domenica, gennaio 04, 2009

La cultura come abitudine statistica

Nella foto: mostra internazionale di Folclore di El Médano (evento musicale nel Sud di Tenerife)


In questo post vorrei speculare un po' sul significato di "cultura", intesa come bagaglio di usi, costumi e consuetudini di una certa popolazione.

Ragionandoci sopra con una persona amica mi è venuta in mente la definizione "abitudine statistica", che non vuole essere esaustiva, nè tantomeno negativa. Si tratta forse di un modo freddo e razionale di analizzare un fenomeno che è "normalmente" caloroso e istintivo.
Usi, costumi e consuetudini: il folclore di un popolo. Proviamo a ripercorrere lo schema REA (Risorse, Economia, Ambiente) di ASPO.

- Quali risorse il popolo utilizza? Legna, carbone, metalli, cereali, pesce ...
- Come è caratterizzata l'economia e la società? Trasformazione di prodotti agricoli, artigianato, industrie, mercati, abitazioni e urbanistica, giurisdizione, turismo, aggregazione, tempo libero...
- Qual è l'impatto ambientale?

Nelle popolazioni additate come "meno evolute", la terza voce è in genere trascurabile, proprio per la scarsa significatività del degrado ambientale in un sistema poco-niente industrializzato. Si pensi ad esempio alle piccole comunità di allevatori di alpeggio, o di pescatori in una costa scarsamente abitata, o di aborigeni. Ciò che attrae il turista occidentale, in effetti, è proprio questo stile di vita così diverso da quello frenetico in cui è immerso.

Nella nostra società:

- attingiamo a piene mani ai capitali fossili (e non);
- agricoltura, allevamento sono praticamente un capitolo dell'industria; l'artigianato e le piccole attività sono marginali; il terziario è ipertrofico. Anche il tempo libero è un'attività economica, c'è già chi pensa per noi;
- l'impatto ambientale c'è e si vede, ma non ci si pensa mai troppo.

In termini di cultura "vera", non reggiamo il confronto con le popolazioni più semplici. Siamo troppo accecati dalla "scienza della comodità" e dall'industria del tempo "libero", che propone soluzioni preconfezionate a pagamento.
Dunque, si lasciano accese le luci e il riscaldamento anche quando non serve perchè è "comodo", e "costa poco" (o meglio: non costa abbastanza); per lo stesso motivo si utilizza l'auto per percorrere il chilometro che ci separa dalla palestra.
Se ognuno di noi dovesse "guadagnarsi" i kWh elettrici che utilizza in una giornata nella sua abitazione, dovrebbe erogare l'energia biomeccanica equivalente di una pedalata giornaliera di 8 ore. Chi avrebbe ancora voglia di andare in palestra?
Il cibo: è così comodo comprarlo al supermercato in confezioni di plastica, che sono così comode da buttare via in modo indifferenziato, magari insieme agli avanzi.
Perchè imparare una lingua nuova, o a suonare uno strumento? Ma è così ovvio andare due volte la settimana in una discoteca, lì sì che si conosce la gente giusta.

Ecco, questa è la nostra cultura. E' sempre stato così (per chi ha 30-40 anni); "tutti" fanno così .
Sono troppo asociale se me ne vergogno?

PS Aggiungo che non sempre le popolazioni "semplici" hanno fatto (o fanno) la cosa giusta, esistono esempi di overshooting anche per loro (isola di Pasqua, isola di Nauru, imperi antichi ...). Il rito è antico e moderno allo stesso tempo: quando l'abitudine, o peggio il delirio di onnipotenza prendono il sopravvento sulla percezione dei limiti reali si possono creare danni inimmaginabili

6 commenti:

Anonimo ha detto...

.... la cultura della non-consapevolezza direi - dell' automa.....il conto sta per arrivare...speriamo che sia invito al risveglio...e al cambiamento. C'è TUTTO da GUADAGNARE - per parlare in termini familiari.

