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mercoledì, agosto 31, 2011

Convenienza economica dell’efficienza energetica

Qualche anno fa mi sono imbattuto per caso, navigando su internet, in un esempio di sostituzione del riscaldamento tradizionale a metano con una pompa di calore, in una villa di circa 1000 mq. Mi divertii a calcolare, a partire dai dati dei consumi indicati nell’esempio, il risparmio di energia ottenuto attraverso la riconversione dell’impianto di riscaldamento.

Precedentemente, in un anno, la casa consumava 8000 mc. di metano, utilizzando una caldaia con rendimento dell’85%. Il nuovo impianto a pompa di calore aveva ottenuto invece consumi di energia elettrica pari a 17.500 kWh. Considerando un’efficienza del parco elettrico italiano del 40% ed applicando gli opportuni fattori di conversione (che vi risparmio), calcolai quindi che la caldaia consumava in un anno 5,82 tep (tonnellate equivalenti di petrolio), la pompa di calore 3,75 tep, quindi circa il 35% in meno.
Ipotizzando un C.O.P., coefficiente di prestazione della pompa di calore (cioè il rapporto tra energia termica consumata ed energia elettrica immessa), pari a 3 e il solito 40% di efficienza del parco elettrico, quindi una resa energetica di 1,2, ciò corrispondeva bene alle prestazioni del caso in esame.

Perciò, le pompe di calore sono il sistema di riscaldamento che consuma meno energia, anche nei confronti delle caldaie a metano più efficienti, quelle a condensazione, che hanno rese intorno al 105%. Quelle più efficienti in assoluto sono le pompe di calore geotermiche, perché prelevano calore a temperatura costante. Inoltre, l’utilizzo della pompa di calore permette di programmare un sistema energetico nazionale “tutto elettrico”, in una prospettiva di penetrazione completa al 100% delle rinnovabili. Per la cronaca, nel caso che avevo studiato era stato realizzato un sistema di pannelli fotovoltaici in grado di produrre la stessa quantità di energia consumata dalla pompa di calore.

Se si passa però agli aspetti economici della faccenda, la cosa si complica notevolmente, perché entrano in gioco i prezzi molto differenti del metano e dell’energia elettrica. Prendendo a riferimento un prezzo medio dell’energia elettrica di circa 250 euro/MWh che ricaviamo dal grafico allegato, tratto dal prezioso studio “Tredici domande sul nucleare” di Domenico Zabot e Carlo Monguzzi, stimiamo che una pompa di calore con COP 3 ci fa spendere circa 83 euro/MWh. Considerando invece un prezzo medio del metano di circa 70 euro/MWh e una caldaia a metano con rendimento 90%, il consumatore spende meno, cioè circa 77 euro/MWh.
Naturalmente, se la caldaia avesse un minore rendimento e la pompa di calore un COP 4 o superiore (come se ne trovano sempre di più sul mercato), la convenienza si invertirebbe leggermente a favore di quest’ultima, senza però riuscire a compensare i minori costi di investimento di una nuova caldaia a metano (a maggior ragione se a condensazione).

Quindi il problema italiano è il maggiore costo dell’energia elettrica rispetto ad altri paesi europei. Non è il caso qui di approfondirne i motivi, ma chi fosse interessato può iniziare a comprenderli leggendo lo studio citato poco fa.
Nel frattempo, in attesa che si risolvano questi problemi strutturali, si può provare ad incentivare fiscalmente l’installazione delle pompe di calore ed è quello che lo Stato italiano ha cercato di fare con le famose detrazioni del 55%. Ma, in questi tempi di crisi dei debiti sovrani, pare che l’attuale governo pensi di eliminarle. Da questo punto di vista, l'articolo che state leggendo mi appare come una efficace continuazione del precedente.

Concludendo, non è sufficiente che una tecnologia sia più efficiente dal punto di vista energetico per consentirne la diffusione. Entrano in gioco complessi fattori economici, politici e sociali che richiedono capacità di governo e visione strategica del futuro.

martedì, giugno 07, 2011

L'apologo della moglie che risparmia l'acqua

Mia moglie non è dichiaratamente ecologista. Però, essendo dotata di un solido rigore morale, difficilmente scende a patti nei comportamenti con le proprie convinzioni, come a volte faccio io quando, forse per pigrizia, mi abbandono a un più comodo relativismo etico. Per questo, se si convince della giustezza di uno stile di vita più conservativo nella gestione delle risorse diventa immediatamente più integralista di me.

L’altro giorno, all’arrivo dell’ennesima bolletta dell’acqua, più salata del solito (la bolletta, non l’acqua) a causa degli adeguamenti tariffari imposti dalle aziende che operano nella nostra Regione, ha deciso che da ora in poi si dovesse consumare meno acqua. Ha cominciato così a controllare che nessun rubinetto rimanesse aperto un secondo più del necessario, a innaffiare le piante con l’acqua utilizzata per lavare le verdure, a usare programmi di lavaggio degli elettrodomestici meno dispendiosi e via dicendo. Mi aspetto da un momento all’altro che inserisca un mattone nello sciacquone del bagno.

