Guidare o mangiare?
Idee e proposte per i piccoli comuni d'Italia
Idee e proposte per i piccoli comuni d'Italia
created by David Conti
Gli occhi del mio interlocutore sono come saette. Li vedo muoversi velocemente, scomparire ed apparire dietro lo sbattere compiaciuto delle palpebre, l’espressione viva ed interessata di chi sembra in piena sintonia con i miei ragionamenti. Ecco un grande cenno di approvazione quando il discorso tocca la desertificazione galoppante e gli scompensi nei cicli delle piogge. I “si” che escono dalla sua bocca accompagnano ogni accenno alla necessità di rispettare il protocollo di Kyoto e di aumentare gli investimenti in energie rinnovabili.
Ma poi la fisionomia del mio interlocutore cambia improvvisamente. Gli occhi, prima vivi e attenti, sembrano spegnersi lentamente al primo pronunciare della parola petrolio. La fronte diventa corrucciata quando entra in scena un geologo di nome Hubbert e quando il discorso entra nel vivo di razionamenti di carburante, scaffali dei supermercati vuoti e disoccupazione rampante, immagino che se ci fosse un encefalogramma che misurasse il livello di comprensione e di accettazione di un concetto, questo sarebbe piatto o quasi.
Introdurre il tema del Picco del Petrolio a parenti, amici e conoscenti non è mai semplice. Spesso e volentieri ci si scontra con delle mentalità talmente soggiogate dal quel pensiero unico, che coniuga la crescita economica a tutti i costi con il benessere della persona, che diventa un gioco da ragazzi farsi bollare come pazzi visionari. Ma il “picchista” non si lascia scoraggiare da queste prime, prevedibili, difficoltà. Armato di pazienza certosina, spiega, descrive, illustra, magari partendo da 150 milioni di anni fa quando i primi depositi di alghe adagiati sul fondo di qualche oceano primordiale iniziarono la loro trasformazione in quella sostanza viscosa che girare il mondo fa.
Posso riscontrare personalmente che, lentamente, il discorso trova terreno fertile per attecchire nelle menti di chi ci è più vicino. Alla fine della “cura Hubbert” la persona vede una bottiglia in pet contenente latte e riconosce il petrolio presente nella struttura del contenitore, nel serbatoio del camion che lo ha portato fino al supermercato, nell’energia che ha fatto funzionare i macchinari che hanno munto la mucca e nei concimi, fertilizzanti e diserbanti usati per produrre i mangimi trangugiati dall’animale. Questo livello di consapevolezza è un primo risultato che, si spera, porterà ad una elaborazione indipendente delle azioni necessarie a rendersi più autonomi dalla schiavitù dell’oro nero.
Dall’ambito familiare alla comunità, la sfida diventa più impegnativa. Da quando qualche anno fa sono stato fulminato sulla via di Houston dalla curva a campana di Hubbert, ho avuto un pensiero fisso, far comprendere a quante più persone possibili le conseguenze potenzialmente devastanti che la mancanza di una fornitura abbondante ed a basso costo di petrolio potrebbe avere sulle nostre esistenze. Mano a mano che leggevo quelli che ormai sono diventati dei veri e propri maître-à-penser del pensiero “picchista” come Kunstler e Heinberg, ecco che la risposta si delineava nella forma di un piccolo comune abitato da meno di 10000 persone.
Se negli anni del boom economico c’è stato un vero e proprio esodo dalla campagna verso la città, un mondo depotenziato vedrà una sempre crescente fetta di popolazione abbandonare la giunga di asfalto per tornare “al paesello”. E a maggior ragione, se la dimensione locale avrà sempre più importanza su quella nazionale, di riflesso lo sarà anche per le istituzioni che saranno preposte a prendere decisioni importanti. Da qui, la mia idea di fare lobby su due fronti: il sociale e l’istituzionale. Gli amministratori locali, se ben consci del picco e delle sue conseguenze, grazie ad un maggiore polso del territorio avranno la capacità di sviluppare politiche adatte a mitigare gli effetti negativi, facendo presa su una popolazione che avrà una infarinatura generale sull’argomento.
