mercoledì, dicembre 30, 2009

Efficienza e Resilienza: dopo il Paradosso di Jevons, il Principio del Porcellino



created by Marco Bertoli


Il tema dell'efficienza energetica è uno dei più dibattuti tra chi si occupa di tematiche energetiche ed ambientali. La domanda chiave verte proprio sull'efficacia di queste soluzioni: siamo veramente sicuri che le soluzioni tecnologiche catalogate sotto l'etichetta di Efficienza Energetica (aumento efficienza centrali elettriche, cogenerazione, motori elettrici efficienti, coibentazione locali, autovetture più efficienti, lampadine a basso consumo, etc) bastino da sole ad assicurare una riduzione della domanda di energia?

Per cominciare, bisogna distinguere le nostre considerazioni tra due diversi ambiti economici: quello della produzione e quello del consumo.
Riguardo la produzione, le soluzioni proposte (aumento dell'efficienza delle centrali elettriche, passaggio a motori elettrici EFF1, applicazione di inverter a pompe e motori elettrici, miglioramenti nell'efficienza dei sistemi di aria compressa, etc) cadono inevitabilmente nella tagliola del paradosso di Jevons. Per la sua esplicazione potete leggere gli ottimi articoli di Ugo Bardi; inoltre, bisogna anche ricordare che tutta l'evoluzione industriale è una lunga storia di aumenti di efficienza nello sfruttamento di ogni risorsa produttiva, sia essa l'energia, il lavoro, il credito o le materie prime (“Di più con meno!!” questo è il motto!). E i dati di lungo periodo sui consumi delle risorse sono inesorabilmente in ascesa, malgrado i guadagni in efficienza e produttività siano sotto gli occhi di tutti.

Alla luce di ciò, sarebbe il caso di far cadere il mito della recalcitranza degli imprenditori di fronte a questi interventi: in verità, l'investimento in efficienza è puro e semplice business as usual.

Dobbiamo anche ricordare che il paradosso di Jevons si applica esclusivamente all'ambito della produzione: il mondo del cosiddetto “consumatore” risponde a logiche molto differenti.
A tal riguardo, la letteratura economica è tutt'oggi ancorata alla Teoria del Consumatore sviluppata da economisti come Walras, Pareto e gli altri Marginalisti tra l''800 e il '900: è la stessa teoria in cui ci si imbatte tutt'oggi nei corsi base di economia.
Secondo quest'ultima, gli individui scelgono il livello di consumo di un bene che, compatibilmente con il proprio reddito e il prezzo, massimizza la loro Utilità.
Il punto chiave è che uno dei principi indimostrati – gli assiomi – della teoria prevede che l'Utilità degli individui sia sempre crescente in funzione del consumo di un qualsiasi bene: dato lo sprezzo per il pericolo insito nel formulare un postulato del genere, gli economisti lo chiamano anche Principio del Porcellino.

Calandoci nel contesto energetico, pensiamo a cosa accade quando un individuo acquista un'automobile più efficiente - lo stesso vale per lampadine a basso consumo, oppure per case coibentate in modo più accurato, etc -.
Accade che per raggiungere lo stesso livello di Utilità, si può consumare meno energia. Ma se l'individuo è un bel porcellino, non si potrà accontentare dell'utilità raggiunta in precedenza quando può raggiungerne una più alta a parità di spesa!

Nella figura sotto, il ragionamento si fa evidente





Questo effetto si esemplifica perfettamente se pensiamo che con un'automobile più efficiente, a parità di spesa, si può anche accettare un lavoro più lontano da casa; con lampadine più efficienti, si può illuminare “meglio” casa installando più punti luce (“effetto Ikea”); dopo aver coibentato casa o dopo aver acquistato una caldaia più efficiente, si può aumentare la temperatura di riscaldamento invernale, passando, per esempio, da 18 C° da 22 C°: e questo è veramente accaduto, se si pensa che la temperatura di progetto nelle scuole, a inizio '900, era di circa 10 C°!

In sintesi, risulta evidente che, a causa del Principio del Porcellino, il consumo di energia non viene scalfito minimamente dal miglioramento di efficienza energetica nei prodotti per le famiglie.
E se i consumi non variano, non variano neanche le emissioni inquinanti (CO2, Ossidi di azoto, Monossido di azoto, etc) legate agli usi energetici.

Tuttavia, questo non significa che i miglioramenti di efficienza nei prodotti di consumo non debbano essere perseguiti ed incentivati. Al contrario!
Gli interventi in efficienza energetica nei prodotti di consumo hanno il pregio di aumentare il livello di Resilienza della società. È bene se pensiamo al concetto di Resilienza nella sua accezione ingegneristica, cioè in termini di resistenza alle forze di rottura.
Anche in questo caso, la figura sotto ci aiuta a chiarire il concetto: in caso di forti aumenti del prezzo dell'energia, chi ha fatto interventi di efficienza energetica parte da ed arriva su livelli di utilità superiori rispetto a chi non li ha fatti. Questo può fare la differenza fra impugnare o no il forcone oppure appoggiare o no la prossima guerra per le risorse.





Ora spostiamo la nostra attenzione su un'altra domanda: ma noi siamo veramente dei porcellini? È veramente possibile che, in un dato periodo di tempo, quanto più consumiamo tanto meglio stiamo? La risposta è ovviamente NO! Come è possibile accettare come assioma che, se gli individui potessero, starebbero in automobile per 24 ore su 24 per tutto l'anno? E come è possibile ipotizzare che, se gli individui potessero, con 120 kg di carne in un giorno starebbero meglio rispetto al caso in cui ne mangiassero solo 1 etto? È evidente che il Principio del Porcellino ha una distanza siderale dalla realtà.

Si dovrebbe invece ammettere che ad un certo livello di consumo, l'Utilità raggiunge un livello massimo, per poi cadere.



Questo concetto viene solo abbozzato in alcuni testi di economia (Hoffman, Binger), dove il punto oltre il quale l'Utilità decresce viene chiamato bliss point (punto di beatitudine o punto di sazietà).
Ora, se il bliss point per ciascun individuo esiste, perché dai dati emerge che questo non viene mai raggiunto?
Infatti, i dati sul consumo per individuo nei paesi occidentali crescono dagli inizi della rivoluzione industriale e, allo stesso modo, alcune ricerche hanno dimostrato che il bisogno di denaro da parte degli individui non è mai sazio.

Per concludere, se il bliss point esiste, ma i dati dimostrano che gli individui non lo raggiungono mai, la domanda corretta da farsi è questa: come è possibile che il bliss point degli individui si sposti sempre di più, diventando sempre più irraggiungibile?
Perché ci siamo condannati da soli a questo continuo supplizio di Sisfo?
Ci sono diverse ricerche che hanno dato risposta a questo interrogativo: si parte da V. Packard e dagli altri critici di E. Bernays, nipote di Freud che viene considerato l'inventore delle moderne tecniche di propaganda e di pubblicità (un bel video da cui partire è questo).

Altri studi rivelano come alcuni prodotti stessi siano concepiti per rendersi “addictive”. Ne è un esempio questa ricerca di Yale sul cibo dei fast food.

Un altro campo di studio è il proliferare del consumo di beni cosiddetti posizionali; in termini più semplici, si tratta di stimolare il consumo facendo leva sull'invidia sociale.

Altri studi interessanti sono stati portati avanti da Nate Hagens di The Oil Drum.

