martedì, giugno 21, 2011

La macchina mineraria universale

Di Ugo Bardi -traduzione di Massimiliano Rupalti






La miniera di carbone di Garzweiler in Germania in un'immagine da Google Earth. Il satellite ha colto due giganteschi macchinari al lavoro. Misurate con il righello di Google, ogni “braccio” delle macchine misura circa 120 metri (circa 400 piedi). Queste non sono macchine minerarie universali, ma danno una qualche idea della scala delle moderne operazioni minerarie. Si ritiene che la miniera di Garzweiler contenga più di un miliardo di tonnellate di riserve di carbone.


Introduzione


In una storia di fantascienza che ho avuto sotto mano molti anni fa, un gruppo di esploratori erano rimasti intrappolati in un remoto pianeta ed hanno avuto bisogno di costruire una nuova nave spaziale usando i materiali locali. Non avevano né tempo né risorse per gli scavi minerari tradizionali, così hanno costruito una “macchina mineraria universale” che estraeva elementi dalla crosta del pianeta. La macchina rompeva la roccia, la scaldava e la trasformava in plasma atomico. Gli ioni del plasma venivano accelerati e in seguito separati a seconda della massa da un campo magnetico. In entrata c'era semplice roccia ed in uscita c'erano tutti gli elementi presenti nella roccia originaria, ognuno allegramente impacchettato nella sua scatola.


Quella storia (mi pare che fosse di Poul Anderson) mi ha sempre affascinato. Perché non possiamo costruire una macchina simile qui sulla Terra e smettere di preoccuparci della fine delle risorse minerarie? Alcuni economisti sembrano pensare all'esaurimento delle risorse in questi termini, infatti, come se avessero una macchina mineraria universale pronta. Una delle dichiarazioni preferite che potete sentire su questo tema è che non esistono cose come le risorse finite. I prezzi creano le risorse a seconda di quello di cui avete bisogno. Se i prezzi sono abbastanza alti, potete sempre fare profitti anche estraendo da materiale minerale molto povero. Fino a che non resterete a corto di crosta terrestre da scavare, non esaurirete un bel niente o, al massimo, non avrete problemi per molto, molto tempo. Julian Simon, autore del libro “L'Ultima Risorsa” (1985), era forse il campione di questa scuola di pensiero. Fra le altre cose, disse che abbiamo risorse minerarie per “7 miliardi di anni” (Simon 1995).


Di recente, questo tipo di entusiasmo sull'abbondanza delle risorse sembra essere diventato meno popolare. Comunque, l'opinione generale è ancora quella ottimista, come mostrato in innumerevoli articoli della stampa popolare ogni qualvolta la questione dell'esaurimento è dibattuta. Sfortunatamente, l'idea che entità non fisiche, i prezzi, possano creare entità fisiche, le risorse minerarie, è molto problematica. I prezzi sono solo cartellini, etichette che appiccichi su qualcosa. Se hai bisogno di qualcosa non è sufficiente cambiare l'etichetta che c'è sopra; hai bisogno di energia.


L'energia è l'entità fisica che definisce cosa puoi estrarre e cosa no. Simon ed i suoi sostenitori hanno ragione nel dire che la quantità di risorse minerarie non è certa. Ma la quantità estraibile di risorse è definita non dai prezzi, ma dalla quantità di energia che puoi permetterti di impiegare per l'estrazione. E, diversamente dai prezzi, l'energia è una risorsa limitata.


In futuro, la fornitura di energia potrebbe ben diminuire al graduale esaurimento dei combustibili fossili. Se consideriamo anche i problemi del progressivo esaurimento dei bacini minerari più ricchi in densità di materiale, è chiaro che l'industria mineraria affronta una sfida formidabile. Quanto a lungo potremo continuare ed estrarre all'attuale ritmo? Saremo in grado di mantenere in opera la società industriale? Esiste qualcosa tipo “l'estrazione sostenibile”?


Queste domande sono di difficile risposta ma non possono essere ignorate a lungo. Diversi studi recenti pubblicati enfatizzano il carattere “finito” delle risorse ed i verosimili problemi che dovremo presto affrontare (Gordon et al 2006, Ayres 2007, Pickard 2007, Cohen 2007). In un recente lavoro pubblicato su “The Oil drum” Ugo bardi e Marco Pagani (2007) hanno mostrato che la produzione mineraria di diversi metalli e diversi composti hanno raggiunto il picco e sono in declino. Altri prodotti metallurgici segnano un picco imminente. Tutto ciò, naturalmente, è evidenziato anche dalla tendenza all'aumento dei prezzi di tutti i prodotti minerari negli ultimi anni. Chiaramente, non stiamo parlando di qualcosa lontano nel tempo, ma di qualcosa che potrebbe iniziare ad accadere proprio adesso.



Un esempio della curva “a campana” che descrive la produzione di alcune risorse minerali, in questo caso, piombo (Da Bardi e Pagani, 2007)


Le risorse minerarie del pianeta.

