venerdì, novembre 30, 2007

L'energia non è ne' di destra ne' di sinistra



Potete trovare sul sito di Aspoitalia un articolo di Massimo Nicolazzi che è apparso sul numero 6 del 2007 della rivista Limes con il titolo di "E poi non ne rimase nessuno" e che pubblichiamo per gentile concessione dell'autore.

Abbiamo già pubblicato precedentemente un articolo di Nicolazzi dal titolo "Petrolio, il tempo breve dell'energia". L'approccio di Nicolazzi è interessante in quanto parte da presupposti dei quali almeno alcuni non sarebbero considerati condivisibili dalla maggior parte dei "picchisti". Tuttavia, arriva a delle conclusioni che sono, invece, del tutto compatibili con la visione di chi si preoccupa sia dell'esaurimento delle risorse sia del problema climatico.

Nicolazzi non è convinto che l'influenza umana sul clima sia provata e parte da una posizione di fondamentale scetticismo riguardo a tutti i tentativi di prevedere il futuro mediante modelli di qualsiasi tipo. Un po' di sano scetticismo, in effetti, è sempre utile, anche se bisogna anche tener conto di quello che dice spesso Colin Campbell, "tutti i dati sono sbagliati, ma alcuni meno di altri"; ovvero, per estensione, "tutti i modelli sono sbagliati, ma alcuni meno di altri".

Ciononostante, Nicolazzi applica nel suo ragionamento anche l'altrettanto sano principio di Pascal sulla convenienza di credere all'esistenza di Dio, che, tradotto in fiorentino moderno si esprime come "meglio aver paura che buscarne". Ovvero, magari l'influenza umana sul clima non sarà tanto forte come alcuni sostengono ma è meglio aver paura che.....

Da questo, Nicolazzi arriva a una serie di conclusioni molto interessanti. Vale la pena di leggere l'articolo perché contiene molto food for thought, cibo per la mente. La conclusione che mi sento di sottoscrivere al massimo grado è quella di cercar un accordo non partisan per programmare il futuro di fronte ai rischi che abbiamo di fronte. Come già commentavo nel caso del suo articolo precedente, l'energia e le risorse non sono ne' di destra ne' di sinistra e, soprattutto, non dovrebbero essere l'occasione per il solito squallido spettacolo di polemiche montate ad arte per far guadagnare qualche punticino alla propria parte politica.

Ecco la conclusione di Nicolazzi, suggerisco di leggersi tutto l'articolo.


Non abbiamo certezza né della catastrofe né che ve ne sia rischio imminente. Però il dubbio di un pericolo è ragionevole e fondato. Il dubbio dovrebbe essere sufficiente a far scattare la priorità della prevenzione, e anche della preparazione alla catastrofe. Con la stessa logica delle esercitazioni antincendio o di protezione civile. Vale la pena di investire sia per prevenire la catastrofe, che per renderla un po’ meno catastrofe. Quanto ci si riesce ad investire è poi tema di consenso, e cioè di politica. Sapendo che un qualche investimento vale ad ogni modo la pena di farlo, perché se la catastrofe arriva di botto sarà ingovernabile. E sapendo anche che il processo di estinzione della crescita, se e quando mai si innescherà, ci porrà forse nell’alternativa tra riequilibrio e guerra; e per certo nella necessità di rivisitare almeno alcuni dei paradigmi del nostro vivere sociale.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

"Meglio aver paura che buscarne" è la formulazione fiorentina del principio di precauzione, o sbaglio?

Anonimo ha detto...

Risk management?
Risk assessment'

Frank Galvagno ha detto...

Anche a me era venuto in mente il concetto di "principio di precauzione", come a Mario.

Ripensandoci, vedo una differenza di base: il principio di precauzione è una scelta verso un orientamento "protezionista", in mancanza di dati e studi su un certo problema. Generalmente, scatta dietro la guida di paure puramente psicologiche. Al limite estremo, una persona superstiziosa lo applica in ogni istante ... :-)

I concetti espressi nel post e nel documento, invece, hanno basi molto solide. I modelli sulla disponibilità energetica si stanno rivelando molto accurati (con buona pace dei demolitori di decenni fa); lo stesso si può dire sui fenomeni climatici, e quelli geografici associati. Anche qui: la catastrofe, per fortuna, non è garantita, ma sono più propenso a pensare "difensivo", proprio 2sulla base dei dati, che a pensare "positivo" sulla base di nulla.

Anonimo ha detto...

Anche da noi si dice "Meglio aver paura che buscarne". Evidentemente "Ne buschi!" si dice in tutta la Toscana. Non me lo ricordavo, visto che ci sono parecchie varianti. Per esempio i Pisani li ho sentiti dire "Ora le tocchi!" :-)

Ma lo sapete quale è la vera questione? E' che ne abbiamo già buscate e ne stiamo ancora buscando e sempre più di grosso. La paura dovevamo avercela prima. E questo, grosso modo, lo dice anche il Nicolazzi:

Poi c’è il climate change. Che sembrerà eretico dirlo, ma rispetto a terra, acqua ed
energia dovrebbe appassionare di meno. L’Aral prosciugato e il Rio Grande che si ferma
prima di arrivare al mare senza perciò neanche apparentarsi alla grandezza di un Okavango
li vedi e tocchi con mano. E sai che l’abbiamo fatto noi, e comunque l’agricoltura (ed altro)
degli uomini.


Chissà che il clima che cambia non appassioni proprio per il fatto di essere meno tangibile, ingombrante e reale rispetto ad altri disastri incombenti oppure... Già "incombuti". Quanto a questi ultimi, ormai non ci fanno più paura. Sono capitati e ciononostante siamo ancora qui.

Frank Galvagno ha detto...

Anche io ho il sentore che i problemi enegetici verranno fuori prima di quelli climatici. E con un impatto più immediato. Sono entrambe questioni di portata enorme.