martedì, giugno 07, 2011

L'apologo della moglie che risparmia l'acqua

Mia moglie non è dichiaratamente ecologista. Però, essendo dotata di un solido rigore morale, difficilmente scende a patti nei comportamenti con le proprie convinzioni, come a volte faccio io quando, forse per pigrizia, mi abbandono a un più comodo relativismo etico. Per questo, se si convince della giustezza di uno stile di vita più conservativo nella gestione delle risorse diventa immediatamente più integralista di me.

L’altro giorno, all’arrivo dell’ennesima bolletta dell’acqua, più salata del solito (la bolletta, non l’acqua) a causa degli adeguamenti tariffari imposti dalle aziende che operano nella nostra Regione, ha deciso che da ora in poi si dovesse consumare meno acqua. Ha cominciato così a controllare che nessun rubinetto rimanesse aperto un secondo più del necessario, a innaffiare le piante con l’acqua utilizzata per lavare le verdure, a usare programmi di lavaggio degli elettrodomestici meno dispendiosi e via dicendo. Mi aspetto da un momento all’altro che inserisca un mattone nello sciacquone del bagno.

Come tutti gli apologhi, anche questa breve storiella di vita quotidiana fa riflettere e produce insegnamenti morali, sociali e politici.

Il primo insegnamento deriva dal fatto che il comportamento meno dissipativo della risorsa acqua è iniziato in corrispondenza dell’aumento tariffario. E’ un meccanismo noto nell’economia classica: l’aumento del prezzo di un bene oltre un certo livello detto prezzo marginale, determina una riduzione del suo consumo.
Quindi, in un’ottica ecologista, un minore uso di risorse limitate, scarse o vulnerabili, deve essere ottenuto con una politica dei prezzi che interiorizzi queste caratteristiche. Tutti coloro che propugnano l’accessibilità totale a un bene primario come l’acqua evitando in assoluto la crescita dei prezzi, non hanno capito nulla dell’ecologia.
L’ultimo Rapporto annuale disponibile della Commissione di Vigilanza sulle Risorse Idriche ci fa vedere che l’Italia ha uno dei livelli tariffari più bassi in Europa e nel mondo e a questo corrisponde un sistema di gestione dell’acqua inefficiente e fortemente dispersivo della risorsa (alte perdite di rete, prelievi abusivi, inadeguatezza depurativa ecc.)

Quest’ultima considerazione ci porta al secondo insegnamento dell’apologo. Il rapporto citato in precedenza, ci fornisce anche i risultati di un’indagine sulle perdite di rete degli acquedotti italiani. Esse sono molto elevate, intorno al 37%, ma ciò che colpisce maggiormente è la scarsa affidabilità del dato. Come si può vedere nel grafico allegato qui accanto, il 37% dei gestori non ha dichiarato i volumi di acqua immessi nell’acquedotto, il 49% non ha dichiarato i volumi di acqua persi durante la distribuzione (tali valori sono leggermente più bassi se si considerano esclusivamente le dichiarazioni degli affidatari del Servizio Idrico Integrato).
La Commissione infatti conclude che “Dall’analisi dei dati raccolti, si evince una realtà allarmante legata, oltre che a valori di perdite elevati, a un generalizzata scarsa consapevolezza della risorsa erogata da parte delle aziende incaricate della gestione delle reti…Si evidenzia come il rapporto tra i volumi misurati e quelli stimati subisca una inversione nel passaggio tra i volumi immessi nel sistema e quelli persi in distribuzione: ciò denota uno scadimento nel controllo della risorsa nel passaggio dalla produzione alla distribuzione….La dispersione dei dati sul territorio è considerevole anche all’interno di singole Regioni, e presenta notevoli differenze percentuali persino tra Ambiti contigui: ciò avvalora l’ipotesi di una scarsa attendibilità complessiva dei dati trasmessi…”.
Questa situazione ci suggerisce già un terzo insegnamento, ma procediamo per ordine: gli acquedotti italiani sono caratterizzati da percentuali molto elevate di dispersione e, a causa della scarsa attendibilità dei dati forniti dai gestori, probabilmente sottostimate. Ad esempio, Legambiente, in questo studio, stima al 40% il valore delle perdite di rete.
Quindi, il comportamento virtuoso dell’utente consumatore viene abbondantemente vanificato a monte dalle colossali perdite idriche di acquedotti obsoleti e la risoluzione di questo grave problema richiede ingenti investimenti da trasferire sui quadri tariffari, con conseguente aumento dei prezzi.