Come tutti gli apologhi, anche questa breve storiella di vita quotidiana fa riflettere e produce insegnamenti morali, sociali e politici.

Il primo insegnamento deriva dal fatto che il comportamento meno dissipativo della risorsa acqua è iniziato in corrispondenza dell’aumento tariffario. E’ un meccanismo noto nell’economia classica: l’aumento del prezzo di un bene oltre un certo livello detto prezzo marginale, determina una riduzione del suo consumo.
Quindi, in un’ottica ecologista, un minore uso di risorse limitate, scarse o vulnerabili, deve essere ottenuto con una politica dei prezzi che interiorizzi queste caratteristiche. Tutti coloro che propugnano l’accessibilità totale a un bene primario come l’acqua evitando in assoluto la crescita dei prezzi, non hanno capito nulla dell’ecologia.
L’ultimo Rapporto annuale disponibile della Commissione di Vigilanza sulle Risorse Idriche ci fa vedere che l’Italia ha uno dei livelli tariffari più bassi in Europa e nel mondo e a questo corrisponde un sistema di gestione dell’acqua inefficiente e fortemente dispersivo della risorsa (alte perdite di rete, prelievi abusivi, inadeguatezza depurativa ecc.)

Quest’ultima considerazione ci porta al secondo insegnamento dell’apologo. Il rapporto citato in precedenza, ci fornisce anche i risultati di un’indagine sulle perdite di rete degli acquedotti italiani. Esse sono molto elevate, intorno al 37%, ma ciò che colpisce maggiormente è la scarsa affidabilità del dato. Come si può vedere nel grafico allegato qui accanto, il 37% dei gestori non ha dichiarato i volumi di acqua immessi nell’acquedotto, il 49% non ha dichiarato i volumi di acqua persi durante la distribuzione (tali valori sono leggermente più bassi se si considerano esclusivamente le dichiarazioni degli affidatari del Servizio Idrico Integrato).
La Commissione infatti conclude che “Dall’analisi dei dati raccolti, si evince una realtà allarmante legata, oltre che a valori di perdite elevati, a un generalizzata scarsa consapevolezza della risorsa erogata da parte delle aziende incaricate della gestione delle reti…Si evidenzia come il rapporto tra i volumi misurati e quelli stimati subisca una inversione nel passaggio tra i volumi immessi nel sistema e quelli persi in distribuzione: ciò denota uno scadimento nel controllo della risorsa nel passaggio dalla produzione alla distribuzione….La dispersione dei dati sul territorio è considerevole anche all’interno di singole Regioni, e presenta notevoli differenze percentuali persino tra Ambiti contigui: ciò avvalora l’ipotesi di una scarsa attendibilità complessiva dei dati trasmessi…”.
Questa situazione ci suggerisce già un terzo insegnamento, ma procediamo per ordine: gli acquedotti italiani sono caratterizzati da percentuali molto elevate di dispersione e, a causa della scarsa attendibilità dei dati forniti dai gestori, probabilmente sottostimate. Ad esempio, Legambiente, in questo studio, stima al 40% il valore delle perdite di rete.
Quindi, il comportamento virtuoso dell’utente consumatore viene abbondantemente vanificato a monte dalle colossali perdite idriche di acquedotti obsoleti e la risoluzione di questo grave problema richiede ingenti investimenti da trasferire sui quadri tariffari, con conseguente aumento dei prezzi.

Il terzo insegnamento della nostra storia è che la gestione pubblica del ciclo delle acque in Italia è stata un disastro dal punto di vista di un corretto e razionale uso della risorsa. L’ingresso dei privati nella gestione delle acque in alcune realtà territoriali non sembra finora aver determinato un apprezzabile miglioramento della situazione. Il mercato dell’acqua è strutturalmente un monopolio naturale e non può giovarsi se non marginalmente dei vantaggi della concorrenza applicabili ad altri servizi di interesse pubblico. La privatizzazione, parziale o totale della gestione potrebbe ottenere qualche risultato positivo solo in presenza di alte capacità di regolazione da parte del soggetto pubblico affidatario del servizio, ma non si capisce come possano acquisire queste capacità soggetti pubblici caratterizzati in genere da inefficienza nella gestione diretta.

Il quarto e ultimo insegnamento lo ricaviamo da questo articolo di Nuova Ecologia che riferisce di uno studio di Legambiente sull’uso dell’acqua in agricoltura, secondo il quale il nostro paese sarebbe il terzo in Europa per percentuale (60%) di uso dell’acqua in questo settore che, per questo, dovrebbe avere un’attenzione prioritaria per quanto riguarda la riduzione dei consumi della risorsa idrica, rispetto agli altri due principali settori (industria 25% - civile 15%).