Si ritiene che la crosta terrestre contenga 88 elementi in concentrazioni che sono comprese in un dominio di almeno sette ordini di grandezza. Alcuni elementi sono definiti come “comuni”, con concentrazione oltre lo 0,1% in peso. Di questi, 5 sono tecnologicamente importanti in forma metallica: ferro, alluminio, magnesio, silicio e titanio. Tutti gli altri esistono in concentrazioni minori, a volte molto minori. La maggior parte dei metalli di importanza tecnologica sono definiti “rari” ed esistono prevalentemente in basse concentrazioni che costituisco la pietra ordinaria, vale a dire che sono dispersi a livello atomico in silicati ed altri ossidi. La disponibilità media di elementi rari nella crosta terrestre, tipo il rame, zinco, piombo ed altri, è al di sotto dello 0,01% (100 ppm). Alcuni, tipo oro, platino e rodio, sono molto rari ed esistono nella crosta in pochissime parti per milione o anche meno. Comunque, la maggior parte degli elementi rari formano anche composti chimici specifici che si possono trovare in concentrazioni relativamente alte in regioni chiamate “depositi”. Quei depositi dai quali in effetti estraiamo metalli e che si chiamano minerali.


La quantità totale dei depositi di minerale nella crosta è spesso descritta come inversamente proporzionale al grado, ovvero alla concentrazione (“La legge di Lasky”). Ciò significa che i depositi a bassa concentrazione sono molto più comuni di quelli ad alta concentrazione e contengono una quantità di materiali molto più grande. Come conseguenza, quando l'esaurimento progressivo dei minerali ad alta intensità forza l'industria mineraria a spostarsi a minerali ad intensità più bassa, avete l'effetto che la quantità di risorsa aumenti (“non esaurisci le risorse, le aumenti” come disse Odell nel 1994). Questa apparente abbondanza è una delle ragioni del grande ottimismo di alcune persone sulla disponibilità dei minerali. Sfortunatamente, questa abbondanza è un'illusione per diverse ragioni; una è che la legge di Lasky non è valida per l'intera gamma dalla concentrazione della crosta.


Secondo Brian Skinner (1976-79), la quantità di una risorsa nella crosta terrestre non è semplicemente inversamente proporzionale alla concentrazione. Piuttosto, la distribuzione è “bimodale”, cioè che c'è un grande picco per elemento come costituente a bassa concentrazione ed un picco più piccolo per lo stesso elemento in deposito. L'assenza di concentrazione nel mezzo dei due picchi è ciò che Skinner chiama la “Barriera Mineralogica”. Il concetto è mostrato nella seguente figura.

Il concetto della barriera mineralogica di Skinner. La dimensione relativa dei due picchi non è in scala.


Non abbiamo dati sufficienti per costruire un diagramma di Skinner in scala ma, per una stima approssimativa della differente grandezza dei due picchi, possiamo fare un rapido calcolo per il caso del rame. Per il picco minimo di concentrazione, possiamo dire che la disponibilità media di rame nella crosta alta è riportata essere intorno a 25 parti per milione (Wikipedia 2007). Considerata un'area terrestre di 150 milioni di kmq e una densità media di roccia di 2,6 g/cc, possiamo calcolare qualcosa come 10 trilioni di tonnellate di rame disponibili entro un km di profondità dalla superficie. Per il picco delle alte concentrazioni ci mancano i dati completi, ma possiamo considerare che l'USGS stima le risorse di rame del territorio globale in circa 3 miliardi di tonnellate. La dimensione reale dei tutti i depositi di rame esistenti è certamente maggiore, ma non dovrebbe essere lontano da quest'ordine di grandezza. Quindi, il rapporto in termini di dimensioni dei due picchi è di almeno 1 a 1000.


Ci sono delle eccezioni al modello di Skinner, l'uranio per esempio non sembra avere un doppio picco (Deffeyes 2005) e questo potrebbe essere messo in relazione alle caratteristiche chimiche specifiche degli ioni di uranio. Poi, naturalmente, i minerali comuni, ferro ad esempio, esistono in alta concentrazione su tutta la crosta e non hanno una vera barriera mineralogica. Ma la distribuzione bimodale è probabilmente la condizione generale di praticamente tutti i metalli rari.


Estrazione


Quello minerario è un processo a vari livelli. Il primo è la fase dell'estrazione, in cui il minerale viene estratto dalla terra. Poi, segue la fase di arricchimento, dove la parte utile del minerale viene separato dal rifiuto (chiamato anche “ganga”). Normalmente seguono ulteriori fasi di lavorazione; per esempio la produzione di metallo richiede una fase di riduzione ed una di raffinazione. Tutti questi passaggi richiedono energia. Per essere esatti, dovremmo piuttosto usare il concetto di “exergia” al posto di energia, ma nel contesto dell'estrazione la differenza è trascurabile.


Facciamo un esempio pratico. Oggi, estraiamo rame da risorse minerali (prevalentemente calcopirite CuFeS2) che lo contengono in concentrazioni dell' 1-2%. L'energia coinvolta nell'estrazione, lavorazione e raffinazione del metallo di rame sta in un dominioe di 30-65 megajoules (MJ) per chilogrammo (Norgate 2007) con una media riportata da Ayres (2007) di 50 MJ. Usando il valore di 50 MJ, abbiamo bisogno di circa 0,75 exajoules (EJ) per la produzione mondiale di rame (15 milioni di tonnellate/anno). Questo è circa lo 0.2 % della produzione mondiale di energia primaria (400-450 EJ) (Lightfoot 2007).


La tabella seguente elenca l'energia specifica necessaria per la produzione di alcuni metalli comuni, insieme al fabbisogno di energia per la produzione mondiale attuale.