Il terzo insegnamento della nostra storia è che la gestione pubblica del ciclo delle acque in Italia è stata un disastro dal punto di vista di un corretto e razionale uso della risorsa. L’ingresso dei privati nella gestione delle acque in alcune realtà territoriali non sembra finora aver determinato un apprezzabile miglioramento della situazione. Il mercato dell’acqua è strutturalmente un monopolio naturale e non può giovarsi se non marginalmente dei vantaggi della concorrenza applicabili ad altri servizi di interesse pubblico. La privatizzazione, parziale o totale della gestione potrebbe ottenere qualche risultato positivo solo in presenza di alte capacità di regolazione da parte del soggetto pubblico affidatario del servizio, ma non si capisce come possano acquisire queste capacità soggetti pubblici caratterizzati in genere da inefficienza nella gestione diretta.

Il quarto e ultimo insegnamento lo ricaviamo da questo articolo di Nuova Ecologia che riferisce di uno studio di Legambiente sull’uso dell’acqua in agricoltura, secondo il quale il nostro paese sarebbe il terzo in Europa per percentuale (60%) di uso dell’acqua in questo settore che, per questo, dovrebbe avere un’attenzione prioritaria per quanto riguarda la riduzione dei consumi della risorsa idrica, rispetto agli altri due principali settori (industria 25% - civile 15%).

Concludendo, il comportamento virtuoso del consumatore potrà incidere in misura ridotta al risparmio della risorsa idrica. Gli aspetti cruciali del problema sono: livello efficiente della gestione, politiche degli investimenti e tariffarie, controllo degli usi idrici in agricoltura. Mia moglie contribuirà a migliorare il bilancio familiare, molto meno il bilancio idrico.

8 commenti:

fausto ha detto...

Estrarre acqua non costa niente: una botte di presa, un pozzo da 80 metri....

Distribuirla costa un sacco: chilometri di tubi, torri piezometriche, contatori...

Morale: nessun incremento tariffario farà sparire la propensione dei gestori del servizio a causare gratuite dispersioni di acqua per non effettuare costose riparazioni.

Se vogliamo eliminare le perdite negli acquedotti, dobbiamo tassare i volumi estratti.

Simone Costi ha detto...

Qualche consiglio su come votare nel referendum per l'acqua?

Sono parecchio disorientato....

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Terenzio Longobardi ha detto...

Simone, mentre per nucleare e legittimo impedimento voterò convintamente si, sui due quesiti riguardanti la gestione dell'acqua sono disorientato anch'io, perchè ho l'impressione di sbagliare in ogni caso. I carrozzoni pubblici inefficienti si trasformeranno solo in carrozzoni pubblico-privato inefficienti. Come ho scritto nell'articolo, purtroppo nel caso dell'acqua non si possono fare le liberalizzazioni possibili in altri servizi come i trasporti, ma solo privatizzazioni monopoliste.

Terenzio Longobardi ha detto...

Simone Martini, il fatto che i prezzi dei beni determinino il livello dei consumi individuali non è riduzionismo ma è un fatto empirico e, per questo motivo , le politiche ecologiste dovrebbero utilizzarli come leva per favorire comportamenti ecologicamente più sostenibili.
Nel caso dell'acqua, come per altri beni primari, pur garantendo l'accesso a tutti, la tariffa dovrebbe essere graduata per fasce di consumi, penalizzando gli sprechi e gli usi impropri. Credo che le politiche tariffarie siano più efficaci delle politiche impositive e repressive che richiedono un apparato di controlli difficile da gestire.

Anonimo ha detto...
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