Se torniamo al problema della domanda di energia, ora siamo in grado di fare delle considerazioni sulle politiche che vengono da più parti proposte.
Infatti, dobbiamo concludere che le associazioni ambientaliste e i movimenti per la decrescita fanno benissimo ad informare sui benefici di uno stile di vita più sobrio e sugli effetti devastanti dell'eccessivo consumo di energia.
Si potrebbe sostenere che queste campagne aiutino ad evitare il continuo spostamento del bliss point degli individui.
Tuttavia, sappiamo che è estremamente difficoltoso raggiungere una massa critica di popolazione con questi messaggi legati alla sobrietà; ma se questo è vero, sappiamo anche che il persuasore più efficace nel determinare il livello di consumo di un bene è il suo prezzo.
E proprio facendo leva su quest'ultimo, si può prevenire che l'effetto Porcellino vanifichi i benefici degli investimenti in efficienza.

Proprio in questi giorni, il Governo Olandese sta studiando una interessantissima proposta: da un lato, favorire il ricambio del parco autovetture incentivando l'acquisto di automobili più efficienti, dall'altro, applicare una tariffazione chilometrica al bollo di circolazione (circa 3 €cents/km, che per un utilizzo di 15.000 km/anno divengono ben 450€!).
Questa politica centra il cuore del problema: rispetto a prima della sua introduzione, gli automobilisti percorrerebbero lo stesso numero di chilometri (perciò mantenendo inalterato il proprio “benessere”) e spenderebbero la stessa cifra in carburante.
Solo i litri di carburante venduti subirebbero una caduta, e con essi le emissioni inquinanti.
Bisognerebbe comunque ben calibrare gli effetti collaterali più perversi del bollo chilometrico.
Infatti, poiché la percorrenza chilometrica è un bene per cui i poveri spendono una proporzione del proprio reddito superiore ai ricchi, si tratta di una tassa regressiva che può aumentare le diseguaglianze; inoltre, come ogni carbon tax, si presta a fenomeni di carbon leakage verso i paesi che non la applicano.

Così, le constatazioni sul Principio del Porcellino e sul Paradosso di Jevons ci fanno concludere che le problematiche dell'efficienza energetica sono estremamente delicate. Le soluzioni semplicistiche basate sulla SOLA incentivazione tecnologica, possono rivelarsi un vero e proprio boomerang: come dicevano i nostri vecchi, “Peggio la pezza del buco!”

martedì, dicembre 29, 2009

Tre storie trammatiche - continua


La seconda storia trammatica che vi racconto dopo quella di Parma avviene nella patria del Rinascimento e della lingua italiana, Firenze, dove sembrava potesse realizzarsi il progetto più avanzato di rete tranviaria esistente attualmente in Italia (quasi a pari merito segue la città di Palermo).
La prima linea, che collega il capoluogo toscano al Comune limitrofo di Scandicci, attraversa l’Arno su un nuovo ponte in corrispondenza del Parco delle Cascine e arriva alla stazione ferroviaria opera del grande architetto Michelucci, costeggiando la stupenda chiesa trecentesca di Santa Maria Novella, per una lunghezza complessiva di 7,6 km di percorso e 14 fermate. E’ stata di recente ultimata e anche il collaudo dei mezzi Sirio lungo il percorso è terminato. I tempi di realizzazione sono stati al solito italianamente dilatati, 5 anni contro i 3-3,5 anni del resto del mondo, l’entrata in esercizio della linea inizialmente prevista per settembre è stata spostata per ora a febbraio del prossimo anno in attesa delle ultime contrastate autorizzazioni ministeriali e che gli autisti provenienti dall’azienda di trasporto locale si decidano a firmare il contratto, ma alla fine questo primo importante passo per dotare Firenze di un moderno sistema di trasporti collettivo finalmente sarà compiuto.
Le altre due linee, completamente finanziate, comprendono la 2, che parte dall'aeroporto di Peretola, interscambia con l'Alta Velocità ferroviaria, percorre il centro storico e termina in piazza della Libertà, per 7,2 km di percorso e 18 fermate e la 3, che dall'ospedale di Careggi si collega con la stazione di Santa Maria Novella passando per la Fortezza da Basso, per 4 km e 10 fermate.
I lavori sono già stati da tempo appaltati attraverso un’interessante procedura definita in italiano “finanza di progetto”, che ha assegnato la realizzazione e la gestione dell’opera, non alla ditta di trasporti di Poggibonsi (con tutto il rispetto per Poggibonsi) ma, nientepopodimeno che, a un colosso europeo del settore, la RATP, l’azienda dei trasporti pubblici parigini. Subito dopo è stata costituita la Gest (società che gestirà l’intera rete tranviaria, partecipata da RATP e ATAF, l’azienda di trasporto pubblico fiorentina).
Ma nel nostro sconclusionato paese non è mai detta l’ultima parola. Come ho anticipato in questo mio precedente articolo, nei primi mesi dell’anno viene eletto un nuovo Sindaco, il giovane rampante Matteo Renzi che, forse spinto dalla pulsione psicologica di “uccidere il padre” o da chissà che cosa, annuncia lo stravolgimento della linea 2, cancellando il molto contestato passaggio del tram nella Piazza del Duomo, magnifico e frequentatissimo luogo simbolo del turismo internazionale. E, come primo atto, pedonalizza completamente la stessa Piazza, eliminando il passaggio giornaliero di circa 2300 autobus. Le nuove linee di trasporto pubblico su gomma spostate dalla direttrice strategica originaria già cominciano a mostrare le prime crepe, con autobus incastrati in ingorghi colossali e afflitti da tempi di percorrenza biblici. Ma il nostro “innovatore” prosegue imperterrito, mentre i tempi di costruzione delle nuove linee si allungano terribilmente e la società costruttrice minaccia di chiedere i danni previsti dal Contratto per il ritardo nell’inizio dei lavori.

Cosa dire? Matteo Renzi è stato eletto direttamente dal “popolo” ed ha il diritto di governare nel rispetto della linea politica che ha proposto agli elettori però, in una moderna democrazia, avrebbe il dovere di spiegare le ragioni delle sue scelte, francamente ancora oscure e incomprensibili.

Primo punto: è incontestabile che l’impatto del tram sull’ambiente e i monumenti della Piazza sarebbe irrilevante e comunque nettamente inferiore a qualsiasi altro mezzo di trasporto perché, come dimostrano innumerevoli esperienze europee analoghe:
1) I nuovi metodi di posa degli armamenti tranviari in sede stradale, e i nuovi materiali usati consentono non solo di minimizzare le vibrazioni e la resistenza al moto, ma anche di evitare completamente ogni trasmissione di vibrazioni agli edifici adiacenti, nonché di ridurre la rumorosità di questi veicoli, che oggi è di circa 20 decibel inferiore a quella degli autobus e del traffico motorizzato in genere (si tratta di una drastica riduzione del rumore, perché i decibel sono in scala logaritmica).
2) L’inquinamento atmosferico prodotto dal tram a livello locale è nullo.
3) L’impatto visivo è limitato, sia grazie all’estetica delle moderne vetture tranviarie che si integra bene con i monumenti dei centri storici, sia per un’interessante innovazione che verrebbe sperimentata per la prima volta a Firenze, consistente nella sostituzione, per un breve tratto, dell’alimentazione aerea con delle batterie elettriche a bordo del tram.
Proprio per questi motivi, la locale Soprintendenza ai Beni Artistici e Architettonici ha espresso il proprio parere favorevole alla realizzazione dell’opera e al passaggio nella Piazza del Duomo, in uno dei centri storici più tutelati del mondo.
Quindi, caro Sindaco, si degnerebbe di dirci per quale motivo lei ha deciso di rinunciare a trasportare nel cuore di Firenze, su una direttrice di trasporto strategica, grandi masse di persone con un impatto ambientale praticamente inesistente?

Secondo punto: Il progetto originario è stato valutato redditizio da un’azienda di grande esperienza e competenza nel settore del trasporto rapido di massa, la RATP che, per questo motivo, ha partecipato e vinto la gara indetta dal Comune di Firenze per realizzare e gestire le tre linee tranviarie.
Quindi, caro Sindaco, secondo lei RATP sarebbe disponibile ad accettare una soluzione progettuale diversa e peggiore sul piano economico-gestionale rispetto a quella su cui si è aggiudicata la gara, rinunciando ad avvalersi delle clausole contrattuali che prevedono in questi casi pesanti penali a carico del Comune?

