giovedì, gennaio 17, 2008

Il picco del petrolio è una cosa seria?




Nel dibattito che si sta svolgendo in questo periodo sulla questione del picco del petrolio, c'è un'accusa che viene ripetuta qualche volta, ovvero che non si può prendere seriamente la cosa dato che non ci sono articoli sulle riviste scientifiche "peer reviewed", ovvero su quelle riviste i cui contenuti sono giudicati e filtrati da esperti dello stesso campo dell'autore dell'articolo proposto ("peers").

L'accusa, in se, è falsa. Esiste un certo numero di articoli su riviste scientifiche che illustrano la teoria che è dietro l'idea di "Picco". E' anche vero, tuttavia, che sono pochi in confronto a quelli, per esempio, sul cambiamento climatico. Se andate sul database scientifico "sciencedirect" e digitate "global warming"trovate più di 2000 articoli. Se cercate "peak oil" ne trovate 20 e se cercate "hubbert peak" ne trovate 9.

Le ragioni di questo scarso impatto del picco sulla letteratura scientifica sono più di una. Un problema è il fatto che il "picco del petrolio" non ricade esattamente in nessuna disciplina di quelle ben note. E' a cavallo fra economia e geologia, ricade più che altro in quel campo che viene chiamato "dinamica dei sistemi" che, comunque, è considerato sempre un po' eretico un po' da tutti. Questo vuol dire che quando cerchi di pubblicare qualcosa a proposito del picco su una rivista di economia o di geologia, ti trovi a essere attaccato dai referee perché sei fuori dagli schemi stabiliti.

Come sanno bene quelli che pubblicano sulle riviste scientifiche, è abbastanza facile pubblicare variazioni su temi ben noti; si dice che il sistema premia la "eccellente mediocrità". Ma è molto difficile pubblicare cose innovative. Intendiamoci, i referee fanno un egregio lavoro nello scremare le peggiori scempiaggini, ma certe volte esagerano. Mi è capitato più di una volta di sentirmi dire che quello che avevo scritto era "controversial" come se questo fosse ragione sufficiente per non pubblicarlo. Mi è venuto voglia di rispondere al referee che il prossimo articolo l'avrei scritto sulle abitudini sessuali di sua madre, ben note a tutti e quindi non controverse. Scherzi a parte, con un po' di pazienza si riescono a pubblicare anche articoli sul picco sulle riviste scientifiche, ma è faticoso e difficile.

A parte la faccenda dei referee tradizionalisti, il fatto di essere interdisciplinare danneggia fortemente la "scienza del picco" nel senso che è difficile trovare finanziamenti per fare ricerca. Per i climatologi, si sa che cos'è la scienza del clima, si sa chi la finanzia, esistono gruppi di ricerca, istituti, competenze, eccetera. Quando vai a presentare una proposta per fare ricerca sull'argomento "picco", ti trovi a essere un outsider. Ci sono sempre meno fondi per la ricerca e la tentazione è sempre quella di lasciare a secco chi è un po' fuori dal coro. Anche questo ve lo posso dire per esperienza personale. Ho provato qualche volta a chiedere finanziamenti per studi sull'esaurimento, sia da solo, sia insieme ad altri ricercatori europei. Non abbiamo ottenuto nessun successo, mi risulta che non ci sia riuscito nessuno o quasi. Si riesce lo stesso a lavorare sull'argomento del picco organizzandosi bene e sfruttando il tempo libero e i margini di altri progetti. Ma, se ci fossero risorse finanziarie, sarebbe un'altra cosa.

Infine, dobbiamo considerare anche l'atteggiamento dei ricercatori. I climatologi sono scienziati di stampo accademico che si esprimono normalmente con articoli sulla letteratura scientifica. I "picchisti," invece, sono spesso ex impiegati e dirigenti delle aziende petrolifere. Stimare le risorse e la produzione futura è un lavoro specializzato. Quelli che lo fanno non sono accademici, il loro prestigio personale non viene deciso dall'opinione dei colleghi, ma dai loro datori di lavoro. Non sono abituati a fare lavoro mediocre e senza rischi. Per questo, non hanno pazienza per il processo lento e laborioso del referaggio accademico che, spesso, come si era detto, premia proprio una certa "eccellente mediocrità." Di conseguenza, non si è mai creata una scuola accademica che studiasse il fenomeno dell'esaurimento delle risorse.

Tutto questo spiega perché ci sono così pochi articoli sul picco del petrolio sulla letteratura internazionale. E' un male? In un certo senso si, perché da un'arma a chi si è fatto un mestiere di criticare l'argomento del picco (Michael Lynch, per esempio). D'altra parte, è anche vero che le cose stanno cambiando e un gruppo di ricercatori piuttosto agguerriti sta cominciando a gettare le basi di una letteratura scientifica sull'esaurimento delle risorse (Kjell Aleklett dell'università di Uppsala, per esempio).

Forse, però, ci possiamo anche domandare se è veramente indispensabile avere quel prestigio che viene da migliaia di articoli sulla letteratura per diffondere l'idea che il picco del petrolio è una cosa reale e immediata. L'esperienza dei climatologi insegna che anche il consenso di tutti (o quasi) gli scienziati del mondo sulla questione del riscaldamento globale non è sufficiente. Quando si toccano il portafoglio e le abitudini della gente, la resistenza è incredibilmente tenace e non bastano certamente le migliaia di articoli accademici pubblicati a smuovere le cose. Ho il dubbio che la stessa cosa succederebbe per il picco: anche se avessimo migliaia di articoli scientifici pubblicati in proposito, la gente e i governi continuerebbero a fare le cose che fanno.