“Guidare o Mangiare? Il Picco del Petrolio: il problema mondiale e la soluzione locale” è un documento di 25 pagine, che ha la pretesa abbastanza impegnativa di spiegare alla popolazione ed alle istituzioni il mondo del Petrolio a 360 gradi. Partendo dai processi che lo formano, dalle nazioni che lo producono, per addentrarsi in dettagli tecnici come le tecniche di estrazione e le difficoltà incontrate nella ricerca di nuove fonti, per arrivare infine alle conseguenze negative sull’economia e sull’ordine sociale che la graduale scarsità porterà con se. Nelle pagine finali voglio offrire anche una ricetta su come costruire delle comunità veramente sostenibili, dai più semplici interventi di risparmio energetico, a progetti più ambiziosi di reti elettriche p2p fondate su fonti rinnovabili, dalla costituzione di gruppi di acquisto solidali alla trasformazione di grande parte della forza lavoro in braccianti agricoli.
Nel mio caso specifico, io e la mia famiglia stiamo investendo risorse ed energia nello sviluppo di una casa “a prova di picco” inserita nel contesto della provincia beneventana. Ed il prossimo passo sarà quello di iniziare un dialogo sempre più fitto con le istituzioni locali e la comunità, conscio del fatto che questo territorio, così come gran parte della “piccola” Italia ha tutte le potenzialità e le risorse autoctone per rispondere alle crisi.
Spero che il 2008 sia “l’anno della consapevolezza” e che ASPO ed i suoi soci possano essere la chiave per avviare la trasformazione della nostra società. Diamoci da fare, perché oltre al petrolio, anche il tempo scarseggia.
Ma poi la fisionomia del mio interlocutore cambia improvvisamente. Gli occhi, prima vivi e attenti, sembrano spegnersi lentamente al primo pronunciare della parola petrolio. La fronte diventa corrucciata quando entra in scena un geologo di nome Hubbert e quando il discorso entra nel vivo di razionamenti di carburante, scaffali dei supermercati vuoti e disoccupazione rampante, immagino che se ci fosse un encefalogramma che misurasse il livello di comprensione e di accettazione di un concetto, questo sarebbe piatto o quasi.
Introdurre il tema del Picco del Petrolio a parenti, amici e conoscenti non è mai semplice. Spesso e volentieri ci si scontra con delle mentalità talmente soggiogate dal quel pensiero unico, che coniuga la crescita economica a tutti i costi con il benessere della persona, che diventa un gioco da ragazzi farsi bollare come pazzi visionari. Ma il “picchista” non si lascia scoraggiare da queste prime, prevedibili, difficoltà. Armato di pazienza certosina, spiega, descrive, illustra, magari partendo da 150 milioni di anni fa quando i primi depositi di alghe adagiati sul fondo di qualche oceano primordiale iniziarono la loro trasformazione in quella sostanza viscosa che girare il mondo fa.
Posso riscontrare personalmente che, lentamente, il discorso trova terreno fertile per attecchire nelle menti di chi ci è più vicino. Alla fine della “cura Hubbert” la persona vede una bottiglia in pet contenente latte e riconosce il petrolio presente nella struttura del contenitore, nel serbatoio del camion che lo ha portato fino al supermercato, nell’energia che ha fatto funzionare i macchinari che hanno munto la mucca e nei concimi, fertilizzanti e diserbanti usati per produrre i mangimi trangugiati dall’animale. Questo livello di consapevolezza è un primo risultato che, si spera, porterà ad una elaborazione indipendente delle azioni necessarie a rendersi più autonomi dalla schiavitù dell’oro nero.
Dall’ambito familiare alla comunità, la sfida diventa più impegnativa. Da quando qualche anno fa sono stato fulminato sulla via di Houston dalla curva a campana di Hubbert, ho avuto un pensiero fisso, far comprendere a quante più persone possibili le conseguenze potenzialmente devastanti che la mancanza di una fornitura abbondante ed a basso costo di petrolio potrebbe avere sulle nostre esistenze. Mano a mano che leggevo quelli che ormai sono diventati dei veri e propri maître-à-penser del pensiero “picchista” come Kunstler e Heinberg, ecco che la risposta si delineava nella forma di un piccolo comune abitato da meno di 10000 persone.