 
Terzo punto: le forze politiche di centro-destra che si oppongono alla giunta del nuovo Sindaco stanno sostenendo da tempo e a tutti i livelli (compreso il toscano Ministro alle Infrastrutture) una intransigente battaglia proprio contro il passaggio del tram nel centro storico, appoggiando contemporaneamente un progetto, questo sì assurdo per una città come Firenze, di metropolitana sotterranea, presentata pochi anni fa da settori molto influenti della città.
Quindi, caro Sindaco, questa sua evidente convergenza con le posizioni del centro-destra è solo involontaria o ne condivide i veri obiettivi? In altre parole, appoggerà anche lei l’ipotesi di sostituire le linee tranviarie già approvate con una linea di metropolitana sotterranea, assolutamente inidonea per una città come Firenze?

 
Naturalmente, sono convinto che Renzi non leggerà queste domande né si degnerà di rispondere. Ma mi auguro che prima o poi gliele ponga qualche lettore fiorentino che non abbia ancora portato il proprio cervello all’ammasso.


domenica, dicembre 27, 2009

Perché l'idea di decrescita non trova consenso




created by Claudio Rava



Mi è sempre parso difficile precisare in cosa consista la vita, forse perché la sua essenza è eminentemente esperienziale e non discorsiva, forse perché quando ci si avventura nel tentativo di disquisire di questi concetti, del loro senso più profondo, è difficile evitare di fare della filosofia spicciola che in ogni caso lascia un senso di incompiutezza e talvolta di smarrimento negli interlocutori. Secondo una definizione comunemente accettata, che lascia però insoddisfatto quanti vorrebbero insistere a trastullarsi con speculazioni metafisiche che si avventurano alla ricerca della sua matrice esistenziale, la vita, molto più semplicemente, viene concepita come la caratteristica che possiedono quegli organismi in grado di compiere i due processi sottoelencati:

1) Crescere
2) Riprodursi

Ovvero potremmo raggruppare i due assunti nell'unico concetto di crescita dicendo che un organismo è un essere vivente se cresce dimensionalmente e numericamente.

Questi assunti sono validi per ogni forma vivente, e si vede facilmente come la materia inanimata non possegga queste capacità, salvo alcune singolari eccezioni, che val la pena ricordare. In natura esistono minerali e gemme che mostrano una capacità di accrescimento regolare, e durante la sua formazione un cristallo di quarzo, ad esempio, tenderà all'accrescimento mantenendo la sua forma già assegnata dalla struttura chimica e cristallina interna. Ma anche se ne possiamo trovarne moltissimi esemplari, non si può però affermare che si riproduca.
L'altra singolarità sembra contraddire la prima condizione, pur rispettando la seconda. Si tratta dei virus, in questo periodo tristemente alla ribalta nella loro variante influenzale suina o stagionale che sia. I virus difatti sono in grado di riprodursi, a spese dell'organismo parassitato, ma non mostrano alcun processo di accrescimento dimensionale, ogni nuovo virus nasce già come une replica esatta e compiuta del suo predecessore.

Ho volutamente e forse indebitamente raggruppato le due condizioni necessarie alla vita per mostrare come e quanto l'idea di crescita sia profondamente connaturata con la manifestazione vitale, probabilmente iscritta da qualche parte nel genoma, sicuramente attiva negli istinti basilari degli organismi, radicata nei processi motivazionali e nelle derivazioni comportamentali.
Ho ripensato a questi banali concetti allorché sono rimasto spiacevolmente sorpreso dalle reazioni di difesa sotto forma di irritazione, di disgusto, di negazione, di fuga e di derisione (e chissà quante altre modalità sono possibili) da parte delle persone alle quali indicavo la più che probabile eventualità di trovarsi di fronte ad un lungo periodo di recessione e di decrescita a seguito del raggiungimento del Picco di Hubbert della produzione del petrolio.

L'idea di decrescita porta con sé catene associative sempre spiacevoli, poiché in recessione economica sono molte le potenziali perdite (il lavoro, i risparmi, le possibilità di fare progetti), ma abbiamo anche molti altri esempi del tutto comuni e immediati: ci si trova nella fase calante nel processo di senescenza (diminuzione di operatività, di salute, di capacità fisiche, mentali e riproduttive), i genitori di qualsivoglia bambino sono preoccupati che cresca, la bassa statura ha in genere una valenza moderatamente negativa, una coppia che non ha figli è socialmente più sospetta rispetto a una famiglia regolare con una bella e magari numerosa prole. Possiamo razionalmente negare questi atteggiamenti e preferenze, ma sono ugualmente presenti ed attivi nonostante la nostra eventuale contrarietà.

Appartenere alla schiera dei benpensanti comporta spesso l'allontanamento acritico delle idee strane, arzigogolate, innovative, ma ancor più di quelle potenzialmente pessimistiche, figuriamoci quindi come possono essere accolte le varianti catastrofiste sul tipo della teoria “Olduway”.
E ASPO e i suoi sostenitori di quegli scenari non proprio edificanti ne testano parecchi, forti della continua verifica e della puntuale corrispondenza dei dati grezzi con quelli attesi, che progressivamente e pervicacemente continuano a confermare le previsioni del Club di Roma e del buon vecchio Hubbert.

La Cassandra della mitologia greca non viene creduta perché è antipatica quanto le sue catastrofiche profezie. Invece di produrre una sim-patia, genera nei suoi interlocutori un'anti-patia, ovvero, introducendo un'analogia vibratoria, al posto di un'armonizzazione di frequenze, un accordo di stati emozionali condivisi, si producono dei battimenti, delle opposizioni di fase, e ci si ritrova in due universi ideoaffettivi divergenti.

Cassandra è invisa anche per quelle arie di superiorità che facilmente le accusano i suoi detrattori. Proprio lei che dispensa sentenze su come sarà il futuro, mentre gli altri brancolano nell'incertezza del domani. Cassandra vive nel sentimento del dolore della sua impotenza comunicativa, del suo estraniarsi dalla collettività, i suoi increduli bersagli annullano il senso della precarietà impedendosi di accogliere il dubbio, di considerare l'alternativa dolorosa, e difensivamente fortificano così le loro fiduciose ma inconsistenti posizioni.

Affetti da tale “sindrome di Cassandra", e come la nostra eroina convinti di non poter fare quasi nulla per evitare che le ipotesi pessimistiche si realizzino, molti lavorano ancora più alacremente ispirandosi piuttosto al mito di Sisifo, impegnati come lui a condurre su una china - fin troppo somigliante a quel picco di Hubbert – il pesante macigno che poi torna a rotolare giù, annullando le speranze, le aspettative e gli sforzi compiuti. Sono persone impegnate a frenare la discesa del masso, non come Sisifo che si limita a osservarlo mentre frana a valle.

Sisifo viene immaginato da Camus come l'eroe assurdo, conscio dell'inutilità del suo eterno lavoro, ma ugualmente contento, poiché scopre sufficiente soddisfazione nel perseguire uno scopo. Sisifo però anche campione di masochismo, aggiungerei io, che ogni volta deve trovare in sé una ragione per sopportare, per tornare a riprendere il suo pesante fardello che ruzzola giù dalla china.

Ancora una volta le qualità, le risorse individuali, il carattere, sembrano precedere e veicolare le scelte personali e le convinzioni di ogni tipo. Saper contemplare una tesi pessimistica necessita di molti prerequisiti, per primo una propensione a tollerare il conflitto e l'impopolarità, la non disponibilità a sacrificare le proprie convinzioni anche se il prezzo da pagare è il disaccordo dei più.

