created by Mirco Rossi
Nota: questo post riporta le impressioni di alcuni Aspisti che hanno seguito il convegno "Il Futuro dell’ Energia", con relatore Leonardo Maugeri, tenutosi il 24 aprile scorso, presso l'Università degli Studi di Padova.
L’idea che uno sparuto gruppo di aspisti possa confrontarsi, magari solo su qualche punto s’intende, con il portabandiera delle felici sorti e progressive del petrolio (Leonardo Maugeri, due lauree – non meglio precisate -, un dottorato di ricerca, specializzazione in economia internazionale e dell'energia, scrittore, amministratore o membro di numerose agenzie internazionali, attuale Direttore Strategie e Sviluppo dell'Eni) è sempre molto accattivante. In particolare quando l’intento rifugge dalla polemica e il luogo è uno dei gotha della tecnicality italiana, la facoltà d’ingegneria di Padova.
L’occasione diventa ancor più ghiotta perché realizza il felice concreto incontro di alcune persone, in qualche misura sature di leggere i reciproci pensieri su un display a cristalli liquidi sotto le sigle RG o NTE. Anche il titolo dell’iniziativa “Il futuro dell’energia” promette ampie praterie da esplorare.
Avevo (da aspista solitario) ascoltato un mese fa Maugeri a Venezia quando presentò alla Fondazione Querini-Stampalia il suo libro “Con tutta l’energia possibile”. Ero uno dei pochi che tra il pubblico (molto paludato) ascoltava le sue parole dopo aver già letto il libro trovandole di analogo tenore: testimonianze di un approccio al tema piuttosto serio, ben più problematico di quanto risultasse negli scritti precedenti.
Pur non avendo ovviamente condiviso alcune conclusioni avevo apprezzato, oltre all’accentuazione di una strategia rivolta a promuovere l’efficienza e la ricerca, la novità di una forte sottolineatura sulla necessità di sviluppare, quanto più velocemente possibile, il solare per far fronte, nella misura del possibile, all’inevitabile – indefinito ed indefinibile, ma certo – declino del petrolio. Un declino lontano, lontano, ma che non era possibile negare in termini di principio.
Seduto dietro le file di cattedratici e attorniato da una folta schiera di quasi ingegneri, a Padova, con gli altri tre seguaci di “bardi & pardi”, mi aspetto una prolusione dalle caratteristiche spiccatamente tecno-scientifiche o perlomeno all’altezza di un pubblico abituato a cercare risposte coerenti a interrogativi di una certa consistenza.
L’inizio sembra non iniziare mai, tanto a lungo si protrae una premessa che punta a mettere (giustamente) sotto accusa la disinformazione che vari personaggi (a parte Rifkin, rimasti innominati), quali inesauribili cornucopie, propagano a ogni “talk-show sospinto”.
Con un argomentare molto discorsivo, colloquiale, poco strutturato, questa doverosa distinzione tra il grano e il loglio crea però (volutamente?) un effetto “rasoio di Occam” definendo un confine oltre il quale chiunque la pensi diversamente dall’oratore-attore è un “personaggio” di credibilità nulla.
Un espediente dialettico che, se voluto, non potrebbe aver avuto miglior effetto.
Il piatto forte arriva al momento in cui l’oratore, forte dell’autorevolezza riconosciutasi, conferma l’idea di un pianeta ancora ricchissimo di olio nascosto, la cui eventuale scarsità dipende da mancate ricerche, da stime sbagliate o è pura fantasia immaginativa.
Alla sala viene offerto l’esempio di un giacimento che, non so se unico nel suo genere, ha saputo smentire tutte le cassandre che più volte nel corso di un secolo lo davano per esaurito, facendo riaffiorare dalla mia memoria l’antico racconto di una festa di nozze in Palestina, allietata da botti di vino che non finivano mai offrire il loro nettare.
Probabilmente l’oratore ritiene che tra il pubblico molti siano convinti che nel giro di qualche anno si resterà senza petrolio e che non esistano più ampi e consistenti giacimenti in attesa di essere individuati. Tuttavia, piuttosto che dedicarsi a orizzonti di prospettiva, sceglie di muoversi nelle sabbie delle negatività, dei falsi miti, dell’insipienza e dell’ignoranza della classe politica, dei venditori di fumo, delle credenze, delle bugie che misconoscono quella che a suo giudizio è una parlante verità: l’umanità non ha nulla di che preoccuparsi, il petrolio è ancor abbondantissimo e basta decidere di tirarlo fuori.