Concludendo, il comportamento virtuoso del consumatore potrà incidere in misura ridotta al risparmio della risorsa idrica. Gli aspetti cruciali del problema sono: livello efficiente della gestione, politiche degli investimenti e tariffarie, controllo degli usi idrici in agricoltura. Mia moglie contribuirà a migliorare il bilancio familiare, molto meno il bilancio idrico.

venerdì, maggio 13, 2011

1 milione di interventi di riqualificazione energetica in quattro anni

In questo articolo dell’anno scorso abbiamo evidenziato gli ottimi risultati anche in termini di risparmio energetico complessivo delle detrazioni fiscali del 55% per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici.

In un’intervista a Giampaolo Valentini, responsabile Enea per il 55%, disponibile sul sito dell’ente, apprendiamo ora che gli interventi negli ultimi quattro anni, secondo le stime dell’Enea, sono stati oltre 1 milione, con un picco nel 2010 (405 mila interventi). La stragrande maggioranza (il 71% del totale) sono stati effettuati negli ultimi due anni.

Gli interventi più frequenti hanno riguardato l’involucro edilizio e la sostituzione degli infissi, mentre la sostituzione degli impianti termici ha determinato i risparmi energetici maggiori.
Gli investimenti per gli interventi di efficienza energetica degli edifici ammonterebbero a circa 11,1 miliardi. L’importo totale delle minori entrate fiscali è di circa 6,1 miliardi di euro. In compenso però l’Enea stima benefici per circa 10 miliardi di euro, ottenuti grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale, entrate per il fisco per gli interventi realizzati e i prodotti utilizzati, incremento del valore degli immobili dopo gli interventi.

Secondo Valentini, in Italia il 35,2% dei consumi di energia totale dipendono dal settore residenziale e, di questi, almeno il 70% sono relativi al riscaldamento. Oggi le abitazioni italiane consumano 120-150 kWh/m2 all'anno, un livello ancora troppo alto che tuttavia con le attuali tecnologie e con le dovute accortezze costruttive, senza extra costi, potrebbe essere ridotto addirittura del 50%.

Per quanto riguarda l’altro provvedimento che incentiva l’uso efficiente dell’energia in Italia, quello relativo al mercato dei cosiddetti “certificati bianchi”, in questo articolo avevamo sintetizzato i primi risultati.

Invece, cliccando qui è possibile leggere l’ultimo Rapporto dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Il dato significativo è che tenuto conto dei titoli di efficienza energetica emessi nel periodo precedente e non annullati per le verifiche di conseguimento degli obiettivi 2005, 2006, 2007 e 2008, i TEE complessivamente disponibili al 31 maggio 2010 ammontavano a 6.645.018, pari al 102% dell’obiettivo complessivo da conseguirsi nel 2009 e così ripartiti:
- 4.884.367 di tipo I (attestanti la riduzione di consumi di energia elettrica);
- 1.438.753 di tipo II (attestanti la riduzione di consumi di gas naturale);
- 321.898 di tipo III (attestanti la riduzione di consumi di combustibili solidi, liquidi e di altri combustibili gassosi).

giovedì, novembre 11, 2010

Addio alle riqualificazioni energetiche degli edifici

L’ultima disastrosa notizia proveniente dal governo Berlusconi è la cancellazione dei fondi della finanziaria destinati per il 2011 agli interventi di riqualificazione energetica degli edifici soggetti alla detrazione fiscale del 55%. Si tratta di una misura iniqua e inspiegabile anche sul piano economico perchè negli anni di applicazione 2007 – 2010, i risultati ottenuti sono stati estremamente positivi.

Secondo il rapporto triennale dell’Enea, l’ente che gestisce il sistema di presentazione delle domande da parte dei cittadini (disponibile a questo indirizzo), alla fine del 2009 sono stati risparmiati in Italia circa 4400 GWh di energia primaria, stimabili in circa lo 0,3% dei consumi energetici finali.
Se cautelativamente manteniamo lo stesso valore del risparmio energetico ottenuto nel 2009 anche per il 2010, otterremmo un risparmio a fine 2010 di circa 6000 GW, circa lo 0,4% dei consumi energetici finali in Italia. Un risultato che, visto in una prospettiva di lungo termine, è sicuramente apprezzabile, anche per quanto riguarda il risparmio di emissioni di CO2, valutato dall’Enea nel triennio in circa 1 Mton.

Ma anche dal punto di vista economico la misura è da considerarsi positiva in quanto nel triennio sono stati attivati complessivamente investimenti per circa 9 miliardi (circa 8 dai privati, con una stima di circa 11 al 2010). E il costo dell’intera operazione per le casse dello Stato è quantomeno molto inferiore alle risorse effettivamente stanziate, perché il provvedimento ha prodotto lavori che altrimenti non si sarebbero svolti e determinato un emersione dal lavoro nero, con conseguente incremento delle entrate tributarie. Inoltre, come correttamente riportato in questo articolo del Sole 24 Ore, bisognerebbe considerare anche gli effetti economici indiretti.
“Secondo i dati anticipati in un recente convegno, il Cresme calcola che il bilancio al 2015 del 55% sia positivo per il sistema-paese, grazie ai risparmi sulla bolletta energetica nazionale, all'incremento del reddito immobiliare che i proprietari potrebbero ricavare affittando le case riqualificate e, infine, alle maggiori entrate per il fisco (nell'ipotesi che i soldi restituiti agli 800mila beneficiari della detrazione siano subito spesi e alimentino nuove imposte). E questo senza quantificare altre ricadute socio-economiche, come il sostegno all'occupazione in una fase di difficoltà per l'edilizia.”