Un'idea, una teoria, una visione del mondo e delle cose, sono tutte faccende relegate al regno ectodermico del mentale, della cerebralità, nei casi più sani sono encomiabili atti di coraggiosa indipendenza del pensiero, mentre talvolta sono piuttosto il prodotto di una tendenza schizotimica a dissociare ed annullare il vissuto emotivo a vantaggio del contenuto ideativo. Chi ha un passato arcaico in cui ha dovuto rapportarsi con dolorose esperienze formative ed è stato costretto a fare ricorso a difese dissociative è più attrezzato per esaminare concezioni normalmente evitate da altre tipologie umane. Nei casi più gravi il catastrofismo è accolto come un'idea che ha il sapore della familiarità, della conferma oggettiva esterna di un vissuto interiore di gelo e frammentazione, di caos e destrutturazione. Il racconto del crollo del mondo esterno anticipa, descrive e fornisce una rappresentazione simbolico-allegorica al crollo del proprio mondo interno e annuncia un possibile cedimento psicotico.

Mi fermo qui, consapevole di aver fornito solo un accenno a una questione che riempie i trattati di psichiatria. Era però necessario mostrare le analogie, indicare come la visione peggiorativa si inserisca di diritto in questo ordine di cose, di come strida pesantemente con quella necessaria biofilia universalmente condivisa salvo patologiche degenerazioni.

Ed è appunto necessario che l'atto di divulgazione di queste idee sia corredato da altrettanta benevolenza, non certo dal solo gusto istrionico di stupire l'ascoltatore con qualcosa di sbalorditivo, di senzazionale perchè potenzialmente sconvolgente la ripetitività del quotidiano e quindi interessante perchè soddisfa la sete di qualcuno di novità. Occorre che non sia accompagnato dal sadismo di creare il disagio e la paura quasi fossero un atto di vendetta perchè anche noi abbiamo dovuto attraversare la dolorosa fase della presa di coscienza, che richiede un lungo periodo per essere metabolizzata. Occorre mostrare più i vantaggi dell'accordarsi a una visione di sostenibilità forse ancora realizzabile per un futuro vivibile più che alla fallace sicurezza dell'inerzia presente.

In fondo il problema più gravoso non riguarda se avverrà una decrescita, che a meno di un improbabile miracolo ci sarà comunque, o in che modo si venga informati di questa prospettiva, ma come si manifesterà, ovvero se la sapremo comprendere, anticipare e pilotare piuttosto che subire nelle inquietanti varianti del collasso sistemico. Per fare questo, è meglio che siano informate, e nel modo più corretto, il maggior numero possibile di persone.

Tra gli elementi che non consentono di far tornare i conti termodinamici c'è proprio lo squilibrio demografico. Siamo una razza in piena eutrofizzazione, non abbiamo veri nemici, non abbiamo più dei predatori efficaci ad esclusione proprio dei virus e di noi stessi. La possibilità che vengano in qualche modo impiegati attivamente per risolvere il problema apre scenari complottistici che rasentano la paranoia, ma dopo il gigantesco complotto dell'11 settembre probabilmente ordito da criminali menti americane non me la sento più di escluderlo a priori.

A questo punto occorre considerare che la parte di popolazione che più teme una situazione caotica prodotta da un'eventuale disorganizzazione del sistema è la minoranza avvezza ai privilegi, alla concentrazione dei capitali, all'accumulo di patrimoni e beni di lusso. Chi non ha granché da perdere non ha poi molto da temere, piuttosto non so quanto riusciranno a sopportare quelle famiglie che dalla cessazione del reddito si troveranno a dover affrontare situazioni di grande difficoltà.

Siamo potenzialmente di fronte ad una bomba sociale innescata e ticchettante.

Credo che in questi casi, conoscere in anticipo l'evoluzione della crisi potrebbe paradossalmente avere un effetto di sedazione, poiché di fronte all'inevitabilità della decrescita ritengo ci sarebbe la comparsa anche di reazioni meno scomposte o pericolose, forse addirittura un tentativo di riorganizzazione basato su atteggiamenti più autenticamente collaborativi.

Del resto mi chiedo se è successo solo a me di guardare con un grande dolore, ma anche con una nota di amara compassione l'ondata di licenziamenti che stanno tuttora avvenendo, pensando a quanti altri ancora ne dovranno accadere e a quanto tempo passerà prima che sia chiaro che il problema grosso è altrove e si cominci a lavorarci tutti quanti seriamente. Tali sentimenti equivalgono in intensità solo la rabbia impotente nel sentire i nostri governanti e politici proporre soluzioni anacronistiche basate sulla riproposizione del modello neoliberistico, sull'idolatria della crescita infinita, sulla megalomanica corsa alla realizzazione di opere faraoniche che rischiano fra qualche tempo di rappresentare, con la loro incompiutezza, più che un traguardo dell'ingegno umano, un monumento alla sua imbecillità.


Dott. Claudio Rava (Psicologo) 07 Novembre 2009


claudioravamail@yahoo.com

sabato, dicembre 26, 2009

Dimissioni?



Consiglio di Amministrazione RFI (Rete Ferroviaria Italiana)


Presidente: Luigi Lenci
Amministratore Delegato: Michele Mario Elia
Consiglieri: Dario Lo Bosco, Vittorio De Silvio, Barbara Morgante


Consiglio di Amministrazione Trenitalia


Presidente: prof. Innocenzo Cipolletta
Amministratore Delegato: ing. Mauro Moretti
Consiglieri: ing. Clemente Carta, prof. Paolo Baratta, dott. Antimo Prosperi


Questi sono i componenti del Consiglio di Amministrazione di RFI e Trenitalia, principali responsabili della catena di disservizi che ha investito il sistema ferroviario italiano nei giorni di maltempo di questo fine 2009, e che ha provocato una serie di gravi e insopportabili disagi ai viaggiatori. Per questo motivo, in un paese normale, essi sentirebbero il dovere morale di rimettere il proprio mandato a chi li ha nominati, ma statene certi, non lo faranno, né chiederà conto dei loro errori nessuno dei partiti i cui rappresentanti siedono in Parlamento, perché sono essi stessi che li hanno indicati secondo le consuete logiche di spartizione partitocratriche.

Tra i compiti di RFI c’è quello di “assicurare la piena fruibilità ed il costante mantenimento in efficienza delle linee e delle infrastrutture ferroviarie” e di “destinare gli investimenti al potenziamento, all’ammodernamento tecnologico e allo sviluppo delle linee e degli impianti ferroviari”. Questi compiti derivano dal Decreto Legislativo n. 188/2003 che regola i rapporti con lo Stato concessionario del servizio, nell’ambito delle direttive comunitarie che impongono la separazione del Gestore della Rete dal produttore dei servizi di trasporto. Questo processo di liberalizzazione non poteva che essere gestito in maniera tutta italiana. Infatti sono state istituite due società ma, incredibilmente, esse fanno parte entrambe dello stesso gruppo “Ferrovie dello Stato”. Quindi, RFI concede a Trenitalia, cioè a se stessa, l’uso delle infrastrutture ferroviarie. Ma tralasciamo per il momento questo particolare per niente trascurabile, per concentrarci sull’inefficienza della società che, come è noto a tutti gli utenti del servizio ferroviario, non è in grado di mantenere in efficienza le linee nei periodi normali, figuriamoci quando c’è la neve e fa un po’ più freddo. Uno Stato normale, avrebbe revocato da tempo l’affidamento della concessione, per assegnarla a un soggetto più affidabile, ma come sapete, noi non viviamo in uno Stato normale.
Quanto a Trenitalia, l’Ad Moretti non aveva finora lavorato male, ma la gestione dell’ultima emergenza è stata fallimentare, con la ciliegina sulla torta del consiglio ai viaggiatori di portarsi cibo e coperte sui treni e la giustificazione che negli altri paesi europei si sarebbero verificati gli stessi disagi. Il primo consiglio è in grado di darlo al proprio figliolo, senza essere pagata lautamente come Moretti, qualsiasi mamma. La giustificazione è alquanto opinabile e tendenziosa, perché basta perdere un po’ di tempo a navigare sui siti dei giornali europei per accorgersi che da nessuna parte, con eccezione del grave guasto nel tunnel sotto la Manica, sembra si siano verificati disservizi minimamente paragonabili a quelli italiani. Solo in Francia, ci sono state alcune soppressioni di treni regionali, non per il freddo, ma per alcuni grève, scioperi dei ferrovieri.