Maria

Anonimo ha detto...

Come hai ragione Frank! Oggi viviamo immersi nel culto del "dio industria". Egli genera tutte le cose visibili ed invisibili, per tale dio l'uomo è fin dai primordi un animale-macchina che abita in un universo meccanico e senz'anima, e che deve continuamente compiacerlo con assoluta sottomissione. Parole come aumento della produzione, pil, capitale, profitto devono essere le incessanti preghiere quotidiane dell'animale-macchina se non vuole che il suo dio si adiri con lui e che dopo atroci torture lo distrugga.

Stefano Marocco ha detto...

Il tempo della giornata dedicato alla sopravvivenza è sempre più diminuito nella storia dell'uomo. Oggi, ammesso che si lavori 8 ore al giorno, abbiamo quindi a disposizione almeno un terzo della giornata da spendere come vogliamo. Data la sostanziale ignoranza e/o materialismo di gran parte delle persone, ci si dedica a comprare oggetti inutili, spostarsi in automobile per futili scopi, farsi organizzare il tempo da qualcun altro, guardare le imbecillità trasmesse dalla televisione. Qualcuno dice "per passare il tempo". Evidentemente se non sappiamo cosa farne allora ne abbiamo troppo. La percezione del disagio si ha quando vengono meno queste possibilità, rese possibili alla fine da una società ad alto consumo di energia.
Salire è facile, scendere molto difficile e si rischia di farsi male.

Frank Galvagno ha detto...

Già, il conto sta per arrivare...

Questo dio-feticcio che ci siamo costruiti sta per dimostrare la sua vanità, un po' come il vitello d'oro, un po' come le gigantesche teste di pietra dell'isola di Pasqua.

Stefano scrive: "Il tempo della giornata dedicato alla sopravvivenza è sempre più diminuito nella storia dell'uomo. "

Vero. Abbiamo molto più tempo libero delle comunità rurali di fine ottocento che si facevano un mazzo così per racimolare da mangiare, da scaldarsi, da vestirsi. Tuttavia, questo tampo non sempre ce lo godiamo perchè siamo sfiancati fisicamente o psicologicamente da un lavoro che ci prende 8 + delta ore/giorno, dove delta arriva tranquillamente a 3. Siamo rotelline, ingranaggi di un mega-sistema che, per giunta, è fuori dal nostro controllo.

Anonimo ha detto...

Frank: "[...] le comunità rurali di fine ottocento [che] si facevano un mazzo così per racimolare da mangiare, da scaldarsi, da vestirsi."

Già, senza contare tutti quei "bei" monumenti che osanniamo come se dovessero costituire un vanto. Se il "popolino" faceva vita grama, era anche perché gran parte delle sue energie se ne andava nel costruire belinate e nel mantenere nel lusso i tagliagole di turno. Di molti di quei tagliagole troviamo il nome nei libri di storia, dove fanno una figura ben migliore di quella che meriterebbero. Del resto, citando Bennato: "Vai, vai, e leggili tutti e impara quei libri a memoria; c'è scritto che i saggi e gli onesti son quelli che fanno la storia". Eh, già.

Chissà se le comunità rurali di fine Ottocento si sarebbero fatti lo stesso mazzo, senza i vari notabili a sfruttarne il lavoro come bestie da soma...

Stefano Marocco ha detto...

Anonimo, credo che nell'ottocento la produzione agricola (rese e meccanizzazione) non fosse quella che conosciamo oggi, pertanto erano necessarie più braccia nei campi. E la popolazione era, credo, sei volte di meno di adesso.
Poi il concetto di "bestia da soma" è relativo al contesto in cui ci troviamo. Se ci evolveremo... intellettualmente, fra cent'anni ai nostri posteri verrà da ridere pensando, ad esempio, al tempo che abbiamo sprecato per andare in auto al lavoro. Se invece regrediremo, ritorneremo bestie da soma con i tagliagole di turno (se ne stanno già formando parecchi).