Abbiamo le tecnologie, anche se poi ogni tanto mancano i soldi e scarseggia la volontà degli investitori a fare il loro mestiere. Certo, il prezzo è tanto decisivo quanto sostanzialmente indipendente dalla volontà dei petrolieri, dei politici, degli economisti e dei futurologi. Dipende dal mercato … che dipende dalla produzione … che dipende dalla ricerca … che dipende dal prezzo …
Come quelli per trovare nuovo olio anche gli investimenti sul solare e sulle rinnovabili dipendono dal prezzo del petrolio. Ma l’ENI ha deciso di mantenere il livello di investimenti invariato su entrambi i fronti, anche in questa fase in cui il prezzo del barile è sceso tra quaranta e cinquanta dollari (in apparenza molto basso ma in effetti molto alto, spiegherà successivamente!). Questo sarebbe l’atteggiamento virtuoso che permetterebbe di risolvere gli storici sfasamenti che si determinano tra i picchi di domanda e la bassa capacità produttiva di petrolio. Peccato che ENI sia solo uno tra i vari componenti del gruppo di imprese private che oggi al mondo dispone in complesso di un misero qualche percento delle riserve petrolifere. E sia l’unica, a quanto sembra, a remare sia a favore che contro vento.
In questa direzione l’Eni si farà portatrice di una proposta al prossimo G8 sull’energia affinché si realizzi un fondo mondiale, d’intesa tra aziende produttrici e paesi produttori (quelli che hanno la quasi completa disponibilità delle riserve di petrolio), finanziato con una frazione delle accise sui carburanti, avente l’obiettivo di garantire la costante ricerca di nuovi pozzi. Si creerebbe così una riserva “cuscinetto” di capacità produttiva in grado di mantenere stabile e sotto controllo la produzione mondiale e il prezzo del barile.
Quindi fiducia cieca sul petrolio, con un deferente pensiero al solare (l’eolico non ha molte prospettive: è buono ma lo si può fare solo dove c’è vento!) ma non a quello silicio-dipendente (oggi troppo largamente pubblicizzato) che non offre alcuna seria prospettiva e che è inutile voler produrre in occidente o in Italia: quello cinese, prodotto con l’impiego di bambini e spargendo tetracloruro di silicio per i campi, soppianterà tutte le altre produzioni. Bisogna attendere quello che prima o poi le ricerche dell’Eni riusciranno realizzare e che farà fare al processo uno o due salti di scala. Allora sì che varrà la pena mettere i pannelli sui tetti … e i costruttori di pannelli cinesi chiuderanno bottega.
Tra aspisti ci si guarda ogni tanto, scambiando espressioni di inevitabile delusione. Io soprattutto appaio più abbacchiato degli altri per le aspettative che mi ero portato dall’esperienza precedente. Ero venuto per ascoltare le parole di un esperto, di uno studioso disposto a misurarsi anche con idee diverse: ho trovato un petroliere illuminato, un dirigente attento all’azienda, all’informazione, con molte più certezze che dubbi “scientificamente fondati” sul futuro e che mi ha dato la sensazione di aver scelto in questa fase la strategia dell’arrocco.
Arriva però il momento del dibattito. Parte qualche richiesta di chiarimento (vengono definitivamente affossati Rifking, il progetto della centrale a idrogeno di Enel e dell’impianto ad alghe di Bordon e Costa a Porto Marghera) sino a che il microfono arriva a Emilio che pone il problema della teoria di Hubbert. Si scatena una risposta di imprevista violenza che non fa prigionieri: Campbell è sostanzialmente un cialtrone che sfrutta la credibilità che gli deriva dall’essere un geologo che ha lavorato a lungo alla ricerca di petrolio e che più volte ha dovuto rettificare a posteriori quelle che aveva spacciato come date precise di “peak oil”; i suoi seguaci sono degni di lui e non posseggono, come la teoria, la minima dignità scientifica. Eppure Emilio aveva usato guanti bianchi e profumati nel porgere le proprie argomentazioni.
Rilancio subito dopo chiedendo se cortesemente può illustrare alcuni dati relativi al ritorno energetico ed economico degli investimenti tesi alla ricerca di nuovi pozzi, mettendo in relazione quelli riscontrati nei periodi iniziali dell’epoca del petrolio a quelli attuali.