In linea teorica, in futuro le cose potrebbero migliorare con l’avvio della liberalizzazione dei fornitori del servizio nazionale di trasporto, con l’ingresso dal 2011, nel mercato ferroviario dell’Alta Velocità, di NTV, azienda partecipata da alcuni imprenditori nazionali, ma soprattutto dalla Société Nationale des Chemins de Fer (SNCF), l’Azienda pubblica dei trasporti nazionali francesi. Soggetto potenzialmente in grado, per competenza e capacità gestionali, di offrire un servizio nettamente più efficiente di Trenitalia. Però a patto che lo Stato risolva il paradossale conflitto di interessi tra il gestore della rete e uno dei competitori produttori del servizio di trasporto e garantisca il funzionamento delle infrastrutture ferroviarie su cui dovranno viaggiare contemporaneamente i treni di Trenitalia e NTV.
Per quanto riguarda il trasporto regionale che, come è noto a pochi, è stato completamente delegato alle Regioni, solo la governatrice del Piemonte, Mercedes Bresso, ha avuto il “coraggio” di mettere a gara il servizio di trasporto sulle linee regionali, gli altri governatori lo hanno di nuovo affidato a Trenitalia. Quindi gli strepiti politici di alcuni di loro contro i disservizi di questi giorni mi sembrano poco comprensibili e giustificabili.
Infine, per il trasporto su ferro locale, ho indicato in questo mio precedente articolo una possibile soluzione, basata dal punto di vista tecnologico sull’utilizzo dei moderni tram-treno e per quanto riguarda la gestione, nuovamente su ampie dosi di liberalizzazione del servizio tramite il meccanismo del project financing. Cioè con l’affidamento attraverso una procedura di gara della realizzazione e gestione del servizio.

mercoledì, dicembre 23, 2009

Il senso perduto del Natale e la frenesia del Consumo


In alcuni canti cristiani del Medio Oriente (cantati in lingua aramaica - assyriaca) si afferma che con l'avvento di Cristo, gli ebrei non hanno più bisogno di sacrificare gli animali sull'altare per chiedere perdono o compiacere al Signore. Infatti si cita che Cristo si sacrificò fisicamente per la salvezza dell'umanità "come un agnello sacrificato sull'altare".

I seguenti link sono relativi a due video presi da you tube, del "Padre Nostro" e dell' "Ave Maria" cantati in lingua aramaica - la lingua di Cristo.

I Vangeli raccontano che Gesù nacque in una specie di stalla in una giornata (o serata poco importa) fredda. Gesù nacque umile, circondato dagli animali (nella storia occidentale si ama parlare di bue e asino, io sarei un po’ scettico sul bue ma anche questo ha poca importanza). Egli stesso, una volta iniziata la sua missione di profeta e portatore di un messaggio divino di Pace e di Speranza, si dichiarò dalla parte dei poveri e umili e attaccò fortemente i commercianti del tempio e i falsi, facendo capire quanto sia difficile (ma non impossibile) conciliare ricchezza e paradiso. In sintesi la nascita e la morte di Cristo non si sono mai abbinate all'uccisione di agnelli, capponi, polli, tacchini; gli unici doni che il Cristo, da neonato, ricevette erano stati offerti da Re venuti dall'Asia.

Ogni anno sia a Natale che a Pasqua (che per noi Cristiani orientali corrisponde ad un secondo Natale), si riparte con la frenesia del consumismo becero; dei regali a tutti i costi, delle cene e dei pranzi abbondanti e nel consumo di quantità incredibili di animali domestici (agnelli, maiali, capponi, tacchini e polli) oltre ovviamente alla distruzione di centinaia o migliaia di abeti, pini ed altri alberi: Oggi sono stato al Supermercato ed ancora non siamo giunti alla vigilia, e sia dentro che fuori c'è la frenesia ... no, la pazzia totale. Ho visto gente comprare di tutto e di più, ho visto persone litigare per la fila alle casse, signore arrabbiate, perché non ci sono più i tacchini belli ... per strada, in macchina, una signora mi aveva quasi speronato perché aveva fretta di fare chissà cosa. Non nego che fare regali e riceverli sia una cosa bella, soprattutto per i nostri bambini, non nego che gli alberi, le luci, i babbi natale attaccati sui balconi e gli addobbi lungo le strade siano una cosa carina ... soprattutto per i bambini. Ma quand'è che la smettiamo con questa pazzia?

Sui giornali parlano di una ripresa nella fiducia dei consumatori cito dalla Repubblica di oggi: "Migliorano le attese dei consumatori, ma non nel Mezzogiorno. Si spera in meglio per la propria situazione personale, ma non per l'economia nazionale. Isae, a dicembre cresce la fiducia. E' ai massimi dal luglio 2002" ... mi sembra che la maggior parte delle persone non ha ancora realizzato la portata della crisi economica-finanziaria che i politici ed i loro fidatissimi portavoce - giornalisti dicono che ormai è stata superata.

(fonte immagine http://italianiscostumati.splinder.com/tag/poverta)

Si è perso il senso della Natività, come si è perso il senso del "Babbo Natale", o di "San Nicola", che non si era dato da fare per i ricchi o bimbi dei ricchi ma per i più poveri, gli ultimi. Il Babbo Natale è ormai una velina in gonna cortissima oppure un ubriacone sulla spiaggia, oppure il famoso calciatore che riceve centinaia di lettere nella sua splendida casa, aiutato dalla bellissima mogliettina per regalare le penne telefoniche. Eppure siamo in Crisi, c'è troppa gente in Cassa Integrazione, non passa un giorno senza la notizia di nuovi scioperi e occupazioni per le aziende che chiudono.

Mentre siamo indaffarati a comprare i regali, o a pensare cosa fare alla vigilia del Natale, il giorno di Natale, a Santo Stefano ecc... ecc...:

- Molte persone a Natale si stanno deprimendo completamente, odiano questa festività, per tanti motivi (psicologici, d'infanzia, povertà, ecc....);

- Molti Paesi sono collassati (ad esempio la Somalia, Haiti), in corso di collasso (ad esempio Nigeria, Etiopia, Afganistan, etc..), molti stanno confermando il loro collasso (come Argentina);

- Il numero di affamati e malnutriti (1 Miliardo di persone secondo la FAO) è in crescita dato che le statistiche ancora non considerano completamente i nuovi poveri americani (Nord e Sud), Europei, e di altri continenti;

- Il numero dei poveri è in continuo incremento e la crisi finanziaria ed economica sta probabilmente nascondendo nuove sorpresa ... vedremo;

- Il prezzo di molte commodities agricole è in crescita, ultimamente si segnala un incremento nel prezzo del tè nero (3,18 dollari al kg nel settembre 2009, rispetto ai 2,38 dollari al kg del 2008, e questo a causa della siccità);

- L'intensificazione delle anomalie climatiche (alla faccia del "Giornale") con tutte le conseguenze che ne stanno risultando; perché questa grande nevicata - gelata, che ci ha colpiti mettendo in KO tutti i sistemi dei trasporti, seguita dopo pochissimi giorni da un rialzo netto delle temperature per l'arrivo dello scirocco, può essere considerata un'anomalia non tanto per il fenomeno in se quanto per la violenza e l'intensità del fenomeno stesso;

- La crisi energetica è in corso, nonostante le solite chiacchiere, i Paesi produttori non intendono incrementare la loro produzione giornaliera (notizie di 2 giorni fa), il prezzo non scende al di sotto dei 70 dollari e comunque anche se scende non è che riesca ad andare al di là di una certa soglia.