La situazione economica generale richiede certamente una razionalizzazione della spesa pubblica, ma ciò dovrebbe avvenire attraverso una riallocazione delle spese improduttive verso attività utili e maggiormente efficienti sul piano economico ed energetico. Un governo in evidente stato confusionale sta seguendo la strada opposta.

sabato, marzo 21, 2009

Il risparmio energetico come forma pregiata di volontariato



Quando si parla di volontariato, spesso ci si riferisce a scelte personali di varia forma, che dovrebbero (sottolineo il condizionale) essere dettate da criteri di gratuità. Si pensi ad attività di animazione in ospedali e case di riposo, organizzazione negli oratori, visite alle carceri, donazione di sangue solo per citarne alcune. Sono tutte forme pregiate di interazione con la società.

Ora, quando parliamo di risparmio energetico, il più delle volte viene pensato come una forma di tirchieria, o di convenienza. Nulla di più falso. Almeno, nella sua connotazione "sana".

Risparmiare energia e materia, e studiare forme migliori di trasformazione/utilizzo costituisce una forma (un po' nuova, forse) di volontariato, anch'essa pregiata. Come ogni volontariato, molte volte può richiedere dei piccoli "sforzi" per vincere le abitudini consumistiche, andare contro la maggioranza, dedicare il tempo e il denaro necessario per documentarsi, ideare, attuare, comunicare. Naturalmente, non deve essere una cosa fatta "contro natura", e ognuno dovrebbe scegliere di volta in volta le proprie azioni di miglioramento, nel caso fosse interessato a questa via.

Puntare al "tutto e subito", come ogni cosa, comporterebbe un inevitabile scontro con un sistema di meccanismi consolidato, con un'inerzia elevatissima.

A me ad esempio piacerebbe fare un sacco di cose, traendo ispirazione da idee e azioni di altri blogger. Ma mi rendo conto che ci sono alcuni limiti contingenti. Al lavoro continuo ad andare in auto (26 km di distanza), e vorrei procurarmi un mezzo elettrico; continuo a riscaldare la casa a gas, e vorrei passare ad altre tecnologie; continuo ad acquistare insaccati avvolti in carta oleata, e vorrei dotarmi di contenitori lavabili da riutilizzare ogni volta. Però, mi devo accontentare di andare con il mio passo e di gioire di ogni piccola conquista quotidiana.

Il risparmio energetico e l'anticonsumismo (che non vuol dire dissipazione=zero, vietata dalla termodinamica) sono scelte che se attuate in modo massivo possono avere effetti positivi anche a lunghissimo raggio, contribuendo alla stabilizzazione di dinamiche che sembrano sfuggire dal nostro controllo.

Per essere brevi, nel '900 gli Stati "sviluppati" sono riusciti gradatamente ad allontanare alcuni spettri (fame, carestie, povertà) grazie alla notevole e crescente disponibilità energetica e di materie prime. Non è un caso che i Paesi che non hanno potuto (o, meglio, non è stato loro permesso) partecipare al "banchetto" - essendo la torta "finita" - sono cresciuti molto più lentamente o, peggio, hanno visto aumentare la loro povertà.

Ora che la torta sta effettivamente perdendo di consistenza anche per noi, forse, avremo modo di verificare questa semplice ma troppo trascurata teoria.

sabato, gennaio 03, 2009

Riscaldarsi alla giapponese

Il "kotatsu", tavolino giapponese riscaldato all'interno, qui in una sua versione molto moderna.


Mi ricordo benissimo di come si faceva a scaldarsi a casa di mia nonna molti anni fa. Non c'era il riscaldamento centrale e nemmeno stufe; ho in mente l'immagine di mia zia che riempiva uno "scaldino" di ceramica con brace raccolta dalla cucina economica. Poi metteva lo scaldino sotto la sedia e avvolgeva sedia, scaldino e se stessa in una coperta. Mi ricordo di averlo fatto anch'io qualche volta, anche se da piccolo non mi era consentito toccare la brace. Ma vi posso dire che si stava che era una meraviglia.