Energia specifica e totale per la produzione di alcuni metalli. I dati sull'energia specifica provengono da Norgate e Rankin (2002). Quelli sulla produzione totale dall'United States Geological Survey (USGS) per il 2005.



Notate come la produzione mondiale dell'acciaio da sola richieda una quantità di energia (24 EJ) equivalenti a circa il 5% della fornitura mondiale (circa 400-450 EJ). Siccome fare acciaio richiede carbone, questo dato è approssimativamente concorde con il fatto che il 13% della produzione mondiale di carbone va per l'acciaio e il carbone vale circa il 25% dell'energia primaria mondiale (fonte www.worldcoal.org).


Presi insieme, questi dati indicano che l'energia totale usata per estrarre e produrre metalli potrebbe essere sull'ordine del 10% del totale. Questa stima sembra essere coerente con quella di Rabago ed altri (2001) che riporta un range del 4-7% e quelli di Goeller e Weisnet (1978) dell'8,5% per l'industria metallurgica dei soli Stati Uniti.


Affrontare la barriera mineralogica


Durante la storia dell'estrazione mineraria, abbiamo estratto minerali dai bacini ad alta densità sfruttando l'energia fornita gratuitamente da processi geochimici di un remoto passato (vedi De Wit 2005). I bacini contengono moltissima energia, generata sia dal calore del nucleo terrestre, sia dall'energia solare in combinazione con i processi biologici. La Terra è un pianeta geochimicamente vivo e l'esistenza dei bacini minerari e dei depositi è una conseguenza di ciò. Ma i processi che hanno creato i minerali sono estremamente rari ed i minerali sono una risorsa finita.


C'è poca speranza di trovare sorgenti di alta densità di minerali oltre a quelli che già conosciamo. La crosta del pianeta è stata esplorata completamente e scavare a fondo non sembra essere di aiuto, dal momento che i minerali si formano prevalentemente grazie a processi geochimici (specialmente idrotermici) che avvengono vicino alla superficie. Il fondo degli oceani potrebbe essere una sorgente di minerali (Roma 2003) ma fino ad ora non un singolo grammo di nulla è stato estratto da lì. Gli oceani stessi contengono ioni metallici ma in concentrazioni estremamente ridotte. Con la possibile eccezione dell'uranio (Seko 2003) estrarre minerali dall'acqua del mare è fuori discussione. Per esempio, tutto il rame disciolto negli oceani basterebbe per soli dieci anni della presente produzione mineraria (Sadiq 1992). Infine, c'è il vecchio sogno fantascientifico di estrarre dalla luna e dagli asteroidi. Ma se il nostro problema è l'energia, non possiamo permetterci il costo energetico di viaggiare sin là. Per di più la luna e gli asteroidi sono geochimicamente “morti” e non contengono minerali.


Inoltre, mentre continuiamo ad estrarre, non abbiamo altra prospettiva che quella di procedere progressivamente verso bacini a bassa intensità di minerale. In generale, l'energia richiesta per estrarre qualcosa da una miniera è inversamente proporzionale al grado di densità del minerale. Questo perché ci vuole dieci volte più energia per lavorare un minerale che contiene un decimo del minerale utile (Skinner 1979). Questa relazione è valida per minerali della stessa composizione che cambiano solo di concentrazione.


Potremmo anche esaurire completamente un certo tipo di minerale e dover passare a minerali di composizione chimica diversa. E' già successo in passato, ad esempio per i metalli nativi. Il ferro, ad esempio, era trovato un tempo in forma metallica, pronto ad essere forgiato, sotto forma di meteoriti. Questa sorgente è stata esaurita completamente come risorsa mineraria molto tempo fa. Cambiare minerale normalmente significa un aumento della quantità di energia richiesta per l'estrazione.


A seconda del tipo di prodotto, il cambio di densità del minerale potrebbe avere effetti notevoli, o quasi nessuno, sulla richiesta totale di energia. L'alluminio, per esempio, è un caso estremo in cui l'estrazione e l'arricchimento giocano un ruolo minore (Norgate e Rankin, 2000). Ciò non è sorprendente, considerato che estraiamo alluminio dal minerale di bauxite che lo contiene in alte concentrazioni, circa il 30-70% sotto forma di ossido di alluminio. La situazione è diversa dalla maggior parte dei metalli, dove il minerale contiene una quantità molto minore di elemento utile. L'oro è un esempio in cui quasi tutta l'energia è richiesta per l'estrazione e l'arricchimento. Il rame è un esempio di situazione intermedia dove quasi il 50% dell'energia va per estrazione ed arricchimento.


L'esaurimento dei minerali ad alta densità è un problema che, alla fine, ci porterà ad affrontare la barriera mineralogica di Skinner. La quantità di minerali dall' “altra parte” della barriera è enorme. Se potessimo riuscire ad estrarre da questa zona di concentrazione, non avremmo problemi di esaurimento per sempre o almeno per i “7 miliardi di anni” che menzionava Julian Simon. Comunque, questo richiederebbe una quantità di energia ben oltre le nostre capacità attuali.


