venerdì, agosto 17, 2007

Anche se noi non ci saremo


La figura qui sopra mostra la "produttività biologica planetaria", ovvero la massa di materia biologica che il nostro pianeta è stato in grado di produrre nel passato e che, secondo i modelli, produrrà nel futuro. Il grafico è preso dal libro di Peter Ward e Donald Brownlee, "The Life and Death of Planet Earth" (Times books, 2002).

Vediamo nel grafico che l'ecosistema ha una caratteristica tipica delle creature viventi. Ha un suo ciclo vitale: nascita, crescita, maturità, declino, e infine morte. Questo ciclo dipende dalla lenta variazione della radiazione solare, che aumenta di circa del 10% ogni miliardo di anni. L'ecosistema reagisce a questo aumento in modo da mantenere la temperatura costante, per quanto possibile. E' questo il concetto di "omeostasi planetaria", che James Lovelock ha chiamato "Gaia," dal nome dell'antica divinità della Terra.

La reazione dell'ecosistema si manifesta principalmente con la variazione della concentrazione del principale gas-serra dell'atmosfera, il biossido di carbonio, CO2. Nell'arco dei miliardi di anni di storia della vita sulla Terra, via via che la radiazione solare aumentava, la concentrazione di CO2 diminuiva in modo da compensare l'effetto di riscaldamento. Ma ci sono dei limiti a questo adattamento. La CO2 atmosferica è necessaria per la vita delle piante e non si può ridurne la concentrazione oltre un certo limite. Prima o poi, il sole è destinato a diventare troppo caldo perché la temperatura possa essere regolata in questo modo. Questo potrebbe succedere fra circa 500 milioni di anni e, a quel punto, la Terra diventerà rapidamente troppo calda per l'esistenza della vita. Ma già oggi la produttività planetaria è in netto calo rispetto al suo fulgore di qualche centinaio di milioni di anni fa. Gaia sta invecchiando e non vivrà in eterno.

Ma perché ci dovrebbe interessare se la vita terrestre è destinata a sparire fra qualche centinaio di milioni di anni? E' la stessa domanda che si pongono Ward e Brownlee nell'introduzione del loro libro. Perchè preoccuparsi di cose che avverranno quando noi non ci saremo?

La loro risposta è che il futuro ci interessa, anche se è così remoto, perché è lo specchio del presente e del passato di un pianeta che è il nostro. Questa passione per il futuro è una cosa che avete anche voi se siete arrivati a leggere fin qui e se avete già cominciato a pensare di come si potrebbe evitare la morte dell'ecosistema terrestre. Magari schermare il pianeta per difendere la vita dalla radiazione solare troppo forte oppure a quale altro pianeta potrebbe ospitare gli esseri umani e le forme di vita terrestri quando il nostro sarà diventato troppo caldo per viverci. E' una preoccupazione per un tempo remotissimo nel futuro; eppure ci interessa.

Ma, forse, la visione di quello che avverrò fra 500 milioni di anni ci interessa in particolare perché rispecchia qualcosa che sta accadendo già oggi. Con i gas serra che stiamo producendo dai combustibili fossili, stiamo agendo a interferire sullo stesso meccanismo che si oppone al lento riscaldamento del sole. E' un meccanismo delicato; più di una volta nel remoto passato è andato in crisi trasformando la Terra in un deserto arido e assolato. L'intervento umano rischia di metterlo in crisi in tempi enormemente più brevi di quanto il sole potrà fare nel remoto futuro. In quanto tempo? Forse meno di un secolo, forse solo pochi decenni. Può darsi che per quel tempo la maggior parte di noi non ci sarà. Ma non importa; non vogliamo che accada anche se noi non ci saremo: è pur sempre il nostro pianeta.




...