In questa fase, è probabilmente più efficace agire su mezzi di comunicazione che possono raggiungere il pubblico e i "decision makers". Il lavoro di qualità emerge sempre, anche se non è su media accademici. In questo senso, il lavoro che sta facendo il gruppo di "The Oil Drum" (TOD) (http://www.theoildrum.com/ ) è estremamente efficace e sta costruendo un prestigio notevole al concetto di picco. Gli articoli pubblicati su TOD non sono referati in modo tradizionale. Passano a un primo filtro da parte degli editori, che scremano la robaccia evidente. Poi, l'articolo viene dato in pasto ai lettori e se ci sono degli errori ci sono centinaia di commentatori assatanati che faranno a pezzi il malcapitato autore. Non è una cosa facile, ve lo posso dire perché di articoli su TOD ne ho pubblicati quattro finora. Lanciarsi è una cosa che fa paura, altro che i referee accademici! Ma, fino ad ora, i commenti che mi hanno fatto sono stati abbastanza positivi.

Questo non vuol dire che non si debba fare uno sforzo per pubblicare studi accademici. Io ho fatto quello che ho potuto, pubblicandone due (e un altro in corso di pubblicazione). Chi ha voglia di provarci fa sicuramente una cosa buona. Io ho trovato che gli editori di "Energy Policy" e di "Energy Resources B" sono abbastanza amichevoli. Provateci anche voi.




[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro prof. Bardi,
per correttezza non le voglio dire chi sono ma le dico soltanto che sono uno studente di Chimica che studia nell'università in cui lei insegna e che ancora non ha avuto il piacere di partecipare al suo corso, e che sempre di più pensa che... ce ne vorrebbero di professori come lei all'università.

Lei è un professore nel vero senso della parola, sa trasformare concetti difficili in affermazioni semplici e dirette e questa è una grande dote per un professore (non tutti la possiedono), e poi è anche simpatico, cosa che tra i professori universitari è abbastanza rara.

E poi grazie a lei ,e ai suoi collaboratori come Galvagno e gli altri che scruvono qui, ho capito tante cose, anche di economia che prima mi sembravano tanto lontane e astruse.

L'argomento del picco del petrolio è veramente qualcosa di altamente interdisciplinare e (a mio parere) di altamente formante, e questo lo rende ancora più interessante perché permette di comprendere pezzi di storia e di economia che altrimenti sarebbero piuttosto enigmatici per un "non addetto ai lavori" come me.

Complimenti per il suo lavoro!

Anonimo studente di Chimica all'università di Firenze

Anonimo ha detto...

Trovo quanto scritto sopra il riconoscimento minimo dei meriti del professore.

Io sono sull’estremo opposto rispetto all’anonimo studente.
Carriera alle spalle, tutta nel settore petrolifero, grande lettore di questo blog e sito, spettatore ad almeno una conferenza del prof.Bardi.

Condivido appieno lo scritto cui è riferita questa discussione. Se mi è permesso, dirò anch’io la mia di questa difficoltà a far decollare la teoria del picco.

Una è senz’altro l’interdisciplinarietà, che a priori il pensiero comune digerisce meno rispetto alla monodisciplinarietà.

L’altra è che, in buona sostanza (anche se penso che sia molto di più), la teoria verte sull’applicazione al petrolio a molte altre risorse terrestri del concetto del progressivo ed inarrestabile esaurimento.
Ad entrare nel merito di discorsi specialistici sul barile non tutti sono disposti: in superficie, la teoria viene percepita troppo simile (ma non è un demerito, tutt’altro) ai continui richiami allarmi, pressioni che la gente comune riceve sull’argomento dei limiti allo sviluppo.

Luigi

Ugo Bardi ha detto...

Ragazzi, mi fate arrossire! Che vi devo dire? Grazie.

UB

Anonimo ha detto...

Verrebbe voglia di dire che ci son cose che non serve dimostrare per coglierne la credibilità. Temo che troppe volte si confonda la misurazione di un fenomeno con la sua esistenza: se la misurazione d'un fenomeno è un atto specialistico, coglierne l'esistenza è invece alla portata di tutti coloro che osservano il mondo con occhio critico.

Così, tanto per dire la mia.

Marco Bertoli ha detto...

Correggetemi se sbaglio, ma è probabile che questa forma di "ghettizzazione" accademica si deva molto alla paura da parte dei refree di apparire vicini alle teorie del club di Roma.. che già dagli anni 70-80 è stato subito demonizzato da gran parte della stampa e degli "esperti".

A tal riguardo, ho appena finito di leggere Wikinomics.. un libro veramente splendido, che consiglio a tutti.

Nel capitolo "i nuovi alessandrini" si paarla delle nuove tendenze nell'edizione di testi scientifici, sottratti alla peer-rewiew. Forse può essere uno spunto di riflessione. il libro può anche essere letto e modificato(!!)(è un wiki) in inglese su wikinomics.com

Marco Bertoli