Ho così imparato che ci sono varie modalità per finanziare questi investimenti e che esse sono oggetto di contrattazione tra paesi proprietari del terreno (e di ciò che c’è sotto) e le imprese che possiedono il know how e le tecnologie estrattive. In questo contesto ci è stato chiarito che talvolta Eni guadagna poco. Nulla ho potuto ascoltare in merito a quanto richiesto, cioè all’EROI e ai tempi di ritorno degli investimenti; ho invece appreso che il miglior paese dove buttare soldi per la ricerca petrolifera sono gli USA, perché qui il cercatore diventa proprietario del giacimento individuato.
Al termine, nell’alzarci al momento del corale applauso della platea, qualcuno di noi ipotizza di riproporgli le due domande in privato. E mal gliene incoglie: uno sguardo d’intesa basta e senza più incertezze ci dirigiamo a passi veloci a sollevare l’EROI della nostra esperienza con i pasticcini del buffet.
L’occasione diventa ancor più ghiotta perché realizza il felice concreto incontro di alcune persone, in qualche misura sature di leggere i reciproci pensieri su un display a cristalli liquidi sotto le sigle RG o NTE. Anche il titolo dell’iniziativa “Il futuro dell’energia” promette ampie praterie da esplorare.
Avevo (da aspista solitario) ascoltato un mese fa Maugeri a Venezia quando presentò alla Fondazione Querini-Stampalia il suo libro “Con tutta l’energia possibile”. Ero uno dei pochi che tra il pubblico (molto paludato) ascoltava le sue parole dopo aver già letto il libro trovandole di analogo tenore: testimonianze di un approccio al tema piuttosto serio, ben più problematico di quanto risultasse negli scritti precedenti.
Pur non avendo ovviamente condiviso alcune conclusioni avevo apprezzato, oltre all’accentuazione di una strategia rivolta a promuovere l’efficienza e la ricerca, la novità di una forte sottolineatura sulla necessità di sviluppare, quanto più velocemente possibile, il solare per far fronte, nella misura del possibile, all’inevitabile – indefinito ed indefinibile, ma certo – declino del petrolio. Un declino lontano, lontano, ma che non era possibile negare in termini di principio.
Seduto dietro le file di cattedratici e attorniato da una folta schiera di quasi ingegneri, a Padova, con gli altri tre seguaci di “bardi & pardi”, mi aspetto una prolusione dalle caratteristiche spiccatamente tecno-scientifiche o perlomeno all’altezza di un pubblico abituato a cercare risposte coerenti a interrogativi di una certa consistenza.
L’inizio sembra non iniziare mai, tanto a lungo si protrae una premessa che punta a mettere (giustamente) sotto accusa la disinformazione che vari personaggi (a parte Rifkin, rimasti innominati), quali inesauribili cornucopie, propagano a ogni “talk-show sospinto”.
Con un argomentare molto discorsivo, colloquiale, poco strutturato, questa doverosa distinzione tra il grano e il loglio crea però (volutamente?) un effetto “rasoio di Occam” definendo un confine oltre il quale chiunque la pensi diversamente dall’oratore-attore è un “personaggio” di credibilità nulla.
Un espediente dialettico che, se voluto, non potrebbe aver avuto miglior effetto.
Il piatto forte arriva al momento in cui l’oratore, forte dell’autorevolezza riconosciutasi, conferma l’idea di un pianeta ancora ricchissimo di olio nascosto, la cui eventuale scarsità dipende da mancate ricerche, da stime sbagliate o è pura fantasia immaginativa.
Alla sala viene offerto l’esempio di un giacimento che, non so se unico nel suo genere, ha saputo smentire tutte le cassandre che più volte nel corso di un secolo lo davano per esaurito, facendo riaffiorare dalla mia memoria l’antico racconto di una festa di nozze in Palestina, allietata da botti di vino che non finivano mai offrire il loro nettare.
Probabilmente l’oratore ritiene che tra il pubblico molti siano convinti che nel giro di qualche anno si resterà senza petrolio e che non esistano più ampi e consistenti giacimenti in attesa di essere individuati. Tuttavia, piuttosto che dedicarsi a orizzonti di prospettiva, sceglie di muoversi nelle sabbie delle negatività, dei falsi miti, dell’insipienza e dell’ignoranza della classe politica, dei venditori di fumo, delle credenze, delle bugie che misconoscono quella che a suo giudizio è una parlante verità: l’umanità non ha nulla di che preoccuparsi, il petrolio è ancor abbondantissimo e basta decidere di tirarlo fuori.