E' un bel concetto quello di scaldare soltanto il volume intorno alla persona. L'ho ritrovato molti anni dopo quando ho abitato in Giappone durante un intero inverno. Questo è avvenuto svariati anni fa, ma mi dicono che le cose non sono molto cambiate oggi: gli edifici in Giappone hanno pareti sottili, niente doppi vetri, non c'è quasi mai il riscaldamento centrale. Per scaldare si usano più che altro pompe di calore elettriche. Sono abbastanza efficienti ma in un inverno a Tokyo, col freddo che fa, tenere accesi questi aggeggi al massimo tutto il tempo è rovinoso dal punto di vista economico. Questo non succede solo nelle case private; mi ricordo che anche all'università faceva un freddo vigliacco e che gli studenti si scaldavano con stufe di fortuna di vario tipo.

Non che ai Giapponesi manchino le capacità o le risorse di scaldare le case. Soltanto, mi è parso di capire che non gli interessa molto. Probabilmente è il risultato di un'antica tradizione; per i Giapponesi, in qualche modo, non c'è una gran differenza fra l'interno e l'esterno della casa. Se è freddo fuori, è giusto che in casa uno se ne accorga.

Questo non vuol dire che i Giapponesi siano dei masochisti; in effetti c'è un metodo tradizionale per scaldarsi in casa, il kotatsu, che gioca un po' il ruolo culturale del nostro caminetto (che non esiste in Giappone). Non è un attrezzo che si usa tutti i giorni, ma è ancora abbastanza comune nelle case.

Il kotatsu è semplicemente un tavolo basso "vestito" con una coperta tutta intorno. All'interno, c'è un riscaldatore; una volta era a legna, oggi è elettrico. Ci si siede intorno al kotatsu; nella versione tradizionale sopra dei cuscini, in quelle più moderne su delle sedie basse che danno appoggio alla schiena. Le gambe stanno sotto la coperta, al caldo. Il risultato è un bel riscaldamento della parte inferiore del corpo, mentre il resto può tendere al congelamento. Nella pratica, la cosa è molto più piacevole di quanto non si pensi: dalla mia esperienza sembra che la circolazione del sangue distribuisca abbastanza bene il calore dalle gambe al resto del corpo.

Per cui, seduti intorno al kotatsu, si sta divinamente. Di solito ci si siede con gli amici o in famiglia. Si può mangiare, bere saké, fumare, giocare a carte, guardare la televisione, tipicamente si mangiano i mikan, dei mandarini un po' aspri che vanno molto di moda in Giappone in inverno. Nella versione moderna, sono sicuro che il kotatsu è ideale per metterci sopra il notebook e lavorare senza farsi venire il freddo ai piedi (come sta succedendo a me in questo momento, mentre scrivo questo post). Inoltre, il kotatsu è la materializzazione del paradiso per i gatti di casa che ci si trasferiscono in pianta stabile. Il tutto richiede solo l'energia di una lampadina a infrarossi da 400 W che è regolata da un termostato e quindi neanche opera a tutta potenza tutto il tempo.

Il kotatsu rimane una cosa tipicamente giapponese, anche se mi dicono che ne esiste una versione simile in Iran. Volendo, se ne può importare uno dal Giappone, ma la cosa è complessa e costosa. Sto giocherellando con l'idea di costruirmene uno, cosa non difficile. Il problema è che, se sono sicuro che piacerebbe moltissimo ai miei gatti, non è detto che sia lo stesso per gli umani in famiglia.

Più che altro, il kotatsu è un concetto culturalmente alieno al modo di pensare che abbiamo oggi per quanto riguarda il comfort domestico; ovvero quello di riscaldare uniformemente tutta la casa. Se ci pensate, è un concetto un po' buffo; sarebbe come dover sempre tenere tutte le luci accese in tutte le stanze. Certo, tornare agli scaldini oggi sarebbe considerato cosa un po' strana. Però, spigolando su internet, ho trovato qualcosa che ha a che fare con l'idea di scaldare per irraggiamento solo certe aree della casa. Non so dirvi se questo sistema funzioni bene - non l'ho provato e non voglio fare pubblicità a nessuno. Ve lo cito soltanto come un'idea che mi sembra interessante e che è un modo di pensare sostanzialmente diverso da quello comune oggi.

A mio parere, la questione del riscaldamento domestico è una cosa ancora tutta da scoprire in un mondo in cui ci muoviamo verso una disponibilità più ridotta di energia. La soluzione a cui stiamo tendendo in occidente è quella di sigillare le case e isolarle dall'ambiente esterno al massimo possibile. In principio, è una buona idea, ma può darsi che ci siano altre soluzioni basate su "filosofie" differenti. Lo vedremo col tempo.


Un kotatsu del 1890, circa. Questo era riscaldato a carbone di legna, ma il concetto non è cambiato da allora. Da www.oldphotosjapan.com

Il kotatsu è comune nella vita quotidiana giapponese. Qui in una versione "manga".

venerdì, dicembre 05, 2008

Cthulhu contro il risparmio energetico

Cthulhu: il progenitore dei malvagi "Grandi Antichi" nella cosmogonia fantastica dello scrittore dell'orrore H.P. Lovecraft.