- La disoccupazione è diventata di nuovo il problema dei vari governi mentre le banche, finanziarie e grandi società che hanno beneficiato dell'intervento pubblico non hanno cambiato nemmeno di una virgola il loro comportamento e codice etico rispetto al passato, ed insistono nell'applicare politiche ormai dimostratisi inefficienti e dannosissime per le economie dei Paesi. Il sistema sia completamente drogato e questo, forse, fa presupporre una nuova crisi forse ancora peggiore della prima, poiché la prossima volta difficilmente i Governi riusciranno a trovare i soldi necessari per salvare le banche e le finanziarie.

- A Copenhagen, i politici ed i governanti oltre ad aver seppellito per sempre gli accordi di Kyoto hanno fallito clamorosamente nella difesa dell'ambiente e quindi delle economie in generale. Gli aiuti promessi ai Paesi più poveri serviranno davvero a qualcosa? questi miliardi di dollari di cui parlano Obama, Clinton e compagnia esistono d'avvero?

Ancora non ci siamo; i segnali di fumo non sono leggibili da tutti e quindi si crede o si tende a credere che tutto stia andando benissimo, come prima, anzi meglio di prima e allora alla faccia del Cristo e del suo messaggio di umiltà, solidarietà, pace, amore per il "Creato": meglio un Babbo Natale in più magari in gonnella e strafiga oppure muscoloso e macho che regala suonerie, telefonini, che un momento di calma durante il quale - almeno - si tenta di pensare a quello che ci circonda e che non riusciamo a vedere e soprattutto a fare un piccolo gesto verso chi oggi ha bisogno non della carità ma di un aiuto morale.

Approfitto dell'occasione per augurare a tutte e tutti un Buon Natale segno di Pace e Rinnovamento nelle nostre teste e comportamenti.


lunedì, dicembre 21, 2009

Quei coraggiosi scienziati che lottano contro l'establishment


Alfred Wegener (1880-1930) fu un grande scienziato, noto oggi soprattutto per la sua teoria della "deriva dei continenti" che è alla base di tutta la geologia moderna. Tuttavia, la teoria fu fortemente osteggiata al tempo in cui fu proposta e soltanto molti anni dopo la morte di Wegener fu completamente accettata. Per questa ragione, la storia di Wegener viene proposta a volte come un esempio di uno scienziato solitario che lotta contro un establishment ottuso e reazionario. Si parla dell'esempio di Wegener a proposito degli oppositori del concetto di riscaldamento globale antropogenico - che starebbero lottando anche loro contro un establishment ottuso e reazionario. Tuttavia, esaminando bene la storia vediamo che ci sono stati dei fattori alquanto eccezionali che hanno portato a una reazione negativa particolarmente forte contro Wegener e la sua teoria. L'idea che la scienza progredisca per mezzo di pochi scienziati coraggiosi che lottano contro l'establishment è attraente, ma infondata.



Praticamente tutti gli scienziati che lavorano nel campo della climatologia sono daccordo sull'interpretazione corrente del riscaldamento globale, ovvero il fatto che è causato principalmente dall'attività umana. C'è qualche eccezione, ma la grande maggioranza degli scettici sono persone che non hanno competenza in climatologia.

Il significato di questo grande accordo fra gli esperti sull'argomento del riscaldamento globale viene spesso contestato: "non è forse vero," si dice, "che tante volte è successo che una teoria appena proposta è stata ridicolizzata da tutti gli esperti, ma poi è riuscita a imporsi come la verità?" Su questo punto, si può forse citare Max Planck che disse che le nuove idee nella scienza riescono a diffondersi soltanto quando i loro oppositori vanno in pensione. Oppure anche Thomas Huxley, che disse "E' destino delle nuove verità nascere come eresie e morire come superstizioni"

L'idea dello scienziato solitario che lotta contro l'establishment sordo alle innovazioni è bella e romantica, ma quanto è veritiera? Se andiamo appena un momento al di là delle frasi un po' risonanti di Planck e Huxley, vediamo che la situazione è molto diversa. La scienza progredisce gradualmente con un metodo che è stato definito 99% di sudore e 1% di ispirazione ("99% perspiration and 1% of inspiration"). Sono rare le grandi scoperte improvvise che cambiano tutto e, spesso, i proclami in proposito che si leggono sui giornali si rivelano infondati.

Se guardiamo la scienza del clima, certamente, gli studi evolvono con il contributo, spesso molto creativo, di scienziati giovani e più di una volta succede che questi contributi creativi siano osteggiati da scienziati anziani piuttosto conservativi. Ma, se esaminiamo il concetto stesso di "cambiamento climatico antropogenico" non troviamo un giovane scienziato coraggioso che combattono contro un complotto di scienziati anziani. Anzi, semmai è il contrario: nella media sono più le persione anziane che tendono a rifiutare il concetto di riscaldamento globale antropogenico (tanto per dirne una, Lindzen, uno dei pochissimi climatologi scettici, e del 1940).

A questo punto, quegli scettici che sono un po' più acculturati della media, tendono a tirar fuori la storia di Alfred Wegener, il primo sostenitore della teoria della "deriva dei continenti" che oggi va sotto il nome di "tettonica a zolle". Non è forse vero che Wegener combattè una solitaria battaglia contro l'establishment? Non è forse vero che la sua teoria fu ridicolizzata? Non è forse vero che, poi, riusci a trionfare ed è oggi sostenuta da tutti? Trovate questa idea comparire occasionalmente nel web, per esempio, nei commenti di un post di Paolo Attivissimo.

La storia di Wegener, in effetti, ha queste caratteristiche, ma è anche una storia molto anomala nella storia della scienza. In effetti, si può sostenere che era troppo avanzata per i suoi tempi e che la ragione per la reazione negativa fosse il fatto che Wegener non poteva portare nessuna prova che giustificasse il movimento dei continenti. Ma c'è di più. Mi è capitato fra le mani in questi giorni il libro di Ted Nield "Supercontinente" (Granta books, 2007) che contiene un capitolo molto interessante su questo argomento. Nield è andato a identificare vari fattori che hanno causato la parabola della teoria di Wegener, da assurdità balzana a verità accettata. Ve li riassumo rapidamente:

1. La teoria di Wegener fu proposta in un periodo in cui gli scienziati erano molto più legati ai loro stati nazionali di quanto non lo siano oggi: c'erano versioni leggermente diverse della scienza "Americana", "Tedesca"; "Francese" eccetera. L'approccio di Wegener - un tedesco - suonava molto male agli scienziati anglosassoni del suo tempo.

2. La teoria di Wegener fu pubblicata in tedesco nel 1915 e tradotta in inglese nel 1925. In quel periodo, il sentimento anti-tedesco era molto forte nei paesi anglosassoni. Il fatto che Wegener avesse combattuto nell'esercito tedesco non era certamente un vantaggio per la sua teoria.

3. La traduzione del 1925 dell'opera di Wegener da parte di J.G.A. Skerl era inaccurata e faceva apparire Wegener molto più dogmatico di quanto non fosse in realtà.

4. Il nome di Wegener suonava un po' agli americani come quello di Werner, un geologo dell''800 creatore di modelli geologici già completamente obsoleti all'epoca.

5. Wegener non era una persona diplomatica, non si occupava di public relations e, in generale, non fece nessun tentativo per addolcire il suo approccio e renderlo appetibile ai suoi contemporanei.