Abbiamo le tecnologie, anche se poi ogni tanto mancano i soldi e scarseggia la volontà degli investitori a fare il loro mestiere. Certo, il prezzo è tanto decisivo quanto sostanzialmente indipendente dalla volontà dei petrolieri, dei politici, degli economisti e dei futurologi. Dipende dal mercato … che dipende dalla produzione … che dipende dalla ricerca … che dipende dal prezzo …
Come quelli per trovare nuovo olio anche gli investimenti sul solare e sulle rinnovabili dipendono dal prezzo del petrolio. Ma l’ENI ha deciso di mantenere il livello di investimenti invariato su entrambi i fronti, anche in questa fase in cui il prezzo del barile è sceso tra quaranta e cinquanta dollari (in apparenza molto basso ma in effetti molto alto, spiegherà successivamente!). Questo sarebbe l’atteggiamento virtuoso che permetterebbe di risolvere gli storici sfasamenti che si determinano tra i picchi di domanda e la bassa capacità produttiva di petrolio. Peccato che ENI sia solo uno tra i vari componenti del gruppo di imprese private che oggi al mondo dispone in complesso di un misero qualche percento delle riserve petrolifere. E sia l’unica, a quanto sembra, a remare sia a favore che contro vento.
In questa direzione l’Eni si farà portatrice di una proposta al prossimo G8 sull’energia affinché si realizzi un fondo mondiale, d’intesa tra aziende produttrici e paesi produttori (quelli che hanno la quasi completa disponibilità delle riserve di petrolio), finanziato con una frazione delle accise sui carburanti, avente l’obiettivo di garantire la costante ricerca di nuovi pozzi. Si creerebbe così una riserva “cuscinetto” di capacità produttiva in grado di mantenere stabile e sotto controllo la produzione mondiale e il prezzo del barile.
Quindi fiducia cieca sul petrolio, con un deferente pensiero al solare (l’eolico non ha molte prospettive: è buono ma lo si può fare solo dove c’è vento!) ma non a quello silicio-dipendente (oggi troppo largamente pubblicizzato) che non offre alcuna seria prospettiva e che è inutile voler produrre in occidente o in Italia: quello cinese, prodotto con l’impiego di bambini e spargendo tetracloruro di silicio per i campi, soppianterà tutte le altre produzioni. Bisogna attendere quello che prima o poi le ricerche dell’Eni riusciranno realizzare e che farà fare al processo uno o due salti di scala. Allora sì che varrà la pena mettere i pannelli sui tetti … e i costruttori di pannelli cinesi chiuderanno bottega.
Tra aspisti ci si guarda ogni tanto, scambiando espressioni di inevitabile delusione. Io soprattutto appaio più abbacchiato degli altri per le aspettative che mi ero portato dall’esperienza precedente. Ero venuto per ascoltare le parole di un esperto, di uno studioso disposto a misurarsi anche con idee diverse: ho trovato un petroliere illuminato, un dirigente attento all’azienda, all’informazione, con molte più certezze che dubbi “scientificamente fondati” sul futuro e che mi ha dato la sensazione di aver scelto in questa fase la strategia dell’arrocco.
Arriva però il momento del dibattito. Parte qualche richiesta di chiarimento (vengono definitivamente affossati Rifking, il progetto della centrale a idrogeno di Enel e dell’impianto ad alghe di Bordon e Costa a Porto Marghera) sino a che il microfono arriva a Emilio che pone il problema della teoria di Hubbert. Si scatena una risposta di imprevista violenza che non fa prigionieri: Campbell è sostanzialmente un cialtrone che sfrutta la credibilità che gli deriva dall’essere un geologo che ha lavorato a lungo alla ricerca di petrolio e che più volte ha dovuto rettificare a posteriori quelle che aveva spacciato come date precise di “peak oil”; i suoi seguaci sono degni di lui e non posseggono, come la teoria, la minima dignità scientifica. Eppure Emilio aveva usato guanti bianchi e profumati nel porgere le proprie argomentazioni.
Rilancio subito dopo chiedendo se cortesemente può illustrare alcuni dati relativi al ritorno energetico ed economico degli investimenti tesi alla ricerca di nuovi pozzi, mettendo in relazione quelli riscontrati nei periodi iniziali dell’epoca del petrolio a quelli attuali.