Facciamo un calcolo approssimativo per valutare questa energia. Consideriamo il rame, ancora, come esempio. Il rame è presente in concentrazioni di circa 25ppm nella crosta superiore (Wikipedia 2007). Per estrarre il rame dalla crosta indifferenziata, avremmo bisogno di frantumare la roccia fino ad un livello atomico fornendo una quantità di energia comparabile a quella che è servita a formare le rocce stesse. In questa media, possiamo prenderla come qualcosa nell'ordine dei 10 MJ/kg. Da questi dati possiamo stimare circa 400 GJ/kg per l'energia di estrazione. Ora, se volessimo continuare a produrre 15 milioni di tonnellate di rame all'anno, come facciamo oggi, estraendolo dalla roccia normale, questo calcolo dice che dovremmo spendere 20 volte l'attuale produzione mondiale di energia primaria. I prezzi non possono rendere la roccia comune una sorgente di metalli rari, non di più di quanto la "danza dei fantasmi" non poteva rendere gli Indiani invulnerabili alle pallottole dei bianchi.


Naturalmente, questa è solo una stima rozza di ordine di grandezza. Potremmo non aver bisogno di polverizzare la pietra a livello atomico e potremmo trovare aree della crosta che contengono più rame della media. Per esempio, Skinner (1979) ha proposto che potremmo estrarre rame da un tipo di argilla chiamata biotite a che necessiterebbe di un'energia di estrazione approssimativamente 10 volte maggiore dell'attuale. Se il problema fosse solo il rame, sarebbe fattibile. Ma se dobbiamo aumentare la richiesta di energia di un fattore 10 per tutti i metalli rari, chiaramente arriviamo rapidamente a livelli che non possiamo permetterci, perlomeno oggi.


Il futuro dell'estrazione


Nel breve periodo, non sembra che dobbiamo affrontare problemi critici in termini di forniture minerali, perlomeno finché possiamo mantenere la nostra fornitura energetica stabile. Consideriamo ancora il rame come esempio. La USGS stima le riserve base di rame in 950 milioni di tonnellate (2007) (anche se Grassmann e Meyer riportano valori più bassi). Se potessimo mantenere stabile il tasso di estrazione avremmo circa 60 anni di fornitura di rame. Naturalmente, il tasso di estrazione non è mai stato costante durante la storia dell'estrazione del rame. Un modello più realistico (Bardi e Pagani 2007) tiene conto della crescita e del declino delle forniture e vede la produzione del rame raggiungere il picco in circa 30 anni da adesso.



Una proiezione del tasso di produzione del metallo di rame da estrazione. Da Bardi e Pagani, 2007



Trenta anni al picco, o sessanta all'esaurimento totale, può sembrare vicino, ma non è domani. In molti altri casi non sembra che siamo vicini al totale esaurimento (E.G. Cohen 2007). Comunque, ci sono casi in cui l'esaurimento sembra essere un problema più pressante, come per l'indio, un metallo importante per l'industria elettronica e potrebbe scarseggiare presto. Inoltre, alcuni metalli potrebbero fronteggiare un serio esaurimento a causa di un aumento della domanda. Per esempio, se dovessimo usare le celle a combustibile su larga scala per il trasporto, le riserve di platino conosciute sarebbero verosimilmente insufficienti per gli elettrodi catalitici. (Dipartimento dei trasporti 2007)


Questi sono problemi seri, ma sono marginali rispetto ai problemi reali che abbiamo e che sono anche più immediati. I minerali, come abbiamo detto, sono definiti in termini di energia necessaria per l'estrazione. Per continuare ad estrarre dalle attuali forniture minerali abbiamo bisogno almeno di una fornitura energetica costante. Ma, nel prossimo futuro, la nostra fornitura energetica potrebbe scendere anziché salire. La diminuzione della fornitura energetica influenza tutti gli stadi della produzione di beni minerali, non solo l'estrazione e la raffinazione. Questo può avere effetti avversi ed immediati nella produzione di beni minerali.


Oggi, l'energia usata per l'estrazione e la lavorazione dei minerali proviene principalmente dai combustibili fossili e, in qualche caso, è direttamente dipendente da combustibili liquidi prodotti dal petrolio greggio. Per esempio, è stato riportato (DOE 2007) che il 34% dell'energia utilizzata nell'industria mineraria degli Stati Uniti è composto da gasolio. I combustibili fossili sono risorse che sono state pesantemente sfruttate in passato, sono in fase di rapido esaurimento e sono in vista del picco entro poche decadi al massimo. Il picco nella produzione di risorse minerali è un fenomeno generale che è in relazione all'incremento dei costi di prospezione, estrazione, e lavorazione quando la risorsa diventa rara e più costosa. Al momento, il petrolio greggio si sta avvicinando al proprio picco di produzione mondiale (picco del petrolio) e ci si aspetta un irreversibile declino produttivo nei prossimi anni (vedi http://www.peakoil.net/). Gli altri due principali combustibili fossili, gas naturale e carbone, sono previsti al loro picco più avanti, ma comunque nei prossimi decenni.


Non abbiamo bisogno di aspettare il picco della produzione reale per vedere una risorsa diventare più costosa sia in termini di energetici, sia in termini monetari. Se ci vuole più energia per estrarre e raffinare il petrolio, questo investimento supplementare in energia condizionerà direttamente il processo di estrazione che fa uso di petrolio come fonte energetica. Così, se l'attuale tendenza al declino nella produzione di combustibili fossili continua, non saremo in grado di sfruttare tutte le risorse minerali esistenti dal lato “buono” della barriera mineraria. Se non cambia nulla, in un futuro non lontano vedremo un declino nella produzione di tutti i beni minerali: “il picco dei minerali” (vedi Bardi e Pagani, 2007). Il picco della produzione dei minerali pone un problema serio ed immediato in termini di mantenimento di una fornitura di beni minerali all'economia mondiale.