Insomma, il rifiuto della teoria di Wegener fu una cosa molto particolare e anche rara nella storia della scienza. Fu localizzato nel mondo anglosassone e fu generato da una combinazione di nazionalismo esasperato e di errori di presentazione da parte di Wegener stesso. Oggi, prendere Wegener come "modello" per i moderni scettici climatici è completamente sbagliato.

La scienza non è fatta da eroi romantici che combattono da soli contro forze soverchianti. E' fatta da un lento processo di verifica di dati e teorie che, alla fine, porta ad un accordo generale. E' questo accordo che ci ha portato alla conclusione che il riscaldamento globale esiste ed è causato dall'attività umana. Faremmo bene a tenerne conto piuttosto che continuare a cercare scuse per credere a quello che ci fa più comodo credere.

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Nota: questo post l'avevo scritto prima del caso "climategate" ovvero delle email rubate  ai climatologi. Ora che lo rileggo dopo la pubblicazione, noto che è rilevante anche in relazione all'accusa che è stata fatta ai climatologi, ovvero di aver cercato in modo fraudolento di nascondere l'evidenza per impedire a una nuova teoria di affermarsi. Anche  nel caso di Wegener, non c'è mai stato nessun complotto contro di lui - sono cose che non succedono mai nella scienza.

domenica, dicembre 20, 2009

Nell’aria che respiriamo





created by Silvano Molfese


Ho fotografato le gomme mentre lavavo la macchina: l’acqua scorrendo trascina con sé i veleni depositati sul cerchione.
Credo che le immagini di quello che respiriamo siano molto più eloquenti della tabella riportata qui sotto ripresa dall’articolo di Aldo Bassi “Prospettive del motore automobilistico in relazione all’ambiente” pubblicato su Acqua-Aria n.1 del 1986, pag. 31-38 (cliccare per ingrandire)



sabato, dicembre 19, 2009

Bada come parli


Qualche giorno fa è apparso un articolo di Maurizio Crosetti su “La Repubblica”, di cui consiglio la lettura, in cui il giornalista racconta della crassa ignoranza della lingua italiana in cui sembra essere drammaticamente finita un’intera generazione di nostri connazionali. Non entro nel dibattito sulle cause di questa sconveniente situazione, per affrontare un altro tema connesso alla riflessione di Crosetti. Egli solleva a mio parere due problemi per niente secondari. Il primo riguarda la difesa del nostro idioma nazionale, della nostra cultura secolare e, in ultima istanza, della nostra identità, sempre più aggrediti da una globalizzazione (mi perdoni Crosetti questo sgradevole neologismo) banalizzante e da un’omologazione consumistica dei comportamenti. Ho di recente affrontato questa tematica in “Viva l’Italia” e in “Perché non mi piace la green economy”, non per riproporre un becero nazionalismo, ma per sollecitare la riscoperta di valori comuni e unificanti, assolutamente necessari in questa fase di incombente crisi delle risorse, che si abbatterà con effetti devastanti sulle economie e sulle società di tutto il mondo.
Il secondo attiene al rapporto tra linguaggio letterario e linguaggio scientifico e richiede un maggiore approfondimento. Ambedue i linguaggi, si manifestano attraverso segni, ma le conseguenze reali del simbolismo in essi contenuto sono profondamente diverse. In particolare per quanto riguarda gli errori e le inesattezze espressive. Gli errori linguistici, entro certi limiti, non inficiano la possibilità di comprensione del discorso, le imprecisioni del linguaggio scientifico pregiudicano irrimediabilmente il rigore e la correttezza del metodo scientifico. Se ad esempio un parente ci scrivesse “Sto disperato, io avrebbe bisogno del aiuto vostro”, forse rabbrividiremmo per gli orrori grammaticali, ma questo non ci impedirebbe di correre immediatamente in soccorso del malcapitato. Se invece uno studente di matematica scrivesse nella dimostrazione a + b * c, al posto di (a + b) * c, il risultato finale sarebbe sbagliato e rimedierebbe una sonora bocciatura.
Allora, perché è importante e dobbiamo pretendere che si parli un italiano corretto? Perché è giusto che una comunità nazionale coesa si esprima in maniera omogenea e condivisa, ma soprattutto per una questione eminentemente estetica, legata al piacere formale che ci procura un discorso corretto dal punto di vista grammaticale e sintattico. In un’epoca utilitaristica come la nostra, potrebbe sembrare un argomento irrilevante, ma l’aspirazione alla bellezza è a mio parere l’unico antidoto contro la barbarie. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, fece dire ad Ulisse uno dei padri della nostra antica lingua. Naturalmente, auspicheremmo tutti che un bel discorso in italiano fosse sempre accompagnato anche da un contenuto ragionevole e non proponesse corbellerie scientifiche, ma tutto dalla vita non sempre si può avere. Vittorio Sgarbi si esprime in un italiano impeccabile, però quando manifesta la sua contrarietà alle centrali eoliche o al tram di Firenze dice delle castronerie che gli andrebbero rinfacciate in un altrettanto impeccabile italiano. Concludendo, rigore scientifico e correttezza formale dal punto di vista linguistico, non indeboliscono ma arricchiscono il discorso sulla natura umana.

giovedì, dicembre 17, 2009

Lettera picchista a un giornale locale


Riceviamo da Stefano Saviotti e pubblichiamo questa lettera che lo stesso autore ha inviato qualche giorno fa al giornale faentino Sette Sere, un po' in risposta ad alcune "lamentele" pubblicate sullo stesso giornale, da parte di una persona che  lamentava le "devastazioni" del paesaggio causate da torri eoliche e campi fotovoltaici, preferendo gli "effetti collaterali" del petrolio. 
Solo chi ha una certa sensibilità riesce a leggere i segnali del presente e a immaginare scenari del futuro, arrivando a costruirsi una cultura specifica e a percepire le distorsioni che viziano certe affermazioni: è questo il caso di Stefano Saviotti.
Il giornale ha pubblicato la lettera, che al momento pare destinata a cadere lì, vittima del vuoto di interesse medio che accompagna ancora il tema dell'energia (FG)



created by Stefano Saviotti



   Egregio Direttore,
mi preme ritornare sulla questione dell'energia verde, sulla quale si è espresso in maniera tanto radicale il Sig. *** nel numero scorso.

Credendo che agli impianti di energie rinnovabili siano preferibili gli effetti collaterali del petrolio cadiamo in un grosso errore: se si cerca di incrementare la produzione di energia rinnovabile non è solo per lucro, ma perché finalmente qualcuno comincia a capire che se non abbandoniamo il petrolio, sarà lui che abbandonerà noi, e molto prima di quanto si pensi.

I dati produttivi confermano che nel 2005 è stato raggiunto il picco massimo di produzione di petrolio convenzionale, e nell'estate 2008 si è raggiunto quello comprensivo anche di tutti i combustibili assimilati (gas liquidi, sabbie bituminose, petrolio marino e polare)(per maggiori dati vedasi il sito aspoitalia.net). Da allora, la produzione fatica a rimanere stabile. Nel frattempo, lo sviluppo di Cina e India ha richiesto sempre più petrolio. L'aumento di prezzo dal 2002 al 2008 è diretta conseguenza di questa maggiore domanda e della stasi nell'offerta, con l'aiuto di una robusta componente speculativa, ed è stato a sua volta una delle principali cause dello scoppio dell'attuale crisi economica. Secondo il rapporto 2009 World Energy Outlook della International Energy Agency (IEA) (worldenergyoutlook.org) nei prossimi anni la produzione petrolifera crollerà del 5 % annuo: tempo due-tre anni, e tutti noi cominceremo a soffrire la mancanza di petrolio, per l'aumento dei prezzi della benzina e quindi di tutte le merci, che sono in ogni caso prodotte e/o trasportate grazie al petrolio.