In un post precedente intitolato "Cthulhu contro il fotovoltaico" avevo ragionato che certi provvedimenti legislativi che si sono visti ultimamente in Italia sembrano opera non di esseri umani, ma di creature di superiore malvagità tipo, appunto, Cthulhu in persona. Sembrerebbe che, per fortuna, le interpretazioni peggiori che avevo dato in quel post non fossero giustificate e che il provvedimento sul fotovoltaico che criticavo si riduca soltanto a un'inutile perdita di tempo per gli utenti. In questi giorni, tuttavia, Cthulhu si rifà vivo con un nuovo provvedimento che, in effetti, non sembrerebbe spiegabile come opera di normali esseri umani. Si tratta della della norma che rende più difficile (in pratica impossibile) ottenere sgravi fiscali per gli interventi di risparmio ed efficienza energetica sugli edifici. La norma è stata definita correttamente una "picconata" su "Repubblica"

Ho detto più di una volta di essere contrario agli incentivi "a pioggia". A mio parere, ci si dovrebbe limitare a sostenere soltanto poche tecnologie importanti per il futuro che, altrimenti, stenterebbero oggi a svilupparsi; è il caso del fotovoltaico. Per tecnologie che già danno buoni risultati in termini economici, come gli interventi sul risparmio energetico, perché dovremmo dare incentivi? Si rischia di finanziare interventi inutili, si crea una dipendenza del mercato e poi, come succede oggi, se si cambiano le regole si fanno dei grossi danni. In più, spesso la burocrazia associata agli incentivi agisce come una efficace barriera agli internventi che - teoricamente - gli incentivi dovrebbero favorire.

In questo caso, comunque, gli sgravi fiscali sugli interventi di risparmio energetico erano stati fatti e avevano creato un mercato e messo in moto delle forze economiche di una certa entità. Se il governo riteneva di aver esagerato con gli sgravi, l'intervento andava fatto con un minimo di gradualità per non danneggiare un settore economico esistente e scoraggiare gli investimenti. Non ci mancava altro che creare una nuova crisi!

Come minimo, avrebbero potuto dire, "scusate, non ci sono più soldi, da oggi gli sgravi li riduciamo gradualmente; con l'idea di abolirli fra x anni". Così uno faceva i suoi conti e poteva decidere se fare gli interventi o no. No. invece hanno usato la piena logica Cthulhiana lasciando tutto nell'incertezza e dicendo: "Gli sgravi ci sono ancora, però dovete fare domanda all'Agenzia delle Entrate. Ah....incidentalmente, la domanda ve la possiamo rifiutare senza nemmeno dovervi spiegare perché"

Bene; ammesso che uno abbia voglia di provare a presentare la domanda per gli sgravi, dalla mia esperienza precedente con l'Agenzia delle Entrate mi vedo già lunghe code agli sportelli, moduli incomprensibili, istruzioni incomplete e impiegati incompetenti. Una meravigliosa prospettiva di perdere giornate intere senza nessuna garanzia di successo. Un modo perfetto di scoraggiare gli investimenti in questo settore.

Cthulhu, in silenzio, lavora contro di noi.


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Ah.... visto che sono a parlare dell'Agenzia delle Entrate, vi passo un raccontino di una cosa che mi è successa proprio stamattina. Vi dovrebbe dare una buona idea dell'efficienza di questo ente al quale dovremmo rivolgerci per avere l'approvazione/disapprovazione (silenziosa) della richiesta di sgravi per il risparmio energetico.

L'altro giorno mi è arrivata una lettera quasi completamente incomprensibile
dall'agenzia, ma dalla quale si evinceva che che io e mio padre dovevamo pagare xy dovuti + multa di cento euro + altre cose strane in relazione alla dichiarazione di successione per la morte di mia madre. La lettera specificava che la cifra è dovuta "in solido", cosa che ha molto spaventato mio padre che non aveva capito cosa vuol dire "in solido".

Premsso che cosa voglia dire "in solido" non lo sapevo nemmeno io, sono stato stamattina all'Agenzia per cercare di capire cosa volevano. Riporto più o meno il dialogo che si è svolto poche ore fa.

Funzionario: Caro signore, lei non ha pagato la cifra dovuta al rigo X della pagina Y della dichiarazione di successione.
Io: Ma avevo fatto vedere la dichiarazione al vostro impiegato allo sportello e lui mi aveva detto che non bisognava pagarla.
F: Sa, allo sportello sono ragazzi, queste cose non le sanno.
I: Allora la dovrebbero pagare loro la multa di cento euro.
F. (sorride) He, he........


domenica, novembre 09, 2008

Abitudini, inerzie e altre patologie / 3 : il paradosso del frigorifero


Nella foto possiamo ammirare la Sacra di S. Michele, monumento simbolo della regione Piemonte.
Qualche mese fa l'ho visitata e, tra le altre cose di enorme interesse storico e architettonico, mi ha colpito la "ghiacciaia". Si tratta di una piccola cantinetta seminterrata, esposta a nord e caratterizzata da muri molto spessi, nella quale i monaci conservavano i cibi. Dall'autunno in poi si introduceva della neve compattata, in modo da avere un effetto frigorifero. La posizione e l'isolamento della ghiacciaia permettevano il mantenimento del ghiaccio (dunque, delle temperature idonee alla conservazione) fino ai mesi di maggio-giugno.