Strategie di mitigazione


Come reagire al futuro declino della produzione di minerali? Ci sono due modi: o stimoliamo (o forziamo) le miniere a produrre di più o usiamo in maniera più efficiente quello che siamo ancora in grado di produrre. Possiamo ulteriormente elencare alcune strategie più dettagliate: 1) attraversare la barriera mineralogica, 2) sostituire, 3) riciclare, 4) riusare e 5) fare con meno.


1. Attraversare la barriera mineralogica. Questa strategia equivale a costruire – ed alimentare – una vera e propria macchina mineraria universale ed estrarre i minerali che ci servono dalla crosta indifferenziata. Ciò risolverebbe il problema una volta per tutte ed il sogno di Julian Simon (risorse per 7 miliardi di anni) diverrebbe realtà. Questo tipo di estrazione sarebbe “sostenibile”, nel senso che potrebbe durare tanto a lungo quanto a lungo potremo fornire la grande quantità di energia necessaria per questo scopo. La superficie del pianeta non sarebbe tanto bella, dopo il passaggio di questi mostri giganti ma, se avessimo energia sufficiente per alimentarli, potremmo probabilmente permetterci di spostare l'intera operazione nello spazio. Probabilmente nessuno si lamenterebbe se rovinassimo esteticamente lontani asteroidi. Comunque, come abbiamo detto, la richiesta di energia per una tecnologia del genere è nettamente al di sopra di qualsiasi cosa possiamo concepire per il prossimo futuro. Richiederebbe una svolta radicale nella produzione di energia, probabilmente una nuova forma di fusione nucleare. Non possiamo lasciar cadere questa possibilità, ma non possiamo contarci.


2. Sostituzione. Già nel 1976, Brian Skinner ha intitolato uno dei suoi saggi “Una seconda età del ferro?”. Intendeva dire che il futuro si potrebbe verificare uno spostamento generale dei processi industriali dagli elementi rari verso quelli comuni, come il ferro. Durante lo stesso anno, Goeller e Weinberg avevano esaminato la situazione in un saggio nel quale proponevano quella che chiamavano “Il principio della sostenibilità infinita”. Il loro lavoro è citato talvolta come la demolizione definitiva del catastrofismo. Ma essi avevano correttamente riconosciuto che le sostituzioni richiedono profondi cambiamenti nella tecnologia e nella società. Quello che sia Skinner sia Goeller e Weinberg hanno trascurato di affermare esplicitamente era che la sostituzione richiede energia, spesso molta energia.


Facciamo alcuni esempi di sostituzione in modo da illustrare il problema energetico. Uno classico quello della sostituzione del rame con l'alluminio come materiale conduttore. L'alluminio è uno dei metalli comuni nella crosta terrestre ed usarlo al posto del rame sembra promettente contro il problema dell'esaurimento dei minerali. L'alluminio è un conduttore più povero ed è infiammabile quando si surriscalda ma, con qualche precauzione, è possibile usarlo per quasi tutte le operazioni di carico elettrico. Il problema è che, abbiamo verificato, servono 120 MJ/kg (o 210 MJ/kg) per produrre alluminio metallico dove invece servono 50 MJ per produrre un kg di rame. Siccome il nostro problema più pressante è l'energia, non la densità del minerale, l'idea di sostituire il rame con l'alluminio è una soluzione per il problema sbagliato.


Facciamo un altro esempio. Supponiamo di avere problemi con la disponibilità di cromo. In questo caso avremmo problemi con la produzione di acciaio inox, che contiene cromo in quantità relativamente alte. Per molte applicazioni strutturali che richiedono robustezza e resistenza alla corrosione, l'acciaio inox potrebbe essere sostituito col titanio (Goeller e Weinberg 1976). Sfortunatamente il titanio è un metallo con un alto punto di fusione che richiede grandi quantità di energia per la produzione. Secondo Norgate ed altri (2007) abbiamo bisogno di 361 MJ/kg per produrre titanio metallico, contro gli appena 75 MJ/kg per l'acciaio inox. Ancora, la strategia della sostituzione si rivela essere affamata di energia.


Un ulteriore esempio è il mercurio. Goeller e Weimberg prendono il mercurio come loro paradigma di sostituibilità, per il fatto che è stato eliminato gradualmente e completamente dagli usi tecnologici durante gli scorsi decenni. Ma è anche vero che la sua sostituzione ha richiesto energia. Non abbiamo dati sull'energia che serviva per produrre un kg di mercurio. Considerate, per esempio, che il mercurio nelle pompe a vuoto è stato sostituito da olio sintetico prodotto da precursori fatti di petrolio greggio. Questo tipo di sostituzione ha richiesto energia per la sintesi dell'olio, così come per la sostituzione periodica del fluido che dura meno del mercurio. Questa ed altri tipi di sostituzione sono difficili da definire passi verso la sostenibilità.


Quindi, la sostituzione è una strategia che può contrastare l'esaurimento dei minerali, ma ad un prezzo alto in termini di energia. Non è così affamata di energia come la macchina mineraria universale, ma la “sostituzione universale” di tutti i metalli rari richiederebbe più energia di quella che che possiamo ragionevolmente pensare di avere nel futuro a breve e medio termine.