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono sempre molto interessanti queste tue note... invitano a ragionare con la "coscienza di specie". Da ragazzo leggevo con voracità i romanzi di Asimov, annoiando i miei coetanei dediti più che altro a sperimentare, chi più, chi meno, tutto, e sottolineo tutto, quanto potesse offrire il presente (ma non ricordo nessuno della "meglio gioventù" fiorentina degli anni settanta... ti sembrerà incredibilel'unico che ricordo abbia pensato oltre se stesso è stato, ed è ancora, il nostro Mao - il Mao di Firenze - bene o male che si possa pensare di lui... per il resto... non ricordo... non mi viene in mente nessuno... di quella generazione, intendo dire, ma posso sbagliarmi...). Comunque, lasciando perdere il passato, altre volte mi sono posto il quesito (e non c'è da ridere): ma Omero sarà letto (trasmesso) tra 500 milioni di anni? E Marx? E Odum? E Goethe? E Toro Seduto? (vado a zig zag)... Quello di cui ci occupiamo oggi orienterà la curiosità dei ricercatori dei prossimi 10 mila anni? Pensa, io rintengo di sì... ritengo che c'è e ci sarà una continuità, sebbene il formicaio a cui apparteniamo ci distragga... Asimov è uno scrittore umanista, ed è stato uno scienziato che amava la sua specie... Ora non so dove volevo arrivare... ma sto cercando qualcosa da far leggere ai nipoti dei miei nipoti (sperando che non ce l'abbiano troppo con me per essere appartenuto a questa epoca di superba incoscienza) qualcosa di positivo, che possa far loro dire: "quando l'umanità comiciò a leggre i blog, il futuro cominciò a diventare meno imperscrutabile". A proposito, un blog dura quanto un libro di carta, che tu sappia? Io intanto, su Yuotube mi vado a guradare Victor Hara e Woodstock, non credevo che li avrei trovati lì.

Anonimo ha detto...

500 milioni di anni, ma anche 10 milioni, è un lasso di tempo che permette, a livello biologico, fenomeni evolutivi.
Chi abiterà la terra fra qualche milione di anni? Difficile dirlo.
E' anche difficile immaginare una continuità su questa scala temporale e il mantenimento di una memoria storica troppo "costosa" da gestire.
Riguardo all'impegno per la salvaguardia della vita su questo pianeta su tempi così lunghi, non limitato cioè alla sopravvivenza nostra e dei nostri immediati discendenti, si entra in un ambito nel quale è indispensabile una riflessione filosofica sul senso della vita e del nostro essere su questo pianeta.

Ugo Bardi ha detto...

Eh, si, caro Giovanni. Sembra che molti di noi che ci interessiamo di queste cose leggevamo Asimov e la fantascienza in generale. E' una cosa che ha scoperto Debora Billi, ci ha fatto un post sul suo blog "Petrolio". I blog sono una favolosa finestra aperta sul mondo; finché ce li fanno scrivere. Ho già sentito dire che bisogna "regolarli".

A proposito dell'evoluzione, è vero, le cose cambiano. Ma è anche vero che dopo la grande esplosione del Cambriano, potrebbe anche essere che la vita terrestre abbia raggiunto un suo massimo storico nel Carbonifero e Permiano.

La parola "evoluzione" ci frega sempre. Non vuol dire necessariamente "evoluzione" nel senso di "miglioramento". Vuol dire più semplicemente "adattamento". Dal Paleozoico a oggi, non ci sono stati grandissimi cambiamenti nel body plan dei vertebrati. Adattamenti tanti, si, ma - per esempio - i mammiferi esistevano già nel paleozoico; una serie di eventi hanno fatto si che abbiano occupato nicchie lasciate libere dai dinosauri, ma non perché fossero particolarmente più "evoluti" dei dinosauri. Il salto evolutivo inaspettato è stata la capacità degli esseri umani di andare a succhiare l'energia accumulata nel carbone e nei combustibili fossili. Questo non era mai successo dal carbonifero a oggi!

Che cosa ci possiamo aspettare dall'evoluzione nei prossimi milioni di anni? Ovviamente, è difficile dire, ma se i prossimi 100 milioni di anni saranno come i passati 100 milioni di anni, le specie terrestri continueranno ad adattersi per quanto possibile a un pianeta sempre più caldo, finché non spariranno.

In realtà quello che fronteggiamo dopo il picco evolutivo del paleozoico è una "de-evoluzione". Un ritorno alle origini; prima spariranno i vertebrati terrestri, poi gli invertebrati, poi tutte le forme multi-cellulari e poi, a lungo andare, anche i batteri. La sparizione dei vertebrati terrestri potrebbe non richiedere milioni di anni. Ci siamo già andati molto vicini - a un pelo - con la catastrofe del Permiano. Un'altra botta del genere, magari iniziata dagli esseri umani con la loro mania di bruciare cose, e ci vuole poco a ritrovarsi di nuovo nell'archaeano, magari basta qualche secolo.

Tutto questo, a meno che il salto evolutivo umano non si riveli assai più duraturo di quanto si pensi. Chissà....

Anonimo ha detto...

Ciò che hai precisato sembra corrispondere al detto popolare "sono sempre i migliori i primi ad andarsene"... nel nostro caso gli organismi più complessi.... Se ne potrebbe dedurre, inoltre, la ragione della notevole longevità di certi animali politici meno evoluti ma più capaci di adattamento... ad ambienti diversi. Ah, la scienza! Guarda quante risposte potrebbe darci...