Ho così imparato che ci sono varie modalità per finanziare questi investimenti e che esse sono oggetto di contrattazione tra paesi proprietari del terreno (e di ciò che c’è sotto) e le imprese che possiedono il know how e le tecnologie estrattive. In questo contesto ci è stato chiarito che talvolta Eni guadagna poco. Nulla ho potuto ascoltare in merito a quanto richiesto, cioè all’EROI e ai tempi di ritorno degli investimenti; ho invece appreso che il miglior paese dove buttare soldi per la ricerca petrolifera sono gli USA, perché qui il cercatore diventa proprietario del giacimento individuato.
Al termine, nell’alzarci al momento del corale applauso della platea, qualcuno di noi ipotizza di riproporgli le due domande in privato. E mal gliene incoglie: uno sguardo d’intesa basta e senza più incertezze ci dirigiamo a passi veloci a sollevare l’EROI della nostra esperienza con i pasticcini del buffet.
8 commenti:
...Molto bello il paragone con la strategia dell'arrocco : è pur sempre una strategia e potrebbe dare all' Eni un vantaggio ( o minor svantaggio ) sulla concorrenza...Cmq di petrolio ce n'è ancora molto, come c'è spazio per implementare le rinnovabili : il problema vero sono le persone , troppe ed assetate di beni e servizi a basso prezzo.
Che malinconia.
fausto
L'intervento di Maugeri mi pare piuttosto deludente. Il suo "espediente" (?) dialettico e lo scagliarsi ciecamente contro Campbell mettono a nudo una certa mancanza di sostanza.
Per lo più vedo i sintomi della "sindrome di Varvelli", in cui in una sede si sostengono delle teorie, in altra sede si sostengono altre teorie (incompatibili tra loro)
In "Con tutta l'energia possibile" si SCRIVE che bisogna passare con una certa urgenza al solare, in quanto il declino del petrolio è inevitabile – ma indefinito ed indefinibile.
In sede di convegno, si DICE che il petrolio è ancor abbondantissimo e basta decidere di tirarlo fuori.
Leggo tra le righe il pensiero di Maugeri, non espresso verbalmente: "Ragazzi siamo nella merda, il petrolio buono ce lo siamo fumato, se non lo facevamo noi lo avrebbe fatto qualcun altro, ora speriamo che arrivi il solare a salvarci, e io speriamo che me la cavo"
Sarà che Maugeri si è arroccato spargendo buone novelle a non finire sulla enorme disponibilità di petrolio per tanto tempo, ma perchè premettere che bisogna sviluppare il più velocemente, da adesso, possibile le infrastrutture per il solare? Ovvio, il petrolio convenzionale comincia a scarseggiare.
Se il pubblico "scelto" presente aveva un minimo di capacità ragionativa, qualche perplessità l'avrà avuta, spero(a parte l'applauso finale)...
Paolo B.
Paolo B.
Ritengo che il Varvelli di cui "la sindrome" sia Riccardo varvelli, geologo, etc etc.
Ma vorrei esserne sicuro.
Caro Frank, dissipa il dubbio......
Marco Sclarandis
Penso di sì:
http://www.ilgiardinodeilibri.it/autori/_riccardo-varvelli.php
Maurizio T.
Mi stupisco che un ingegnere riesca a dire un coacervo di cose contradditorie in simultanea; tra l'altro, al link segnalato da Maurizio salta fuori il libro "Risparmiare energia" in cui Varvelli propone, con minor enfasi, le stesse cose di Grillo.
Siamo al delirio, o come citava il buon Ali Morteza, "la dritta via si è smarrita"
Premessa: l'ENEL ha vendito alla provincia di Trento alcune sue centrali idroelettriche
ad esempio LEGGERE QUI
DOMANDINA:
Si può pensare che le fonti rinnovabili siano sfruttate da società di proprietà o a partecipazione pubblica senza essere additati come comunisti o statalisti? Si può sperare in una formula di governance con cui i cittadini attraverso l'amministrazione pubblica possano controllare che la società operi per crere la massima utilità dei cittadini e non per il massimo utile degli azionisti?
PROPOSTINA:
Io sogno che ENEL ed ENI diano vita ad una società ENER-GEO (o GEO-ENER) nella quale confluisca il know how delle due società per lo sviluppo dei sistemi di sfruttamento dell'energia geotermica in Italia e nel mondo, sia ad alta (per la produzione di elettricità) che a bassa temperatura (per il riscaldamento-raffrescamento domestico).
La proprietà di ENER-GEO dovrebbe essere mista in modo da coniugare l'efficenza economica e lo sfruttamento delle risorse sostenibile.
Se ciò avvenisse si porebbe avere in Italia la più grande società del mondo del settore geotermico.Via pare poco?
Posta un commento