3. Riciclare. Se potessimo riciclare al 100% di efficienza, non esauriremmo mai niente. Ma il problem è lo stesso che con i metodi tradizionali di estrazione: riciclare richiede energia. Non richiede le stesse quantità che sono richieste da una macchina mineraria universale, ma il riciclaggio ad alta efficienza si è rivelato essere molto difficoltoso per diversi motivi.


Gestire i rifiuti sembra essere un tipico esempio della nostra tendenza a scontare ("discounting") il futuro (Hagens 2007). I rifiuti sono considerati un fastidio piuttosto che uno stock di risorse. Se non troviamo che sia conveniente riciclare qualcosa, lo abbandoniamo in una discarica o lo bruciamo in un inceneritore. In entrambi i casi il risultato è che il recupero è praticamente impossibile. Nel caso degli inceneritori, le ceneri prodotte disperse finemente sono un mix che richiederebbe trattamenti estremamente complessi e costosi in modo da recuperare metalli specifici (Shen e Fossberg, 2003) e, al momento, non viene fatto. Per le discariche, il recupero potrebbe essere più facile, ma ancora buttiamo metalli di valore e rifiuti potenzialmente tossici insieme, e questo non rende facile il recupero. Al momento, le discariche non sono sfruttate come sorgente di minerali a livello industriale anche se pare che lo siano in paesi del terzo mondo. Questo è possibile, comunque, solo a costi molto alti in termini di pericolo per la salute per le persone coinvolte nell'operazione.


Il risultato è che riusciamo a recuperare solo una frazione di ciò che buttiamo via. Secondo l'USGS (Papp, 2005), negli Stati Uniti il tasso medio del riciclaggio è di circa il 50% in peso per i principali metalli prodotti. Il tasso di riciclaggio massimo è del 74% nel caso del piombo. Il ferro è riciclato per circa il 50%; altri metalli comuni di meno: sia il rame sia l'alluminio non sono riciclati per più del 30%. Norgate e Rankin (2002) hanno riportato diversi valori, ma il livello medio di riciclaggio per la maggior parte dei metalli comuni rimane nell'ordine del 50%.


Ciò non è sufficiente per compensare il declino delle estrazioni. Se ricicliamo qualcosa al 50% significa che dopo 4 cicli di recupero avremo perso oltre il 90% del materiale col quale avevamo iniziato. Avremmo bisogno di fare molto meglio di così ma, evidentemente, non è facile e significherebbe un cambiamento radicale nel modo in cui è concepita e gestita la produzione industriale. Questo, a sua volta, richiederebbe un grado di pianificazione centralizzata che è improbabile che si materializzi prima che la scarsità di materiali divenga molto seria. Ancora, è la nostra tendenza a scontare il futuro (Hagens 2007).


4. Riuso. Riusare significa produrre prodotti che durino a lungo e che possano essere riparati e/o restaurati. Riusare richiede un po' di energia, ma probabilmente meno di ogni altra strategia che abbiamo preso in considerazione finora. Come esempio, possiamo pensare di fare le scocche delle auto in acciaio inox o titanio. L'energia richiesta per produrre acciaio inox (Norgate 2007) è circa doppia rispetto a quella richiesta per l'acciaio semplice, mentre il titanio ne richiederebbe circa dieci volte tanto. Comunque, una vettura fatta in acciaio inox o in titanio non arrugginirebbe mai e durerebbe praticamente per sempre. Naturalmente, questo tipo di strategia va contro il concetto stesso di tutto ciò che è normalmente pensato come una strategia di successo nel mercato delle automobili. Progettare prodotti in previsione di riusarli non è mai stato popolare e, in generale, il riuso sa di povertà, non solo per le auto. E' difficile immaginare che che con la nostra limitata capacità di pianificare per il futuro (Hagens 2007) potremmo cambiare la nostra attitudine. Comunque, se una crisi energetica ci colpisse, saremo costretti a usare ciò che abbiamo per tempi più lunghi, con tutti i problemi ed i limiti che comporterebbe. Potremmo anche usare i prodotti per scopi per i quali non erano stati progettati. Nel sud dell'Europa o in Nord Africa, potete trovare persone che fanno posacenere con le lattine. E' pensato come come gadget per i turisti, finora, ma le cose potrebbero cambiare in futuro.


5. Fare con meno. Questa è la strategia più facile; una che non richiede alcuna energia. Semplicemente, se non puoi permetterti qualcosa, non la usi. Non necessita nemmeno di interventi da parte del governo. Con meno energia e meno materiali a disposizione, potresti scoprire che non puoi permetterti un SUV per fare il pendolare. Così, potresti passare a una piccola utilitaria. Meglio ancora potresti passare alla bici oppure potresti camminare. Infine potresti non essere più capace di fare il pendolare. C'è moltissimo grasso superfluo che la società può perdere funzionando ancora in un modo a noi riconoscibile. Il problema è che, mentre perdiamo questo e quello, la società potrebbe entrare in una mortale spirale verso il basso che gradualmente distrugge le basi industriali del mondo. Il processo potrebbe portarci indietro al punto da dove siamo partiti prima della rivoluzione industriale: ad una società agraria con meno popolazione con un basso surplus energetico. Una simile società non potrebbe mantenere il livello tecnologico che abbiamo raggiunto.