Questo ucciderà ogni speranza di ripresa economica, a meno che non si provveda a trovare nuove fonti energetiche, e potrebbe portare a conflitti internazionali per il controllo dei paesi produttori.
Riguardo l'innegabile saccheggio del territorio, posso dire che esso è stato reso possibile proprio dal petrolio: l'abbondanza di energia a basso costo che esso fino ad oggi ci ha fornito, ha permesso lo sviluppo tecnologico e la creazione di grandi ricchezze. Con questi capitali sono poi state costruite le autostrade, i centri commerciali, i grattacieli, le fabbriche, gli elettrodotti, le selve di antenne per i cellulari e tutte le altre opere che devastano il territorio molto più delle torri eoliche e dei campi fotovoltaici, ma che ci fanno comodo.
Il petrolio ci ha dato l'energia per sviluppare la civiltà, ma l'uomo non è stato capace di gestire questo dono della natura e l'ha sprecato, lasciando dietro di sé solo devastazione e rifiuti. Se anche volessimo sviluppare il nucleare, con tutti i dubbi che dà, è ormai troppo tardi: anche l'uranio si sta esaurendo, e da tempo le grandi potenze riciclano nelle centrali civili quello delle bombe atomiche eliminate grazie ai trattati di non proliferazione.
Neanch'io però mi fido solo di eolico e solare: le fonti rinnovabili purtroppo per ora hanno scarsi rendimenti, e da sole non potranno fornire MAI tutta l'energia a cui siamo abituati ora: volenti o nolenti, dovremo in ogni caso abbandonare tante comodità moderne. Forse questo è un bene, perché ci costringerà a ritornare solidali con il nostro prossimo per condividere le risorse, come si faceva una volta tra vicini, prima che il benessere portasse l'egoismo. Se non si punterà in tempo sulle rinnovabili per gestire l'inevitabile decrescita energetica, la nostra stessa civiltà sarà in pericolo.

                                                                                                                                    Stefano Saviotti

mercoledì, dicembre 16, 2009

Speculazione: ai confini della realtà



Quante volte l'opinione pubblica si sfoga contro i "potenti" che controllano i prezzi, muovono le pedine ai danni di una moltitudine di cittadini ininfluenti, che altro non possono fare se non subire gli effetti di queste "decisioni", pagando in ultima analisi con il loro portafoglio.
Moratti alza il prezzo dei carburanti come il petrolio fa bau, salvo poi mantenerli se c'è un calo del greggio; il prezzo dei cereali scende, e il costo al dettaglio della pasta sale; e via di questo passo.

Allora, se si vogliono vedere le cose "o bianche o nere", si rischia di rimanere intrappolati nei classici discorsi da bar, in una visione banalizzata di una realtà che è invece complessa.
Sicuramente, i "potenti" di turno (industriali, banchieri, politici...) sono in una posizione di forza e prendono delle decisioni a volte discutibili.
Sicuramente, non fa piacere vedere il lavoro degli agricoltori sempre meno remunerato, con gli intermediari che creano una lievitazione dei prezzi che tra non molto sarà difficile da sostenere per una certa parte della popolazione.
Sicuramente, nella storica escalation del prezzo del petrolio dell'estate scorsa fino a quasi 150 $/barile la speculazione ha avuto un ruolo molto importante.

Ma l'errore che a mio modesto parere dovremmo evitare di fare è pensare che se la causa è "solo" la speculazione, allora non dobbiamo preoccuparci, trattandosi di una motivazione fittizia. Invece, dobbiamo avere ben presente il concetto che la speculazione avviene laddove c'è un terreno a lei favorevole: il mondo delle risorse minerarie, idrocarburi ma non solo. In modo particolare, tutto ciò che è "fossile" è destinato inesorabilmente a entrare nel perverso turbine della speculazione (che altro non è che accumulazione di capitale in "accelerazione", nelle mani di pochi); è solo questione di tempo. Le ondate speculative si manifesteranno esattamente in concomitanza (e dopo) al picco di produzione di tale risorsa, quando cioè i punti fisici di estrazione saranno diventati molto più poveri e "rari".

La speculazione, allora, non nega il problema della scarsità. Al contrario, ne conferma l'esistenza. Matematicamente.

lunedì, dicembre 14, 2009

Climategate: a che punto siamo?



Nel dibattito sul clima, i negazionisti hanno messo in campo tutti i trucchi propagandistici utilizzati in politica. Ne è un esempio questa vignetta che ci mostra un Al Gore dalle fattezze deformate che indica una curva decrescente marcata come "actual temperature" ("temperatura vera"). Purtroppo, non basta disegnare dati immaginari su una lavagna immaginaria per demolire la realtà del riscaldamento globale.


Il furto delle email dei climatologi dell'università di East Anglia ("climategate") è ormai vecchio di una quindicina di giorni. Il risultato è che la gente rimane più che altro confusa dalla polemica. In effetti, i dati di google trends indicano che l'interesse nella faccenda potrebbe aver già piccato ed essere in declino:


Non solo il trend è in declino, ma anche il volume di ricerche è rimasto molto basso. Cercando in "tutte le regioni", climategate raggiunge circa 1/20 dell'interesse in "Obama". Notiamo anche una reazione piuttosto energica dei media a sostenere la scienza seria. Per esempio, guardate Andrew Watson, ricercatore di East Anglia che ridicolizza sul clima un imbecille di nome Marc Morano sulla BBC. Istruttivo se masticate bene l'inglese


Ci vuole poco a ridicolizzare gli imbecilli, ma se l'intervistatrice avesse voluto sterzare il dibattito in modo da ridicolizzare Watson invece di Morano, l'avrebbe potuto fare senza problemi. Se non lo ha fatto vuol dire che non è stata sottoposta a pressioni dall'alto per farlo.

In sostanza, la faccenda delle email rubate si potrebbe rivelare un flop per i negazionisti; rivelandone la sostanziale inconsistenza in termini di argomentazioni valide che non siano semplicemente attaccare le persone. Una persona seria che avesse dei dubbi ragionevoli sulla bontà del concetto di "cambiamento climatico causato dall'uomo" (ce ne sono) dovrebbe a questo punto domandarsi che senso ha trovarsi in compagnia con certa gente e se non è piuttosto il caso di rivedere la propria posizione.

Tuttavia, non c'è dubbio che climategate è stata una sconfitta per la scienza. Ha dimostrato, se non altro, che gli scienziati non sono bravi a gestirsi in termini di public relations. Grossa ingenuità da parte di Phil Jones, direttore della Climate Resarch Unit, ma ancora peggiore è stata l'inazione dell'Università di East Anglia nei giorni immediatamente successivi all'evento. Bisognava reagire con ben maggiore forza e con più tempismo. Questa storia sarà probabilmente ricordata come un buon esempio di come NON gestire una cosa del genere.

Se, come diceva Gandhi, in una buona causa non ci sono mai sconfitte, è anche vero che, come diceva Pietro il Grande: (più o meno) è dalla sconfitta che impari come vincere. Qui, abbiamo imparato che la fuori è pieno di gente senza scrupoli che non si ferma davanti a niente pur di imporre la propria visione. Furto; diffusione illegale di dati privati, insinuazioni, accuse non supportate, "character assassination" - tutti i mezzi più oscuri della propaganda sono stati utilizzati contro gli scienziati che, normalmente, non sono abituati a a questo tipo di confronto. Se nella scienza il confronto è aperto ed è ammesso cambiare idea, nella vita reale come dicono nei film polizieschi americani, "tutto quello che dici potrà essere usato contro di te" ed è perfettamente vero.

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Update del 15 Dicembre

Google trends ha appena aggiornato i dati e sembra proprio che l'interesse nella storia del climategate stia cadendo rapidamente. Come era giusto che fosse.