintomatiche e illuminanti di un modo tutto italiano di gestire i servizi di interesse pubblico. Dopo che l’Azienda è arrivata sull’orlo della bancarotta a causa di un management fallimentare e una politica salariale sciagurata, con l’aggravante degli alti costi del petrolio che hanno fatto lievitare una voce importante del bilancio, quella dei carburanti, il governo italiano si è deciso a vendere la Compagnia. Finalmente arriva una proposta interessante, quella di Air France, un’azienda solida di peso internazionale, che sembra dare ampie garanzie di risanamento e sopravvivenza. Ma ecco che spunta a competere il nanetto italiano AirOne, sospinto dalla solita immancabile cordata di banchieri nostrani. La proposta di Air France sembrerebbe in maniera palmare migliore di quella della società italiana.
La compagnia di bandiera francese offre 35 centesimi per ogni azione contro 1 centesimo di AirOne (se venisse accettata quest’ultima offerta il Tesoro dovrebbe rinunciare a un minor introito di circa 240 milioni euro!), propone un esubero di personale più basso della rivale, presenta un piano industriale più credibile e una copertura del debito più sicura. Eppure, il Consiglio di amministrazione prende tempo e non decide, probabilmente a causa delle pressioni di una parte del governo e di politici che sembrano voler pervicacemente continuare a esercitare un’occupazione indebita dell’economia, di sindacati che non mollano l’osso di un potere contrattuale che ha portato i costi del personale e l’efficienza del servizio a livelli di inversamente proporzionale insostenibilità, di amministratori e imprenditori che in nome di un localismo deteriore si preoccupano solo di mantenere spazi improponibili per aeroporti regionali. Insomma il solito teatrino di una politica inadeguata al proprio compito, preoccupata più delle proprie scorribande di potere che della efficienza e funzionalità di servizi di importanza generale.
La compagnia di bandiera francese offre 35 centesimi per ogni azione contro 1 centesimo di AirOne (se venisse accettata quest’ultima offerta il Tesoro dovrebbe rinunciare a un minor introito di circa 240 milioni euro!), propone un esubero di personale più basso della rivale, presenta un piano industriale più credibile e una copertura del debito più sicura. Eppure, il Consiglio di amministrazione prende tempo e non decide, probabilmente a causa delle pressioni di una parte del governo e di politici che sembrano voler pervicacemente continuare a esercitare un’occupazione indebita dell’economia, di sindacati che non mollano l’osso di un potere contrattuale che ha portato i costi del personale e l’efficienza del servizio a livelli di inversamente proporzionale insostenibilità, di amministratori e imprenditori che in nome di un localismo deteriore si preoccupano solo di mantenere spazi improponibili per aeroporti regionali. Insomma il solito teatrino di una politica inadeguata al proprio compito, preoccupata più delle proprie scorribande di potere che della efficienza e funzionalità di servizi di importanza generale.
A questo punto qualcuno potrebbe legittimamente chiedermi cosa me ne importa delle sorti di una compagnia che gestisce un tipo di trasporto tra i più inquinanti ed energeticamente insostenibili. In effetti nulla, tanto più che ho paura di volare e non metterei mai piede su nessuna di quelle carrette volanti, nemmeno se mi pagassero. Gli aerei hanno un consumo specifico di 54 gep/pxkm contro i 36 gep/pxkm delle autovetture e i 18 gep/pxkm dei treni, e quando sarà completata (?) la linea di Alta Velocità Ferroviaria sulla tratta tra Roma e Milano, su cui avviene circa il 70% degli spostamenti aerei nazionali, ci libereremo quasi del tutto da questa modalità di trasporto, almeno sul nostro territorio.
La verità è che il caso Alitalia ricorda paurosamente quello di Trenitalia, le cui sorti mi interessano molto di più, in quanto il trasporto su ferro è a mio parere la vera alternativa all’attuale modello di mobilità insostenibile. E’ la scandalosa inefficienza dei treni italiani, comparata all’impeccabile servizio offerto dalle Ferrovie d’oltralpe che ha contribuito in maniera determinante a sbilanciare drammaticamente a favore della gomma sia il trasporto passeggeri che delle merci. L’immagine impotente del paese ostaggio di una manipolo di autotrasportatori irresponsabili e dei passeggeri di un treno guasto abbandonati per ore nel freddo gelido di una campagna meridionale dovrebbero essere di monito per i nostri governanti e indurli ad azzerare i vertici di Trenitalia e affidare il servizio con una gara internazionale, nella speranza, anche qui, che vincano i soliti francesi, o i tedeschi e persino gli spagnoli. Ma mi rendo conto di sconfinare nella fantapolitica. Come ha ricordato Stefano Nescio sul Forum di Aspoitalia, citando Andreotti, ci sono pazzi che si credono Napoleone e quelli che vogliono risanare le ferrovie italiane.
4 commenti:
Ripropongo uno dei miei tormentoni: la mobilità "sostenibile" è una gran cosa ed un nobile quanto opportuno obiettivo, ma quello di cui abbiamo più bisogno è un'organizzazione sociale tale da permettere la riduzione ai minimi termini della mobilità coatta. A livello nazionale come a livello locale, non vedo segni dell'intenzione d'implementare o almeno incoraggiare una tale organizzazione sociale, anzi...
Concordo .
Mimmo
Paura di volare? Mi vengono in mente gli aerei della I guerra mondiale; l'unico modo per farli cadere era una potente scarica di mitragliatrice che però doveva colpire il serbatoio della benzina o il pilota, altrimenti si volava lo stesso anche con le ali piene di buchi.
Poi è arrivata la "modernità" aerei più veloci, che volano più in alto. che trasportano più carico, con più elettronica, e che... cadono più spesso.
Antonello
Quando una persona (il "consumatore") si sposta ci guadagnano tutti: compagnie aeree, autostrade, stato, ferrovie, petrolieri, ristoratori, etc.
L'inquinamento generato è a costo zero, dato che l'atmosfera è una delle tante pattumiere umane gratuite.
Quindi perchè si dovrebbe (anche solo pensare di) riorganizzare la società, se questo non fa crescere il PIL?
Ad esempio, la visione politica valuta come indice di benessere il numero di auto in aumento, oltre che la crescita dei consumi.
Forse qualche "picco-nata" è necessaria.
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