Curiosamente, i nostri discendenti contadini non dovrebbero aver bisogno di tornare a scheggiare la selce. Recuperando anche solo un frazione delle più di 50 miliardi di tonnellate di ferro che abbiamo prodotto nei secoli passati, ne avrebbero a volontà per supportare ogni loro necessità. Pensate solo che ai tempi di Napoleone, quando la rivoluzione industriale era già iniziata, la produzione mondiale di ferro ed acciaio era meno di un milione di tonnellate all'anno, circa un millesimo di quello che è oggi. Coi frammenti recuperati dal nostro lavoro di fusione, i nostri discendenti potrebbero felicemente continuare a forgiare spade e aratri (e forse anche moschetti e cannoni) per molte migliaia di anni. Il metallo che rimarrebbe dalla nostra civilizzazione potrebbe anche provvedere al loro approvvigionamento di altri metalli per migliaia di anni, almeno di quelli che possono essere fusi e forgiati in fornaci a carbone di legna. Ciò esclude il titanio e qualche metallo esotico, ma lascia tutto il resto. Pensate che la nostra società ha prodotto così tanto metallo di rame che una quantità di circa 200 kg a persona è ancora in circolazione nel mondo industrializzato (Gordon 2006). Con così tanto rame, i nostri discendenti avrebbero bronzo in abbondanza per pentole e padelle ed anche per spettacolari sculture. Avrebbero persino l'alluminio, qualcosa che i nostri antenati pre-industriali non si sarebbero nemmeno sognati.

Conclusione e prospettive


La nostra civiltà ha profondamente cambiato la composizione chimica della parte superficiale della crosta terrestre. Depositi di elementi formatisi in centinaia di migliaia di anni di processi geochimici (Shen 1997) sono stati rimossi, trasformati ed in larga parte dispersi. Centinaia di migliaia di anni (almeno) saranno necessari per riformare questi depositi e tempi almeno dello stesso ordine di grandezza saranno richiesti per riformare sul pianeta petrolio e gas naturale. Alcuni minerali, come il carbone, sono stati formati in specifiche condizioni in un passato remoto e potrebbero non formarsi mai più nel futuro nelle quantità che esistevano prima che cominciassimo ad estrarli.


Abbiamo ereditato dalle passate generazioni un pianeta che è molto diverso da quello che era prima della rivoluzione industriale. I minerali abbondanti ed economici che i nostri antenati hanno usato per costruire la società industriale non ci sono più. Se vogliamo continuare sulla strada industriale, avremo bisogno di sviluppare nuove strategie per assicurarci una sufficiente fornitura di materiali. Ciò dipenderà prevalentemente dall'energia. Sarà la nostra capacità di produrre energia che determinerà le scelte future della società.


Se riusciremo ad incrementare la fornitura energetica, la sostituzione potrebbe compensare il declino nella densità di minerale e, se saremo veramente capaci di avere abbondanza di energia, potremmo mettere in pratica il sogno di un'infinita fornitura di minerali derivante dall'estrazione da asteroidi usando una macchina mineraria universale. Comunque, questo scenario non sembra molto verosimile.


E' molto più probabile che, in futuro, non saremo in grado di compensare la diminuzione della fornitura di combustibili fossili col nucleare o le rinnovabili. Questo ci porterà ad una riduzione globale della fornitura mondiale di energia e, in abbinamento con il graduale esaurimento dei minerali ad alta densità, ad una riduzione delle disponibilità di tutti i beni minerali. La reazione a questa situazione sarà una combinazione di strategie a bassa energia: riciclaggio, riuso e di fare con meno.


Nell'ipotesi peggiore, considerando anche i verosimili danni derivanti dai cambiamenti climatici, la crisi potrebbe essere così grave che potrebbe riportarci ad una società agraria. Coi frammenti rimasti della nostra civiltà, sarebbe un tipo di società agraria ricca di metalli, ma ancora una società a bassa tecnologia. Potrebbe mai ripartire con una nuova rivoluzione industriale? E' difficile da dire. La rivoluzione industriale che conosciamo era strettamente collegata alla disponibilità di carbone a buon mercato e questa cosa se ne è andata da che lo abbiamo bruciato. E' difficile realizzare “mulini satanici” solo col carbone di legna; le foreste tendono ad esaurirsi troppo velocemente. Forse ci sarà soltanto una rivoluzione industriale nella storia dell'umanità.


In mezzo a questi due estremi, estrarre dagli asteroidi e tornare ad un'agricoltura di sussistenza è perfettamente possibile immaginare scenari intermedi. Potremmo concepire una società che mantiene una fornitura di energia più piccola, ma non tanto più piccola dell'attuale da non riuscire ad usarla per mantenere una ridotta, ma non pari a zero, fornitura di minerali. Dovrebbe essere estremamente attenta ad evitare lo spreco di materiali e vedere alcune delle nostre abitudini (i viaggi aerei, per esempio) come pericolose stravaganze. Dovrebbe, questa società, riciclare e riusare ad un livello che ci apparirebbe difficile concepire oggi. In qualche modo, l'attitudine di questa società sarebbe paragonabile a quella del parsimonioso periodo Edo del Giappone (JSN 2003). Una simile società potrebbe mantenere il nostro livello tecnologico ed anche incrementarlo. Potrebbe ancora impegnarsi nell'esplorazione dello spazio, nella ricerca di base, nello sviluppo dell'intelligenza artificiale e altre ricerche culturali ed umane che non possono essere concepite senza un salutare surplus di energia e materiali.