Costo energetico di gestione: ZERO (a meno dell'energia & tempo impiegati per l'approvigionamento della neve).

Su Ecoblog, tempo fa si era parlato di "FRIA, il frigo che prendeva il fresco da fuori". A me sembra un'idea tanto intelligente quanto semplice, il tutto al punto che commercialmente non ho trovato nulla, almeno in italiano.

Cosa di meglio di una cella che utilizzi le frigorie dell'ambiente esterno nei mesi freddi, e che sfrutti energia rinnovabile per la produzione del freddo nei mesi più caldi? Sarebbe l'unione dei metodi dei monaci con le nuove tecnologie.

Ma forse chiedo troppo: l'abitudine ad avere il frigorifero sempre "plugged", la comodità di non dover uscire fuori per movimentare i viveri è un muro psicologico che lascia intentate le idee più ovvie.


Due anni fa ho rottamato un frigorifero di 20 anni, acquistandone uno più piccolino, in classe A+. Energia media annua assorbita 227 kWh. E' qualcosa, ma possiamo fare di più.

martedì, settembre 23, 2008

Ecologia ed economia domestiche

Ragioni morali collegate alle conseguenze dei cambiamenti climatici e ragioni economiche derivanti dagli alti prezzi dell’energia, inducono sempre più persone a porsi il problema di come contenere i propri consumi energetici. In un precedente articolo, ho mostrato un grafico tratto da un’analisi dell’Enea che stima nel 70% del totale, il consumo di energia dovuto alla climatizzazione invernale delle famiglie italiane. E’ quindi in questo settore che dovrebbero concentrarsi i maggiori sforzi privati e pubblici. Nello stesso articolo indicavo, sulla scorta dell’esperienza personale alcuni interventi da realizzare sull’involucro edilizio per raggiungere questi obiettivi. Oltre all’isolamento termico dell’edificio è naturalmente consigliabile anche l’adozione di sistemi più efficienti di generazione del calore, come le caldaie a condensazione, le pompe di calore, ecc., o l’uso di fonti rinnovabili come le micro-pompe geotermiche.

In questa sede voglio però soffermarmi sui consumi domestici di energia elettrica, sui quali l’opinione pubblica sembra concentrare la maggiore attenzione, ma che rappresentano nell'elaborazione Enea citata, appena il 15% dei consumi energetici domestici. Come abbiamo visto in quest’altro mio articolo, l’energia elettrica prodotta in Italia, rappresenta il 35% del Consumo Interno Lordo di energia. Poco meno del 50% dell’energia elettrica consumata è utilizzata dalle attività industriali e meno del 50% è diviso tra il terziario e le residenze, con quest'ultime che coprono una quota di poco superiore al 20%. Quindi, quando parliamo dei consumi di energia elettrica delle famiglie italiane, ci riferiamo a meno del 10% del Consumo Interno Lordo di energia.

In questo grafico elaborato dal Politecnico di Milano (ho aggiunto a destra il contributo percentuale per ogni elettrodomestico), vediamo rappresentata efficacemente la ripartizione dei consumi elettrici residenziali. Osserviamo che:



1) il 44% di questi consumi è rappresentato dalla conservazione degli alimenti e quindi in questo settore sono possibili i maggiori risparmi. Consiglio innanzitutto di evitare l’acquisto di grandi quanto inutili congelatori stile macelleria in cui conservare quantità industriali di prodotti alimentari, da dopo fall-out nucleare. E’ opportuno invece dotarsi di piccoli frigoriferi dimensionati per prodotti freschi da acquistare quotidianamente. E naturalmente, di classe elevata per quanto riguarda la certificazione energetica. Per i più integralisti propongo lo spegnimento invernale dell’impianto, attrezzando all’uopo una dispensa sul terrazzino di casa.

2) Un posto non marginale in classifica è occupato dallo stand-by, con il 14%, cioè tutte quelle lucine degli elettrodomestici che lasciamo colpevolmente accese durante il giorno e, in particolare la notte. Consiglio l’adozione della cosiddetta “ciabatta” con pulsante, a cui collegare gruppi di elettrodomestici. Un clic prima di andare a dormire e il problema è risolto.

3) L’illuminazione dei locali, consuma l’11% dell’energia elettrica residenziale. In questo settore si è concentrato il maggiore interesse mediatico e quindi delle famiglie. Oltre alle consuete lampadine a fluorescenza che abbattono del 75% i consumi, non sarebbe male ricordarsi di spegnere le luci quando ci si sposta da una stanza all’altra. Per i più distratti e tecnologicamente fissati, è possibile ricorrere ai sensori di spegnimento automatico delle luci.