Se negli anni del boom economico c’è stato un vero e proprio esodo dalla campagna verso la città, un mondo depotenziato vedrà una sempre crescente fetta di popolazione abbandonare la giunga di asfalto per tornare “al paesello”. E a maggior ragione, se la dimensione locale avrà sempre più importanza su quella nazionale, di riflesso lo sarà anche per le istituzioni che saranno preposte a prendere decisioni importanti. Da qui, la mia idea di fare lobby su due fronti: il sociale e l’istituzionale. Gli amministratori locali, se ben consci del picco e delle sue conseguenze, grazie ad un maggiore polso del territorio avranno la capacità di sviluppare politiche adatte a mitigare gli effetti negativi, facendo presa su una popolazione che avrà una infarinatura generale sull’argomento.
“Guidare o Mangiare? Il Picco del Petrolio: il problema mondiale e la soluzione locale” è un documento di 25 pagine, che ha la pretesa abbastanza impegnativa di spiegare alla popolazione ed alle istituzioni il mondo del Petrolio a 360 gradi. Partendo dai processi che lo formano, dalle nazioni che lo producono, per addentrarsi in dettagli tecnici come le tecniche di estrazione e le difficoltà incontrate nella ricerca di nuove fonti, per arrivare infine alle conseguenze negative sull’economia e sull’ordine sociale che la graduale scarsità porterà con se. Nelle pagine finali voglio offrire anche una ricetta su come costruire delle comunità veramente sostenibili, dai più semplici interventi di risparmio energetico, a progetti più ambiziosi di reti elettriche p2p fondate su fonti rinnovabili, dalla costituzione di gruppi di acquisto solidali alla trasformazione di grande parte della forza lavoro in braccianti agricoli.
Nel mio caso specifico, io e la mia famiglia stiamo investendo risorse ed energia nello sviluppo di una casa “a prova di picco” inserita nel contesto della provincia beneventana. Ed il prossimo passo sarà quello di iniziare un dialogo sempre più fitto con le istituzioni locali e la comunità, conscio del fatto che questo territorio, così come gran parte della “piccola” Italia ha tutte le potenzialità e le risorse autoctone per rispondere alle crisi.
Spero che il 2008 sia “l’anno della consapevolezza” e che ASPO ed i suoi soci possano essere la chiave per avviare la trasformazione della nostra società. Diamoci da fare, perché oltre al petrolio, anche il tempo scarseggia.
[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno.3@alice.it. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]
3 commenti:
Somma invidia: quando a casa mia parlo di queste cose, di solito vengo trattato come un idiota.
Inutile dire che non posso far nulla, a parte usare treni e biciclette e praticare raccolta differenziata. In italia i giovani non contano niente. E la disgrazia è che non possiamo chiedere cambiamenti ai nostri canuti genitori: un anziano non può progettare cambiamenti, purtroppo. Al massimo, può cercare di impedirli.
La generazione bruciata tra precariato e solitudine di cui faccio parte, e che dovrebbe traghettare la nazione verso il futuro, sta semplicemente marcendo dimenticata.
Mi domando solo quanto tempo impiegheranno i padri a comprendere che il male fatto ai figli non ripaga mai, specie in situazioni in cui il dinamismo e l'inventiva di quest'ultimi sarebbero indispensabili per sopravvivere ad una così grave crisi.
fausto
Anch'io, come Fausto, venivo trattato come un idiota. In parte ancora adesso, ma qualche risultato si sta vedendo.
Circa la poca voce in capitolo che abbiamo noi giovani, è vero. Il "sistema" è difficilissimo da cambiare, ma non impossibile.
Ottima iniziativa, David!
Mai come ora occorre ripartire dal basso per pensare alle risorse disponibili sul territorio.
Anch'io ho trovato difficoltà a parlare di picco del petrolio, ma se la cosa può farvi piacere ho trovato più interesse nei miei studenti di 15-18 anni che in molti tra i miei annoiati coetanei (che hanno un po' più di anni sulle spalle). Sto naturalmente parlando di coetanei con poca o nulla preparazione in campo scientifico.
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