Se arriveremo mai ad una tale società è difficile da dire. Avremmo bisogno di cominciare a pianificare già adesso, ma la nostra capacità di pianificazione a lungo termine è molto limitata (Hagens 2007). Almeno, da questa trattazione, possiamo dire che fra le nostre preoccupazioni immediate non dovrebbe esserci solo l'energia, ma anche la disponibilità di materiali fondamentali per l'industria.




Riconoscimenti: l'autore ringrazia Franco Galvagno, Marco pagani e Antonio Tozzi per i loro suggerimenti e commenti su questo saggio.


Riferimenti:


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11 commenti:

Anonimo ha detto...

Avevo già letto quest'articolo in inglese, ho solo una perplessità:

Per di più la luna e gli asteroidi sono geochimicamente “morti” e non contengono minerali.

Può chiarire questo punto, professore?

Ugo Bardi ha detto...

In effetti, ripensandoci sopra, nell'articolo non do una definizione di cosa si intende esattamente per "minerale," il che può portare a qualche confusione. Il punto è che i minerali sono entità molto particolari che differiscono dalle rocce. Una roccia è un agglomerato di varie fasi; un minerale è, tipicamente, una fase omogenea. Quello che a noi serve sono minerali (ci serve anche la roccia, ma è un'altra cosa).


Allora, la luna e i pianeti sono fatti di roccia ma non hanno minerali - perlomeno per quanto ne sappiamo. Questo è dovuto al fatto di essere "Morti," ovvero privi di flussi di magma dall'interno verso la crosta. Senza l'energia del magma, non possono funzionare i meccanismi idrotermici di concentrazione degli elementi che formano i minerali. Ci sono anche altri tipi di meccanismi che formano minerali, ma tutti sono correlati ai movimenti tettonici. Niente nucleo attivo, niente minerali

Anonimo ha detto...

Quindi coloro che ipotizzano una colonizzazione della Luna utilizzando risorse in loco sono degli illusi?

Ugo Bardi ha detto...

Non necessariamente; non credo che nessuno sostenga seriamente che una colonia lunare potrebbe essere autonoma. Però, come elementi da estrarre in loco possono avere quasi soltanto silicio, ferro e alluminio. Tutti gli altri elementi metallici dovrebbero essere importati dalla terra. O forse da Io, la Luna di Giove.

Ugo Bardi ha detto...

Ah.... mi dimenticavo, sulla Luna c'è anche titanio.

Anonimo ha detto...

energia contenuta in 1 kg di petrolio equivale a 4500 kw circa. Penso sia impossibile una società industriale con energia prevalentemente di origine elettrica, che viene fornita dal pericolosissimo nucleare o dalle rinnovabili. Io sono per il fare con meno, alias risparmio, perchè se questa forma comporta il rischio del collasso della civiltà industriale, il collasso è comunque sicuro per la mancanza futura di energie ad alto valore di potenza intrinseca, vedi petrolio e carbone.

Anonimo ha detto...

Articolo da scolpire sulla pietra, stile tavole di Mosè, a futura memoria per i posteri! Non posso che aggiungere i miei (umili) complimenti al prof. Bardi per la chiarezza e la completezza delle asserzioni.
Vorrei comunque fare notare, circa lo sfruttamento delle risorse minerarie dal fondo dell'oceano, che c'è già una società canadese che è sul punto di iniziare, più che estrazione direi "prelievo" di noduli ad alto grado di minerale nei mari di Papua e Nuova Guinea.. Certo, visto in prospettiva è un "pannicello caldo"...
http://www.nautilusminerals.com/s/Home.asp

roberto ha detto...

bell'articolo anche se un po' lunghetto. mi cala la curva dell'attenzione. lo trovo un po' troppo ottimista sul finale. se non si prendono provvedimenti altro che prezzi infiniti faremo la fine del cittadino al mercato nero durante la seconda guerra mondiale.

katobleto ha detto...

articolo magistrale,
grazie!

fausto ha detto...

Ahem: la Luna è fatta di rocce e relativi minerali (omogenei periodici tridimensionali) esattamente come gli altri pianeti. Si sono formati quando anche il nostro satellite era bello caldo; tanto per dire, la superficie lunare è piena di anortositi, contengono plagioclasio e pochi femici.

Successivamente la Luna si è raffreddata alla svelta, e a parte la fase di bombardamento di meteoriti non ha più avuto occasione di manifestare grosse attività. Da allora le rocce ed i minerali che la costituiscono sono rimasti li, nel freddo e nel silenzio.

Ad oggi, non ci sono più grosse possibilità di evoluzione: al massimo potremmo trovarci i prodotti della attività magmatica primordiale, antichissimi. Nient'altro che antiche rocce ormai gelide; il terribile calore che le formò è un ricordo lontano.

Paolo Marani ha detto...

Interessante lavoro, ottima base (se già non lo si è fatto, suppongo di si) per un bel libro.

Fra le varie alternative esposte, macchina universale, sostituzione, riciclo, riuso, etc... manca il "convitato di pietra", cioè la riduzione della popolazione (con conseguente aumento delle risorse, energetiche e minerarie, procapite).

Ora, non è mia intenzione aprire un dibattito sulla eugenetica ne essere provocatorio, ma se mi permetti, se una opzione possibile ma fantasiosa è spedire razzi sugli asteroidi, allora pianificare la popolazione in termini di sostenibilità non dovrebbe essere un tabù.

Usare di meno, oppure essere di meno ad usare... un curioso dilemma.