4) Per quanto riguarda lavatrici e lavastoviglie, che complessivamente consumano il 17% dell’elettricità nelle case, vale ovviamente la stessa precauzione d’acquisto relativa alla certificazione energetica elevata valida per tutti gli altri elettrodomestici. Un accorgimento più sofisticato consiste nel collegare l’acqua calda prodotta con un pannello solare termico alla presa dell’acqua sia della lavatrice che della lavastoviglie. Considerando che una parte consistente dell’energia elettrica consumata da questi elettrodomestici viene usata per alzare la temperatura di lavaggio, vi posso assicurare che i risparmi, almeno nei mesi estivi, sono consistenti.

5) Infine, dulcis in fundo, rimangono gli audiovisivi e i computer, che complessivamente coprono il 14% dei consumi. Qui, mi permetto un immodesto consiglio personale. Tenete spenta la televisione, tanto non serve a niente e accendete il computer, così potrete leggere articoli come questo.


Ringrazio Debora Billi che in una pagina del suo blog mi ha dato lo spunto per questa riflessione semiseria.

giovedì, maggio 01, 2008

L'impronta automobilistica: pianificare per migliorare



Nel post di qualche giorno fa si era parlato brevemente della storia dell'automobile, e del suo sviluppo tumultuoso che ha condotto all'attuale rapporto di dipendenza tra l'Uomo e quello che era stato concepito come un mezzo.

Ora, sulla scia dei rincari dei carburanti, la stampa economica pubblica semplici accorgimenti su "Come guidare in modo sostenibile e risparmiare". A ben leggere, si tratta dei "trucchi" che i nostri padri e nonni adottavano 50 anni fa.

Allora, come la maggior parte dei lettori saprà, per ridurre l'impronta automobilistica (intesa innanzitutto in senso eco-energetico, e a seguire in senso economico) del guidatore di oggi ci sono tre regole d'oro:

1. effettuare la corretta manutenzione (fluidi, pressione pneumatici, sistema di alimentazione, carrozzeria ...)
2. limitare i consumi "intrinseci"
3. guidare in modo "smoothing".

Assumendo che il primo punto (manutenzione) sia soddisfatto dai più, esaminiamo un attimino il secondo.

I consumi "intrinseci" sono legati allo "stato dinamico" del mezzo in un certo istante. Migliorano con:
- la riduzione dei pesi inutili
- l'abbattimento degli attriti con l'aria, a parità di velocità (carichi sul tetto, finestrini abbassati...)
- la riduzione dell'assorbimento di batteria da parte dell'impianto elettrico. E' consigliabile spegnere riscaldamento, condizionatori, autoradio, proiettori ... in caso di inutilità
- l'utilizzo, appena possibile, di marce alte, in modo da evitare regimi inefficienti del motore, mantenendolo così in "coppia massima" [combinando questo punto con quello più sopra sugli attriti, si evince che la maggior parte dei veicoli di media-piccola cilindrata minimizzano il loro consumo intorno agli 80 km/h, per strade extraurbane in piano]

Concludo ora con il punto 3. La guida "smoothing" è uno stile "liscio", nel senso di dolce e fluido. Per immaginarlo meglio, è l'esatto opposto della guida in pista (formula 1, rally ...). Si tratta di minimizzare le variazioni di velocità. Accelerazioni/decelerazioni molto dolci, con uso limitato del freno (non a scapito della sicurezza ... :-D ) , velocità di crociera a marcia alta conportano buoni risparmi.
Poichè, oggi più che mai, la guida non è quasi mai "solitaria", diventa indispensabile adottare uno stile cooperativo, che non si contrapponga al traffico ma vi si adatti. Una guida, cioè, anticipatoria, galante e difensiva, in modo da minimizzare gli "stop & go". Con lo stesso senso civico, ci possiamo ricordare che anche spegnere il motore in caso di attese superiori al minuto aiuta.
Ultime considerazioni. Per ora la stampa "ufficiale" ne parla poco, se non per azioni-simbolo (stop del traffico etc.), ma la forma di risparmio più "potente" è quella di usare l'auto quando serve! Tragitti superiori a 6 km, ad esempio, e/o con pesi importanti, condizioni meteo avverse, persone con problemi di deambulazione ...
Altro importantissimo modo per ridurre l'impronta automobilistica: orientarsi su piccole cilindrate, condividere l'auto con altri, e "lasciarla" vivere per tutta la sua vita media (20 anni, e/o 300.000 km, se sono rispettatele modalità di cui sopra).
Queste ultime considerazioni cozzano con la logica dei SUV e dell'invasione dei mercati, e anche con alcuni punti del sistema legislativo. Tuttavia, difficilmente questi "dogmi" potranno reggere il confronto con la termodinamica.


[I commentatori e i lettori che lo desiderano, possono inviare materiale che ritengono interessante per la discussione a franco.galvagno@gmail.com. Esso potrà essere rielaborato oppure pubblicato tal quale (nel caso di post già pronti), sempre con il riferimento dell'autore/contributore]